Amedeo Modigliani, una meteora nel cielo di Parigi
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Amedeo Modigliani, una meteora nel cielo di Parigi Jean-Michel Bouhours Nelle descrizioni trasmesseci dell’artista, Modigliani è sempre accompagnato dai libri: ne ha nei suoi atelier o in tasca quando gira per le strade di Montmartre o Montparnasse. Le letture di Nietzsche, parte del suo pantheon letterario, gli hanno ispirato la voglia, comune a tutta questa generazione di artisti, di liberarsi delle forme del passato per inventare un’arte nuova. Eppure, quando Luigi Severini, un altro artista toscano stabilitosi a Parigi, vuole coinvolgere Modigliani nell’avventura del futurismo, la risposta è netta e recisa: Modigliani non aderisce all’ideale rivoluzionario che intende bruciare i musei. Colui che nel 1901, mentre si trovava a Roma in compagnia della madre, scriveva all’amico Oscar Ghiglia: “Cerco inoltre di formulare con la maggior lucidità le verità sull’arte e sulla vita che ho raccolto sparse nelle bellezze di Roma, e come me ne è balenato anche il collegamento intimo, cercherò di rivelarlo e di ricomporne la costruzione e quasi direi l’architettura metafisica per crearne la mia verità sulla vita, sulla bellezza e sull’arte” 1, colui che venerava lo scultore del gotico senese Tino di Camaino, Botticelli o Masaccio non poteva abbracciare un movimento che si proponeva di “liberare questo paese [l’Italia] dalla sua fetida cancrena di archeologhi, di ciceroni e d’antiquari”2. Come poteva Modigliani – uomo di charme, orgoglioso, sicuro del proprio talento, teatrale quando faceva il suo ingresso alla Rotonde e scrutava la sala per reperirvi un potenziale modello, ma poco incline all’avventura collettiva – trovare il suo posto in un paesaggio artistico francese ampiamente dominato dalle figure di Picasso e Matisse? Un Picasso che cercherà di incontrare subito dopo il suo arrivo, di cui sarà il vicino al Bateau-Lavoir di Montmartre, ma con il quale i rapporti resteranno molto superficiali. Né più fruttuosi saranno quelli con André Derain. Modigliani, il declamatore di Dante, ha incontestabilmente maggiori affinità con i poeti. L’ombra di Picasso incombe sul suo legame con il poeta “alchimista” appassionato di esoterismo Max Jacob, il quale ravviva sia il ricordo delle conversazioni con il nonno Isacco a proposito di filosofia e cabala, sia il suo interesse per lo spiritismo maturato all’epoca del soggiorno a Venezia nel 1905. Il poeta lo presenta allo scultore Jacques Lipchitz, molto coinvolto nell’avventura del cubismo; lo mette in guardia contro la sua predilezione per il preraffaellismo e l’arte tinta di manierismo di Aubrey Beardsley, illustratore inglese dal destino tragico quanto il suo e che Modigliani venerava, suggerendogli piuttosto di guardare agli spunti rivoluzionari offerti dalla Grande Jatte di Seurat. Intriso di una cultura italiana assimilata attraverso le lezioni di disegno impartitegli da Guglielmo Micheli a Livorno, poi durante il viaggio con la madre nell’Italia del Sud nel 1901, 1 In Amedeo Modigliani. Le lettere, a cura di Elena Pontiggia, Abscondita, Milano 2006, p. 13. 2 F.T. Marinetti, Manifesto del futurismo pubblicato su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. In Luciano De Maria (a cura di), Filippo Tommaso Marinetti e il Futurismo, Classici moderni, Collezione Oscar, Mondadori, Milano 1973. 1
che lo ha portato da Napoli a Roma passando per Pompei e Capri, Modigliani, come gli altri artisti presenti a Parigi nei primissimi anni del XX secolo, ha ricevuto il doppio shock della retrospettiva postuma di Gauguin tenutasi nel 1906 e di quella di Paul Cézanne dell’anno successivo. Secondo André Salmon, che riferisce le parole di Severini, in questi primi anni parigini Modigliani s’interessava innanzitutto a Henri de Toulouse-Lautrec, Henri Matisse e Bonnard, tre artisti che ricevevano il convinto appoggio dei fratelli Natanson, proprietari dell’autorevole “Revue Blanche”. Di Toulouse-Lautrec, Modigliani ammirava la forza espressiva della linea, che lascerà su di lui un’influenza durevole. Tuttavia, quei suoi primi capolavori che sono il Ritratto di Paul Alexandre (cat. n. xx, 1909) o Il violoncellista (1909) saranno piuttosto ispirati dall’opera di Paul Cézanne. E sarà l’opera scolpita di Gauguin, prima ancora dell’incontro, verso il 1908, con gli scultori Drouard e Brancusi al Delta – luogo che il dottor Paul Alexandre ha messo a disposizione degli artisti – a instillare un sordo appello all’intaglio diretto della pietra. Bisogna aggiungere che la mostra dello scultore di origine polacca Elie Nadelman – un artista che con le sue scomposizioni sferiche è stato un precursore del cubismo – tenutasi alla galleria Druet nel 1909, fu ammirata da entrambi Picasso e Modigliani. Jean-Paul Crespelle scriverà che le Cariatidi di Modigliani, con le loro forme geometrizzate, erano il frutto dell’impatto esercitato sull’artista dall’opera di Nadelman 3. Come Derain, Modigliani fu ispirato dalle maschere della Costa d’Avorio, portatrici di forme essenziali, semplificate, oltre a rappresentare la continuità degli insegnamenti di Cézanne. Benché i due artisti si fossero frequentati poco, Modigliani condivideva con Derain anche la volontà di “appartenere a tutti i tempi”. Una testimonianza da prendere con le pinze attesta i dubbi di Modigliani verso la propria pittura, dubbi che lo condurranno alla scultura. Le parole che seguono sarebbero state dette da Modigliani a Louis Latourette: “No, non ci siamo. Questa roba sembra ancora Picasso, ma riuscito male… Picasso darebbe una pedata a questo orrore… Ho distrutto quasi tutto quello che hai visto… Bisogna sapersi giudicare senza indulgenza sentimentale… Ho tenuto solo due o tre disegni, anche il torso che ti era piaciuto… Oh! Ma solo per rifarlo in un altro modo… Del resto, ho proprio voglia di mandare a spasso la pittura per darmi alla scultura” 4. Le origini dell’opera scolpita di Modigliani sono pressoché avvolte nel mistero, nel senso che l’artista ha distrutto buona parte delle sue prime creazioni in marmo e legno realizzate quando risiedeva a Montmartre. Le maschere negre scoperte al Musée d’ethnographie, la mostra dedicata ad Angkor allestita al Musée indochinois del Trocadéro, le arti khmer e indiane del Musée Guimet hanno nutrito questa generazione di artisti alla ricerca di nuove forme. Ricerca che ha contemporaneamente permesso a Modigliani di dedicare un’attenzione forse più profonda alle opere del passato, di concentrare lo sguardo sia sui primitivismi – la presenza al Louvre dal 1897 della Dama di Elche, capolavoro della scultura iberica risalente al 3 Jean-Paul Crespelle, Modigliani. Les femmes, les amis, l’œuvre [ho corretto il titolo], Presses de la Cité, Paris 1969, p. 130. 4 In Alfred Werner, Modigliani sculpteur, Nagel, Genève-Paris-Hamburg-New York 1962, p. 24. 2
V-IV secolo a. C. ha segnato un’intera generazioni di scultori – sia sulle culture non occidentali, africane, oceaniane o asiatiche. Paul Alexandre sosteneva che l’arte negra era fatta per sedurre un Modigliani ossessionato dalla semplificazione della forma o del disegno5. Fra il 1909 e il 1912, Modigliani distrusse più opere di quante ne conservò. Occorre probabilmente attendere la mostra delle sue Teste organizzata nel 1911 nello studio di Amedeo de Souza Cardoso e, l’anno successivo, la presentazione al Salon d’Automne di un gruppo di sette sculture sotto il titolo Teste, insieme decorativo a fianco della pittura di Kupka e di Picabia, perché Modigliani si senta rasserenato sulle sue qualità di scultore, anche se, sia Brancusi sia Zadkine nutrono dubbi sulla sua capacità di affrontare la durezza di questo mestiere, anzi, sulla validità stessa della sua produzione: “L’influenza di Brancusi era evidente, ma nessuno prendeva sul serio le sculture di Modi; c’era in quelle teste l’idea di un pittore provvisoriamente subordinata a quella di uno scultore. D’altronde, il periodo della scultura non durò a lungo per Modi, perché per fortuna fece ritorno alla pittura.” 6 Un disegno proveniente dalla collezione di Paul Alexandre e oggi al Musée des beaux-arts di Rouen, Donna con pareo che cammina con un oggetto sulla testa (cat. n. XX), sembra essere un indizio dell’oscillazione fra pittura e scultura che si manifesta nel lavoro di Modigliani intorno al 1909-1910. È il disegno più precoce a noi noto – anteriore al 1910 – di una figura che annuncia le Cariatidi del periodo 1911-1914. Il corpo della donna è in rotazione a partire dalla linea delle spalle fino alla gamba destra tesa in avanti, che assegna al soggetto un movimento energico. Modigliani ha usato di piatto il bastoncino di pastello per ottenere un tratto spesso dai contorni sfumati, con un effetto di chiaroscuro sul corpo del modello. Si ritrova questa tecnica in Brancusi, in un lavoro come Nudo seduto del 1912 (Stoccarda, Stattgalerie; cfr. illustrazione p. XX). In quest’opera decisamente unica, Modigliani disegna con in mente i volumi e registra sulla carta la resa della luce su una forma scultorea futura. Le linee tese e geometriche che, con un solo tratto spesso, definiscono il seno e il fianco sinistri ricordano i primi studi di teste e i nudi detti iberici realizzati da Picasso nel 1906. Secondo Flavio Fergonzi, il punto di svolta fra il suo primo dipinto e la scultura si colloca attorno al 1910, quando l’artista rompe definitivamente con Cézanne e il postimpressionismo e attinge alle ricerche condotte da Picasso fra il 1906 e il 1909, portandole oltre7. Certi studi di Picasso per Les Demoiselles d’Avignon, come Nudo di spalle con le braccia alzate (primavera 1907; Parigi, Musée Picasso), possono avere fornito qualche risposta alle sue ricerche di stilizzazione e geometrizzazione del corpo femminile, che assume tutto il suo significato non appena lo si integra in un’unità architettonica, come suggerito dal disegno di Picasso e reso 5 Cfr. Paul Alexandre in Noël Alexandre, Modigliani inconnu, Albin Michel-Fonds Mercator, Paris-Antwerpen 1993, p. 65. [Ed .it. Modigliani: testimonianze, documenti e disegni inediti provenienti dalla collezione del dottor Paul Alexandre, traduzione di Elda Negri Monateri, catalogo della mostra, U. Allemandi-Fonds Mercator, Torino-Antwerpen 1993.] 6 Ossip Zadkine, Le Maillet et le Ciseau. Souvenirs de ma vie, Albin Michel, Paris 1968, p. 89. 7 Flavio Fergonzi, Preliminary Issues for Modigliani Sculptor, in Gabriella Belli, Flavio Bergonzi e Alessandro del Puppo (a cura di), Modigliani Sculptor, Silvana Editoriale/Mart Rovereto, p. 34. 3
più esplicito da Modigliani nelle Cariatidi. Busto di donna (1911; collezione privata) segnala vistosamente la svolta impartita da Modigliani alla sua pittura, una conseguenza del suo interrogarsi sulla forma, esacerbato dall’influenza sempre più prepotente del cubismo. Il volto a ogiva è già costruito attorno al binomio degli occhi, masse scure disposte ai lati di un naso schematizzato da due curve opposte e da un tratto orizzontale. Una semplice linea a V rappresenta le sopracciglia; ma la cosa più sorprendente di quest’opera è la deformazione inedita – ma destinata a diventare una prerogativa di Modigliani – del collo, per il quale la sua predilezione non lascia dubbi. Di una geometrizzazione estrema – qui è raffigurato come un tubo – il collo distrugge il principio di integrità del corpo dell’effigiato: la testa è priva di corpo, sembra posta su una cosa inerte che non ha più molto a che vedere con la vita di un corpo umano: qui vita e morte coesistono in un bizzarro assemblaggio. Le celebri deformazioni anatomiche che istituiranno progressivamente lo stile Modigliani, e che gli appiccicheranno l’etichetta di “manierista”, sono già in atto. I visi sono oblunghi, a forma di ogiva o di mandorla, i colli sono superlunghi e i corpi sempre inscritti in una curva. Jean-Marie Le Clézio evoca la stranezza onirica di questi “corpi […] nascosti dall’ostacolo del reale” 8. Ma si può ancora oggi avvertire quella stranezza che dovevano comunicare le opere di Modigliani quando le eseguì? Non è che in ultima istanza Modigliani procede sull’esempio di Vitruvio che prescrive l’entasi alle colonne doriche per ottenere la deformazione necessaria a restituire il senso della percezione naturale? Il passaggio alle Cariatidi, di cui esistono versioni pittoriche straordinarie come il Grande busto rosso (collezione privata, courtesy la Béraudière), è marcato dalla scoperta dell’arte egizia al Louvre. La semplificazione plastica dell’arte egizia, la frontalità, le figure ieratiche da cui si sprigiona un senso di eternità l’hanno colpito e influenzato così come era successo all’olandese Van Dongen dopo il viaggio a Luxor nel 1913. Nel Grande busto rosso (1913) Modigliani ricorre a una tecnica di riempimento della forma con un rosso terra di Siena che fa direttamente eco alla codificazione dei colori nell’antico Egitto, dove il rosso era utilizzato per rappresentare gli uomini. Da questo punto di vista, è interessante confrontare queste opere di Modigliani con Mlle Miroir, Mlle Collier et Mlle Sopha di Van Dongen (collezione privata), dove si ritrova un manierismo molto affine di silhouette deformate, allungate, più anatomiche nell’olandese che nell’italiano, oltre agli stessi grandi occhi a forma di mandorle bianche. Mentre soggiornava sulla Costa Azzurra durante l’inverno 1918, in compagnia di Léopold Zborowski, di sua moglie Hanka, di Chaïm Soutine e Jeanne Hébuterne, Modigliani chiese all’amico pittore e italiano come lui? [non è svedese?] Osterlind di presentarlo ad Auguste Renoir che risiedeva allora nella sua proprietà delle “Collettes” a Cagnes-sur-Mer. L’incontro s’interruppe bruscamente quando Renoir domandò al visitatore se accarezzasse per giorni e giorni le natiche dei nudi dei suoi dipinti prima di considerare terminata una tela. Molto in collera, Modigliani avrebbe risposto: “A me, signore, le natiche non piacciono 9.” Se la replica 8 J.-M. Le Clézio, Modigliani, ou le mystère, in Daniel Marchesseau (a cura di), Modigliani (1884-1920), catalogo della mostra, Paris, MAMVP, 1981, p. 11. 9 In Christian Parisot, Modigliani, biographie, Gallimard, coll. Folio, Paris 2005, p. 295. 4
stizzita di Modigliani poté apparire al vecchio maestro la provocazione di un giovane artista in cerca di scandalo, essa rifletteva al contrario una concezione del nudo radicalmente diversa da quella di Renoir. In linea generale, i modelli di Modigliani sono in un rapporto frontale rispetto allo sguardo del pittore e dell’osservatore. L’eccezione più rilevante a questa regola sarebbe il Nudo sdraiato sul fianco sinistro (1917; collezione privata), nel quale Modigliani fa esplicito riferimento all’Odalisca di Ingres. Nei nudi, la modella si offre allo sguardo del pittore dirigendo su di lui il proprio sguardo o chiudendo gli occhi, abbandonandosi in un rapporto voyeuristico/esibizionistico. La modella scopre i seni, il ventre e il pube. Le bagnanti di Renoir sembrano al confronto ragazzine leziose troppo in carne per Modigliani. Nei suoi nudi è inutile cercare il minimo compiacimento nella posa del corpo nello spazio; il quadro ha qualcosa di speculare: il modello si offre alla vista del riguardante nello stesso modo in cui si guarderebbe allo specchio. Lo specchio degli occhi dell’artista è uno sguardo magnetico. Salmon scriveva che l’eloquenza di Modigliani stava tutta nei suoi occhi. A meno che questi nudi e questi visi non riflettano il piacere provato dal modello nel ricevere dall’artista il suo sguardo carico di desiderio? A meno che questi nudi abitati da una sensualità animale non posino uno sguardo stupito sulla bellezza del pittore? Secondo André Salmon, che racconta l’incontro con Renoir, i nudi di Modigliani non hanno alcuna connessione con il desiderio del pittore davanti a corpi eccezionalmente belli, ma sono il risultato di una “trasposizione ideale del corpo” 10, di una capacità di sublimazione dello sguardo del pittore e della sua mano. Sotto il pennello di Modigliani, le servette, si tratti di quella di Chez Rosalie (il ristorante di rue Campagne Première) o di quella di Zborowski, sono tramutate in ninfe intoccabili. È questo aspetto che ha indotto spesso a paragonare Modigliani al Tiziano, le cui donne, Maria o Venere non conta, erano concepite innanzitutto come esseri sessuali. Nella loro sessualità esse esprimono la potenza creatrice del pittore. L’offerta della loro nudità mira a rendere possibile un’epifania che verrebbe a concretizzare il genio dell’artista. “In fondo, fare dei ritratti”, scrive Jean-Marie Le Clézio a proposito di Modigliani, “equivale a scegliere di dipingere se stessi” 11. Paul Alexandre diceva pressappoco la stessa cosa: “Il vero volto di Modigliani appare nella sua opera. Chi sa vedere i ritratti di donne, di adolescenti, di amici e tutti gli altri, vi trova l’uomo con la sua squisita sensibilità, la sua tenerezza, la sua fierezza, la sua passione per la verità, la sua purezza” 12. Pare che, in certe situazioni, il rapporto del pittore con la modella si trasformasse in una sorta di cerimonia bacchica fra Dioniso e le Tiadi. Jeanne Modigliani riferisce di una seduta di lavoro con la modella Elvira, detta La Chique, entraîneuse di Montmartre: il pittore si sarebbe chiuso dentro lo studio con la modella, una scorta di alcol e di droga, e le risultanti “scene eroico-grottesche” sarebbero state all’origine di numerose tele13. Cos’erano queste scene eroico-grottesche? Crisi esibizioniste sotto l’effetto delle droghe, precisa Jeanne Modigliani. 10 André Salmon, La vie passionnée de Modigliani, Seghers, Paris 1957, p. 359. 11 Jean-Marie Le Clézio, op. cit., p. 11. 12 In Noël Alexandre, Modigliani inconnu, op. cit., p. 67. 13 Jeanne Modigliani, Modigliani senza leggenda, Vallecchi Editore, Firenze 1968, p. 95. 5
Tornando all’incontro con Renoir, delle natiche Modigliani amava soprattutto la grande linea curva che segnala una postura fuori asse, una forma generosa, o anche una forma stretta, del bacino. Chi ne ha parlato per primo e meglio è stato Francis Carco: “La flessuosità animale, talvolta immobilizzata, i suoi abbandoni, la sua felice debolezza non hanno finora trovato un pittore più di lui attento a tradurli.” 14 Modigliani considera l’“ideale carnale” nella sua permanenza sublime. Metterci della leziosità sarebbe stato come introdurre una componente aneddotica. Niente nelle pose lascia filtrare un sentimento che non sia quello della voluttuosa pulsione scopica (ossia dello sguardo) del pittore e del modello che la scatena. L’assenza dell’aneddoto nelle opere di Modigliani è del resto stata rilevata anche da Alfred Werner a proposito della sua scultura, ed è questo che assegna alle opere la loro forza misteriosa 15. È solo nel dicembre 1917 che Modigliani può tenere la sua prima mostra personale, organizzata nella prestigiosa galleria parigina di Berthe Weill, al 50 di rue Taitbout. Blaise Cendrars firma il testo per il piccolo catalogo. Autore dell’iniziativa è Zborowski, che contatta la galleria che in precedenza aveva esposto Picasso, i fauve (tra i quali Derain e Van Dongen) nel 1907, Utrillo e Pascin fra gli altri. Due nudi esposti nella vetrina sulla strada fanno gridare allo scandalo e provocano l’intervento del commissario di polizia del quartiere che ordina di chiudere la mostra. Modigliani perde l’appuntamento con la consacrazione della sua arte: saranno venduti solo due disegni, mentre Berthe Weill acquisterà personalmente cinque tele per aiutare l’artista. Sulla rivista “L’Éventail” (n. 6, luglio 1919), Francis Carco pubblica un lungo articolo dedicato a Modigliani nel quale ritorna sulla vicenda dello scandalo alla galleria Berthe Weill, decanta la qualità dei disegni dell’artista e ammette che i suoi nudi si prestano difficilmente a essere esposti. Nelle sue memorie, Berthe Weill riferisce il commento dell’agente di polizia in borghese: “… questi nudi… hanno tanti pppeli…” 16. Non teneva certo conto – ma si può pretendere tanta cultura da un commissario di polizia? – del precedente della Maja desnuda dipinta negli ultimi anni del XVIII secolo da Francisco Goya, con altrettanta peluria e in una posa parecchio simile a quelle delle modelle di Modigliani. Tutta quella gente pudibonda ignorava chiaramente anche la sola esistenza dell’Origine del mondo di Gustave Courbet, opera che, in quegli anni in cui i nudi di Modigliani scioccavano la società francese, aveva trovato rifugio presso un collezionista ungherese a Budapest. Un altro precedente, più recente, era stato lo scandalo suscitato al Salon d’Automne del 1913 dallo Scialle spagnolo (o Quadro) di Kees van Dongen: l’olandese aveva dipinto sua moglie Guus vestita alla spagnola con la mantiglia, che però lasciava scoperto un pube dove i peli passavano tutt’altro che inosservati. Per Francis Carco, quella di Modigliani era un’arte molto raffinata, affrancata dalle sue origini barbare sulle quali aleggiava l’ombra di Gauguin. Il desiderio di “appartenere a tutti i 14 Francis Carco, Le nu dans la peinture moderne, Les éditions G. Crès et Cie, Paris 1924, p. 114. 15 Alfred Werner, Modigliani sculpteur, op. cit. Ripubblicato in Noël Alexandre, Amedeo Modigliani. Peintures et dessins de la collection Paul Alexandre conservés au Musée des Beaux-Arts de Rouen, Rouen 2002, p. 32. 16 Berthe Weill, Pan! …dans l’œil ou Trente ans dans les coulisses de la peinture contemporaine, Paris 1933, p. 228. 6
tempi” che Modigliani condivideva con André Derain significava non voler perdere nessuno dei frammenti di una cultura occidentale atomizzata dalla modernità. Adolphe Basler, che definì Modigliani un “Botticelli negro”, scrive: “Sempre estremamente personale per il sentimento che la anima e per la sua trasposizione del reale, ossia nella sua essenza spirituale, l’arte di Modigliani è, nel suo stilismo raffinato e nel suo manierismo, una combinazione di eleganza fiorentina, stilizzazione cubista e un senso tragico, gotico, della vita” 17. Voler dare la chiave di riferimento di un’opera di Modigliani sarebbe un’impresa votata al fallimento già in partenza. L’artista nato a Livorno e adottato da Parigi aveva la capacità assolutamente unica di far agire in simultanea – come farebbe un organista con i tasti e i registri dello strumento – tutti i geni culturali e artistici che gli erano propri. 17 Adolphe Basler citato in www. Musee-orangerie.fr 7
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