Le Belle di Giuseppe Antonio Borgese - nel canone novellistico del primonovecento

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Le Belle di Giuseppe Antonio Borgese
                 nel canone novellistico del primonovecento
                                        AMBRA CARTA
                                 Università degli Studi di Palermo

Proceeding of the AATI Conference in Palermo [Italy], June 28 – July 2, 2017. Section Literature.
AATI Online Working Papers. ISSN: 2475-5427. All rights reserved by AATI.

ABSTRACT: Le Belle (1927) è un libro di diciotto novelle nelle quali Borgese si cimenta con
la forma breve della narrazione. Quali i modelli, quali gli esiti sul piano formale? È possibile
ascrivere questi testi a un canone novecentesco della forma breve? Per tentare di rispondere a
tali domande, si è condotta un'analisi dei temi e della forma dei singoli testi della raccolta.

Keywords: Novella, Modernismo, Borgese, letteratura italiana

         Le Belle e la stagione narrativa italiana del primo Novecento

         Le Belle nascono editorialmente nel 1927 dopo La città sconosciuta (1924) e prima de
Il sole non è tramontato (1929), negli anni Trenta e segnano la fase narrativamente più
intensa della scrittura letteraria di Giuseppe Antonio Borgese, inaugurata dal romanzo del
1921 (Rubè) e proseguita a ritmi costanti negli anni seguenti, anche dall'esilio americano, tra
prosa breve, romanzi e critica letteraria. Le Belle si collocano, dunque, in un decennio che dal
punto di vista della codificazione dei generi vede la rinascita del romanzo, dopo il
frammentismo dei due decenni precedenti, e una moderata apertura alle letterature straniere
(in particolare, la rivista Solaria), verso le quali, come è noto, Borgese fu sempre molto
attento. Lo dimostrano il profilo del docente universitario – lo scrittore insegnò Letteratura
tedesca all'Università di Torino (1909) e poi in quella di Roma (1910) – e anche quello del
critico – del 1915 è il volume Studi di letterature moderne e del 1927 Ottocento europeo
contemporaneo al Le Belle.
         Le Belle raccoglie diciotto novelle, ossia diciotto testi brevi che, come vedremo,
intrattengono stretti legami sia con il resto della produzione narrativa dello scrittore siciliano
sia con quella italiana e europea contemporanea.1 Non dimentichiamo, però, il contesto nel
quale Le Belle si inseriscono. Solo qualche anno è trascorso dalla pubblicazione di Tempo di
edificare (1923), manifesto critico della volontà di ricostruzione del romanzo, in polemica
con i fautori del frammento, tuttavia Borgese non si sottrae a un'altra prova letteraria:
cimentarsi con una forma narrativa, la novella, che in quegli stessi anni era magistralmente
rappresentata dal corpus pirandelliano (nel 1927 Pirandello avviava il progetto editoriale di
pubblicare i 24 volumi delle sue Novelle per un anno).
         Dopo avere inaugurato la stagione inventiva con il primo suo romanzo, Borgese
sperimenta la forma breve; dopo gli anni della militanza politica e la fine della guerra, lo
scrittore prende il sopravvento sull'ideologo e sul politico e teorizza la corrispondenza
dell'arte con la vita. Come i tre volumi de La vita e il libro negli anni '10 avevano
rappresentato la volontà di prestare l'esercizio critico a una funzione eminentemente civile e
sociale, così adesso le forme narrative devono per Borgese costruire forme ideali di

1
  Le tre raccolte novellistiche di Borgese, La città sconosciuta (1924), Le belle (1927) e Il sole non è tramontato (1929),
furono riunite e riproposte una prima volta con il titolo Il pellegrino appassionato (1933); più tardi, nel 1950, con
l’aggiunta del racconto lungo, Tempesta nel nulla (1931), uscirono in due volumi intitolati Le novelle di G. A. Borgese
nella collana mondadoriana «La Medusa degli italiani».
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rappresentazione, una sintassi narrativa, come egli amava definirla. Le novelle, dunque, non
meno del romanzo, aspirano a dar voce alle inquietudini contemporanee ma a ricomporle in
forme concludenti e conclusive, per riprendere un'espressione borgesiana.

         La questione del genere: forme e temi

        Le belle sono un libro di novelle. Sulla terminologia della narrazione breve i
moltissimi studiosi che se ne sono occupati (da Lucaks a Pirandello e oltre) concordano
nell'assegnare fino agli anni Trenta una relativa oscillazione nell'uso dei termini novella /
racconto e poi dagli anni Trenta in avanti una definitiva prevalenza del secondo. Forse nel
definirle novelle Borgese tradisce il desiderio di inscriversi nella più florida e longeva delle
tradizioni narrative italiane, da Boccaccio a Pirandello, nel solco cioé di un genere che
proprio in Verga, primo ricostruttore della modernità, nelle parole di Borgese, aveva trovato
l'ora del proprio rinnovamento inaugurando quelle forme espressionistiche e scorciate che
qualche anno dopo nel laboratorio novellistico pirandelliano sarebbero diventate i caposaldi
della narrativa modernista primonovecentesca.2
        Ma che tipo di novelle sono queste di Borgese, e quali, se ce ne sono, i punti di
contatto con la novellistica coeva, italiana e europea?
        Per rispondere a queste domande è bene prima provare a descriverle e interpretarle.

         Le belle: temi e forme, spazio e tempo

        Se dovessimo sintetizzare il senso, il motivo profondo che percorre come nota
dominante di fondo tutte le diciotto novelle, potremmo dire che all'unisono suonano una
stessa corda, uno stesso ritmo, quello del tempo perduto, della nostalgia per un attimo di
eternità bloccato per sempre, sottratto alla furia rovinosa del tempo. Ogni novella ripropone a
suo modo il tema della vita e della morte, reali o simboliche, di personaggi che, immersi nel
triste grigiore delle proprie vite, sono pervasi da un attimo di felicità assoluta, quasi
un'epifania che li proietta in un tempo e uno spazio immaginari, in un altrove tinto di fiabesco
o di onirico.
        In comune, queste novelle hanno il ritmo narrativo, il lento e cadenzato racconto di
una voce narrante che quasi sempre si identifica con un personaggio, solitamente il
protagonista maschile.
        I personaggi sono uomini e donne della media borghesia, diplomatici, agenti di
cambio, avvocati, e le loro mogli o figlie, sepolti in vite routinarie, monotone, prive di
autenticità o di senso; vite in cerca di un varco, di un bagliore di eternità che le immetta in
un'altra vita, nel sogno, nel delirio o nell'immaginazione. Irretiti in vite non vere, essi
percepiscono l'oltre che sperano di cogliere negli sguardi altrui, nel mistero dei volti, nel
vuoto che separa il proprio dall'altrui enigma.3 Sono in tutto e per tutto uomini e donne chiusi

2
  Gli studi sulla novella e sulla forma breve del narrare sono molto numerosi, mi limiterò dunque a citare quelli
consultati: sul piano teorico, in particolare due articoli di Pirandello, il primo Romanzo, Racconto, Novella, pubblicato
su Le Grazie, 16 febbraio 1897, (sul quale è intervenuto F. Rappazzo, Un articolo di Pirandello sulle forme narrative, in
Allegoria, III, 8, 1991, pp. 155-160) e il secondo Soggettivismo e oggettivismo nell'arte moderna, in Arte e scienza,
(1908), ora in Id., L'Umorismo e altri saggi, a cura di E. Ghidetti, Giunti, Firenze, 1994. Seguono G. Guglielmi, Esiti
novecenteschi della novella italiana, in La Novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988),
Salerno, Roma, 1989, pp. 607-625, R. Luperini, Il trauma e il caso. Appunti sulla tipologia della novella moderna in
Italia, in Moderna, V, 1, 2003, pp. 13-22, poi in Id, L'autocoscienza del moderno, Liguori, Napoli, 2006, pp. 163-176,
Leggiadre donne...Novella e racconto breve in Italia, Marsilio, Venezia, 2000, M. Guglielminetti, La novella fra
Ottocento e Novecento, in Sulla novella italiana. Genesi e generi, Milella, Lecce, 1990 e Id., Introduzione a C. Pavese,
Tutti i racconti, a cura di M. Masoero, Einaudi, Torino, 2002.
3
  Il titolo stesso della silloge, Le belle, punta l’attenzione sulla qualità non solo estetica ma anche morale delle
protagoniste femminili. La donna recupera nell’universo narrativo borgesiano una funzione centrale nella relazione
privata di coppia; ella detiene un potere misterioso che attrae a sé l’uomo, sedotto dalla sua bellezza sia interiore sia
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nel proprio mistero incomunicabile, trascorrono le loro esistenze come fantasmi o apparenze
che, però, all'improvviso possono incendiarsi, divampare per poi spegnersi di nuovo.
Esistenze crepuscolari, risvegliate in un istante di lucida chiaroveggenza e poi subito
risucchiate nel buio del silenzio di morte.
        Così avviene alla zia Clementina, la Siracusana dell'omonima novella, avvolta
nell'enigma del suo silenzio che si svela solo nel momento esiziale della morte per suicidio,
oppure a Ignazia risucchiata negli abissi fatati di un lago incantato, o a Erminia che appare e
scompare nell'angusta vita dell'uomo che dalla Finestra spia la sua piatta esistenza.
        Le belle sono donne che custodiscono l'inconscibile potere di sedurre e attirare nella
propria rete gli sguardi di uomini spenti, e di stravolgerne le vite addormentate:

         [...] altre volte avevo sentito il gusto di staccarmi dalla corrente della vita e di
         guardarla, ad occhi fissi, quasi per assaporare una visione d'immortalità. Altre
         volte m'era parso di uscire a riva da un nuoto estenuante, di sedermi su un greto
         asciutto, davanti a cui la fuga dell'acqua, la fuga del tempo, proseguissero come
         cose musicali e vane (La Finestra, pp. 43-44)

       A parlare qui è la voce narrante del protagonista maschile de La Finestra il quale si
presenta come un uomo svuotato, desideroso soltanto di eremitaggio. Un uomo che scopre un
giorno dalla finestra la casa dei vicini e ne osserva lo scorrere monotono delle esistenze,
appunto alla finestra, al di qua della strada che separa la sua dall'altra casa:

         [...] avevo una gran ricchezza d'immaginazione, così frondosa da non poter
         venirne in chiaro, così aromatica che m'esaltavo in silenzio, volando entro me
         stesso d'avventura in avventura, di sogno in sogno, con la sensazione che la mia
         esistenza fosse una superficie liscia, elastica, rimbalzante, senza meta e senza
         schiavitù. Ineffabile benessere, simile a quello di un fanciullo o di un asceta!
         (La Finestra, pp. 44-45)

        In questa come in altre novelle l'incontro con l’elemento femminile alimenta il sogno
di evasione, di sottrazione al tempo e di proiezione utopica nel non-tempo dell'assoluto. È il
sogno simbolista o romantico-simbolista di oltrepassare la soglia che immette in un'altra
dimensione, ideale e inattingibile se non per rapidi istanti.
        La stessa insistenza sulla solitudine e sul desiderio di immortalità ritorna in Bianca,
novella narrata in prima persona da un uomo sfiorito che crede di essere «giunto al vertice
della [mia] vita, e ora comincia la discesa. I fiumi del tempo si precipitano ora davanti a me,
lungo l'altra china; scendono verso l'ombra. Vorrei nascosto non vedere» (Bianca, p. 80).

         Ora mi pare d'essere già immerso nel fiume del tempo, travolto, sommerso. Oh
         aggrapparmi alla riva! Uscire dalla corrente! Preservare un attimo solo della vita
         che fugge, e fosse pure questo amaro attimo d'ora! [...] In un sudore diaccio la
         mia angoscia si sfoga. Il sonno infine m'avvolge come un sudario (Bianca, pp.
         80-81).

         Qui è espressa la volontà di essere pienamente e coscientemente almeno per un attimo
sottratto all'angoscia, svegliato alla vita vera. Chi conosce la narrativa di Borgese noterà
l’insistito simbolismo dell'acqua che ritorna nelle novelle come immagine metaforica del
trascorrere del tempo, della memoria, della vita: la memoria per esempio in Bianca (p. 79) è
detta: "una cosa fredda e vasta; un'ombra, o un'acqua scura, che s'allarga e prende tutto il
posto dove prima era il sole".

esteriore.
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Un'altra rete di immagini simboliche assai ricorrente investe lo sguardo, la vista, gli
occhi, il vedere e il non voler vedere, come volontà o resistenza alla relazione con l'altro. La
metafora degli occhi aperti o chiusi scioglie il senso del desiderio o della paura di fronte alla
verità, sia essa reale o immaginaria. Mentre il simbolismo della luce e del buio, dell'alba o del
tramonto, esprime rispettivamente la vita o il naufragio.

        Le novelle alternano paesaggi aperti e interni di case sepolte nel silenzio, nel buio
dove si muovono vite chiuse e inespresse. La Natura si carica di significati simbolici. Si pensi
alla polarizzazione dei luoghi nella Siracusana dove alle stradine strette e irte dei 'bassi' di
Megara, intrise di odori guasti di pescagione, brulicanti di uomini e donne urlanti, ardenti di
sole, si contrappongono le stanze in penombra delle case ai cui balconi come festoni si
rovesciano variopinti gerani. Il vocio della Strada lunga si contrappone al silenzio
conventuale degli interni. La zia Clementina non pronuncia parola, parla per lei la sua morte.

        Oppure si pensi al lago incantato di Ignazia circondato da boschi di favole nordiche,
al deserto nel Miraggio, al mare vasto solcato dal piroscafo Alcione (Gli sguardi) che non
può non evocare le sognanti atmosfere paradisiache di d'Annunzio. In questi spazi vasti o
angusti domina spesso la musica, quella naturale del vento che risuona tra i rami frondosi o
quella degli uccelli o degli echi di voci lontane amplificati nei vasti spazi desertici (Il
miraggio) o, infine, quella artificiale di orchestrine di hotel dove ospiti svagati si lasciano
andare a balli e danze notturne.
        Ogni novella coagula il tempo lungo di intere vite nella estrema sintesi di pochi
intermittenti lampi di vita che emergono come punte di iceberg da silenzi abissali. Ogni
novella intreccia con ritmo lento e cadenzato appena alcuni istanti di intere vite che scorrono
uniformi nel mare dell'esistenza. Borgese taglia e sceglie di privilegiare solo gli attimi
epifanici, sintetizzando all’estremo il racconto di ciò che li precede e avviandosi rapidamente,
quasi all’improvviso, verso l’epilogo.
        Lo sviluppo della vicenda, compresso necessariamente nello spazio breve del genere
novellistico, si articola però in sequenze narrative staccate, isolate l'una dall'altra da asterischi
(presenti nell'edizione 1927, essi scompaiono nella successiva edizione Sellerio) come
altrettanto disarticolate e sconnesse sono le esistenze dei personaggi. Le cui vite ordinarie e
piatte sono improvvisamente sconvolte da un sussulto, da una visione, da un evento
eccezionale o, come dice Goethe «unerhörte Begebenheit»4 ovvero dall'inaudito, da un
evento scandaloso, che sfugge alla catena ferrea e consequenziale del tempo e soggiace alla
novità (novella, appunto) del caso imprevisto.

        Il genere della novella nel Novecento

        È a questo punto necessario accennare alla questione teorica del genere e alle sue
caratteristiche formali così come sono state discusse dagli scrittori, teorici e critici della
letteratura novecentesca.
        Fra i primi, era stato Pirandello a riflettere sulla differenza tra racconto e novella,
consistente in una profonda differenza della maniera artistica e non banalmente nella sua
diversa estensione narrativa. La novella, come già Lucàks e Ejchenbaum avevano
sottolineato, condensa sinteticamente storie molto più estese, rinunciando al racconto
analitico dei fatti e risolvendo nell'epilogo la tensione narrativa fin lì accumulata, che
costituisce infatti, il suo maggiore punto di forza5. Sembrerebbe che Borgese adotti il modello

4
 J. P. Eckermann, Colloqui con il Goethe, Utet, Torino, 1957, p. 363 (25 gennaio 1827).
5
 L. Pirandello, Romanzo, racconto, novella, in Le Grazie, 4, 16 febbraio 1897, ora in Allegoria, III (8), 1991, pp. 158-
160. B. Ejchenbaum, Teoria della prosa (1925), in I formalisti russi, a cura di T. Todorov, Einaudi, Torino, 1968, G.
Lukàcs, Teoria del romanzo, Sugar, Milano, 1962.
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di un racconto breve con un suo svolgimento narrativo interno che si risolve epifanicamente
alla fine, il modello che Luperini definisce epifanico analitico, diverso da quello scorciato-
espressionista di un certo Verga e poi di Pirandello e Tozzi.

        Sia la struttura scorciata verista ed espressionista, sia quella analitica ed
        epifanica sottolineano la parzialità del genere breve: non solo l'accettano ma
        se ne fanno forti nel tentativo di renderlo omologo al carattere discontinuo e
        disarticolato dell'esistenza moderna e in grado dunque di rappresentarla e di
        conoscerla. La prima ottiene questo risultato attraverso il montaggio, con un
        procedimento a balzi, per tagli, chiaroscuri violenti e cortocircuiti fulminanti;
        la seconda attraverso la costruzione cellulare o molecolare, procedendo per
        monadi giustapposte, [...], per pieghe e increspature sottili.6

         Forse si può applicare alle sue stesse novelle del 1927 quanto Borgese aveva scritto a
proposito di Giovani, la raccolta novellistica tozziana, e della predilezione del loro autore per
soggetti della piccola borghesia, stralunati, sospesi senza scopo nella vita. Tozzi, a dire di
Borgese, è maestro nello 'scoprire voragini d'anima sotto quel sorriso dozzinale e quella
regolarità protocollare' (Tempo di edificare 1923, p. 121). Noi potremmo aggiungere che
entrambi, Tozzi e Borgese, pur nelle forme lontanissime dello stile, seppero ritrarre il vuoto e
il mistero celato dietro involucri di apparenza; solo che a Borgese mancava la cifra tozziana
dell'allegoria vuota, quel lasciare sospesi i personaggi senza conclusione nè ideologia
concludente, che è stata riconosciuta invece come la misura della modernità e
dell'antinaturalismo tozziano.
         Le novelle di Borgese si sforzano di strappare i loro misteriosi personaggi al silenzio
nel quale sono immersi e di riportarli attraverso la luce dell’epifania, a un istante di risveglio
trascendente che illumini le loro esistenze almeno una volta prima di abbandonarle
defintivamente nell'oscurità. A Borgese manca la misura spezzata, lo scorcio espressionista,
la sintassi disarmonica propria sia della novella tozziana sia di quella pirandelliana. Tutto
volto alla ricostruzione, all'edificazione di un nuovo organismo poetico – il romanzo - capace
di sintetizzare la totalità del reale attraverso parole d'ordine quali sintassi e unità, Borgese
non poteva sposare le modalità espressioniste e frammentarie delle poetiche degli anni Venti.

         Ne deriva una tipologia formale di novella che predilige la narrazione alla
rappresentazione, per usare la terminologia pirandelliana degli stessi anni; una tipologia
narrativa che procede per sintesi anche estreme ma che non rinuncia a raccontare i momenti
più significativi delle vite dei personaggi selezionadole nel grigiore delle loro piatte vite. Le
belle immettono il lettore dentro una narrazione che non rinuncia alla trama nè all'intreccio,
in questo rivelando l'eredità della prosa ottocentesca. Borgese non riesce a cimentarsi con le
forme scorciate, parziali, scabre e disadorne che il sentire contemporaneo gli imporrebbe.
Non gli appartiene la cifra umoristico grottesca di Pirandello, semmai una radicata
aspirazione alla trascendenza, a una poetica della trasfigurazione ideale delle vicende
materiali dei personaggi che aspirano a svanire nel nulla, a essere inghiottiti dal silenzio di
vita. La tensione narrativa de Le belle va crescendo gradualmente fino all'epilogo che riserva
sviluppi inauditi e sconvolgenti, come avviene nella Siracusana, il cui corpo si schianta a
testa in giù sul selciato di casa schiudendo inaspettatamente il proprio mistero.

      La morte, del resto, domina quasi tutte le belle, anche in forma simbolica. È narrata
come risoluzione definitiva a un'esistenza secca e arida, come pace dopo una vita di
improvvisi temporanei risvegli e, talvolta, il risveglio coincide con la scelta di morire.

6
 R. Luperini, Il trauma e il caso. Sulla tipologia della novella moderna, in Id., L'autocoscienza del moderno, Liguori,
Napoli, 2006. p. 175.
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Oppure è convocata dallo scrittore in forme metaforiche quali il silenzio, il naufragio, la
solitudine, la fissità degli sguardi (Fieni magri, Eureka!, La Siracusana), l'Assoluto.
         Le novelle suggeriscono di collocare il loro autore nel pieno della temperie culturale
degli anni Trenta del Novecento7, hanno alle spalle i capolavori della novellistica europea
ottocentesca, da Hoffmann a Cechov, da Maupassant a Pirandello e Tozzi, hanno elaborato e
trasfigurato artisticamente la filosofia bergsoniana del tempo e anche la frantumazione
freudiana della coscienza. Brevitas e novitas sono le due peculiarità formali della narrazione
breve che nel Novecento assume il compito di narrare la parzialità, la relatività del reale, non
la sua organicità e compiutezza. Eppure, come si è cercato di mostrare, nell'universo
narrativo borgesiano anche la novella si presta a un tentativo di ricomposizione, di
compostezza formale, di forma concludente e conclusiva, in questo riproponendo la
medesima opposizione tra ‘forma’ ancorata a moduli tradizionali e ‘motivi tematici’ invece
già tutti immersi nella coscienza contemporanea europea degli anni Venti e Trenta.

                                                  OPERE CITATE

Borgese, Giuseppe Antonio. La Vita e il Libro. Saggi di letteratura e di cultura
       contemporanee. Prima serie. Torino: F.lli Bocca, 1910.
Borgese, Giuseppe Antonio. La Vita e il Libro. Saggi di letteratura e di cultura
       contemporanee. Seconda serie con un epilogo. Torino: F.lli Bocca, 1911.
Borgese, Giuseppe Antonio. La Vita e il Libro. Saggi di letteratura e di cultura
       contemporanee. Terza serie e conclusione. Torino: F.lli Bocca, 1913.
Borgese, Giuseppe Antonio. Studi di letterature moderne. Milano: Treves, 1915.
Borgese, Giuseppe Antonio. Rubè. Milano: Treves, 1921.
Borgese, Giuseppe Antonio. Tempo di edificare. Milano: Treves, 1923.
Borgese, Giuseppe Antonio. La Città sconosciuta. Milano: Mondadori, 1924.
Borgese, Giuseppe Antonio. Le Belle. Milano: Mondadori, 1927 (Palermo: Sellerio, 1983,
       con una nota di L. Sciascia).
Borgese, Giuseppe Antonio. Ottocento europeo. Milano: Treves, 1927.
Borgese, Giuseppe Antonio. Il sole non è tramontato. Milano: Mondadori, 1929.
Eckermann, Johann-Peter. Colloqui con il Goethe, Torino: Utet, 1957.
Guglielminetti, Marziano. La novella fra Ottocento e Novecento, in Sulla novella italiana.
       Genesi e generi, Lecce: Milella, 1990.
Guglielminetti, Marziano, Introduzione a Pavese, Cesare. Tutti i racconti, (a cura di M.
       Masoero), Torino: Einaudi, 2002.
I formalisti russi, (a cura di T. Todorov), Torino: Einaudi, 1968.
Leggiadre donne...Novella e racconto breve in Italia. (a cura di F. Bruni) Venezia: Marsilio,
       2000.
Lukàcs, György. Teoria del romanzo, Milano: Sugar, 1962.
Luperini, Romano. Il trauma e il caso. Appunti sulla tipologia della novella moderna in
       Italia, Moderna, V, 1, 2003, pp. 13-22 (poi Id, L'autocoscienza del moderno. Napoli:
       Liguori, 2006, pp. 163-176.
Per Romano Luperini, (a cura di P. Cataldi), Palermo: Palumbo, 2010Guglielmi, Guido. Esiti
       novecenteschi della novella italiana, in La Novella italiana. Atti del Convegno di
       Caprarola (19-24 settembre 1988), Roma: Salerno, 1989, pp. 607-625.
Pirandello, Luigi. Novelle per un anno. (a cura di M. Costanzo e Premessa di G. Macchia), 3
       voll. Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1985.

7
  Quando il termine 'novella' sparisce assorbito dal più generico 'racconto'. Una sintetica ma puntuale rassegna teorica
sulla novella è fornita da G. Policastro in Per Romano Luperini, a cura di P. Cataldi, Palermo, Palumbo, 2010, pp. 239 e
sgg. che lamenta una marginalità teorica della novella a dispetto della sua rilevanza quantomeno quantitativa.
                                                           6
Pirandello, Luigi. Saggi e interventi. (a cura e con un saggio introduttivo di F. Taviani e una
       testimonianza di A. Pirandello), Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 2006.
Pirandello, Luigi. L'Umorismo e altri saggi. (a cura di E. Ghidetti), Firenze: Giunti, 1994.
Rappazzo, Felice. Un articolo di Pirandello sulle forme narrative, Allegoria, III, 8, 1991, pp.
       155-160.

                                                  7
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