Albert Savarus, un romanzo a suo modo politico - Suite française

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2/2019
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                                                                                                pp. 63-72
                                                                                         ISSN: 2611-9757
                                                                  DOI: 10.13131/2611-9757.suitefrancaise.n2.5

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Albert Savarus, un romanzo a suo modo politico
Mario Tesini

The article presents a mainly political interpretation of Albert Savarus, one of Balzac’s novels
that more widely draw on his personal life, both in its sentimental and private features as well
as in the domain of his never completely vanished parliamentary ambitions. The novel is
situated in Besançon during the years of the July Monarchy. Despite the electoral events
surely give relevant material to the narrative, actually is the ‘political’ nature of the novel that
transcends the historical factuality and refers to some of the leading themes influencing
Balzac’s work and ‘world’.

Keywords: Balzac – Albert Savarus – Politics – July Monarchy – Elections
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1. La vita e il romanzo

Tra i romanzi di Balzac in cui compaiono riconoscibili elementi autobiografici, o
che addirittura mettono in scena un vero e proprio double dell’autore, Albert Savarus
esercita una suggestione singolare. È un romanzo in codice: una narrazione criptata
rivolta a un destinatario preciso, madame Hanska.
   La chiave di décryptage ci è offerta dalla corrispondenza tra la contessa ucraina e
l’autore di quella che proprio da quell’anno1842 assume titolo e veste di La Comédie
humaine. È, sotto il profilo delle vicende private, l’anno che si apre con la notizia
della morte del conte Hanski (lettera del 5 gennaio) e che lungi dal proseguire con i
preparativi dell’ormai possibile e lungamente agognato matrimonio, vede piombare
nella vita di Balzac le fulminanti, gelide, e all’apparenza inappellabili parole,
contenute in una lettera di poco successiva (21 febbraio): «Vous êtes libre»1.

   1 Cfr. Extraits des lettres à Mme Hanska, in J. Milhit (ed.) H. de Balzac, Albert Savarus, Parigi,

Librairie Générale Française, 2015 (di seguito: AS), pp. 247-260. La relazione tra la Eweline Hanska
e Balzac costituisce uno dei più incredibili capitoli della vita dell’autore della Comédie humaine. Avviato
da uno scambio di lettere tra fine 1831 e 1832, l’ormai più che decennale rapporto avrebbe
conosciuto solo tre occasioni di incontro diretto, favorite da altrettanti viaggi della contessa in
compagnia del marito (la prima, sul lago di Neuchâtel, avrà come vedremo eco nel romanzo),

                          Mario Tesini – Università di Parma – mario.tesini@unipr.it
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   Ma Albert Savarus è anche un romanzo “politico”. In un duplice senso: per il fatto
che parte considerevole della materia narrativa è costituita da eventi propriamente
politici (nel caso specifico una vicenda elettorale in provincia, a Besançon, nei primi
anni della monarchia orléanista, tra 1834 e 1835); e in secondo luogo per una
ragione che attraversa tutti i romanzi di Balzac: l’intera Comédie humaine ha una sua
peculiare, inconfondibile dimensione politica.
   Il contribuito che segue è dunque articolato in due momenti: una lettura di
questo testo balzachiano, con attenzione specifica ai temi politici che esso presenta,
sia in relazione al background biografico del suo autore, sia rinvenibili all’interno
dello stesso tessuto narrativo; in secondo luogo qualche rapida e conclusiva
considerazione su le politique in Balzac a partire, anche in questo caso dall’Albert
Savarus, ma in una prospettiva più larga: intendendo questo romanzo, come del resto
qualsiasi romanzo di Balzac, come momento distinto, con un suo specifico “colore”,
ma anche come componente di una unica, frammentaria e al tempo stesso coesa
meditazione, che per quanto riguarda la politica – come il diritto, l’economia, la
psicologia ecc. – si svolge in un continuo, voluto gioco di rimandi e di variazioni sul
tema.

2. Matrimonio e politica?

Il 1842 è un anno cruciale, non soltanto sul piano dei rapporti privati.
All’aspirazione matrimoniale si accompagna in Balzac una riaffiorante, e del resto
connessa, aspirazione politica. Esattamente nella stessa lettera in cui dà immediato
riscontro a quella, tanto attesa, cachetée en noir, in uno dei ricorrenti impeti di non
sempre fondato ottimismo, annuncia che «oggi» al termine di cinque anni di
estenuante lavoro, «voglio avere il mio censo di eleggibilità, poiché Lamartine ha
un bourg-pourri per me, e essere della prossima legislatura»2 - il 1842 era infatti anno
elettorale: si sarebbe votato a luglio per il rinnovo della Chambre des députés3. In
quella prospettiva Balzac vedeva, e così scriveva alla remotissima amante (remota
in tutti i sensi, geografici e oramai psicologici) «tutto il nostro avvenire»4. Idea che

l’ultima nel 1835. Al momento in cui diviene vedova, nel 1842, Balzac e Mme Hanska non si
vedevano dunque da sette anni e la loro relazione era rimasta esclusivamente epistolare.
     2 Ivi, p. 252.
     3 Si trattava di elezioni anticipate: la precedente legislatura, inaugurata nel 1839, era stata

contrassegnata da una notevole instabilità ministeriale, in relazione anche a temi che avevano
appassionato l’opinione pubblica come la c.d. “questione d’Oriente” (in cui la Francia si era trovata
isolata rispetto alle altre potenze europee) e le retour des cendres di Napoleone, deciso dal ministero
Thiers. Sui meccanismi e i riflessi sociali delle vicende elettorali negli anni della monarchia
orléanista resta fondamentale la grande tesi di A.-J. Tudesq, Les grands notables en France (1840-1849).
Étude historique d’une psycologie sociale, 2 voll., Parigi, PUF, 1964.
     4 Extraits cit., p. 252.

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veniva esplicitata cinque giorni più tardi: «[…] io dominante alla Camera, e voi
una delle regine di Parigi»5. Due parole: dominant; reine … Il mondo “immaginato”,
e tante volte “raccontato”, pareva ormai prossimo a divenire realtà della vita.
   In effetti, fin dal 1838 Lamartine, come ci attesta tra l’altro la corrispondenza
di Tocqueville, stava operando alla costituzione di un così da lui denominato ma
in realtà piuttosto velleitario Parti social 6 : nelle intenzioni operante in stretta
connessione con la Gauche dynastique all’interno della Camera orléanista, ma
soprattutto pensato ai fini di quella ascesa politica che nel 1848, tra febbraio e
dicembre, avrebbe trovato il suo punto d’organo – e il suo subitaneo tracollo7.
   Non se ne sarebbe fatto nulla: l’immagine curiosa di Tocqueville e Balzac che,
auspice il poeta e ormai prossimo autore dei Girondins (da Lamartine pubblicati nel
1847) si concertano sui banchi del Palais Bourbon ai fini di trovare uno spazio
politico tra la maggioranza dottrinaria di Guizot e l’opposizione di Thiers8, non si
sarebbe tradotta in realtà. È un idea che ricorre in Balzac che i fatti della storia,
quando si verificano, non richiedono molte spiegazioni per il fatto stesso di essersi
verificati. Ma nel caso specifico, l’azione che egli avrebbe potuto esercitare nel
contesto della Camera orléanista, era destinata a rimanere in una sfera del tutto
virtuale.

   5   Ivi, p. 256.
   6   Cfr. La lettera a F. De Corcelle dell’11 marzo 1839 ove si afferma la necessità «di sfuggire con
tutte le nostre forze al vaniloquio [les fadaises] del parti social» (in A. de Tocqueville, Œuvres complètes, t.
XV, vol. 1, Parigi, Gallimard, 1983, p. 128). Il giudizio critico nei confronti di Lamartine non si
sarebbe attenuato dopo le elezioni: «La prima questione da porci è quella di sapere se vogliamo
unirci apertamente a lui. Confesso di avere da parte mia una grande ripugnanza. Le intenzioni [la
visée] di M. de L[amartine] sono intenzioni non di governo, ma di rivoluzione». La riforma elettorale
da lui reclamata, impossibile a ottenersi, era a giudizio di Tocqueville un pretesto per altre e più
personali ambizioni: «Sento la necessità di agire nei confronti di M. de L. con molti riguardi e
cautele, ma al tempo stesso penso che faremmo male a confonderci con lui» (lettera a G. De
Beaumont in A. de Tocqueville, Œuvres complètes, t. VIII, vol. 1, Parigi, Gallimard 1967, p. 510). Se è
vero quanto afferma Tocqueville, che invocare la riforma elettorale, – occasione di lì a qualche anno
della caduta del regime di Luglio – significava «créer l’agitation dans une autre fin», è possibile che
Lamartine (al netto delle pur sempre possibili esagerazioni e illusioni del corrispondente di Mme
Hanska) abbia per un momento pensato a Balzac come a uno strumento utile, proprio in questa
prospettiva.
     7 Al vertice della popolarità e figura politicamente preminente nei giorni e all’indomani della

Rivoluzione del 24 febbraio 1848, Lamartine candidato all’elezione presidenziale il 10 dicembre di
quello stesso anno avrebbe ottenuto appena ottomila voti, a fronte dei cinque milioni e 400.000 a
Luigi Napoleone Bonaparte e del milione e 400.000 al generale Cavaignac, dei 400.000 a Ledru-
Rollin.
     8 La legislatura tra 1842 e 1846 sarebbe stata caratterizzata da un sempre più accentuato

antagonismo personale all’interno della classe dirigente orléanista, effetto tra gli altri di
quell’affievolirsi della vita pubblica in Francia di cui da un lato le pagine di Tocqueville
(corrispondenza, discorsi parlamentari etc.), dall’altro l’opera letteraria di Balzac costituiscono –
senza alcuna apparente comunicazione tra loro – un’eco parallela.

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3. Percorsi dell’ambizione

Il protagonista maschile di Albert Savarus è un relativamente giovane avvocato9 che
da Parigi si è trasferito a Besançon: un fatto che per i membri di quella torpida
comunità provinciale, pare arduo a spiegarsi in considerazione del suo visibile
talento, ma che al lettore è reso immediatamente noto. Savarus, come Balzac, se
pur in ambiti diversi, intende porre il successo professionale al servizio di un
obiettivo politico. A Besançon più che altrove, secondo un preciso calcolo, appare
possibile costruire una candidatura vincente, acquisendo credito tra le poche
centinaia di elettori censitari, prevalentemente di estrazione borghese: «è la classe
commerciante» che nella Francia di Luigi Filippo «fa i deputati» 10 , rileva
lucidamente il futuro candidato all’atto di insediarsi, sconosciuto, schivo e al
tempo stesso sorretto da una determinazione ferrea, nel capoluogo della Franca-
Contea. Albert, alieno da qualsiasi futile frequentazione sociale o mondana, si leva
all’una di notte e passa ore, non evidentemente a produrre pagine destinate a
editori e lettori, ma a compulsare codici e a studiare dossier per vincere le cause e
conquistarsi la stima – e la riconoscenza – dei futuri e ormai prossimi elettori.
    Ma l’ambizione di Savarus non è, in ultima istanza, un’ambizione politica.
Nella sua personale vicenda, e in generale in tutti i diversi aspetti del romanzo,
che ha come subito vedremo, una deuteragonista di pari energia volitiva,
«l’elemento politico [le politique]… è tutto interamente orientato dall’elemento
erotico, ed è soltanto quest’ultimo a conferirgli senso e a dargli un suo pieno
significato»11.
    La passione che muove Savarus non è il desiderio di potere (in qualche modo
l’essenza del “politico” in Balzac), ma l’amore. L’origine del quale è da lui stesso
narrato, in un ampio racconto pubblicato su una rivista locale fondata a servizio
delle sue aspirazioni politiche e incastonato nel romanzo: uno dei celebri pastiche di
cui Balzac era, come si sa, maestro. In quelle pagine, intessute di spunti
autobiografici riconducibili a tre differenti figure: Balzac e i due personaggi da lui
creati, uno che racconta l’altro, veniva narrata la storia dell’incontro da parte del

     9Ha 37 anni e ha avuto un ruolo di un certo rilievo negli ultimi anni della Restaurazione come
segretario di un importante uomo di stato per poi essere «replongé dans le néant par la Révolution de
Juillet»: cfr. AS, p.158.
    10 Ivi, p. 161; le traduzioni sono mie ma tengo conto della recente edizione italiana: Albert Savarus, a

cura di P. Pellini, traduzione di F. Monciatti, Palermo, Sellerio editore, 2017. Di seguito, quando
anche per ragioni interpretative mi sembrerà opportuno lasciare l’originale francese, si troverà in nota
la traduzione italiana.
    11 X. Bourdenet, Le roman de l’élection: politique et romanesque dans Le Deputé d’Arcis, in B. Lyon-Caen-

M-E. Thérenty (éds.) Balzac et le politique, Saint-Cyr-sur-Loire, Christian Pirot éditeur, 2007, p. 115.
Ove viene accennato un confronto tra i due romanzi “elettorali” di Balzac.

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protagonista, nello scenario romantico e stendhaliano del lago di Lucerna12, con
una giovane donna italiana vincolata a un matrimonio destinato, per l’età
avanzata del marito, a non andare oltre una prevedibile soglia. Nella finzione
dentro la finzione, e transitivamente si può supporre nella “realtà” narrativa del
romanzo, la misteriosa Francesca all’innamorato, disposto nel corso dell’attesa a
ogni prova di fedeltà e di abnegazione, impone una regola di condotta: «Faites
une brillante fortune, soyez un des hommes remarquables de votre pays, je le
veux»13. È questo non soltanto un momento chiave del libro ma anche, in una
certa misura, un luogo idealtipico della complessiva visione balzachiana:
«L’illustration est un pont-volant qui peut servir à franchir un abîme. Soyez
ambitieux, il le faut»14. Volontà, necessità: all’imposizione “erotica” segue quella
dettata dalle esigenze dell’esperienza storica – e in fin dei conti biologica.
Rinuncia dunque a qualsiasi imperativo d’ordine morale? Si sarebbe tentati di
dirlo, se non seguissero, sulle labbra dell’enigmatica italienne alcune ulteriori
parole, che meriterebbero, sotto questo profilo, un’esegesi. A chiusa
dell’esortazione, erotismo e cinismo si ritraggono per far luogo a una più elevata, e
forse addirittura idealistica visione della politica: «Je vous crois de hautes et de
puissantes facultés; mais servez-vous-en plus pour le bonheur de l’humanité qui
pour me mériter: vous en serez plus grand à mes yeux»15.
    Commenta il (duplice) narratore: «In questa conversazione che durò due ore,
Rodolphe riconobbe [découvrit] in Francesca l’entusiasmo delle idee liberali e quel
culto della libertà che aveva fatto la triplice rivoluzione di Napoli, del Piemonte e
di Spagna»16.
    Si ha per un attimo l’impressione che vibri una corda più direttamente politica,
nell’adesione alle istanze di emancipazione politica della penisola. Ma è solo un
riferimento fuggevole, destinato a non avere alcun seguito nella vicenda narrata.
    Il tentativo di porre in atto l’ingiunzione amorosa a être grand, avrà infatti un
primo momento, non politico ma imprenditoriale: capitali e energie furono
arrischiati in un’impresa che, tra 1826 e 1828 inesperienza propria e malafede

     12 Il 1842 è anche l’anno della morte di Stendhal e in Albert Savarus si moltiplicano le occasioni di

omaggio: l’ambientazione a Besançon, l’Italia nelle sue varie espressioni artistiche ma anche nei
tentativi di riscatto dall’oppressione politica, la musica di Rossini, fino all’epilogo in cui, come si vedrà,
sul protagonista volontariamente si chiudono le porte di una Grande-Chartreuse … Il tema del lago
svizzero, al di là del rimando stendhaliano, è anche un’evocazione, chiaramente comprensibile alla
diretta interessata, di uno degli incontri di Balzac con Mme Hanska: il lago di Neuchâtel è qui divenuto
il lago di Lucerna.
     13 «Costituitevi una brillante fortuna, divenite uno degli uomini notevoli del vostro paese, è questo

che voglio», AS, p. 116.
     14 «La fama è un ponte sospeso, che può servire a attraversare un abisso. Siate ambizioso, è

necessario» cfr. ibidem.
     15 «Credo che possediate talenti elevati ed energici; ma usateli più per il bene dell’umanità che per

meritare me: ne sarete più grande ai miei occhi» cfr. ibidem.
     16 Ibidem.

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altrui avrebbero fatto fallire: «Il ministero Villèle soccombette quando venne a
soccombere Rodolphe»17: il gioco di analogie, nel riferimento autobiografico allo
sfortunato tentativo di Balzac di arricchirsi con l’industria tipografica e le vicende
politiche che andavano consumando gli anni ultimi della Restaurazione, non
poteva risultare più esplicito.

4. La politica tra desiderio e morale

Dunque, da Rodolphe a Albert e da Albert a Honoré. Ci si può chiedere: il modo
di porsi di fronte alla campagna parlamentare che il romanzo descrive (con
ricchezza di indicazioni sulla fenomenologia elettorale negli anni della Monarchia
di luglio) è lo stesso che avrebbe adottato Balzac, se Lamartine, com’era nei suoi
auspici e come invece non avvenne, gli avesse messo a disposizione un «borgo
putrido»?
«Il potere e la gloria, questa immensa ricchezza [fortune] morale che cerco» scrive
Savarus a un amico «non è che secondaria; per me non è altro che il mezzo della
felicità, il piedistallo del mio idolo»18.
    A differenza di Z. Marcas, protagonista del breve romanzo omonimo che con
Albert (e con Honorè, ovviamente) condivide l’orario di lavoro, non c’è una
vocazione politica originaria e indipendente19. Savarus sotto questo profilo agisce
piuttosto come il garzone di bottega di César Birotteau: il movente dell’azione è lo
stesso del giovane Popinot, entrambi lavorano perché in primo luogo “amano”20, e
sono mossi dal desiderio di conquistare la loro felicità in una prospettiva in cui il
successo, in un caso commerciale nell’altro politico, si colloca in una prospettiva
esclusivamente ancillare.
    Il “genio politico” di Savarus, che aveva già dato ragguardevoli prove a servizio
della causa legittimista nella fase estrema della Restaurazione, e che ora «prepara
pazientemente, metodicamente, abilmente la sua elezione» 21 si colloca tutto
nell’orizzonte di una razionalità puramente strumentale. Al tempo stesso però – ed
è un aspetto che non va sottovalutato – egli avverte una dichiarata coscienza di
sé22, del suo valore e della sua intrinseca onestà. I ripetuti cedimenti morali e le
compromissioni che accompagnano l’attività di un candidato desideroso di

      Ivi, p. 149.
     17
     18
      Ivi, p. 166.
   19 Il parallelo tra i due protagonisti degli omonimi romanzi è stato più volte sottolineato: cfr. F. Marceau,
Balzac et son monde, Parigi, Gallimard, 1986 [prima ediz. 1970], p. 212 e ss.
   20 Ivi, p.326.
   21 J. Milhit, Préface a AS, p.15.
   22 AS, p.158.

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successo, quella sorta di «usura morale»23 che consiste nel vedere ogni azione in
termini di ritorno elettorale e che l’attività politica in regime
parlamentare/rappresentativo inevitabilmente comporta, gli risulta al fondo
contraria alla sua più intima natura. Tale anzi da insinuare in lui una sorta di
dubbio radicale: avrebbe la sublime Francesca – in realtà sublime soprattutto ai
suoi occhi – accettato la degradante trasformazione dell’ideale in utile? 24 Era
necessario tenere insieme elementi contrapposti: e del resto la capacità e a suo
tempo il desiderio di divenire «ingranaggio necessario nella macchina politica»25
corrispondeva alla percezione dei potenziali elettori di Besançon: la sua era
un’eloquenza che «esce incandescente dal cuore», sintomo rivelatore di quegli
uomini che sembrano destinati – qui nel riferirsi al suo personaggio era forse
anche a se stesso che pensava Balzac – «a governare l’intera società»26.
    Ma aspirazioni e tentativi si infrangono al manifestarsi di una passione amorosa
altrettanto formidabile e la cui razionalità strumentale, al cui servizio si pone,
persegue, sul piano pratico, contrapposti obiettivi.
    La giovinetta Rosalie de Watteville, che ama in segreto e al tempo stesso con
volontà di ferro – trasformata da una passione che è al tempo stesso elaborazione
di alcuni dati oggettivi della realtà ma soprattutto soggettiva costruzione fantastica
– nel volgere di poche decine di pagine diviene, nonostante l’età, femme supérieure.
L’hobbesiana macchina desiderante che forza le resistenze della natura e le
resistenze d’ordine sociale, trova in questa singolare creatura una raffigurazione di
indubitabile, e a tratti demoniaca, potenza.
    Agisce Rosalie in chiave politica? Certamente incide sulla realtà politica, con le
sue immoralistiche ma anche ingegnose e persino, nella loro spregiudicatezza,
aggraziate iniziative, dettate da una un’energia vitalistica che suscita la simpatia
del lettore. Fino a determinare il risultato delle elezioni, il fallimento della
candidatura che avrebbe condotto Albert a Parigi, oltretutto nel quadro di
alleanze matrimoniali in evidente contrasto con il desiderio di possesso che Rosalie
nutre nei confronti dell’inconsapevole Albert.
    Ma c’è forse qualcosa di più. Il nesso intercorrente in Balzac, in forme a lui del
tutto peculiari, tra vie privée e dimensione pubblica (quasi che la prima sia non
soltanto fondamento ma anche “modello” della seconda) affiora in diversi luoghi:
il conflitto tra madre e figlia, originato dal perseguimento – tenace e parallelo – di
contrapposti obiettivi, rimanda alle contrapposizioni politiche del momento
storico in cui l’azione si svolge. Madame de Wattewille, osserva il narratore,

   23 Ivi, p.181 e s.
   24 Ivi, p. 159.
   25 Albert Savarus, p. 158.
   26 AS, p. 204.

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«aveva un bel da imitare la polizia nei suoi rapporti con i repubblicani: Rosalie
non si lasciava andare a alcun tipo di sommossa» 27 e se qualche improvvisa
reazione affiorava in lei, originata da un elemento ereditario che nelle gesta audaci
e sacrileghe di un turbolento antenato aveva non casuale precedente, «la madre si
armava del rispetto che i figli debbono ai genitori per ridurre Rosalie
all’obbedienza passiva»28.
    Rosalie e Albert si assomigliano più di quanto non potrebbe sembrare29. E
proprio per questo sono destinati a non incontrarsi – se non in una dimensione
altra; non quella della vita e della storia ma di una singolare trascendenza religiosa
e insieme terrena: quella della Chartreuse (anche se si tratta di due diverse
chartreuse30: ma in Balzac, come si sa, i nomi contano) dove entrambi, dissolto o
reso irraggiungibile l’oggetto della loro passione e per strade diverse, finiranno la
vita.

5. Balzac tra utopia e Machiavelli

La politica in Balzac è, al tempo stesso, una mistica e una tecnica.
    Quella che potremmo definire l’antropologia politica di Balzac si colloca in
costante equilibrio tra fedeltà e opportunismo. In altri termini: tra assoluto e
compromesso 31 . La conciliazione è, nella realtà, impossibile. La singolare
mescolanza di utopismo e di machiavellismo32 che permea l’insieme del discorso
balzachiano sulla politica può soltanto articolarsi in storie ove i due elementi
affiorano e scompaiono. Albert e Rosalie, a modo loro, sono due “mistici” e due
“tecnici”: la loro azione si muove tra desiderio dell’impossibile e coerente, ostinato
utilizzo di tutti i mezzi per perseguirlo. Al manifestarsi dell’insuccesso, non resta che

     27  Ivi, p. 71.
     28  Ibidem.
    29 Cfr. A. Oliver, Penser le roman: Albert Savarus ou le roman comme transgression, in Penser avec Balzac,
J.-L. Diaz-I. Tournier (éds.), Saint-Cyr-sur-Loire, Christian Pirot éditeur, 2003, p. 104.
    30 Se per Albert si tratta della Grande-Chartreuse di Grenoble dalla cui clausura scriverà, datata
novembre 1836, un’estrema e catartica lettera all’abbé de Grancey, quella di Rosalie è metaforica e
corrisponde all’isolamento (divenuto assoluto per le conseguenze di un orribile incidente) nella
tenuta familiare di Rouxay: chartreuse è termine all’epoca in uso per una casa di campagna isolata;
ma Balzac, nell’ultima riga del romanzo lo scrive con la maiuscola, elevando così a una grandezza
metafisica la sua solitaria abitatrice. Sulla complessità di significati che la conclusione del romanzo
evoca, vanno lette le pagine della postfazione di P. Pellini alla citata edizione italiana: «… quel
sentimento chiamato desiderio», pp. 222-24.
    31 Sul tema del compromesso cfr. ancora le osservazioni di P. Pellini, questa volta nel denso
apparato che accompagna il testo: in particolare le note 159 e ss. a p.191 e la nota 175 a p. 193.
    32 Cfr. A. Vaillant, «“La loi de l’écrivain”, selon Balzac: Res Litteraria sive Res Publica», in Balzac et
le politique cit.

                                 DOI: 10.13131/2611-9757.suitefrancaise.n2.5
Albert Savarus, un romanzo a suo modo politico                                                           71

la Chartreuse, luogo di negazione radicale della politica: fuge, late, tace secondo la
massima di san Bruno iscritta sul frontone di quel formidabile edificio.
    In Albert Savarus, che non sarebbe divenuto uno dei suoi titoli più celebri, Balzac
riteneva di «tenir un chef-d’œuvre»33. Per noi che leggiamo questo «petit-grand
sujet»34 a partire dall’interrogativo ricorrente nella letteratura balzachiana, circa la
natura più o meno autentica dei suoi interessi politici, risulta confermata l’idea che
in Balzac la politica assolva un ruolo accessorio, incidentale, ridotta a mero
strumento. Le istituzioni parlamentari – la grande acquisizione politica del XIX
secolo – erano per loro natura destinate ad attivare una dinamica al cui fondamento
stavano convinzioni e interessi: ma se gli interessi sono chiari, come si vede
benissimo anche nelle pagine di Albert Savarus – dettati, descritti, rivelati
dall’anatomia di una società civile dominata dal denaro, dalla biologia, dall’impulso
irrazionale all’espansione e all’affermazione dell’io – assai poco chiara risulta invece
(e chissà mai se davvero esistente) la sfera delle convinzioni e delle idee. Ed è
proprio perché comprende questa dialettica e le limitate possibilità umane di influire
sugli eventi e conseguentemente agisce sul fondamento di tale consapevolezza, che il
personaggio più direttamente “politico” (di una politica che accetta di collocarsi
nella storia35 e si adegua pertanto agli imperativi della vita sociale) è l’abbé de
Grancey, al quale è affidata la massima più machiavellianamente acuta dell’intero
romanzo: «On peut toujours semer la division entre les Intérêts, on ne sépare point
les Convictions»36; entrambe le parole – convinzioni, interessi – da Balzac scritte, e
ci saremmo veramente sorpresi del contrario, con la lettera maiuscola.
    È una permanente tensione che attraversa la Comédie humaine. Non esistono in essa
romanzi che possano definirsi compiutamente e intenzionalmente “politici” (con la
parziale eccezione, forse, del “dittico utopico” del Curato e del Medico). Ma è tutta
l’opera di Balzac ad avere una dimensione politica, così come poteva concepirla e
rappresentarla il suo autore: intrinsecamente ambigua, ancorata a una realtà colta

   33   Lettera a Mme Hanska del 21 aprile 1842, Extraits cit., p. 265.
   34   Ibidem.
     35 Félicien Marceau sottolinea «la condamnation que porte Balzac sur ceux qui croient pouvoir
abolir le temps, nier l’Histoire, rayer les circonstances, sur ceux qui se refusent à composer ou qui ne
savent pas, en un mot sur les tenants de l’absolu» (Balzac et son monde cit., p.502). Si può incidentalmente
osservare come in Albert Savarus l’unica figura politica contemporanea (destinata ad avere un ruolo di
rilievo anche negli anni della Repubblica e poi come oppositore al Secondo Impero) a essere in modo
ricorrente citata (pp. 77; 199; 205) è quella di Antoine Berryer. Avvocato, eletto alla Chambre sul finire
della Restaurazione, a differenza dei royalistes intransigenti, Berryer avrebbe accettato la candidatura
parlamentare anche dopo la rivoluzione di Luglio. Celebre per le sue qualità oratorie, era dunque un
legittimista estremamente pragmatico: se Savarus fosse risultato eletto – nel consueto gioco di rimandi
tra finzione e realtà storica – avrebbe potuto (assecondando così la lucida prospettiva politica di
Grancey) sostenere nella Camera di Luigi Filippo l’azione di Berryer, fino a quel momento pressoché
isolata.
     36 «Si può sempre seminare la discordia tra gli Interessi, non si può fare altrettanto con le
Convinzioni», AS, p. 192.

                                   Suite française 2/2019 – Maison Balzac
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nei suoi più precisi dettagli storico-sociologici ma al tempo stesso anche
costantemente trasfigurata; contraddistinta infine da quel fondo di sincerità e di
candore che costituisce una delle cifre della rappresentazione balzachiana del
mondo.
   È dunque per un percorso del tutto originale che noi suoi lettori e ognuno alla
maniera sua, abbiamo come la sensazione di acquisire un modo diverso – e chissà,
forse più profondo – di guardare la realtà stessa della politica.

                        DOI: 10.13131/2611-9757.suitefrancaise.n2.5
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