Compendio sul coinvolgimento delle donne in politica e nel mercato del lavoro
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Compendio sul coinvolgimento delle donne in politica e nel mercato del lavoro Il coinvolgimento delle donne in politica La democrazia costituisce uno dei valori fondanti della Unione Europea e dei suoi Stati membri. Per potersi realizzare compiutamente è necessaria la partecipazione di tutti al processo decisionale attraverso una rappresentanza equilibrata di uomini e donne. Le ricerche condotte dai partner del progetto CORE sul coinvolgimento delle donne in politica evidenziano che lo squilibrio numerico tra uomini e donne rimane piuttosto forte nella realtà europea, così come anche nei paesi coinvolti dal progetto. TURCHIA In Turchia nelle elezioni locali del 2009 a fronte di 2.948 candidati sindaci, solo 27 erano donne (una percentuale dello 0,9%). Di queste candidate due sono diventate successivamente sindaco. Anche il numero di consiglieri comunali eletti a livello locale è stato fortemente sbilanciato a favore degli uomini. Sono stati eletti 3.379 consiglieri contro 110 donne (3,25%). Nelle elezioni politiche del 2011 le donne deputate elette in parlamento sono state 79, una percentuale del 14,4% con una sola donna ministro. Anche se è stato registrato un incremento dal 2007, dove le donne erano rappresentate al 9,1%, queste rimangono una percentuale troppo esigua. Fino a che le donne non avranno eguali diritti nel settore dell’amministrazione e del management difficilmente la Turchia riuscirà a raggiungere incrementi significativi nei livelli di rappresentatività politica femminile. REGNO UNITO Anche nel Regno Unito il livello di coinvolgimento delle donne in politica è ancora sotto quello sperato, nonostante ci siano stati notevoli sforzi dei Partiti per aumentarlo. Nel 2013 solo il 32% dei consiglieri all’interno dei governi locali sono state donne e la percentuale scende al 13,3% se si considerano le donne elette come sindaci. Ci sono diverse ragioni che mantengono lo squilibrio fra cui, non ultima, il fatto che è sempre più difficile conciliare impegno politico con famiglia e lavoro. Il lavoro di cura della casa e della vita familiare continua infatti a gravare prevalentemente sulle donne. Nel Regno Unito solo il 30% di donne, contro il 47% di uomini, dichiara di avere interesse per la politica. Per incoraggiare le donne a fare politica, bisogna rendere loro accessibili le riunioni dei consigli cercando di conciliare i loro tempi, così come le azioni di “remote working”, cioè meno consigli in Comune e più impegno sul lavoro di comunità.
ROMANIA Se si considera la media del 20,8% di donne presenti nei parlamenti di tutto il mondo la Romania è negli ultimi posti della graduatoria per rappresentatività femminile con un ridotto 11,5% di donne nel parlamento Rumeno. La situazione non è molto diversa nei governi locali di questo Stato. Vi sono esempi, come quello di Curtea de Arges, in cui non vi è alcuna rappresentanza femminile nel consiglio cittadino. Le ragioni espresse dal partner rumeno CORE per questo mancato coinvolgimento delle donne in politica sono da far risalire ad una mentalità ancora patriarcale, a questioni culturali di pregiudizio che tende a relegare le donne al ruolo tradizionale di lavoro domestico e di cura della famiglia e dei figli. Inoltre, per le poche donne che invece si interessano e vogliono dedicarsi alla politica, c’è una cronica mancanza di risorse e di fiducia a loro accordata. BULGARIA La situazione non è migliore in Bulgaria nonostante si ritenga che le donne siano meno corruttibili degli uomini in politica e questo giudizio si allinea con i risultati di uno studio ormai datato della Banca Mondiale in cui le donne erano risultate più affidabili e con maggiore senso civico degli uomini. Non a caso l’elezione di molte donne nel consiglio comunale di Sofia ha permesso politiche maggiormente favorevoli a queste ultime come l’apertura di 17 nuovi asili nel 2009, una maggiore priorità data all’educazione, un maggiore sostegno alle politiche di prevenzione della violenza domestica. LITUANIA Anche in Lituania sembrano esserci ancora condizioni culturali poco favorevoli ad un maggior coinvolgimento delle donne in politica. Le elezioni del 2012 per il parlamento Lituano hanno portato all’elezione di 33 donne (23,40%) a fronte di 611 uomini. Nelle elezioni per il consiglio municipale di Silale le candidate sono state 102 e i candidati 190 ma le donne elette sono state solo 4 a fronte di 21 uomini. Ciò significa che il 79% del consiglio comunale è risultato composto da uomini. Le ragioni dello scarso successo femminile nell’occupare posizioni di governo nel Paese, anche in questo caso sono state individuate principalmente in una situazione culturale di tipo patriarcale, ma influiscono anche altri pregiudizi culturali quali la presunta mancanza di attitudine delle donne alla politica e una accentuata divisione di genere fra sfera privata e sfera pubblica. Non a caso il maggior numero di presenze femminili nel parlamento Lituano si è avuta nel 2004, anno in cui la Lituania si stava preparando ad entrare nell’UE e sono stati richiesti maggiori diritti alle donne. Sebbene la situazione sia andata migliorando, grazie anche a differenti programmi governativi che le incoraggiano ad essere attive nella società, la loro rappresentanza politica rimane bassa. Ciò si colloca sulla scia di un problema diffuso di disinteresse generale della popolazione per la politica: da una indagine è risultato che solo il 26% degli intervistati segue dibattiti politici e solo il 3% è stato membro di un partito o di qualche altra organizzazione sociale, il restante 89% non ha interesse alcuno a prendere parte in attività di tipo politico le quali vengono viste spesso come “affari sporchi” e disonesti. Ritorna inoltre la solita distinzione sessista fra ruoli dove l’uomo deve pensare alla carriera e la donna alla casa.
Viene poi messa in evidenza dal nostro partner Lituano una scarsa solidarietà fra donne di questo Paese. Anzitutto sembra esserci una competizione in cui una donna che riesce a migliorare la propria condizione di vita e di potere suscita invidia e non viene appoggiata o votata dalle altre donne. C’è poi una visione negativa del movimento femminista per cui l’appartenenza ad organizzazioni che si battono per l’emancipazione femminile e la parità fra uomo e donna non è vista di buon occhio. Partecipare alla vita sociale come impegno politico significa correre il rischio di venir etichettate come femministe. Infine, le donne che riescono ad impegnarsi attivamente nella vita politica sono donne già famose o conosciute, le uniche in grado di ottenere sostegno e supporto economico alla propria candidatura. LETTONIA Esistono anche esempi virtuosi di comunità locali dove le donne sono ben presenti nelle varie differenti sfere della vita sociale e politica. E’ questo il caso riportato dalla Lettonia e riferito al Comune di Akniste (un piccolo centro di circa mille abitanti). Qui le donne sono maggiormente impegnate degli uomini in settori quali la cultura, la formazione, l’educazione e la politica. Le elezioni del 2013 hanno portato alla costituzione di una giunta di 9 membri dei quali 5 donne (55.56%) e 4 uomini ( 44.44%). Anche la leadership è al femminile. Nel 2009-2013 il Consiglio è stato guidato da Mrs Ingrida Vendele e anche dopo il 2013 è stata confermata una donna alla leadership del consiglio, Mrs Vija Dzene. Nonostante questo bell’esempio di parità di genere, anzi di prevalenza femminile in alcuni governi locali (rurali), gli uomini continuano ad essere decisamente più rappresentati nel governo centrale, nei governi delle città e anche nella guida dei partiti politici. ITALIA La situazione italiana presenta alcune specificità. Per quanto riguarda la partecipazione alla vita politica istituzionale siamo al 23esimo posto sui 27 Stati dell’Ue e al 69esimo su 142 a livello mondiale. In Italia, ancora oggi, il 79,27% dei ruoli istituzionali sono ricoperti da uomini e ciò significa che le donne sono rappresentate solo per il 19,73% ( si è rilevato un aumento notevole nel 2013 - 31% ) La percentuale del 19.73% cala al 13,71% se si analizza il coinvolgimento delle donne nei consigli regionali. Nel 2010 le donne elette sindaco in comuni con più di 15.000 abitanti sono state il 7,2%, contro l’11,3% nei comuni con meno di 15.000 abitanti. Queste donne rappresentano il 20,4% degli amministratori di tutti gli 8.094 Comuni italiani. Nei 60 comuni della Provincia di Pesaro e Urbino le donne elette sindaco sono state 7, le assessore 67 (220 assessori uomini) e le consigliere comunali 164 (855 consiglieri uomini). Nonostante in Italia ci siano buone leggi e una buona costituzione queste percentuali di rappresentanza femminile rimangono basse e non tutti i diritti conquistati nel tempo sono diventati effettivi. In Italia nessuna donna è mai stata eletta alla Presidenza della Repubblica o nominata capo del governo. Il tasso di presenza media delle donne nei parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea si aggira attorno al 20% ma i risultati della nostra indagine comparativa confermano che esistono ancora grandi differenze tra i diversi Paesi. Solo nei Paesi nordici, come ad esempio la Scandinavia, ci sono
percentuali più elevate (tra il 30 e il 40% di coinvolgimento delle donne in politica). Seguono i Paesi Bassi, l’Austria e la Germania. Alcune ragioni che spiegano la scarsa presenza delle donne in politica sono state già menzionate comparando i risultati delle indagini condotte all’interno di CORE. Vi sono ostacoli di ordine politico, socio-economico e culturale che devono essere affrontati con misure specifiche. Infatti, Paesi in cui sono state avviate azioni mirate a rimuovere detti ostacoli la situazione è migliorata e si è avviato un processo di riequilibrio della rappresentanza tra uomini e donne. Dove ciò non è avvenuto, o è avvenuto in misura ridotta, la presenza femminile è rimasta numericamente esigua. In ogni caso, la presenza delle donne si riduce ulteriormente quando cresce l’importanza e il peso politico del ruolo di potere o di governo. L’Italia aveva intrapreso la via dell’intervento legislativo per garantire la presenza delle donne nelle liste per le elezioni amministrative attraverso un insieme di norme contenute in tre diverse leggi. Queste norme sono state dichiarate incostituzionali in nome del principio dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini sancito dalla Costituzione. Il problema della sottorappresentanza femminile va quindi risolto a livello culturale e politico. In questo senso va anche letta l’integrazione fatta nel 2003 all’articolo 51 della Costituzione italiana che ora prevede il principio dell’uguaglianza di accesso per uomini e donne alle cariche elettive (“…La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra uomini e donne”) garantendo così condizioni di pari accesso alle cariche elettive. Per quanto riguarda le cosiddette “quote rosa, sostanzialmente norme volte a tutelare la parità di genere all’interno degli organi rappresentativi, garantendo alle donne un numero di posti riservati all’interno delle liste elettorali, la discussione sulla loro applicazione risulta tutt’ora in corso, tagliando a metà i partiti politici in questo dibattito e le stesse donne parlamentari hanno assunto posizioni variegate e diverse. Il coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro Le donne hanno raggiunto livelli più alti di istruzione e qualificazione e non intendono abbandonare le loro aspirazioni con il matrimonio o con la maternità. In Lituania ad esempio, nel 2013, il 41,6% delle donne fra i 25 e 64 anni era in possesso di una educazione universitaria, così come in Romania dove le donne sono in possesso di una educazione superiore rispetto agli uomini. La crescita dell’occupazione femminile in Europa interessa prevalentemente il settore dei servizi. Se infatti osserviamo nello specifico questo settore che, come noto, comprende tutta una serie di professioni connotate come tipicamente femminili (servizi di cura alla persona, insegnamento, etc) troviamo al suo interno l’84,4% delle donne europee occupate contro l’11,3% impiegato nell’industria e il 4,3% nell’agricoltura. In Italia la percentuale delle donne occupate nel settore servizi non è molto diversa aggirandosi attorno all’83,9%. Anche nel Regno Unito lo sviluppo di questo settore è andato di pari passo con il declino di quello manifatturiero e occupa tradizionalmente una alta proporzione di donne. In Romania solo poche donne scelgono di studiare ad esempio ingegneria e matematica a fronte delle tante che invece si dedicano all’educazione, all’assistenza sociale e sanitaria. Confrontando i dati forniti dagli altri partner CORE, inclusi i dati dell’indagine realizzata in Lettonia, non è
azzardato affermare che18 profili professionali sono sufficienti a raccogliere la quasi totalità dell’occupazione femminile. In Italia, nel 2012 il tasso di crescita dell’occupazione femminile è stato addirittura superiore a quello degli ultimi 49 anni (+6,8%) e alcune ricerche sostengono che questo aumento di lavoro femminile è anche il risultato di una nuova strategia volta a fronteggiare la difficoltà finanziaria imposta alle famiglie dalla crisi. Tuttavia questo tasso di aumento dell’occupazione femminile in Italia ha riguardato lavori non qualificati in misura doppia rispetto agli uomini (dal 2008 al 2012 l’incremento di occupazione in lavori non qualificati è stato infatti del 24,9% delle donne contro il 10,4% degli uomini). Il tasso di incremento sale a più del triplo se consideriamo professioni che riguardano i servizi (+14,1% contro il +4,6% degli uomini). In linea, anche se con percentuali diverse, sono anche gli altri Paesi del progetto CORE dove il deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha intensificato il fenomeno della segregazione di genere. Donne con alti profili educativi si adattano a svolgere lavori non in linea con la loro preparazione e anche con salari piuttosto bassi, come rilevato soprattutto in Romania. In Italia anche l’incidenza di contratti atipici rimane più alta per le donne che per gli uomini. Solo 12 donne su 100 riescono a trasformare un lavoro atipico o flessibile in un lavoro permanente mentre ciò succede per il 20% degli uomini. Anche i contratti part-time negli ultimi 4 anni sono andati aumentando per le donne in maniera doppia rispetto agli uomini a scapito di contratti full-time. Nel Regno Unito, nel 2013, i contratti part-time stipulati dalle donne dal mese di aprile a quello di giugno sono stati addirittura più del triplo rispetto a quelli degli uomini. Le donne inoltre sono maggiormente colpite dai tagli nei bilanci che stanno avvenendo negli enti pubblici, specie in Italia e nel Regno unito, e sono percentualmente molto coinvolte anche nel fenomeno del lavoro sommerso (lavoro nero), sia nel lavoro autonomo che come lavoratrici nelle piccole imprese o nel settore agricolo. A ciò bisogna aggiungere i minori benefici o incentivi di cui godono le donne rispetto gli uomini e altre discriminazioni. In Bulgaria, per esempio, sono stati documentati migliaia di casi in cui donne in maternità sono state licenziate dal loro lavoro o non ammesse a colloqui per specifiche posizioni di lavoro. Già i dati forniti dall’Unione Europea nel 2012 avevano evidenziato una differenza anche negli stipendi di uomini e donne che era mediamente stimata attorno al 16,4%. Una differenza di trattamento non giustificata da differenze nelle caratteristiche individuali e che offre quindi una chiara immagine di diseguaglianza e discriminazione di genere. Negli Stati del progetto CORE vi sono ulteriori differenze di remunerazioni a sfavore delle donne che va mediamente da meno del 10% in Italia al 12% della Romania, al 14,7% della Bulgaria fino a raggiungere il 30% in Estonia, mentre in Lituania nel 2012 la differenza è stata del 12,6%. In Bulgaria migliorare la trasparenza di informazione permetterebbe di aumentare la consapevolezza di tali discriminazioni e aiuterebbe le donne a recriminare uguali diritti. Più ancora sarebbero auspicabili interventi legislativi che possano allinearsi ad alcune buone prassi sviluppate in Francia, Belgio, Austria e Portogallo. Inoltre nonostante negli ultimi anni la maggioranza dei nuovi
occupati in Europa siano state donne nei Paesi del progetto CORE la disoccupazione femminile resta generalmente superiore a quella maschile con l’eccezione della Lituania dove, nel 2014, la percentuale di donne disoccupate è stata del 9,4% mentre quella degli uomini del 10,2%. Nel Regno Unito invece, nel 2013, la percentuale di uomini e donne occupate era pressoché la stessa fino all’età di 22 anni mentre calava fortemente per le donne salendo con l’età. Ciò anche in ragione del fatto che diverse donne scelgono di occuparsi solo della famiglia e della casa. Questa scelta è ancor più evidente in paesi come Romania, Bulgaria e Turchia dove ci sono ancora da superare pregiudizi culturali che attanagliano le donne stesse. In Turchia, ad esempio, circa il 45% di donne ritiene che la propria indipendenza economica non sia necessaria e questo pensiero rappresenta un serio ostacolo anche per la crescita dei diritti delle donne. Il dato è ulteriormente peggiorato dal fatto che il 50% delle ragazze fra i 15 e 19 anni ritiene che il posto giusto per una donna sia in casa. In tali contesti culturali le donne che lavorano sono inevitabilmente soggette a forti pregiudizi e discriminazioni non solo da parte degli uomini ma, a volte, da parte delle stesse altre donne. Non è un caso che in Turchia l’occupazione femminile è andata gradualmente calando dal 1952 al 2010 (rispettivamente dal 70% al 25%) portando il Paese verso gli ultimi posti della graduatoria mondiale. In conclusione ci sembra corretto affermare che per favorire l’impegno delle donne in politica e nel mondo del lavoro è sempre più importante favorire una crescita culturale basata sui temi della “conciliazione” fra vita familiare, lavoro e tempo libero e dare corso a tutte quelle misure (Azioni positive) anche temporanee, volte a rimuovere tutti gli ostacoli al raggiungimento di una piena parità di genere. Per conquistare maggior spazio nella sfera pubblica le donne dovrebbero avere la possibilità di emanciparsi dal lavoro domestico e di cura che le ha relegate troppo spesso in casa e che rappresenta un forte vincolo culturale. Ciò va fatto anzitutto sviluppando meglio il concetto di vita insieme, di condivisione, di stereotipi di genere. Conciliazione tra lavoro e famiglia La suddivisione totalmente squilibrata del lavoro di cura all’interno della famiglia fra uomini e donne appare oggi uno dei più forti elementi di disuguaglianza nello scenario sociale dei Paesi che partecipano al progetto CORE e un importante fattore che limita sia l’impegno delle donne in politica sia il loro ingresso nel mondo del lavoro. In Italia, poiché ricadono su di esse e ore di lavoro familiare ore di lavoro extradomestico, più della metà delle donne occupate e con figli raggiunge 60 ore di lavoro complessivo per settimana e il 38% arriva a cumularne oltre 70. Fra gli uomini solo il 15% raggiunge la soglia delle 60 ore. Le analisi e le ricerche economiche stentano a inserire fra gli indicatori quello di genere, ma diversi studi hanno stabilito che il lavoro non retribuito, quello destinato alla gestione della vita quotidiana, equivale economicamente in tutto e per tutto al lavoro remunerato e ciò dovrebbe quindi permettere anche una quantificazione del contributo che le donne apportano al cosiddetto “reddito esteso” della famiglia.
Il lavoro di cura In questi anni il lavoro di cura ha subito sicuramente delle trasformazioni. L’indagine comparativa svolta con CORE dimostra che il lavoro di cura sia cambiato non significa che sia diminuito. Al contrario bisogna partire dalla presa d’atto di una aumentata forte complessità del lavoro familiare avvenuta in questi ultimi anni. Da un lato sono aumentati i soggetti che richiedono attività di cura: molti giovani dai 25 ai 34 anni continuano a vivere con i genitori nella famiglia d’origine (il fenomeno è più marcato in Bulgaria e Italia con rispettivamente il 52,8% e il 46,6% dei giovani ma è in crescita anche nel Regno Unito) e anche gli anziani non autosufficienti hanno bisogno di un sistema di copertura continuo che nella stragrande maggioranza dei casi è fornito dalle famiglie (una metafora per dire dalle donne). Dall’altro lato le operazioni di cura stanno diventando sempre più complesse e non è facile disaggregare questo lavoro, le sue molteplici mansioni e funzioni, le azioni di cui è intessuto. Il lavoro di cura è ancora, in tutti i paesi partecipanti al progetto CORE, un lavoro asimmetrico a sfavore delle donne e non vi sono dati confortevoli in favore del cambiamento. Più che altri Paesi del progetto l’Italia, la Romania, la Bulgaria, la Lituania scontano una reale arretratezza nella condivisione del lavoro di cura. Al tempo stesso, complice la crisi europea, si stanno affievolendo anche una serie di ammortizzatori privati e sociali che, in anni precedenti, hanno aiutato le donne a entrare e rimanere nel mercato del lavoro. I sistemi di conciliazione Il confronto fra i partner CORE ha evidenziato la necessità di mettere a punto una convergenza delle politiche che riguardano la vita quotidiana delle donne e degli uomini. Da qui l’urgenza di misure di conciliazione più incisive che consistono in tutte quelle facilitazioni per sostenere la combinazione di lavoro pagato, responsabilità di cura e tempo libero. Non c’è ovviamente un solo campo di intervento ma, al contrario, ci sono un insieme di misure e di politiche che vanno viste assieme e sollecitate. Esse coinvolgono anche aree diverse: processi di innovazione dei servizi o rafforzamento/miglioramento di quelli esistenti (come l’esempio di quanto successo a Sofia con l’aumento della rappresentanza femminile nel governo della città), politiche per i congedi parentali, misure all’interno di imprese e organizzazioni per renderle più “family friendly”, la riorganizzazione dei tempi delle città, maggiore condivisione delle responsabilità familiari fra uomini e donne. A ciò vanno aggiunte politiche familiari che contrastino la violenza domestica, misure di sostegno all’imprenditorialità femminile, azioni per coinvolgere maggiormente le donne in politica, promozione della mobilità sostenibile e altro ancora. Sono interventi che chiamano in causa la politica ma anche le organizzazioni della società civile e i singoli individui. Progetti come CORE contribuiscono a tenere alto il dibattito pubblico sulle tematiche della discriminazione di genere, permettono di promuovere confronti e di organizzare eventi che rendono le persone maggiormente consapevoli e protagoniste del cambiamento.
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