A Natale regala la sostenibilità

Pagina creata da Salvatore Caruso
 
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A Natale regala la sostenibilità
A Natale regala la sostenibilità
“Sostenibilità” è ormai una parola con la quale tutti abbiamo familiarità, entrata di diritto a parte del
nostro quotidiano. In ogni attività sappiamo di dover essere responsabili e sostenibili, per il nostro
bene e quello del pianeta. A Natale, probabilmente la più grande festa consumista della nostra
società, diventa fondamentale seguire il trend e non perdere l’occasione per essere consapevolmente
sostenibili.

A conferma della crescente attenzione dei consumatori al tema, i dati della ricerca Think with
Google 2021, che sottolinea che le parole chiave “regali natale sostenibili” ha vissuto
un’impennata nell’ultimo Natale. Secondo lo studio, il 78% degli intervistati si è dichiarato pronto a
rinunciare ad un brand conosciuto a favore di uno attento alla sostenibilità.

La ricerca Veepee, ha dimostrato che nel Natale precedente, il 26% dei consumatori ha acquistato
un albero a favore della salvaguardia delle foreste, e il 21% di aver fatto acquisti a difesa delle api.

Le previsioni di risparmio per il Natale 2022
La crisi climatica e il caro-bollette dovuto ai problemi energetici, connoteranno il Natale 2022 come
le festività del risparmio.

L’annuale ricerca di Festive Season di Channel Factory, conferma che il 63% dei consumatori
globali conferma di voler spendere meno soldi: il 49% ridurrà la spesa per i regali del settore gioielli,
profumi e tecnologia; il 32% diminuirà la spesa per cibo e bevande.

               Scopri il nuovo numero: “Il Natale che verrà”
   Il Natale porta in superficie sentimenti e stati d’animo unici. Ovviamente non c’è nulla di nuovo in
     queste parole. Tutti lo sanno, compreso i brand. Ed è proprio su questo tipo di sensazioni che le
               aziende puntano per influenzare legittimamente le nostre scelte d’acquisto.

Anche le città saranno attente al consumo di energia, molti sindaci hanno già anticipato che ci
saranno meno luminarie ad addobbare le strade. La maison Valentino ha annunciato che, in
occasione del lancio di “Lights off campaign”, spegnerà le luci delle vetrine dei propri negozi a
partire dalle ore 22 (escluse quelle di sicurezza).

I consigli delle associazioni ambientali
Già lo scorso anno le principali associazioni green hanno consigliato come optare per un
atteggiamento sostenibile durante le feste, consigli che anche in questo Natale suonano più attuali
che mai.
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WWF ha creato un Decalbero dei consigli per inquinare meno nel periodo delle festività:

 1.   Addobbare un albero “locale” o artificiale, ma soltanto se di riciclo
 2.   Utilizzare luminarie a basso consumo
 3.   Realizza addobbi fatti in casa
 4.   Per il pranzo e il cenone usare prodotti locali di stagione, limitando il consumo di carne
 5.   Evitare il fois-gras, il caviale, i datteri di mare e le aragoste
 6.   Non usare stoviglie usa e getta e fare la spazzatura differenziata
 7.   Non alimentare il mercato illegale di animali esotici regalandoli
 8.   Regala tecnologia a basso consumo
 9.   Fai shopping a piedi, in bici o con i mezzi di trasporto pubblico
10.   Incarta i pacchetti con carta riciclabile

L’attenzione alla creazione nelle decorazioni, lo scorso Natale, è stata enfatizzata anche da
Legambiente con la campagna “do it yourself”. “Se si vuole optare per un capo di abbigliamento,
il consiglio è quello di orientarsi verso una moda green acquistando articoli vintage, ma anche
oggettistica o attrezzature sportive nei mercatini dell’usato o presso aziende e cooperative che
producono nuovo filato da materiale riciclato e fibre rigenerate”, aggiunge l’associazione, “dietro la
produzione di computer, tablet e cellulari, si cela un copioso impegno di risorse umane e materiali.
Acquistare dei rigenerati è perciò una scelta doverosa”.

Anche Greenpeace consiglia di fare attenzione che, nei prodotti di bellezza e igiene personale, non
siano contenute microsfere o frammenti di plastica, indicati dai termini specifici
poliethylene/polyamide/nylon. “Per i regali preferiamo prodotti ecosostenibili, facendo attenzione
all’imballaggio, meglio ancora, creiamo regali e decorazioni usando materiali di recupero e tanta
creatività”, sottolinea l’associazione fondata da Gino Strada, “prima di fare un acquisto per le feste
chiediamoci se è davvero indispensabile e se non ci serve non compriamolo”.
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5 esempi di campagne sostenibili di Natale

1) Negli ultimi 5 anni, Coca Cola, ha collaborato al fianco del Banco Alimentare per contrastare gli
sprechi alimentari e aiutare le persone bisognose. Con il Coca Cola Truck Tour, camion elettrico al
100%, ha portato in tour un villaggio itinerante di Natale, “Real Magic Village”, le cui iniziative a
sfondo benefico hanno permesso di offrire quasi 10 milioni di pasti;

2) Flyng Tiger Copenaghen propone, nell’attuale collezione natalizia, una serie di prodotti esposti
in negozi, affiancati dal cartellino “ecosostenibile”, per indirizzare in modo chiaro l’acquisto dei
consumatori. Il brand dichiara il proprio impegno per un’attività etica e responsabile,
dall’approvvigionamento allo smaltimento dei rifiuti: “Vogliamo che i nostri clienti sappiano che
quando acquistano un prodotto da Flyng Tiger è stato prodotto nel rispetto degli standard etici
ambientali e sociali, ed è sicuro da usare”, specifica l’azienda danese;

3) “Believe in tomorrow” è lo slogan utilizzato da Erste Group per lo spot natalizio 2021 a tema
sostenibilità. In un corto animato si vede una bambina che rimprovera il papà nelle azioni
quotidiane, spingendolo verso comportamenti sostenibili.

4) Swappie, ha lanciato la campagna virale #RicondizioNation 2021 per pubblicizzare la qualità
degli smartphone ricondizionati. Elena Garbujo, country manager d’Italia dell’azienda specifica che
“quella del ricondizionamento continua a confermarsi una scelta di qualità, altamente affidabile, con
un forte impatto anche in termini di sostenibilità”.

5) Soda Stream, nel Natale 2020, attraverso le parole del rapper Snoop Dog, ha invitato i
consumatori a non utilizzare plastica durante i pasti delle feste, per salvare gli oceani e gli animali.

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La ripartenza 2022-2023 all’insegna del
Green Deal Europeo
L’autunno è da sempre il periodo della ripartenza per aziende, scuole e attività commerciali e da
qualche anno l’attenzione di tutti si concentra sempre più sul clima e l’importanza di salvaguardare
la salute dell’ambiente.

Già l’11 dicembre 2019 la Commissione Europea ha pubblicato il “Il Green Deal Europeo“, che
testimonia l’impegno degli Stati Membri ad affrontare i problemi legati al clima e all’ambiente e che
si aggiunge ai programmi definiti dal Clean Energy Package.

Gli obiettivi del Green Deal Europeo
Il Green Deal Europeo vuole trasformare l’Europa in una economia competitiva ed efficiente
dal punto di vista delle risorse e portare a 0 emissioni di CO2 entro il 2050 per contrastare l’effetto
serra. Per questo il documento è considerato funzionale all’attuazione dell’Agenda 2030, che
contiene gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Ecco allora come si lavora ad un processo di transizione giusta per raggiungere la neutralità
climatica entro il 2050, obiettivo ribadito dal Consiglio Europeo nel luglio 2020. Nel dettaglio il
Green Deal Europeo si basa su:

■   Fondo per la transizione giusta (JTF);
■   Regime specifico per la transizione giusta nell’ambito di InvestEU;
■   Strumento di prestito per il settore pubblico, che unisce sovvenzioni a carico del bilancio UE con
    prestiti accordati dai partner finanziari.

                     Scopri il nuovo numero: “#ripartItalia”
     Se vogliamo ripartire come individui e come collettività dobbiamo cercare di prendere piena
     consapevolezza di noi stessi per esprimere il nostro massimo potenziale e vivere una vita piena.

Questi tre pilastri hanno l’obiettivo comune di condurre la UE verso una economia climaticamente
neutra entro il 2050. Per la migliore programmazione possibile del fondo JTF è stata prevista
l’adozione di piani territoriali calendarizzati.

Green Deal Italiano: opportunità o minaccia?
Alla luce dei cambiamenti imposti dall’Unione Europea anche molti settori dell’economia italiana
saranno toccati dal Green Deal Italia, ma si tratta di un’opportunità o minaccia? Come per tutti
i cambiamenti la risposta è duplice: da un lato si tratta di un’opportunità, a patto che le aziende
sappiano coglierla rapidamente o si trasformerà in minaccia.

Per approfittare dei vantaggi del Green Deal Italia è fondamentale coinvolgere tutti gli
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stakeholder, analizzare la filiera produttiva e la concorrenza e usare tecnologie avanzate in un
contesto in cui questo cambiamento non si può più rinviare per la competizione serrata.

Anche se la piccola e media impresa italiana ha da sempre alta velocità di reazione, gli imprenditori
dovranno puntare sulla cultura aziendale e avvalersi di nuove competenze esterne
qualificate per affrontare la rivoluzione che il Green Deal Europe rappresenta.

Il principale problema per l’industria italiana è rappresentato da dimensioni e passaggio
generazionale in tante aziende, ma si tratta di un cambiamento da affrontare in modo sistematico.
Anche nella PMI devono entrare le tecniche delle multinazionali e processi aziendali avanzati.

A mio parere, il Green Deal Europeo rappresenta una grande opportunità e gli imprenditori
italiani devono saperla compiere per ammodernare le loro aziende e compiere un salto culturale e
organizzativo che non è più rinviabile.

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DIGITAL INNOVATION DAYS, l'evento più
atteso in Italia sul digitale e l'innovazione,
che torna al Talent Garden di Milano dal
26 al 28 ottobre 2022
DIGITAL INNOVATION DAYS, l’evento più atteso in Italia sul digitale e l’innovazione, torna al
Talent Garden di Milano. Dal 26 al 28 ottobre 2022 con quattro focus: Digitale, Innovazione,
A Natale regala la sostenibilità
Sostenibilità, Informazione che saranno al centro di conferenze, tavole rotonde e workshop, con i
relatori e gli stakeholder più esperti del settore.

Se l’edizione 2021 è stata quella dello “Human Capital” visto come insieme di conoscenze,
competenze, abilità, emozioni individuali, quest’anno è senz’altro il momento di fare in modo che
questo Capitale Umano torni a generare valore.

Il tema del 2022 è dunque Human for Future che rappresenta un Nuovo Umanesimo, un
processo di innovazione che vede saperi umanistici e conoscenze scientifiche, emozioni e tecnologia,
non più in antitesi ma entrambi protagonisti del futuro. Per competere, secondo i nuovi paradigmi
della sostenibilità, servono conoscenze e competenze multidisciplinari, un ecosistema sociale ed
economico dove le Persone sono al centro, legate da interconnessioni virtuose, potenziate
dall’innovazione digitale.

A creare un perfetto parallelismo con la realtà odierna, l’evento sarà in presenza e in digitale,
ospitando una serie di speech e relatori esperti, pronti a dare una visione illuminante sul presente e
sul futuro della società.

“Dopo l’esperienza epocale della pandemia, abbiamo raccolto i suggerimenti delle aziende, che da
anni seguono questo evento, degli sponsor e dei partecipanti, di fare in modo che la DID
COMMUNITY, non si disgreghi al termine dell’evento, ma rimanga viva, attiva e alimentata di
contenuti e occasioni di incontro…” anticipa Giulio Nicoletti, CEO di Digital Innovation Days.

Per questo la ROAD MAP di #DID2022 è oggi più ricca e articolata. Si parte a fine settembre, la
data resta da definire, con una conferenza stampa. L’evento sarà inaugurato il 25 ottobre con
una cena di gala, il primo momento per incontrarsi e scambiare opinioni in un contesto piacevole
ed elegante. Il 26 e 27 ottobre, tutti in sala, per chi non può c’è sempre lo streaming su piattaforma
dedicata.
Speaker internazionali e aziende con i loro case study daranno concretezza ai
temi dell’innovazione, della sostenibilità, del digitale e della formazione.
Due intense giornate moderate e condotte dai nostri esperti opinion leader:

Fernando Piccirilli, Investment Advisor @Kobe Partners, per la sala Innovation & Emerging Tech;

Francesca Petrella, Responsabile Comunicazione @IPSOS, per la sala Sostenibilità;

Gaetano Romeo, Direttore @Pambianco Academy e Growth manager, per i temi legati al Web
Marketing;

Paolo Giacalone, West EU E-commerce Director @Deloitte per la sala E-commerce;

Matteo Pogliani, Founder dell’ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing) e Partner e
Head of Digital @ Openbox, per i contenuti legati all’ Influencer Marketing;

Chiara dal Ben, Marketing & Innovation Director @FLU per i contenuti legati all’Influencer
Marketing;

Alessandro Negri della Torre, Founder di LX20 Law Firm, per la Sala Fintech.

Siamo inoltre orgogliosi di annunciare l’ingresso di Enrica Fantoni e Gaetano Romeo nel team
interno ai Digital Innovation Days per occuparsi delle strategie di web marketing.

Non mancheranno workshop e masterclass, a numero limitato di partecipanti,
per favorire confronto e interazione.
Offrire tutte le possibili occasioni di network è il focus di #DID2022… e allora abbiamo creato la
LOUNGE per fare quattro chiacchiere in relax, i BUSINESS MATCHING per ottimizzare i momenti
liberi e avere una serie di appuntamenti prefissati, e poi l’APERITIVO serale, … per non andare via
senza aver fatto quella domanda vitale!

Dopo due giorni al TAG, il venerdì 28 ottobre sarà in streaming per declinare i temi affrontati su
realtà verticali, ad esempio finanziarie, dell’industria manifatturiera, del pharma e dell’alimentare.

  Per i lettori di Smart Marketing è previsto un codice promozionale:
  smartmarketing20, che consentirà di acquistare il biglietto online per l’evento
  di Ottobre con il 20% di sconto.

Inoltre il #DID2022 non finisce al Talent Garden! Continua per tutto l’anno successivo, con
webinar sulla piattaforma dedicata e meetup online e in presenza, per alimentare il confronto della
Community, organizzati dal nostro staff, dai relatori e moderatori, dalle aziende e dagli sponsor.

Tutto questo per creare un “ecosistema virtuoso” di approfondimenti e nuove
idee.

Per maggiori info sull’evento: www.digitalinnovationdays.com
Per diventare sponsor dell’evento, inviare una mail a: sponsor@digitalinnovationdays.com

Per diventare partner, scrivere a: press@digitalinnovationdays.com

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Generazione Z: come coinvolgere queste
persone nella vita del brand?
Dopo i millennial i brand guardano alla generazione Z ovvero ai nati tra la metà degli anni ’90 e i
primi anni 2000, persone che rappresentano oggi la nuova generazione di consumatori. Vediamo il
loro rapporto con il mondo del lavoro e del consumo secondo una ricerca condotta da
McDonald’s.

Il lavoro ideale della Gen Z italiana
La generazione Z italiana cerca un lavoro che dia possibilità di crescere e di esprimere la propria
identità (risposte date dall’83% e dal 75% del campione), ma non solo. Il lavoro del futuro deve
garantire abbastanza tempo libero e la possibilità di conoscere persone nuove e interessanti, fare
amicizia e viaggiare.

Gen Z e consumi: cosa cambia?
Secondo lo studio portato avanti dalla economista e docente Noreena Hertz solo il 6% della Gen
Z ha fiducia nelle grandi multinazionali contro il 12% dei Millennial e il 60% degli adulti. Lo studio in
questo caso ha coinvolto 2000 teenager negli USA e nel Regno Unito.

Nonostante la giovane età la gen Z influenza le decisioni di acquisto in famiglia e guarda al
denaro come simbolo di successo. In più questi giovani puntano a ottenere beni materiali tradizionali
come auto e mobili e i brand non possono ignorare questo dato.

Come vengono scelti i prodotti?
La gen Z acquista beni in promozione (41% dei casi) o economici (34% dei casi), mentre il 39%
presta attenzione alla qualità. Inoltre il 30% dei giovani preferisce prodotti di marche di cui si
fida e solo per il 9% è importante che la marca sia famosa. L’ultima caratteristica dei consumi della
GEN Z è l’attenzione alla sostenibilità: per un ventenne italiano su quattro i prodotti devono
essere eco friendly e realizzati con materiali naturali.

Fare content marketing per la generazione Z: i consigli
Nel mio lavoro di consulente Content Marketing mi trovo a lavorare su testi e messaggi
pubblicitari e promozionali rivolti alla generazione Z. In questo caso diventa fondamentale
comunicare i valori reali del brand e puntare all’engagement, che prevede una relazione
intima tra brand e consumatore.

           Scopri il nuovo numero: “Tutto è Comunicazione”
    In 20 anni è cambiato tutto. Ai media tradizionali si è affiancato internet. Lo smartphone ci ha
   portati nel futuro. Con le applicazioni si sono creati nuovi modelli di business. I social hanno fatto
                                   il resto. Oggi tutto è comunicazione!

Via libera, quindi, allo storytelling e al racconto dell’azienda e dei suoi valori più profondi con
un’attenzione all’umanità empatica, capace di trasmettere emozioni forti e coinvolgenti. Gli
strumenti per comunicare con la gen Z sono principalmente quelli del web da adeguare ad un
personale che vive il virtuale senza soluzione di continuità con il reale. La sfida che ogni azienda
deve superare è quella della conversione immediata e va creata una comunicazione coinvolgente
di medio e lungo termine e una strategia incentrata sul brand piuttosto che sul prodotto.

In conclusione, la generazione Z acquista da brand con cui ha una relazione e di cui condivide
storia, valori, mission e attenzione all’ambiente. Anche il linguaggio cambia e predominano meme,
citazioni, influencer e contenuti visuali per interessare il nuovo consumatore, capace di influenzare
la famiglia e i contatti sociali.

La parola chiave per i brand è comunicazione integrata e chi fa content marketing deve saper
creare contenuti impattanti, chiari e immediati, coinvolgenti e condivisibili. Una sfida che ogni
azienda sta affrontando e da cui dipende la crescita del business.

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Attenzione alla Green Communication che
diventa Greenwashing!
Sappiamo bene ormai che negli ultimi anni il termine “sostenibilità” è la parola chiave del nostro
vivere, e, ovviamente, questo ha influenzato anche il marketing, diventato necessariamente green,
così come la comunicazione d’impresa che ne consegue.

La Green Communication si potrebbe definire come un nuovo modello comunicativo che mette in
evidenza il lavoro delle imprese a favore della sostenibilità, per colpire il consumatore che premia
con l’acquisto l’impegno dell’azienda.

Ma l’inganno è dietro l’angolo, “fatta la regola, trovato l’inganno” si direbbe con le parole di un detto
popolare: le attività green comportano elevati costi per le imprese che, per risparmiare, a volte
trasformano la green communication in greenwashing.

Cos’è il greenwashing
Letteralmente significa “ecologismo di facciata”, coniato nel 1985 dall’ambientalista Jay
Westervelt, quando durante un viaggio in un’isola del Pacifico, notò un atteggiamento ambiguo
dell’hotel nel quale alloggiava: si chiedeva ai clienti di riutilizzare più volte gli asciugamani, al fine di
evitare sprechi di acqua, ma allo stesso tempo la struttura attuava strategie di marketing poco
sostenibili, volte ad aumentare il turismo, mirando ad espandersi, insomma, un atteggiamento non
proprio green, pensò Westervelt.

Un’indagine svolta nel gennaio 2021 dalla Commissione Europea e dalle Autorità Nazionali di tutela
dei consumatori (secondo il Regolamento UE 2017/2394), sotto il coordinamento della IPCEN
(Consumer Protection and Enforcement Network), attraverso uno screening della comunicazione sul
web e degli slogan di varie aziende, ha dimostrato che:

■   37% dei claim conteneva informazioni vaghe, utilizzando parole come “cosciente”, “rispettoso
    dell’ambiente”, “sostenibile”. Termini importanti ma che ad un’analisi approfondita non forniva
    particolari specifici circa le attività concrete svolte dalle aziende
■   Il 59% dei casi non forniva delle prove circa le attività dichiarate
■   Nel 42% dei casi le autorità hanno ritenuto ingannevoli i claim, dichiarandole pratiche commerciali
    sleali ai sensi della Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali

Come individuare la comunicazione greenwashing
Il termine, quindi, finì per indicare le pratiche con cui le imprese ripuliscono la propria immagine
grazie ad una comunicazione scorretta, o comunque non totalmente veritiera.

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      In 20 anni è cambiato tutto. Ai media tradizionali si è affiancato internet. Lo smartphone ci ha
     portati nel futuro. Con le applicazioni si sono creati nuovi modelli di business. I social hanno fatto
                                     il resto. Oggi tutto è comunicazione!

Lo studioso Zygmunt Bauman, affermava che “il fallimento di una relazione è quasi sempre un
fallimento di comunicazione”, (Amore Liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, 2006). Il termine
relazione definisce esattamente l’attuale rapporto tra l’azienda e il consumatore: se la
comunicazione fallisce il rapporto si incrina, il consumatore perde fiducia, si allontana e le vendite
calano.

Per non cadere nel tranello di una comunicazione greenwashing basta tenere gli occhi (e le
orecchie) bene aperti:

■   Si utilizza un linguaggio vago, poco trasparente, con omissioni e reticenze, che può indurre in
    errore il consumatore
■   Mancanza di informazioni e descrizioni delle attività poste in essere, ci si limita ad utilizzare le
    parole chiave come “verde”, “ecologico”
■   A volte il messaggio viene urlato per colpire il consumatore, non è raro che il claim sia scritto in
    grassetto di colore verde, proprio per colpire il consumatore ed evitargli di porsi delle domande
■   le aziende comunicano la loro attenzione solo riguardo una fase o un aspetto del processo
    produttivo, spacciandosi però per un brand totalmente green, creando confusione nel cliente
■   spesso le aziende non vantano collaborazioni esterne per la realizzazione del prodotto verde,
    dichiarando di svolgere tutto internamente

“La trasformazione sostenibile non può e non deve essere prevalentemente un’attività di
comunicazione. se sostenibilità risulta essere tra le buzzword più diffuse degli ultimi tempi,
dobbiamo evitare che questa parola venga oggi svuotata di significato”, ha sottolineato Rossella
Sobrero, docente presso l’Università degli Studi di Milano e l’Università Cattolica di Milano, autrice
del libro “Verde, anzi verdissimo. Comunicare la sostenibilità evitando il rischio greenwashing”,
Egea.

La comunicazione ingannevole alla base del greenwashing
La comunicazione greenwashing non fa altro che attingere dalla psicologia della comunicazione, che
evidenzia le caratteristiche di un messaggio non corretto (Psicologia della comunicazione, Luigi
Anolli, 2002):

■   falsità: il contenuto è necessariamente falso
■   consapevolezza: il soggetto (in questo caso l’impresa) è consapevole di mentire
■   intenzionalità: volontà di ingannare il destinatario

Le tipologie di messaggio possono esplicarsi in forme diverse, caratterizzate da una sottile
differenza:

■   omissione: si omettono alcune parti della verità
■   occultamento: alcune informazioni vengono tenute nascoste mentre altre vengono riferite
■   falsificazione: si dichiarano informazioni false
■   mascheramento: si celano informazioni importanti e si forniscono quelle false

Qualche esempio “famoso” per capire meglio
Nel 2021 l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM), ha preso un provvedimento
contro i claim pubblicitari della linea “ENIdiesel+”, dal 2016 al 2019, che presentavano il
carburante come bio e green, che promettendo una diminuzione delle emissioni CO2 fino al 40%.
L’Autorità li ha riconosciuti ingannevoli in quanto non accompagnati da reali risultati come
annunciato. È stata proprio la comunicazione scorretta a mettere nei guai l’azienda,
successivamente, infatti, il Tar del Lazio multò l’azienda con 5 milioni di euro sostenendo che un
carburante non potesse essere considerato green, in quanto sempre inquinante.

Comunicazione confusa anche per H&M che nel 2019 fu ammonita dalla Norvegian Consumer
Authority, circa la linea “Conscious”, definita come green, ma che non forniva adeguate informazioni
sul termine, facendo riferimento solo ad un 50% dei materiali riciclati, restando vaga sul resto.

Anche il brand Coca-Cola non è stato esente da critiche, nel 2021 l’Earth Island Institute la accusò di
veicolare slogan del tipo “sostenibile ed ecologica”, “riduciamo la nostra impronta di carbonio”,
mentre dal Rapporto Break Free From Plastic Global Cleanup e Brand Audit, fu nominata come
azienda più inquinante degli ultimi 3 anni a causa del numero di materiali plastici immessi nel
mercato.

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Vesti alla moda con il second-hand: oggi lo
shopping passa dalle app dell'usato, con
un occhio all’ambiente.
Sostenibile è la caratteristica che più si richiede ad un prodotto nel mercato
contemporaneo, anche nel settore della moda, accusato di essere uno dei più inquinanti nelle
economie industrializzate.

La moda è infatti guidata da una logica “usa e getta”, che troppo frequentemente influisce
negativamente sull’inquinamento globale e sullo sfruttamento dei lavoratori. Preoccupati di seguire
il fast fashion, (che propone più collezioni anche nello stesso mese, spesso low cost), i consumatori si
buttano in acquisti compulsivi, dettati da ritmi veloci, gettando via troppo velocemente vestiti ancora
in buono stato.

Diciamolo con sincerità, forse siamo tutti un po’ Carry Bradshaw (nota protagonista della
celeberrima serie Sex and the City), quando pronuncia “adoro il mio denaro esattamente lì dove
posso vederlo…appeso nel mio guardaroba”.

I social media, proponendo innumerevoli tendenze, influiscono non poco su questa filosofia,
enfatizzando, tra l’altro, il concetto espresso dal sociologo tedesco Georg Simmel nel 1910, nel libro
“La Moda”, “[…] il vero fascino, stimolante e piccante della moda, sta nel contrasto fra la sua
diffusione ampia e omnicomprensiva, e la sua rapida, fondamentale caducità […] appaga il bisogno
di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi”.

Il ruolo del consumatore a favore della sostenibilità
Se è vero che il consumatore dell’attuale mercato è voglioso di essere “alla moda”, e propenso
all’acquisto veloce, allo stesso tempo, è anche consapevole della necessità di acquistare con
consapevolezza.

Pur volendo fare shopping, appunto, come Carry Bradshaw, non possiamo negare di essere consci
delle difficoltà che il nostro pianeta sta vivendo. È difficile non chiedersi: perché un capo costa così
poco? Che materiale è? Chi lo ha cucito?
I clienti sono più attenti al rapporto prezzo-qualità, richiedono garanzie sulla qualità del
prodotto e dei materiali utilizzati, e un comportamento responsabile dell’azienda, tracciabile
lungo l’intera filiera di produzione e distribuzione, riguardo alle emissioni inquinanti. Ma non solo,
ecosostenibilità vuol dire anche rispettare la società, producendo nel rispetto umano, senza
sfruttamento della forza lavoro e stabilendo eque remunerazioni.

Dall’economia lineare all’economia circolare
L’attenzione del consumatore rappresenta un elemento di svolta importante, che può guidare il
passaggio all’auspicabile economia circolare.

Cosa vuol dire?
Esattamente fino ad ora il settore moda ha lavorato in un’ottica economica di tipo lineare: compro-
uso-getto. E se invece passassimo ad un’ottica compro-uso-rivendo? Rivendere i vestiti
(ovviamente in buono stato), o darli indietro alle aziende, potrebbe permettere di ricavare tessuti
rigenerati, riducendo gli sprechi, e contribuendo ad un orientamento ecosostenibile.

               Scopri il nuovo numero: “Il futuro è aperto”
  Il futuro prende vita dalle nostre azioni. E l’azione è sempre risolutrice. Andiamo incontro al
  futuro, senza timori. Il futuro è aperto!

Secondo lo studio della Circular Economy Action Plan della Comunità Europea, il settore tessile è il
quarto per uso di materie prime e acqua; il quinto per emissioni di gas effetto serra. L’Agenzia
Europea dell’Ambiente, specifica che è il settore responsabile del 10% delle emissioni mondiali di
carbonio.

Le app e la rivoluzione second-hand
Ultimamente il mercatino dell’usato sembra essersi spostato online grazie al boom delle app, uno dei
tanti effetti consequenziali alla pandemia, visto che con il tanto tempo passato in casa, molti ne
hanno approfittato per dare una ripulita all’armadio.

Senza aprire un proprio e-commerce, ma appoggiandosi semplicemente a delle app, si possono
vendere i propri capi di abbigliamento e accessori, contribuendo, in tal modo, allo sviluppo
dell’economia circolare. Se qualcuno è infatti interessato ad un nostro pezzo di vestiario può
contattarci direttamente tramite l’app per contrattare il prezzo. In questo modo il capo ha la
possibilità di vivere una seconda vita.

Secondo un’indagine di Zalando, oltre il 60% degli intervistati ritiene importante che i capi abbiano
una seconda occasione. Global Data conferma questa tendenza positiva prevedendo che il mercato
second hand passerà da 28 miliardi di fatturato del 2019 a circa 64 miliardi nel 2024.

Importante risulta essere la presenza di abbigliamento e accessori vintage, i brand di lusso occupano
infatti gran parte delle vendite sulle app. Secondo True Luxury Global Consumer Insights di
Altagamma-Bcg, i consumatori di lusso stanno partecipando attivamente alla compravendita di
seconda mano, registrando circa il 62% delle vendite derivanti dalle app.
Un’indagine realizzata da Thredup (piattaforma di seconda mano), ha rilevato che, negli USA, 33
milioni di persone ha acquistato per la prima volta abbigliamento usato nel 2020, e di questi, il 76%
dichiara di pensare di aumentarne la quota nei prossimi 5 anni.

Siete curiosi di sapere quali sono le app più utilizzate?
Vinted: creata in Lituania nel 2008 da Milda Mitkute e Justas Janauskas, oggi conta più di 37 milioni
di iscritti, classificandosi come la prima piattaforma europea nella moda di seconda mano. L’idea fu
di Justas per aiutare Milda a disfarsi di alcuni abiti durante un trasloco. L’app, che non è
responsabile del pagamento che avviene tra i contraenti, non prevede costi di commissione per il
venditore, la cui spedizione è a carico del compratore.

Depop: fondata da Simon Beckerman a Londra, e rilevata nel 2021 da Etsy. Una delle app più
pubblicizzate del periodo, al momento conta più di 26 milioni di utenti in 147 paesi, vi si possono
caricare foto dei vestiti, per vendere o scambiare. Ha un’interfaccia simile ad Instagram e permette
l’utilizzo di filtri per rendere le foto più interessanti.

Wallapop: nata in Spagna nel 2013, arrivata in Italia nel 2021, ha spopolato tra gli utenti in pochi
mesi, arrivando a circa 18 milioni di iscritti. “L’obiettivo è puntare alla sostenibilità, all’economia
circolare” sottolinea Giuseppe Montana, Head of Internationalization dell’azienda, su un recente
articolo del Corriere della Sera.

Shpock: app di origine tedesca lanciata nel 2012, con un’impostazione grafica, anche in questo
caso, simile a quella di Instagram, ha attirato più di 10 milioni di iscritti, risultando tra le più
scaricate anche in Italia.

Zalando second-hand: nata recentemente, nel settembre 2020, in due anni è passata da 20.000
articoli a 200.000. lo scambio non avviene in denaro ma in crediti, spendibili all’interno del sito.

Greenchic by Armadioverde: ideato nel 2015 da David Erba ed Eleonora Dellera. Si occupa di
tutto l’iter logistico della compravendita al posto dei clienti, effettuando il ritiro presso la propria
abitazione e consegnandolo all’acquirente.

Vestiarie Collective: app francese fondata nel 2009, utilizzata da oltre 5 milioni di utenti nel
mondo, specializzata nella compravendita di brand famosi di cui certifica l’originalità.

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La mobilità elettrica quale elemento
strategico delle smart city per un mondo
sostenibile
Vacanze fatte di movimento quelle di quest’anno, dopo un lungo periodo di staticità, il desiderio
comune è stato quello di uscire dalle proprie case che tanto a lungo ci hanno “catturati” per
espandere orizzonti e curiosare oltre i “confini regionali”. Sono state per lo più vacanze
#madeinitaly esplorando un Paese che offre tanto dalle montagne ai laghi, ai mari ai borghi, un bel
Paese fatto di bellezze che riempie il cuore una volta che lo si conosce a fondo.

Turisti e girovaghi, quest’anno, che gironzolando tra una giornata al mare e l’altra si saranno accorti
di come, in molte città e non solo metropoli, siano comparse ai bordi delle strade le colonnine
elettriche per caricare auto sempre più innovative.

Al 30 giugno sono stati, infatti, superati i 23000 punti di ricarica di EV – Electric vehicle /auto
elettriche) in 9.453 location italiane (fonte motus-e la prima associazione in Italia costituita per fare
sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica) da nord a sud. È stata davvero una
sorpresa, perché ci si è resi conto che davvero qualcosa nella nostra Italia, sta cambiando.

Il futuro in effetti è sostenibilità e innovazione, ed è fantastico vedere che sul territorio italiano
(ma anche e soprattutto a livello mondiale ormai il fenomeno è di gran lunga in crescita) si stia
costruendo una rete di ricarica diffusa facilmente accessibile e ricercabile con un click, per poterne
usufruire quando se ne ha la necessità e, presto, da ogni dove. Interessante e curioso è, infatti,
programmare un viaggio per chi dispone di veicoli elettrici tenendo in considerazione i punti
strategici di ricarica, consultando la mappa digitale di e-station sempre aggiornata.

Vedendone l’utilizzo mi ha riportato alla mente di quando, tredici anni fa, dopo aver
acquistato la mia prima auto a metano giravo con lo stradario cartaceo dove vi erano
selezionate tutte le stazioni di metano, che non ancora capillari sul territorio, ti costringevano ad
uscire spesso dall’autostrada per fare rifornimento. Davvero non “easy” ma al contempo avevi la
consapevolezza di fare del bene all’ambiente e alla tasca :).

Dal metano all’elettrico in un decennio il passo è stato fatto.
Oggi a distanza di anni abbiamo una occasione nuova, ancora più innovativa ma soprattutto a
portata di mano che presto sarà la scelta di molti e che entro il 2030 si stima sarà quella prevalente.
Ad oggi, infatti, la mobilità elettrica in Italia rappresenta soltanto lo 0,2% del parco circolante e si
posiziona indietro rispetto i principali paesi europei. Tuttavia, sta crescendo molto rapidamente
(+118% CAGR 2018-2020F1) spinta anche da incentivi nazionali e regionali. L’offerta di vetture
elettriche è ancora in fase di sviluppo e si concentra su fasce alte di prezzo. L’81% dei veicoli
elettrici offerti sul mercato costano tra i €20.000-80.000. Ma d’altronde anche il primissimo modello
di smartphone all’epoca fu per pochi eletti per poi diventare a portata di tutte le tasche.

  E’ quanto si evince dal recentissimo report sul futuro della mobilità elettrica in Italia 2030 di e-
  Motus, che ha analizzato lo status attuale ipotizzandone l’immediato futuro e ragionando su
  scenari che saranno sempre più “Customer Experience Focused” cercando di rispondere
  maggiormente alle esigenze primarie di un cliente di veicolo elettrico; per arrivare a definire una
  proposta di scenario al 2030 che si pone l’obiettivo di identificare una infrastruttura di ricarica
  capace di aumentare il valore di un servizio universale per il cittadino, nel rispetto di alcuni criteri
  di efficienza e redditività minima degli investimenti.

Le auto elettriche sono l’elemento di mobilità di quelle che sempre di più saranno smart city, le
città intelligenti che si pongono l’obiettivo di migliorare la vivibilità dei cittadini e diminuire
l’inquinamento e le emissioni di CO2, o almeno questa la promessa della tecnologia che dovrebbe far
diventare presto un ricordo, l’aria inquinata e le lunghe code nei centri urbani di tutto il mondo.

Il mondo si sta evolvendo sempre più rapidamente e la mobilità è uno dei settori simbolo del
cambiamento, che ne mostra il progresso e la tecnologia. Sono diversi gli investimenti dedicati al
futuro delle smart cities, aree urbane che puntano sulla Digital Transformation per ottimizzare le
infrastrutture e i servizi di cui possono usufruire i cittadini.

Il settore dei trasporti si sta rivoluzionando per diventare più digital e per ridurre l’impatto
ambientale; nascono nuovi mezzi di traporto e nuove forme di mobilità e si vedono affermare nuove
tendenze, come la mobilità condivisa del car sharing e del monopattino elettrico che spuntano ormai
come funghi ovunque.

Nelle città del futuro, la mobilità sarà più flessibile, sicura, rispettosa dell’ambiente e
integrata, in modo da rispondere in modo efficace alle nuove esigenze delle persone e della città
stessa.

              Scopri il nuovo numero: “Orizzonte elettrico”
      Al pari di quella digitale, la rivoluzione elettrica è arrivata quasi sottovoce e sta prendendo
  letteralmente piede molto velocemente. E quando si parla di rivoluzione elettrica, tra le altre cose,
                                      non si può non parlare di mobilità.

Nasce tutto dalla volontà di migliorare l’esperienza urbana e la qualità della vita come si evince dal
report di Capgmenini “Street Smart: Putting the citizen at the center of smart city initiatives”, che
evidenzia che più della metà dei cittadini (58%) ritiene che le smart city siano sostenibili e che
assicurino una migliore qualità dei servizi (57%). Questo è dimostrato dal fatto che più di un terzo
degli intervistati (36%) sia disposto a pagare di più per ottenere una migliore esperienza
urbana ed una migliore qualità della vita nella sua città. I cittadini, infatti, ritengono che minacce
come l’inquinamento (42%) e la mancanza di iniziative di sostenibilità (36%) siano tra le
principali preoccupazioni che potrebbero spingerli a trasferirsi altrove.

A fare della mobilità elettrica un “oggetto” dell’IoT (Internet of Thing) contribuiscono
senza dubbio il 5G e l’edge computing. Il veicolo connesso diventa parte integrante di un
ecosistema digitale dove si ha la possibilità di conoscere se c’è un parcheggio libero a
destinazione e, magari, prenotarlo ancor prima di partire risparmiando tempo per il singolo e per
la collettività, riducendo emissioni inquinanti per la ricerca prolungata del posto. La città Smart
mette in comunicazione cittadini e pubblica amministrazione per prenotare online un servizio come
il ritiro dei rifiuti ingombranti o, quando possibile, per effettuare una diagnosi a distanza o un
consulto grazie alla telemedicina.

È una città sempre più innovativa con la tecnologia a servizio del cittadino che però non
dovrebbe mai dimenticare la relazione umana sia nel contatto medico/paziente che cittadino con
il cittadino (ma qui si aprirebbero scenari da approfondire soprattutto post pandemia che un articolo
non basterebbe).

Molto, infatti, davvero molto è in mano nostra ed è nelle nostre scelte.
Personalmente devo dire che quando ebbi la possibilità di scegliere tra le auto disponibili nella flotta
aziendale un veicolo ibrido mi fece un effetto davvero strano. Cinque anni fa si parlava certamente
di sostenibilità, ma davvero un veicolo elettrico per girare in città, era ancora un film
fantascientifico. Devo ammettere che, camminare senza emettere un rumore rendeva quasi magico il
percorso, una delle tante opportunità in una grande metropoli come Roma, se si pensa alle
domeniche ecologiche, le targhe alterne, ai parcheggi gratuiti e alla possibilità di circolare
liberamente e fruirne, solo alcuni esempi concreti e tangibili che ovviamente si vanno ad aggiungere
a tutto quanto discusso sopra che l’hanno resa ancora oggi una scelta SMART che con il senno di
poi, anticipò i tempi.

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Il podcast che ti fa scoprire l’A.I. – La sfida
è un futuro sostenibile, e con l'AI si può
vincere. Con Michela Milano
La sostenibilità è uno degli argomenti che più tiene banco nel dibattito politico ed economico
mondiale. Come sappiamo, la sostenibilità tratta ambiti molto complessi e variegati e presenta tre
principali aree particolarmente problematiche strettamente connesse tra loro che sono: la società,
l’economia e l’ambiente.

Gestire una smart city, una crisi pandemica come quella che stiamo vivendo, un’emergenza
migratoria oppure ambientale legata ai cambiamenti climatici, come gli incendi di vaste aree o le
grandinate ed i temporali particolarmente violenti, sono tutti ambiti nei quali i “decisori”, siano essi
politici, economici o di pubblica sicurezza, si trovano a gestire una grandissima quantità di dati. E
quando si parla di dati, l’Intelligenza Artificiale può sicuramente venirci in aiuto.

Come sappiamo, una delle migliori capacità delle A.I. è quella di estrapolare “modelli” da una
grande quantità di dati grezzi. Questi modelli sono principalmente di tre tipi: descrittivi, predittivi
e decisionali.

È facile capire le caratteristiche di ciascun modello.
Quelli descrittivi sono quei modelli che “descrivono” la realtà sulla quale si vuole riflettere.

Quelli predittivi sono invece quei modelli che cercano, dagli stessi dati, di estrapolare delle ipotesi
e degli scenari futuri quanto più accurati possibile.

Infine quelli decisionali sono quelli che in base ai dati forniti dai modelli predittivi cercano di
orientare e “supportare” le decisioni degli operatori umani. Decisioni che grazie all’A.I. saranno
“informate” e quindi con molta probabilità quelle più sicure.

I sistemi maggiormente utilizzati in questi specifici ambiti e che si sono dimostrati i più adatti e con
le performance migliori sono quelli di Machine Learning.
I sistemi di A.I. si sono rivelati particolarmente utili nel gestire al meglio situazioni di crisi, proprio
in virtù del fatto che le decisioni che prendono sono sempre le più razionali possibile, mentre gli
esseri umani, quando si trovano a gestire situazioni al limite, spesso assumono comportamenti
irrazionali o, peggio, si fanno prendere dal panico.

Ci sono alcuni ambiti però dove le A.I. sono ancora indietro, una su tutte è la questione “etica”,
anche se in questo campo si sta lavorando molto per superare il gap. La questione etica per le A.I. è
di stringente attualità, vista, ad esempio, la sempre maggior diffusione delle auto a guida autonoma.

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chela Milano, docente all’Università di Bologna e Direttrice Centro Interdipartimentale Alma Mater
Research Institute for Human-Centered Artificial Intelligence.

Le domande in questo campo di studi sono molteplici:
Se una macchina a guida autonoma investe una persona e ne causa il ferimento o peggio la morte
chi è responsabile?
L’Intelligenza artificiale, l’azienda costruttrice di quella tecnologia, o il conducente che si è fidato
della sua auto a guida autonoma?

In caso di un pericolo su strada noi umani, con i nostri tempi di reazione, ci affidiamo all’istinto, ma
le A.I., con la loro mostruosa capacità di elaborare migliaia di dati in pochi secondi, nelle stesse
condizioni, sono in grado di prendere una decisione “ragionata”, che però potrebbe essere carente
proprio dal punto di vista etico.

Interessante a questo proposito è l’esperimento della “Moral Machine”, messo a punto dai
ricercatori dello Scalable Cooperation Group del MIT Media Lab, una piattaforma online per la
raccolta di dati su larga scala, che nell’arco di 2 anni ha raccolto quasi 40 milioni di risposte di tipo
etico in tutto il mondo per provare a rispondere alla domanda:

Le auto intelligenti sanno compiere delle scelte morali?

La prima sorprendente risposta a questo esperimento è stata quella che ha messo in evidenza che
non esistono “principi” morali ed “etici” condivisi in tutto il mondo e che le A.I. che vengono create,
programmate e addestrate in particolari contesti geografici e culturali risentono appunto di queste
variabili.

Di questo e di molto altro si parla nell’ultimo episodio del podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza
Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) e
Radio IT (il primo podcast network italiano sull’information technology) che vede il solito Igor
Principe, giornalista di Radio IT, dialogare con Michela Milano, docente all’Università di Bologna
e Direttrice Centro Interdipartimentale Alma Mater Research Institute for Human-Centered Artificial
Intelligence.

Sostenibilità, etica ed intelligenza artificiale al centro del 12° ed ultimo episodio del podcast “Alla
scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, che nell’ultimo anno ci ha permesso di approfondire molti
ambiti dell’A.I, che sembrano riguardare il nostro futuro ed invece sono già il nostro presente.

Buon Ascolto!

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Le 4 virtù cardinali del Marketing -
L'editoriale di Ivan Zorico
Nell’era della tecnica, degli automatismi e della velocità,
c’è sempre meno spazio per il pensiero, il metodo e la
strategia.

Siamo affascinati dal tutto e subito, dalle incredibili potenzialità dell’ultimo tool, dai progressi
dell’intelligenza artificiale nel campo del marketing, dal raggiungere velocemente migliaia di
persone, dal contare il numero di follower, dal nuovo video virale, e così via.

Tutta questa disponibilità di strumenti, e la voglia di arrivare per primi (o anche solo di bruciare le
tappe), spesso ci fa dimenticare una regola abbastanza semplice, ed anche per questo molto
sottovalutata: senza una vera conoscenza della materia, difficilmente riusciremo a
raggiungere quello che ci siamo prefissati (e soprattutto confermarlo nel tempo). Uno
strumento, per quanto performante che sia, agisce sempre secondo le indicazioni che riceve. La
mano fa quello che le dice il cervello, non viceversa. Per dirla in altri termini, “La potenza è
nulla senza il controllo”.

Prendendo in prestito un’espressione calcistica, potremmo
dire che bisogna (ri)partire dai fondamentali.
Se guardiamo i casi di successo, se li analizziamo in profondità e non ci facciamo abbagliare da
quello che fa più luce – il successo stesso –, ci accorgeremo che dietro c’è sempre uno studio, un
disegno, un lavoro. Poi certo, oggi disponiamo di strumenti in grado di amplificare (se usati
correttamente) in tempi abbastanza brevi la portata delle nostre azioni, ma non dobbiamo
commettere l’errore di scambiare l’effetto con la causa.

            Scopri il nuovo numero: “Le 4 Virtù cardinali del
                              Marketing”
  Pazienza, Perseveranza, Sostenibilità e Gentilezza, sono le 4 virtù cardinali del marketing che vi
  proponiamo. In un mondo dominato dalla tecnica e dalla velocità, queste virtù ci permettono di
  non sbagliare la rotta (o magari di ritrovarla se smarrita) e di indirizzare correttamente le nostre
  azioni.

Mi rendo conto che, nel tempo in cui viviamo, c’è sempre meno spazio per la preparazione
e l’attesa. Proprio per questo motivo credo sia giusto prendersi del tempo per ritracciare le
coordinate e individuare dei punti – o virtù – cardinali in grado di guidarci in questo mare magnum
informativo e di stimoli continui.

I punti cardinali sono principalmente quattro, e al pari delle più alte virtù, sono direzioni e pilastri
da tenere sempre a mente per non sbagliare la rotta (o magari per ritrovarla se smarrita) e per
indirizzare correttamente le nostre azioni.

Pazienza, Perseveranza, Sostenibilità e Gentilezza, sono le
nostre 4 virtù cardinali del marketing.
Pazienza
La pazienza viene spesso confusa con l’attesa inattiva dell’ineluttabile. Ossia una virtù
all’apparenza non proprio positiva perché in qualche modo riconduce ad un altro concetto, quello
della passività. Se fosse così, o se la intendessi così, di certo non l’avrei inserita tra le virtù a cui
tendere. Ben altro è il senso da cogliere. Affinché un progetto cresca, sia esso di natura
personale o professionale, ha bisogno di tempo. Questo aspetto dobbiamo averlo sempre
presente. Sviluppare la virtù della pazienza, ci permetterà di fissare degli obiettivi e di avere la
capacità di portarli avanti nel tempo. Quante volte hai lasciato perdere troppo in fretta un progetto
perché quello che volevi richiedeva più tempo di quanto pensavi o, meglio, di quanto eri disposto a
sopportare? Come vedi la pazienza non è sinonimo di passività, ma di azione ponderata.

Perseveranza
Agganciata alla pazienza, c’è un’altra virtù troppo spesso bistratta: la perseveranza. Perseverare
non è affascinante (come la pazienza) e non crea titoli di giornale. Hai mai visto un titolo del genere:
“Grande successo ottenuto dopo dieci anni di lavoro costante”? Molto più facilmente avrai visto
questo: “Grande successo ottenuto in soli sei mesi”. È proprio nella perseveranza che si trova
invece la chiave per raggiungere i propri obiettivi. Poniamo il caso che vuoi scrivere un libro
per poi magari pubblicarlo in self-publishing e promuoverlo sulle varie piattaforme social. Scrivere
200/300 pagine non è cosa semplice: come puoi riuscirci? Ecco, perseverare significa mettersi ogni
giorno a scrivere un certo quantitativo di pagine. Anche se non ne hai voglia, anche se quel giorno
non sei ispirato. Se l’obiettivo è chiaro – scrivere un libro – è con la perseveranza che sarai in grado
di farlo.

Sostenibilità
Se c’è un tema che ci porteremo avanti a lungo, certamente sarà quello della sostenibilità. Una
sostenibilità non solo legata alla cura dell’ambiente, ma ampliabile a tutta una serie di
altre situazioni. La nostra società sta cambiando e le spinte di rinnovamento arrivano da più parti.
Oggi le persone pretendono prese di posizioni forti da parte delle aziende. Il marketing e la
comunicazione sono chiamati ad un cambio di passo vero. I maggiori brand lo hanno capito, e
sembrerebbe anche le istituzioni. Non si può più pensare di continuare a perpetrare logiche passate:
dalla realizzazione del prodotto allo scaffale, passando per la sua promozione. Tutto deve essere
rivisto secondo un approccio sostenibile (e aggiungerei anche etico). Se vuoi fare la differenza
nei prossimi anni, non puoi prescindere da tutto questo.

Gentilezza
Al pari della pazienza, anche la gentilezza non sempre ha goduto di ottimi favori. Diciamoci la verità:
preferiamo essere considerati forti piuttosto che gentili. Una persona gentile spesso viene definita
buona, se non addirittura buonista (nel suo senso più negativo). Nulla di più sbagliato. Dal mio
punto di vista, una persona gentile è una persona sicura di sé, che non ha bisogno di alzare la
voce perché crede in quel che dice ed è anche una persona capace di creare un clima disteso e
collaborativo intorno a sé. E, tra parentesi, se anche fosse buona, o buonista, non ci vedrei nulla di
male, anzi. In un ambiente dove viene promosso questo approccio (che per essere efficace deve
essere vero e non soltanto fintamente riprodotto), le idee affiorano ed il confronto attivo diventa di
uso comune. In un mondo sempre più inondato dai dati, sarà proprio la capacità di discernerli a fare
la differenza. La componente umana quindi risulterà, quasi contro intuitivamente,
oltremodo centrale. Se poi riportiamo la gentilezza più propriamente al marketing e alla
comunicazione, ti chiedo… cosa preferisci: una azienda/professionista che strilla e che cerca di
convincerti a tutti i costi, o una azienda/professionista capace di parlarti e che cerca di persuaderti
della bontà della sua soluzione? Credo già di conoscere la risposta…

   Prima di salutarci, permettetemi una piccola nota: se non ve ne siete accorti questo è il nostro
   84simo numero in pubblicazione: abbiamo terminato il settimo anno di pubblicazione e Smart
   Marketing sta per entrare nel suo ottavo anno di vita. Per restare in tema con l’argomento del
   mese, essere arrivati sin qui è un reale piccolo segno di pazienza e perseveranza. Ma anche di
   sostenibilità ed etica: abbiamo sempre lavorato applicando rigorosamente le regole giornalistiche,
   anche in un periodo in cui le fake news e il clickbait sono ampiamente utilizzati per fare “numeri”,
   a tutti i livelli. E, infine, è un esempio di gentilezza: non alziamo mai i toni nei nostri contenuti e
   cerchiamo di spiegare ed approfondire con un linguaggio semplice (ma non banale) temi anche
   complessi. Spero che tutto questo sia visibile, ma soprattutto apprezzato da ognuno di voi. In tal
   caso, lasciami un commento…te ne sarei grato.

Buona lettura,

                                                                                              Ivan Zorico
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