Voci nella storia - Giulietta Simionato: la Cenerentola che divenne regina del canto - Connessi all'Opera

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Voci nella storia – Giulietta
Simionato: la Cenerentola che
divenne regina del canto
Ricorre il decimo anniversario della morte di uno dei più
celebri e versatili mezzosoprani del Novecento, Giulietta
Simionato, scomparsa il 5 maggio 2010 a 99 anni, solo pochi
giorni prima del suo centesimo compleanno. È giusto e doveroso
renderle omaggio in quanto Simionato rappresenta un raro
esempio di tenacia, lungimiranza, disciplina e duttilità
vocale, oltre a essere stata una primadonna dalla carriera
internazionale e compagna di palcoscenico ideale per molti
mostri sacri della lirica del secolo scorso, su tutti Maria
Callas, ma anche Jon Vickers, Franco Corelli, Renata Tebaldi,
Mario del Monaco, Joan Sutherland e tanti altri. È stato un
successo, quello di Simionato, sudato e tardivo, dopo una
lunga, faticosa e umiliante gavetta che, se si contano gli
esordi amatoriali nel 1927 e gli anni di comprimariato alla
Scala, si è estesa per ben vent’anni, ovvero fino al trionfo
scaligero nel 1947 come Mignon, uno dei suoi ruoli d’elezione
e vero spartiacque tra un periodo di semi-anonimato e il
periodo aureo dei successi internazionali (a età già avanzata)
conclusosi nel 1966 con l’inaspettato ritiro dalle scene, dopo
39 anni di carriera, di cui un trentennio al Teatro alla
Scala.

Per cantare, Simionato ha dovuto sempre lottare fin
dall’infanzia. Nata a Forlì nel 1910 da padre veneto e madre
sarda, trascorre i suoi primi anni di vita in Sardegna per poi
trasferirsi a Rovigo. Come spesso accadeva in quell’epoca, i
primi rudimenti musicali le vengono impartiti in un collegio
di suore, che le correggono una cattiva abitudine, tutta
sarda, di cantare a denti stretti, facendola esercitare con un
turacciolo di sughero in bocca. Ma Giulietta non poteva
coltivare questa passione con spensieratezza. Come ricordava:
“Ho sempre voluto cantare sin da bambina, in famiglia non
gradivano e io, nel farlo, mi chiudevo in bagno”. Dietro a
questo ostruzionismo una madre autoritaria che soleva dire:
“Ammazzerei mia figlia con le mie stesse mani, piuttosto di
vederla diventare una cantante”. Ma nel 1925 la madre viene a
mancare e dopo aver vinto un iniziale resistenza paterna,
Giulietta inizia a prendere lezioni di canto, dapprima con un
genialoide e tuttofare direttore di banda, Ettore Lucatello,
il quale le insegna come respirare correttamente con il
diaframma e la inquadra come mezzosoprano in base al colore
della voce, mettendola in guardia da chi negli anni a venire
cercherà di convincerla a cantare da soprano, nonostante la
sua notevole estensione. Successivamente prosegue gli studi
con il maestro Guido Palumbo a cui seguono alcune scritture
nei teatri del Veneto. Il primo riconoscimento importante, che
tuttavia non le spalanca alcuna strada, è la vittoria nel 1933
del concorso indetto dal Maggio Fiorentino dove la cantante ha
la meglio su altri 17 mezzosoprani esibendosi davanti a una
giuria presieduta da Umberto Giordano e sotto la bacchetta di
Tullio Serafin. Simionato canta in quell’occasione due arie
che diventeranno poi due suoi cavalli di battaglia “O mio
Fernando” da La favorita e “Non conosci il bel suol” da
Mignon. A premiarla, un’illustre cantante membro di giuria,
Rosina Storchio. Segue una prima audizione alla Scala che non
va a buon fine; Simionato viene ritenuta acerba e le viene
consigliato di studiare per altri due anni. La cantante non
demorde e vi torna nel ’35 dove viene scritturata con un
contratto “capestro” , come doppio per parti da comprimaria e
con obbligo di presenza a tutte le prove. Dal 1936 inizia
quindi un periodo fatto di umiliazioni, ristrettezze
economiche che metterà a dura prova la sicurezza dell’artista
e aprirà delle ferite mai rimarginate neanche dai successivi
anni di gloria. Ritenuta minuta di corporatura e dalla voce
troppo leggera in anni in cui dominava la giunonica Ebe
Stignani dalla voce sontuosa e dal repertorio vastissimo, ma
anche cantanti come Gianna Pederzini e Cloe Elmo, Simionato
finisce per cadere quasi nel dimenticatoio, relegata a parti
spesso di poche battute. Distaccatasi dalla Scala nel 1944, le
cose iniziano a volgere al meglio a guerra finita, nel 1945
quando la collega e impresaria Marisa Merlo la scrittura come
Dorabella nel Così fan tutte, prima a Ginevra e poi a Parigi,
oltre a infonderle nuova sicurezza. Il successo di pubblico e
critica è unanime. Nel frattempo alla Scala la competizione in
campo mezzosopranile rimane altissima anche per l’arrivo della
giovane Fedora Barbieri. Il maestro Serafin è il nuovo
direttore artistico del teatro milanese e memore di quel
concorso di 13 anni prima, scrittura la Simionato per Così fan
tutte. Bardolfo, alias Eugenio Gara, nota in quell’occasione:
“Giulietta Simionato, che alla Scala eravamo abituati a vedere
nelle ultime file, è adesso nella prima, come giusto”. Dopo un
caloroso successo a Glyndebourne come Cherubino, arriva la
vera rivelazione alla critica e al grande pubblico con il
trionfo scaligero del 1947 in Mignon di Thomas, a fianco di un
giovanissimo Di Stefano. Sempre Bardolfo per il periodico
Candido dopo una recita di Mignon: “Fra tanti esecutori ancora
selvaggi, che s’aggirano nel mondo lirico come una foresta, la
Simionato è un bell’esempio di civiltà. Tutto, in lei, è messo
al servizio della musica: la costanza del dominio dello
spirito sulla voce, l’espressione dalle origini sempre nobili,
il disegno del personaggio senza ricalcature oleografiche”. La
natura è vero, ha imposto dei limiti a questa cantatrice,
eppure l’impegno le consentirà forse più di un evasione”. La
cantante che era entrata al Teatro alla Scala dalla porta di
servizio era riuscita insomma a rifarvi ingresso questa volta
dalla porta principale.

Dotata di una voce dai riflessi bruniti e ben estesa (circa
due ottave e mezzo) seppur non molto voluminosa per gli
standard dell’epoca (il giudizio cambierebbe in base agli
standard odierni), ma comunque ben proiettata, con facilità in
acuto, medi ricchi e bassi consolidati nel tempo, Simionato
poteva fare affidamento su una tecnica ferrea ed emissione
uniforme che le consentivano di abbandonarsi a livello
espressivo senza mai perdere il controllo o mettere a
repentaglio il suo strumento cedendo alla voga dell’epoca di
un canto enfatico e roboante. Uno strumento profondamente
duttile, che nel corso della sua carriera le ha permesso di
affrontare sia la flessibilità belcantistica che la vocalità
tesa verdiana.

Per una combinazione di eventi ma anche intuizioni personali,
Simionato ha scelto il repertorio con cautela e intelligenza
arrivando a fine carriera a un totale di ben 107 titoli
(incluse le parti minori del periodo di gavetta).
Nell’immediato dopoguerra, oltre ai già citati Mozart e Thomas
e al Werther di Massenet, è una delle protagoniste del revival
belcantistico soprattutto come interprete rossiniana,
interpretando ruoli come Rosina, Isabella, Sinaide, Tancredi
(nel primo revival del ‘900 sotto la bacchetta di Tullio
Serafin al Maggio Musicale Fiorentino) e poi il ruolo tanto
sognato, Angelina nella Cenerentola con la regia di
Zeffirelli. Come confidato a Rodolfo Celletti nel 1974 nella
trasmissione “Una vita per la musica”, Cenerentola era insieme
a Mignon il ruolo del cuore per Simionato soprattutto per
un’immedesimazione con le vicissitudini del personaggio; anche
lei come Angelina aveva subito numerose angherie, salvo poi
trovare la felicità e l’amore (il secondo marito, il celebre
medico e accademico Cesare Frugoni). Ascoltato oggi, il
Rossini di Simionato non sorprende per virtuosismo in senso
stretto, ma la nobiltà del canto e la fluidità delle agilità è
innegabile e rappresenta comunque un passo avanti notevole
rispetto agli standard esecutivi degli anni ‘30 quando la
coloratura veniva affrontata in maniera alquanto
approssimativa. Tra gli altri titoli rossiniani ricordiamo La
Pietra del Paragone, Le Comte Ory, e Semiramide alla Scala, a
fianco di Joan Sutherland.

Fu soprattutto Verdi però, a detta stessa di Simionato, a
farla crescere nelle sue possibilità interpretative e, titolo
dopo titolo, la cantante è diventata un’interprete verdiana
eccellente complice uno strumento ormai ricco, tornito e dalla
fierezza d’accenti. Preziosilla, Ulrica, ma soprattutto
Amneris, Azucena, Eboli. Sono delle prestazioni entrate nella
storia che esaltano all’ascolto; si pensi al duetto del IV
atto di Aida (video), a “Stride la vampa” dal Trovatore e a “O
don fatale” dal Don Carlo. Acuti fulminanti e pieni dal
vibrato veloce ma mai ballerino, un ricco registro di petto e
un’intensità drammatica sostenuta dalla tecnica, occhi
magnetici quasi posseduti: sono tutte componenti che delineano
l’interprete Simionato in questo repertorio. Se il Belcanto e
Verdi rappresentano i cardini della carriera, altri ruoli
importanti sostenuti dal mezzosoprano sono Carmen (ruolo
interpretato per 29 recite alla Scala), Dalila, Santuzza ma
anche Orfeo. Adorata da Karajan, stabilisce negli anni ’50 una
proficua collaborazione con il Festival di Salisburgo mentre
negli Stati Uniti ha un rapporto speciale con la Lyric Opera
di Chicago.

Tutti gli artisti che hanno cantato con lei ne hanno lodato i
pregi e l’incredibile facilità esecutiva su tutta la gamma, ma
un capitolo a parte bisogna riservarlo al sodalizio artistico
con Maria Callas. Dal 1950 al 1965, Simionato è il
mezzosoprano di riferimento della Callas, chiamato con affetto
“Giulia” dalla Divina. Ammirazione professionale reciproca e
una sincera amicizia scandiscono questo sodalizio.
Diversissime di carattere ma in qualche modo complementari
nella vita e sulle scene (Simionato dava sicurezza alla Callas
mentre quest’ultima spingeva Simionato alla perfezione), hanno
raggiunto vette artistiche ineguagliabili. Due titoli su
tutti: Norma e Anna Bolena. Il primo rappresentato diverse
volte in tutto il mondo (tra cui citiamo la prima scaligera
del 1955 e le recite al Covent Garden del 1953 dove venne giù
il teatro), il secondo nel 1957 (con replica nella stagione
successiva). Tra gli spettatori di quelle recite di Anna
Bolena con la regia di Visconti e la direzione di Gavazzeni,
vi fu la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di
eccezionale, di storico, con un cast in stato di grazia e una
direzione elettrizzante. È impossibile non farsi trascinare
dal duetto del secondo atto “Sul suo capo aggravi un Dio”
(ascolto) e questo anche grazie alla comunione di intenti e
all’abilità tecnica di entrambe. La morte della Callas lascerà
in Simionato il rimpianto di non esserle stata vicina
abbastanza negli anni della depressione e indelebile nella sua
memoria rimarrà il ricordo di quelle parole pronunciate da
Maria nel loro ultimo incontro a Parigi: “Giulia, ricordati
che Maria ha cominciato a morire quando ha abbandonato la
musica”. Un finale melodrammatico di una partnership
professionale che ha fatto la storia.

Dopo 39 anni di carriera, in occasione del trentesimo
anniversario della suo debutto scaligero, Simionato abbandona
la carriera nel febbraio del 1966, interpretando un piccolo
ruolo nella Clemenza di Tito alla Piccola Scala. Una scelta
che lascia di stucco i suoi fan ma che alla lunga mostra la
lungimiranza di un’artista lucida e consapevole di lasciare
all’apice e in salute vocale oltre all’umiltà di colei la
quale, entrata alla Scala dalla “porta piccola” usciva
sommessamente dalla “Scala piccola”, senza trionfi e
autocelebrazioni. L’abbandono delle scene coincide con la
scelta di sposarsi finalmente con il suo compagno di lunga
data Cesare Frugoni, dopo la fine sfortunata dei precedenti
infelici matrimoni di entrambi. La Cenerentola aveva trovato
finalmente, anche se tardivamente, il suo principe azzurro.
Negli anni successivi, Simionato si dedica alla vita coniugale
e sono sporadiche le apparizioni come membro di giuria in
concorsi canori. Tutti però la ricordiamo nelle sue
apparizioni televisive o alle prime di Sant’Ambrogio.
L’eleganza e l’aristocrazia dei gesti e del parlare è rimasta
fino all’ultimo pari alla nobiltà del suo canto: un misto di
cuore, cervello e voce, come amava dire lei. Sembra una
banalità, ma non lo è affatto ed è merce rara al giorno
d’oggi.
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