Voci nella storia - Lucia Valentini Terrani: la voce di velluto innamorata di Rossini - Connessi all'Opera
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Voci nella storia – Lucia Valentini Terrani: la voce di velluto innamorata di Rossini Ci sono delle voci che rapiscono fin dal primo ascolto per colore, sensibilità e misura. Tra queste, spicca Lucia Valentini Terrani (1946-1998), una delle più grandi belcantiste italiane del Novecento e una delle voci protagoniste della Rossini Renaissance (se non la più rilevante almeno in Italia) che ha contribuito, sulla scia delle illustri colleghe Teresa Berganza e Marilyn Horne, a riportare definitivamente il repertorio rossiniano in territorio mezzosopranile e contraltile dopo le distorsioni della prassi esecutiva del primo Novecento. La prima difficoltà nel parlare di questa artista sta proprio nel classificarla dal punto di vista di registro vocale e lei stessa non amava queste classificazioni. Per colore, estensione e facilità nelle agilità, Lucia Valentini Terrani è stata un grande mezzosoprano di coloratura ma per pastosità timbrica e corposità dei bassi poteva essere facilmente definita un contralto, o meglio contralto d’agilità. Un contralto rossiniano con buona estensione, in possesso di una vocalità femminile e maschile al tempo stesso, adatta per interpretare il travesti e la primadonna buffa. Non stupisce quindi che a oggi sia contralti puri che mezzosoprani la considerino un punto riferimento imprescindibile a cui guardare con ammirazione. Lucia Valentini Terrani era dotata di una tecnica solida e sempre allenata, un timbro caldo dai riflessi bruniti e un’emissione morbida e vellutata con lunghi fiati ben sostenuti e mai aspirati. La voce era ampia e sonora, ricca di armonici, ben estesa e complessivamente omogenea, al netto di qualche debolezza nel passaggio dai medi ai gravi e qualche problema negli attacchi in acuto specialmente a carriera
avanzata. In fondo si tratta di difetti trascurabili, in quanto lo strumento vocale era di una preziosità rara. Esigente con se stessa, prudente nelle scelte di repertorio, studiosa e altamente professionale (celebri sono le sue prove a memoria senza spartito), Valentini Terrani concepiva il canto come un delicato equilibrio tra virtuosismo, misura, eleganza e temperamento. In questo senso, pur non prescindendo da una tecnica curata nel dettaglio come apparato razionale e organizzato, la cantante rimaneva nei confini del gusto senza strafare o senza la voglia di ostentare. Allo stesso tempo, l’artista non aveva paura di lavorare su una gestualità molto marcata (specialmente in concerto) e una caratterizzazione intensa. Da questo punto di vista, si può affermare che Valentini Terrani sia stata una risposta tutta italiana che si colloca forse a metà strada tra il canto aristocratico, nitido e smaltato di Teresa Berganza e il pirotecnico canto di bravura fatto di notine e fastosa agilità di Marilyn Horne. Anche se le vette della cantante americana, una solida macchina da guerra, rimangono ineguagliate, Lucia Valentini Terrani aveva tutte le caratteristiche della fuoriclasse. Lucia Valentini (che poi acquisirà anche il cognome d’arte del marito, l’attore Alfredo Bolognesi, in arte Alberto Terrani – sposato nel 1973 e poi divenuto suo consulente e manager) nasce a Padova il 29 agosto 1946. Viene avviata al canto dal padre e le sue prime infatuazioni musicali sono le canzoni di Milva e Mina. Il legame speciale con Rossini ha inizio fin dagli studi al conservatorio Cesare Pollini di Padova, dove la maestra Adriana Rognoni le impartisce solida fondamenta tecniche e stilistiche per affrontare sia il repertorio rossiniano che la musica antica. Ancora fresca di conservatorio, Valentini debutta nel 1969 al Teatro Grande di Brescia nella Cenerentola. La svolta arriva solo tre anni più tardi, nel 1972, quando in occasione dei centottant’anni dalla nascita del compositore pesarese e a un anno di distanza dal concorso nuove voci verdiane che aveva visto la vittoria di Katia Ricciarelli, la RAI indice un altro concorso, questa
volta finalizzato alla ricerca di nuove voci rossiniane. In giuria, una sere di nomi importanti: Rossi Lemeni, Bechi, La Rosa Parodi e la pioniera della riscoperta rossiniana Giulietta Simionato. Diversi i vincitori nelle varie categorie, ma fra tutti si impone Lucia Valentini che al concorso si esibisce in “Una voce poco fa” e in “Cruda sorte”, mostrando una voce rotonda e matura, oltre a una notevole presenza scenica e sicurezza nel sciorinare le colorature con fluidità. Inutile dirlo, ma il concorso è un trampolino di lancio e nel 1973 Lucia viene chiamata a sostituire con pochissimo preavviso la rossiniana di rango Teresa Berganza in Cenerentola alla Scala di Milano. Va in scena la splendida produzione senza tempo di Jean Pierre Ponnelle sotto la bacchetta di Claudio Abbado. Valentini conquista pubblico e critica e allo stesso tempo partecipa a un evento storico della riscoperta rossiniana grazie alla lettura intelligente di Abbado e un allestimento che esaltava la musica e il teatro di Rossini, riportandoli alla matrice nobile del melodramma ottocentesco. Seguono debutti internazionali importanti (Parigi, Mosca, New York, Buenos Aires, Chicago). La stessa produzione di Cenerentola portata in tournée dalla Scala susciterà al Covent Garden un vero e proprio “furore”, come riportato dalla stampa inglese. Valentini è diventata da allora l’Angelina per antonomasia, grazie a un equilibrio tecnico, stilistico, timbrico e interpretativo difficilmente replicabile (ascolto). Valentini è stata poi Rosina nel Barbiere di Siviglia e Isabella nell’Italiana in Algeri di Abbado e Ponnelle. Ha quindi ricoperto i principali ruoli en travesti: Tancredi, Malcolm in La donna del lago, Pippo nella Gazza ladra, Calbo in Maometto II, Arsace in Semiramide. L’interprete riusciva a conferire il giusto umorismo ambiguo al Rossini buffo, mentre i guerrieri del Rossini serio venivano caratterizzati con umanità, piglio eroico e malinconia. La voce riusciva a piegarsi alle agilità di forza del Rossini serio senza rendere la musica artificiosa o sovraccaricata. Parlando di Rossini, non si può prescindere dal menzionare la lunga collaborazione di Valentini con il
Rossini Opera Festival, dove dal 1982 al 1992 canterà due volte Tancredi, La donna del lago, Maometto II e soprattutto la prima ripresa moderna del Viaggio a Reims in seguito alla ricomposizione dello spartito. Un altro tassello importante della riscoperta rossiniana, di cui ancora una volta Lucia era protagonista. Sul palco del ROF ma anche altri palcoscenici prestigiosi, Valentini Terrani ha stabilito un lungo sodalizio artistico con il soprano Katia Ricciarelli, sua coetanea e anch’essa accomunata dalla vittoria del Concorso RAI. È stato un incontro artistico riuscitissimo: le due voci si armonizzavano perfettamente ed erano accomunate da morbidezza di emissione, timbro vellutato e intenti espressivi sia nei duetti appassionati che nei momenti più prettamente malinconici dove le due riuscivano a creare un’atmosfera magica. Valentini e Ricciarelli, al netto di qualche screzio, sono rimaste care amiche fino all’ultimo, e come ricordato da Alberto Terrani: “quando salivano sul palcoscenico era il miracolo. Le loro due voci erano nate per essere insieme: lì si volevamo veramente bene! Una voleva il trionfo dell’altra, e viceversa”. Nel 1990 a Lucia Valentini Terrani viene assegnato il premio Rossini d’Oro con la seguente motivazione: “per la nobiltà e l’intelligenza musicale, non meno ammirevoli del virtuosismo, per cui si distingue la sua vocazione rossiniana”. Nel 1981 aveva ricevuto il Premio Abbiati dalla critica musicale italiana, quale migliore interprete femminile. Nelle note di copertina di un suo cd di arie rossiniane, Rodolfo Celletti spese le seguenti parole per la cantante padovana: “il vocalizzo rapido, le cui note scintillano scandite con meticolosa nettezza, l’estrosa variazione acrobatica, la volata vertiginosa prorompono intensi e luminosi. Levigati, anche geometrici, ma illuminati dalla tensione interna e dalla foga di chi i valori poetici della dialettica rossiniana sa coglierli dovunque: nel fiabesco immaginoso, nella roulade allucinante e nella melodia che teneramente ondulando diffonde struggimenti d’un tempo che non era più nostro che adesso
stiamo recuperando. La ragazza di Padova a questo recupero ha prestato quanto di meglio poteva offrire: una vocazione autentica a cantare Rossini”. Al di fuori della specializzazione rossiniana, Valentini Terrani si è concentrata sulla musica barocca (memorabile è la sua sensuale e vendicativa Alcina nell’Orlando furioso di Vivaldi – ascolto) e sul repertorio francese (un’intensa Charlotte nel Werther ma anche una dolce Mignon, Dulcinea nel Don Chisciotte e Carmen che fu una conquista tardiva e molto ponderata). Ricordiamo poi il successo nella parte di Marina nel Boris Godunov, interpretata con autorevolezza. La cantante è stata poi un’interprete sensibile di musica sacra, interpretando il Magnificat di Vivaldi, il Requiem di Verdi, lo Stabat Mater di Pergolesi, il Deutsches Requiem di Brahms, lo Stabat Mater e la Petite Messe Solennelle di Rossini. In quest’ultima, la Valentini eccelle per sensibilità musicale in “Agnus Dei” rendendo lo struggimento di un canto che chiede pietà e pace interiore all’Agnello di Dio e cogliendo tutta la sublime spiritualità di questa musica. La cantante ha anche frequentato il repertorio concertistico e cameristico (Bach, Brahms, Beethoven, Mahler, Berlioz), scelta più da contralto anglosassone se vogliamo, mentre ha selezionato con prudenza i titoli verdiani: ha inciso Nabucco, Falstaff e un ottimo Don Carlos in francese, mentre si è tenuta prudentemente lontana dai ruoli da mezzosoprano acuto donizettiano, verdiano e verista. Un capitolo a parte è riservato ai grandi direttori che hanno lavorato con la cantante padovana. L’incontro con Claudio Abbado è stato fondamentale: insieme hanno portato in scena tante volte le loro letture innovative di Rossini, ma Abbado ha voluto la Valentini anche in occasione di numerosi concerti, tra cui l’inaugurazione dell’Orchestra Filarmonica della Scala. Altri direttori prediletti sono stati Carlo Maria Giulini, Alberto Zedda e George Prêtre. La sua ultima apparizione sulle scene è stato il debutto nel
1996 nella Grand-Duchesse de Gérolstein di Offenbach al Festival di Martina Franca. Un ultimo successo personale, nonostante un certo affaticamento vocale che si era fatto spazio a partire dai primi anni ’90, comunque opportunamente domato attraverso lo studio e il controllo dello strumento. Sempre nel 1996 giunge come un fulmine a ciel sereno la diagnosi di leucemia. Nella speranza di sconfiggere la malattia Valentini Terrani si reca a Seattle con il marito per essere curata al Fred Hutchinson Cancer Research Center, dove era stato trattato con successo il collega José Carreras. Purtroppo un destino diverso attendeva Lucia Valentini Terrani, spentasi prematuramente a Seattle l’ 11 giugno 1998, a soli 51 anni, per le complicazioni di un trapianto di midollo osseo. È una scomparsa che ha turbato tutti i suoi ammiratori, non solo per la crudeltà della sorte, ma soprattutto per la consapevolezza di aver perso una voce preziosa, di quelle che nascono di rado. Ma è giusto ricordare che un talento come quello della Valentini Terrani è stato soprattutto il frutto di un lavoro certosino, costante, durato anni, senza pazzie, senza scelte irrazionali e supportato invece da tanta intelligenza, studio e integrità professionale. Come affermato dalla stessa artista in un’intervista nel 1995: “Questo è un lavoro di grande artigianato, bisogna stare accanto a questo strumento con tanto amore, con tanta modestia, con tanta umiltà”. Sono poche parole, ma descrivono benissimo la bussola che Valentini Terrani ha tenuto sempre presente per tutta la sua carriera. Dopo la sua morte, il marito Alberto Terrani si è speso attivamente e generosamente per tenerne in vita la memoria attraverso numerose iniziative in campo culturale e artistico. Un segno di memoria tangibile è invece la Casa di accoglienza a Padova che porta il nome dell’illustre concittadina e dove vengono ospitati a prezzi modici pazienti che necessitano di terapie in ospedali della zona o per le famiglie che li accudiscono. Una targa nella struttura padovana riporta queste toccanti parole di Lucia: “La musica è un colore in più che abbiamo a nostra disposizione per rivolgere lodi a Dio”.
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