Tra bambini e città Centro territoriale Mammut, resoconto di un tentativo in corso

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Tra bambini         e    città
       Centro territoriale Mammut,
        resoconto di un tentativo in corso
Premessa

    Gli interventi che compongono questo breve opuscolo del centro territoriale Mammut
nascono dal desiderio di leggere i contorni della trama disegnata sin qui dal procede-
re nostro e di chi ci ha seguito e supportato da lontano. Non ci interessa incasellare e
ingessare uno degli aspetti che, nel bene e nel male, ha caratterizzato l’agire di questo
primo anno di lavoro, ovvero la sua irriducibilità alle categorie usuali con cui normal-
mente vengono recintati e controllati individui, metodi, strumenti, vocabolario e obiettivi
dell’intervento sociale e pedagogico. Ci interessa dargli, attraverso una narrazione con-
divisa, maggiore efficacia.
    Sebbene rimanga una delle tensioni ideali che orienta la nostra progettualità e i nostri
tentativi pedagogici, non ci illudiamo certo di poter già parlare in termini di “scuola nuo-
va” per le attività, territoriali e “itineranti” messe in piedi fin qui. Ma rimane il fatto che
di una “scuola” e di un’idea di “formazione” radicalmente diverse sentiamo un profondo
bisogno. Quello che conosciamo bene e che ci ha spinto a riunirci, alla spicciolata, intorno
a un progetto che si sforzasse di costruire delle alternative, è un certo modo di “fare scuo-
la” e “fare educazione” profondamente arido e pericoloso. O meglio, pericoloso perché
arido. Perché incapace di rispondere alle esigenze di quella che Goodman ebbe ancora
il coraggio di chiamare la “natura” dei bambini e dei ragazzi e produttore per questo di
un’umanità amputata, castrata, incapace di risposte intelligenti, alte, nobili e profonde.
    Siamo convinti che per restituire centralità all’educazione si debba lavorare oggi
soprattutto in due direzioni. Da una parte ridurre l’influenza della “sfera pedagogica”,
liberare cioè i troppi spazi occupati dalle innumerevoli forme di educazione “obbligata”
e “professionale”. In una società in cui ogni forma di apprendimento sembra essere stata
“scolarizzata”, bisogna ribadire con forza che non tutto ciò che si apprende deve esse-
re insegnato, che esiste una fondamentale dimensione nella formazione dell’uomo che
non può essere guidata, ma necessita di spazi vuoti, di esplorazioni spontanee e libere, di
scoperte del territorio e sperimentazioni di relazioni. Dall’altra, e strettamente collega-
ta, l’importanza per chi fa educazione di lavorare anche e soprattutto sul contesto per
renderlo in qualche modo più “educante”. A partire da quello immaginativo, dalla rap-
presentazione che il mondo adulto – quello mercenario dei media o quello ansiogeno e
securitario di “esperti” e genitori – danno dell’universo infantile.
    Per questo apriamo su questi temi con un intervento “di contesto” – frutto di un in-
contro pubblico organizzato a gennaio, sul tema “adolescenti e città” – di Stefano Laffi,
ricercatore sociale di Milano che cerca di smontare il “disordine del discorso” che riguarda
giovani e adolescenti e la rappresentazione deformante e ambigua restituita da media ed
“esperti” della formazione.
    Con il resoconto di un anno da Mammut si apre la sezione centrale dell’opuscolo cu-
rata dal centro territoriale, che prosegue focalizzando il racconto e l’analisi su due delle
diverse azioni portate avanti in questo primo anno di lavoro: la scuola del viaggio del
Progetto Corridoio e il lavoro di “liberazione partecipata” di un piccolo spazio pubblico
tra i sette palazzi di Scampia.
Juan de Mairena, strano pedagogo
                                                                                                      di Antonio Machado
    Uno degli aspetti che ha accompagnato la nascita del Mammut è stato il bisogno di
formarci e formare contemporaneamente al procedere della pratica, di costruire cultura
dell’educazione, di tentare una piccola risposta alla sottovalutazione del bisogno di teo-
ria che caratterizza tanta parte delle pratiche educative e sociali del nostro paese. A que-           Fra i massimi poeti del secolo scorso, Antonio Machado pubblicò nel 1936, col titolo
sto scopo chiudiamo la sezione condividendo un’idea di ricerca e formazione pedagogica             di Juan de Mairena, una raccolta di poesie in prosa da cui sono tratti gli aforismi, le testi-
di cui siamo ancora alla ricerca, fondata più sulla capacità di porsi le domande giuste,           monianze inventate, gli aneddoti e i motti paradossali di argomento pedagogico che qui
che su quella di cercare facili risposte; restituendo il frutto di una piccola ricognizione        riproponiamo. L’interesse per i suoi versi non nasce solo dalla profondità con cui riesce
critica, ancora in corso, sulla legislazione e i servizi che in Campania organizzano e rego-       a delineare in pochi tratti una personalissima “filosofia dell’educazione”, ma anche dal-
lano la formazione e il lavoro dei giovani; e infine divulgando la bozza di un programma           la straordinaria esperienza pedagogica della scuola “libera” di istruzione superiore che
di formazione (la scuola per formatori Mammut) che speriamo di poter condividere con               quella filosofia tentò di mettere in pratica: l’Institución Libre de Enseñanza, che Machado
altri curiosi e inquieti che, in altre parti d’Italia e in altri ambiti di intervento, si stanno   fondò insieme ad altri intellettuali e professori universitari (fra cui Unamuno e Ortega y
ponendo domande simili alle nostre.                                                                Gasset), allontanati dall’insegnamento per aver denunciato l’ipocrisia e la corruzione del
    Esiste un livello del pensiero, un ordine di problemi dove la verità non può esprimersi        governo spagnolo. La Institución ebbe un’erede altrettanto importante: la Residencia de
che sotto forma di “narrazioni” e attraverso la bellezza. Per questo abbiamo deciso di af-         Estudiantes fondata da Alberto Jménez nel 1910, dove si formò, fra gli altri, Garcia Lorca.
fidare ai versi narrativi di Antonio Machado il compito di aprire l’opuscolo e tratteggiare,       “Credo che mai, dal primo Medio Evo”, scrive Colin Ward, “una scuola abbia dato risultati
con la pedagogia del suo alter ego Juan de Mairena, la “scuola di sapienza popolare” alla          così straordinari nella vita di una nazione, in quanto è stato essenzialmente per merito
cui costruzione vorremmo provare a contribuire.                                                    della Institución e della Residencia che la cultura spagnola si è improvvisamente innal-
                                                                                                   zata a un livello mai raggiunto nei tre secoli precedenti”.
                                                                                                       La selezione dei versi che seguono fu tradotta in italiano dalla rivista Linea d’ombra,
                                                                                                   nell’ottobre del 1991.

                                                                                                       Juan de Mairena aveva pensato di fondare al suo paese una Scuola Popolare di Sa-
                                                                                                   pienza. Rinunciò a questo proposito quando morì il suo maestro, al quale aveva destina-
                                                                                                   to la cattedra di Poetica e Metafisica. A sé riservava la cattedra di Sofistica.
                                                                                                       - È un peccato - diceva - che siano sempre i migliori propositi quelli che vanno a finir
                                                                                                   male, mentre le ideucole degli stupidi, inventori di espedienti e mestatori della peggior
                                                                                                   specie, prosperano…

                                                                                                                                                ***
                                                                                                       Ma io vorrei lasciare seminato nelle vostre anime il proposito di una Scuola Popolare
                                                                                                   di Sapienza Superiore. E badate bene che superiore non sarebbe la scuola, ma il grado di
                                                                                                   sapere che vi si potrebbe raggiungere. Conviene distinguere. Perché noi non diciamo: “II
                                                                                                   sapere va bene per il popolo” come dicono “La religione va bene per il popolo” quelli che
                                                                                                   non credono più. Questi in fin dei conti danno quello che disprezzano, e noi daremmo
                                                                                                   quello che più veneriamo, un sapere di prima qualità.

                                                                                                                                                ***
                                                                                                       Per essa ci occorre - seguita a parlare Mairena - un uomo straordinario, qualcosa di
                                                                                                   più di un buon esemplare della nostra specie: ma non un maestro alla maniera di Za-
                                                                                                   ratustra, di cui non potremmo sopportare l’insolenza etico-biologica più di otto giorni.
                                                                                                   Il nostro uomo dovrebbe stare sulla linea tradizionale protagorico-socratica-platonica
                                                                                                   e anche, in modo convergente, su quella cristiana. Giacché dalla nostra Scuola non
                                                                                                   dovrebbe neppure uscire una nuova scolastica, la quale suppone una Chiesa e un Potere
6         machado                                                                                                                                               uno strano pedagogo           7

politico più o meno d’accordo nel difendere e tutelare un dogma, col suo tabù corri-                                                            ***
spondente, bensì tutto il contrario. Il nostro uomo non avrebbe nulla del sacerdote, né          Lentamente e con bei caratteri
del sacrificatore, né del catechista, così come i suoi alunni nulla di settario, ne di parroc-   fare le cose bene
chiale e nemmeno di catecumeno. Rispetteremmo l’aforisma delfico, che tradurremmo                è più importante che farle.
nella lingua romanza in forma più persuasiva che imperativa: Conviene che tu cerchi,
ecc. E aggiungeremmo: “In questa scuola non entri nessuno che creda di sapere nulla di                                                      ***
nulla, neppure di Geometria, che noi studieremmo forse come scienza essenzialmente               Imparò tante cose - scriveva il mio maestro
inesatta. Poiché la finalità della nostra scuola, con le sue due cattedre fondamentali,          alla morte di un suo amico erudito - che non
come due lame di una stessa forbice, cioè la cattedra di Sofistica e quella di Metafisi-         ebbe tempo di pensare a nessuna di esse.
ca, consisterebbe nel rivelare al popolo, voglio dire all’uomo della nostra terra, tutto il
raggio della sua possibile attività pensante, tutta l’enorme zona del suo spirito che può                                                         ***
venire illuminata e, di conseguenza, oscurata; nell’insegnargli a ripensare il pensato, a             “Ma noi vogliamo essere sofisti, nel miglior senso della parola o, detto più modesta-
dimenticare l’appreso e a dubitare del proprio dubbio, che è il solo modo di cominciare          mente, in uno dei sensi buoni della parola: vogliamo essere liberi pensatori. Non vi stra-
a credere in qualcosa”.                                                                          nite. Noi non pretenderemo che ci sia lecito dire tutto quello che pensiamo di male del
    In altra occasione ci occuperemo del piano, orientamento, metodo e programmi di              monarca, dei Governi, dei vescovi, del Parlamento, ecc. La libera emissione del pensiero
questa possibile Scuola di Sapienza.                                                             è un problema importante ma secondario, e subordinato al nostro, che è quello della
                                                                                                 libertà del pensiero stesso. Per ora ci chiediamo se il pensiero, il nostro pensiero, quello
                                               ***                                               di ognuno di noi, può prodursi in piena libertà indipendentemente dal fatto che, subito
(Esame alla Scuola di Sapienza)                                                                  dopo, ci sia concesso o meno di emetterlo. Diciamolo rettoricamente: a che ci servirebbe
- Pesco tre palline?                                                                             la libera emissione di un pensiero schiavo?
- Basta una.                                                                                          Di qui i nostri esercizi in classe, alcuni che sembrano di logica e altri di sofistica nel
- Lezione 24. “Sul giudizio”.                                                                    senso deteriore della parola, ma che in fondo sono sempre Rettorica, e di quella buona,
- Avanti.                                                                                        Rettorica di sofisti o catecumeni del libero pensiero. Noi vogliamo rafforzare e sveltire
- Conosciamo tre tipi di giudizi per mezzo dei quali l’uomo esprime la sua inguaribile           il nostro pensiero per imparare da esso stesso quali sono le sue possibilità, quali i suoi
aspirazione all’oggettività. Per riconoscerli ci basteranno tre esempi.                          limiti; fino a che punto si produce in modo libero, originale, di propria iniziativa, e fino a
Primo esempio: “Dio è giusto”. Questo è quanto noi crediamo nel caso che Dio esista.             che punto ci appare limitato da norme rigide, da consuetudini mentali non modificabili,
Secondo: “L’uomo è mortale”. Questo è quello che ci pare di aver notato fino a oggi.             da impossibilità di pensare altrimenti. Badate a questo, che è molto grave!...”
Terzo: “Due più due fanno quattro”. Questo è ciò che probabilmente tutti pensiamo.
Chiamiamo il primo “giudizio di credenza”; il secondo, “giudizio di esperienza”; il terzo                                                       ***
“giudizio di ragione”.                                                                           Aiutatemi a comprendere quello che dico
- E con quale di queste tre classi di giudizi crede lei che l’uomo riesca a avvicinarsi a una    e ve lo spiegherò più adagio.
verità obiettiva, intendiamoci, a una verità che sarebbe in ultima analisi indipendente
da questi stessi giudizi?                                                                                                                      ***
- Forse con tutt’e tre; forse con qualcuno dei tre; può anche darsi con nessun dei tre.             In fondo Mairena era - nonostante la sua apparenza serafica - un uomo molto per-
- S’accomodi.                                                                                    maloso. Talvolta ricevette l’iraconda visita di qualche padre di famiglia che si lamentava
- !?                                                                                             non della bocciatura toccata a suo figlio, ma della poca serietà dell’esame. La scenata, se
- In questa materia lei è bocciato; può passare alla seguente.                                   pure rapida anch’essa, era inevitabile.
                                                                                                    - Per bocciare un ragazzo a lei basta vederlo? - diceva il visitatore spalancando le
                                              ***                                                braccia con un gesto ironico di enfatico stupore.
Indovina quello che voglio                                                                          Mairena, rosso di collera, picchiando il bastone sul pavimento rispondeva:
dirti ciò che dico.                                                                                 - Mi basta vedere suo padre!
Io ti do la matassa,
tirane tu il gomitolo.
Mi piacerebbe vedere i miei occhi. Rappresentazioni dell’adolescenza
                                                                                                 di Stefano Laffi
                                          ***
   Sulla Pedagogia Juan de Mairena, nei suoi momenti di malumore, diceva: “Un peda-
gogo c’è stato; si chiamava Erode”.
                                                                                                    Il disordine del discorso
                                               ***
   Dell’insegnamento religioso il mio maestro diceva: “la verità è che non lo vedo da                In una società della comunicazione i temi sensibili non possono che essere inquinati
nessuna parte”. E c’è chi parla di sostituirlo con un altro. Dovevo sentire anche questa!        di troppe parole, di ragionamenti fuorvianti, di opinionismo dilagante, di espertismo
                                                                                                 da salotto televisivo. Quasi sempre la prima operazione da fare è liberarsi delle cornici
                                            ***                                                  nelle quali il tema è posizionato, evitare il ricatto dello schieramento fra punti di vista
   ... Cercate soprattutto di non far morire la lingua viva, che è il grave pericolo delle       già confezionati, mettere in crisi tutto ciò che è dato come vero, interrogarsi sistemati-
aule.                                                                                            camente su quale rapporto diretto col tema ha chi parla, confrontare il racconto con il
                                                                                                 proprio vissuto. Dopo questa azione ecologica, resta ben poco, emerge altro. Prendiamo
                                               ***                                               gli adolescenti, meglio la loro rappresentazione in tre grosse casse di risonanza, coglie-
    Noi non pretenderemmo mai di educare le masse. Che il diavolo le porti. Noi dirigia-         remo il rumore.
mo l’uomo, che è il solo che ci interessa; l’uomo in tutti i sensi della parola: l’uomo in ge-       In questo momento in Italia ci sono continue serate di genitori, organizzate da loro
nere e l’uomo individuale, l’uomo essenziale e l’uomo empiricamente dato in circostanze          associazioni, scuole o altri, che si interrogano sui figli. È un fenomeno endemico, molto
di luogo e di tempo, senza escludere l’animale umano nei suoi rapporti con la natura. Ma         diffuso e molto partecipato, singolare perché sono genitori (molto spesso madri) che
l’uomo massa non esiste per noi. Se anche il concetto di massa si può applicare adegua-          rinunciano a stare a casa con i figli pur di seguire l’incontro con l’esperto, titolo che è
tamente a tutto ciò che raggiunge volume e materia, non serve per aiutarci a definire            capitato anche a me. Il paniere di domande che stanno attraversando le famiglie italiane
l’uomo, poiché questa nozione fisico-matematica, non contiene un atomo di umanità.               con adolescenti è più o meno lo stesso: chi sono, cosa sono diventati, che possiamo
Scusate se vi dico cose di cosi spiccata ingenuità. Ai nostri giorni bisogna dire tutto. Poi-    fare. È una domanda onesta, molto sentita, il disorientamento è evidente, in alcuni casi
ché quelli stessi che difendono gli agglomerati umani di fronte ai loro più abominevoli          drammatico. Il problema è che a seguire l’ordine del discorso si finisce per stigmatizzare,
sfruttatori, hanno raccolto il concetto di massa per convenirlo in categoria sociale, etica,     elencare ciò che i ragazzi non sono più o non fanno più, smarcare la propria adolescenza
e anche estetica. E questo è francamente assurdo. Immaginate quel che potrebbe essere            dai facili tempi attuali,… Il problema che sotto c’è una domanda di ricette, di decaloghi,
una pedagogia per le masse! L’educazione del bambino massa! Essa sarebbe, in verità, la          con l’assoluta delega all’esperto. E invece il nodo sono gli adulti, il ragionamento rim-
pedagogia dello stesso Erode, qualcosa di mostruoso.                                             balza su di loro, sulla loro crisi di magistralità, sulla loro debole esemplarità, sulla loro
                                                                                                 stessa fatica a reggere la corruzione (morale, nei consumi, nelle scelte di ogni giorno) di
                                              ***                                                questi tempi, sulla loro indisponibilità a transitare dalla fatica del ruolo adulto, attratti
    L’albero della cultura, più o meno frondoso, sui cui rami più alti può darsi che un          come lo siamo tutti, adolescenti compresi, dalla soluzione immediata.
giorno vi arrampichiate, non ha altra linfa che il nostro proprio sangue, e solo per caso            Consideriamo ora un altro luogo di continua tematizzazione dell’adolescenza, alme-
potrete trovare le sue radici nelle aule delle nostre scuole, accademie, università, ecc. E      no negli ultimi anni, il sistema dei media. Lo schema retorico è simile, con gli stessi vizi:
non ve lo dico per curare in anticipo la solenne tristezza delle aule, che un bel giorno         adulti che parlano ad altri adulti dei ragazzi, senza interpellarli e senza prevederli come
vi potrebbe assalire, col consiglio di non entrarvi. Perché io non penso che la cultura, e       voce in campo, avallati dal sedicente esperto o da un sondaggio o da una ricerca di cui
tanto meno la sapienza, debba essere necessariamente allegra come un gioco. È possibi-           fa comodo il risultato, in generale allarmandosi e senza mettersi in discussione, né fra
lissimo che i bambini, nei quali il gioco sembra essere l’attività più spontanea, giocando       le cause né fra le soluzioni. Droga, violenza, bullismo, pornografia sono i punti cardi-
non imparino nulla; neppure a giocare.                                                           nali della rappresentazione emergente negli ultimi anni. Sotto il ricatto dell’attualità, di
                                                                                                 qualche episodio di cronaca in cui puoi sempre trovar conferma al male, del sistema di
                                              ***                                                risonanza per cui lo stesso dato ritorna ovunque ma percettivamente sembra la coralità
   Voglio ricordarvi ancora una volta quel che vi ho già detto tante volte: non prendete         delle voci non la ripetitività della fonte, si alimenta l’allarme come postura collettiva
troppo sul serio niente di quel che esce dalle mie labbra, perché non credo di avere             verso i ragazzi di oggi. Ancora una volta, occorre un po’ negare il presente, cioè mettere
nessuna verità da rivelarvi. Né pensate che voglia insegnarvi a non fidarvi dei vostri           relatività nello sguardo, capire che alcune cose sono sempre accadute, ridare profondità
pensieri: mi limito a mostrarvi la sfiducia che ripongo nel mio...                               temporale, rendersi conto che non è successo nulla di catastrofico o almeno parte di
                                                                                                 quello che è già successo è dimenticato. E poi urge ovviamente chiedere ai giornalisti
10         laffi                                                                                                                                                  vedere i miei occhi          11

di fare il loro mestiere davvero, parlare con i ragazzi se scrivono di ragazzi, perché tutta     delle ricette e degli sconti di fatica. Potrò davvero capire mio figlio scrivendo ad un gior-
questa rappresentazione nasce nel vuoto delle voci dei diretti interessati. Pesa in questo       nale? Avrò davvero un’idea dell’adolescenza dalla cronaca? Può un ministro che non ha
senso proprio il modo in cui lavorano le redazioni, che stentano a privilegiare la continu-      né esperienza personale né professionale né di formazione sull’adolescenza illuminare
ità e la specializzazione, a favore piuttosto dell’assoluta intercambiabilità del giornalista,   genitori, insegnanti, scuola?
il quale, precipitato nella cronaca, in ostaggio a internet ovvero a google, finisce per             Altra buona regola è diffidare delle definizioni, delle classificazioni. Perché queste
interpellare lo stesso esperto, riprodurre la stessa opinione. Pesa ovviamente anche il          sono di solito funzionali a un sapere codificato di chi le attua e attraverso di quel-
narcisismo degli esperti, che spesso non si esentano dal commentare, anche quando                le consolida la propria posizione di potere, di asimmetria, di controllo. La definizione
non hanno conoscenza diretta o profonda della vicenda, sapendo di potersi comunque               è un esercizio di forza, innesca un ordine delle cose – norme, procedure, stereotipi,
giocare la tesi di fondo, il punto di vista, la propria posizione generale sul tema, lo spot     comportamenti, ecc. – rispetto alle quali chi è definito subisce. Dire pubblicamente di
dell’ultimo libro. Perché la visibilità sui media incide sulle carriere universitarie, sulla     un ragazzo nichilista, bamboccione, violento, ecc. significa circondarlo, predeterminare
parcelle, sulle copie vendute, ecc.                                                              attorno a lui attese e reazioni, innescare reazioni a catena che favoriranno il verificarsi
    Consideriamo un’altra arena decisiva nel costruire un ordine del discorso intorno ai         dell’accusa. Semplicemente, che beneficio ne trae chi apparentemente compiangi e in
ragazzi, quella delle istituzioni, delle amministrazioni locali: è qui che si investono molti    realtà condanni?
soldi per promuovere ricerche, osservatori, sperimentazioni, dibattiti, ecc. sui fenomeni            Se “parlare con” è meglio che “parlare di” o “parlare per” e ancora di più di “sentir
ma ancor di più sul modo in cui gli stessi destano preoccupazione – di recente sul bulli-        parlare di”, a maggior ragione è urgente tacere e dar voce. A fronte di tante parole che
smo in primis – in modo da produrre dati, lanciare progetti, gestire il consenso sotto la        si spendono sui ragazzi, non ci sono mai le parole dei ragazzi e tanto meno dei bambini.
fantasia del controllo. Le trappole retoriche qui sono l’oggettività del dato, l’inattacabile    Di fronte allo spettro adulto della pedofilia e della pedopornografia, dell’adescamento
legittimità della presa in carico pubblica, l’apparente attenzione verso i giovani cittadini,    in rete e di internet come nuovo bosco di cappuccetto rosso, un’inchiesta condotta
la priorità dell’ordine e della sicurezza. Ma molto spesso i dati non scoprono ma veri-          direttamente coi bambini delle elementari rivela la loro serenità, la loro consapevolezza
ficano le proprie ipotesi: una ricerca sul bullismo ne trova certamente traccia – “è mai         di qualche minaccia ma anche il loro approccio positivo al mezzo, e quando se ne chiede
capitato a te o a qualcuno vicino di essere vittima di episodi di…” - ma non misura la           l’uso si scopre che molti chattano non con il pedofilo in agguato ma con padri lontani,
rilevanza, omette di chiedere anche la frequenza di comportamenti cooperativi, la per-           perché separati dalle madri o costretti all’esilio familiare per lavoro. E allora questa di-
cezione del clima fra pari, il peso del gioco e del divertimento, ecc. E la vera novità non è    stanza degli affetti assai più della prossimità della minaccia non è forse il vero dramma
né il bullismo né l’osservatorio sul bullismo, ma il fatto che il meccanismo si è ribaltato,     familiare di questi anni, la vera fonte di dispiacere e di fatiche, e internet un mezzo utile
i ragazzi ipersondati hanno deciso di sondare, gli osservati ci osservano, ci guardano e ci      per alleviarlo?
riprendono, la scuola è dibattuta in convegni ma nel frattempo è sbeffeggiata in rete, e
così come in tv si vede spesso il peggio delle istituzioni e degli adulti – cos’è in fondo un       Voci
telegiornale, serio o satirico non cambia – in internet grazie ai cellulari va in onda anche
il peggio della scuola, le scene più squallide di vita collettiva. Il problema allora non è           Facciamo due esempi, personali per essere coerenti. Un incontro organizzato dall’or-
il bullismo ma il degrado in cui si genera, non sono i cellulari in classe ma l’ossessione       mai decaduto ministero delle politiche giovanili, workshop sul tema “dialogo fra le ge-
della rappresentazione.                                                                          nerazioni”, presenti giovani, in prevalenza fra i 20 e i 30 anni, per lo più parte dei forum
    Tutto questo va poi collocato in quel paese non per vecchi ma di vecchi che è l’Italia,      giovanili sparsi per il paese, sorti dalle varie esperienze partecipative realizzati da diverse
in quello sfondo luttuoso della cultura italiana che ama incipit come “non c’è più, non          municipalità. Uno degli adulti chiamati a condurre l’incontro lancia la sua proposta,
sono più, ormai,.. “, nostalgico di chissà quale eden., prevenuto sul cambiamento, orien-        il limite di età di sessant’anni per incarichi importanti, in modo tale che questa cosa
tato ex ante a leggere il mutamento come perdita e come tradimento, gerontocratico               favorisca il ricambio delle generazioni. Come reagiscono i ragazzi? Non ci cascano, in-
nelle posizioni di potere e giovanilista nella scena pubblica, ma mai giovane davvero.           tuiscono il trucco, e danno una lezione agli adulti presenti. Nel documento conclusivo
                                                                                                 scritto da loro si legge testualmente: “non riconosciamo una categoria di giovani unita
     Grammatiche                                                                                 e nettamente contrapposta alle altre generazioni, in una situazione di forte individuali-
                                                                                                 smo è difficile nei ruoli di impegno pubblico sentirsi rappresentativi dei propri coetanei,
   Proviamo a immaginare due o tre cose, di buon senso, per ridare autenticità alla              non pensiamo per es. che le quote giovani siano la soluzione del problema, con il rischio
rappresentazione dei ragazzi, per correggere gli errori più vistosi. Prima di tutto reim-        di riprodurre un’ulteriore categoria privilegiata, ma vorremmo per esempio che si pas-
possessarsi dell’esperienza diretta, dell’osservazione personale, del proprio campo visivo,      sasse da una logica per età e per cognomi ad una per creatività delle idee, in epoche
contro una logica dell’esperto-dipendenza, di una mediazione costante delle opinione,            di trasformazioni siamo certi che questo avvantaggerebbe più di ora il contributo dei
12         laffi                                                                                                                                                vedere i miei occhi         13

giovani i cui saperi risultano forse decisivi”.                                                   per il culo a mio parere, che fiducia ci danno però e che fiducia abbiamo in noi stessi,
     In quella circostanza, dalle parole dei presenti, si intuisce la vacuità di affermazioni     forse dovremmo smettere di cercare il riconoscimento di una società che ci ha presi
come “voi giovani”, la difficoltà comune fra chi interviene a coniugare un “noi”, la fram-        come capro espiatorio. Quando si presenta qualche problema entro in crisi, non riesco
mentazione e il disorientamento. Per chi poi si affaccia alla politica il problema è ancora       ad affrontarlo, credo di essere ancora una bambina, nonostante i miei 18 anni, sento
più forte, si sente addosso l’accusa di crisi dei valori, di assenza di punti di riferimento      tutti i miei coetanei che dicono di avere idee salde e che per quelle idee vanno contro
entro i quali schierarsi e rivendicare posizioni. Eppure dopo un po’ di dialogo, di con-          anche ai loro genitori, io non sono fatta così ho sempre creduto di essere migliore, i miei
fronto, si arriva a codificare per iscritto in cosa si crede, all’incirca tutti insieme, almeno   non mi lasciano libertà e nonostante io creda che il loro comportamento sia sbagliato
lì in questa élite riflessiva ma autentica: “la centralità della relazione umana e il piacere     non mi ribello non impongo le mie idee perché in fondo io di questo mondo non so pro-
di fare le cose insieme, la solidarietà internazionale, il superamento dei confini, la non        prio niente quindi cerco di vedere le cose a modo loro e li assecondo. Rido spesso con i
affiliazione ideologica, la sensibilità ambientale, l’accettazione del cambiamento come           miei coetanei, ma mentre rido mi chiedo perché? cosa c’è da ridere? Non vedi, ridi ma sei
norma, la necessità di sperimentarsi in diversi campi dell’esperienza come esercizio di           comunque triste. Credo sia anche un sistema per nascondere quello che c’è veramente
scoperta dei propri desideri e delle proprie vocazioni”. Avrei voluto averli io riferimenti       all’interno di me, i miei dolori, le mie sofferenze, ancora più grandi perché non riesco a
così forti e così belli, quando li ho cercati. E ancora, di fronte al programma dell’incontro     liberarle in pianto ma tengo tutto silenziosamente per me. Ho camminato un’ora sotto
che prevedeva la anche momenti di svago e cabaret, i gruppi di ragazzi scrivono al mi-            la pioggia, mi sono bagnata un sacco però è bello quando le gocce ti cadono sul viso, è
nistro questo comunicato: “chiediamo serietà e onestà nel dialogo, che venga davvero              bello fermarsi sotto la pioggia per non piangere da sola, è un periodo di merda questo. Io
considerata la nostra volontà di impegnarci, c’è anche chi ha sottolineato come in que-           cerco di nascondere la mia non normalità e le mie debolezze, ma forse gli altri riescono
ste occasioni il poco spazio di ieri per il dibattito e la presenza di comici possano essere      a percepirle lo stesso, no, no, senza forse, certamente io leggo gli occhi delle persone
il segno di una scarsa fiducia nella nostra effettiva volontà di impegnarci e contribuire,        con cui parlo, ma loro leggono i miei occhi? Quanto mi piacerebbe vedere i miei occhi,
il riconoscimento della nostra serietà si vede anche nelle modalità in cui si manifesta la        magari capirei molte più cose di me.”
disponibilità degli adulti”.
     Cambiamo quadro. Un’azienda sanitaria si interroga sui consumi di sostanze fra i
più giovani, sulla prevenzione, sui progetti realizzati e su quelli possibili. Esaminiamo
insieme quanto è stato fatto, quanto dicono i dati più recenti, ma ad un certo punto
pongo la necessità di accogliere la voce dei ragazzi, oltre a quella degli operatori. Perché
la dipendenza e l’abuso riguardano una minima parte della popolazione ma il consumo
è diffuso, interroga necessariamente vissuti comuni, situazioni quotidiane. Un diario ad
hoc, tre giorni di cattivi pensieri, compilato da alcune ragazze, restituisce un grado di
verità e profondità su cosa anima la condizione di una diciottenne, fuori da qualunque
allarme sociale o consolazione educativa. Ecco un montaggio di voci diverse, testuale,
in sequenza, disorientante ma folgorante su quell’universo: “il vero problema e pro-
babilmente l’ultimo mio problema è che non capisco la mia generazione, mi fa effetto
anche usare l’aggettivo mia, perché se devo essere sincera non mi sembra nemmeno di
farne parte, non credo sia menefreghismo, non sono affatto indifferente ai problemi
della nostra società ma dato che per me è un realtà sconosciuta, non posso far altro che
ripetermi non capisco. A me sinceramente non me ne frega niente di come va il mondo,
gli altri diciottenni possono fare come preferiscono, io ne ho già abbastanza della mia
vita e se mi metto anche a pensare a ciò che non mi riguarda posso spararmi in testa
poiché la mia società fa veramente schifo. Non ho mai sentito parlare degli studenti che
escono con 100 e lode, non ho mai letto un articolo dei giovani che donano sangue, che
fanno volontariato che sono coinvolti in ambito politico, non mi è mai capitato di vedere
un politico che ringrazia la forza lavoratrice giovanile sottopagata, sottovalutata perché
manda avanti un paese di vecchi pensionati con tutto il mio sincero e profondo rispetto
per le vecchie generazioni, ma continuano a dire che siamo il futuro, soltanto una presa
Mammut. Le pratiche
                                                                                                guardati come ladri e approfittatori, ancor prima di iniziare a lavorare (emblematico è lo
   Un anno da mammut (maggio 2007 – luglio 2008)                                                “scoop” che il Corriere del Mezzogiorno costruì, ad appena un mese dall’inizio dei lavori,
   di Giovanni Zoppoli                                                                          sull’associazione fantasma ‘Compare’ che rubava soldi alla Regione!). Sui primi vagiti
                                                                                                del Mammut ha gravato molto il clima cittadino a dir poco pesante, i tanti scandali, la
                                                                                                depressione, la crisi, la disillusione… Le associazioni, i cittadini, le scuole e le istituzio-
    La tensione e l’entusiasmo in vista di un obiettivo “politico” comune che, nascendo         ni stesse, sembravano rassegnati al male, al fatto che dalle istituzioni, e da chiunque
da una critica condivisa dell’esistente, metta insieme differenze e difficoltà con l’obiet-     avesse a che fare con loro, non potessero che arrivare sciacallaggi e imposture. A conti
tivo di superarle e, nel farlo, di crescere come individui e come germe di una nuova            fatti, la diffidenza esterna, l’invidia e l’ansia da prestazione che ne conseguirono sono
possibile forma di “comunità”, rappresenta una matrice fondamentale di ogni nuovo               stati gli elementi di maggiore criticità dovuti al finanziamento pubblico. L’equilibrio tra
“progetto sociale”. Ma difficilmente narrabile. Per questo, nel condensare in una sintesi       rappresentazione e invisibilità, tra l’essere una presenza leggera, quasi invisibile (della
per forza incompleta il primo anno di lavoro del Centro territoriale Mammut, viene              cui necessità eravamo e restiamo convinti) e il dover dare risonanza a quello che si fa, è
naturale partire dalla fatica e dagli ostacoli che quell’euforia e quelle emozioni hanno        stata una delle ricerche più complicate di questo primo anno.
incontrato nel momento in cui si è trattato di tradurle in atto.
    La prima grande difficoltà, in parte prevista e temuta, è nata dalla organizzazione            Un nuovo gruppo di lavoro
che per la prima volta si è voluto dare un gruppo eterogeneo di operatori che fino ad
allora si era mosso nell’ambito dell’intervento sociale e pedagogico in maniera informale           Accertata la possibilità di finanziamento, dovevamo costruire il gruppo capace di
e “dal basso”. Spinti dal desiderio di sperimentare un fare sociale meno spontaneo e            portare avanti il progetto. Decidemmo di sperimentare la rottura del “familismo” anche
volontaristico e che avesse la possibilità di un’incidenza maggiore, abbiamo progettato         su questo piano, di non rivolgerci ad amici e parenti, ma di cercare un po’ più lontano,
un intervento che, per dimensione e proiezione temporale, necessitava di condizioni che         a partire da competenze e attitudini piuttosto che da conoscenze amicali e logiche di
solo un consistente finanziamento esterno avrebbe potuto garantire. La necessità di             spartizione.
fondi, assieme a quella di dare vita a un’organizzazione sociale di base moderna (sdo-              Il dato di partenza di cui eravamo ben consapevoli era la ‘mostruosità’ che caratte-
ganata da logiche aziendali ma anche da quelle del purismo ipocrita), ci ha portato a           rizza oggi un po’ ovunque alcuni tratti del terzo settore: lavoro sfruttato e sottopagato,
cercare interlocutori istituzionali con cui dialogare. Proprio nel momento in cui lo sport      mancanza di spinta etica e di professionalità, frustrazione e, molto spesso, innaturalezza
preferito era sparare a zero sulle istituzioni napoletane e abbandonare la barca che af-        e ambiguità delle relazioni di aiuto a cui questi presupposti danno origine. Se siamo
fonda (anche tra chi sul Governatore campano avevano costruito la propria fortuna) noi,         minimamente riusciti a incidere negli ambiti sociali, urbani e pedagogici in cui ci siamo
che potevamo contare su un passato da rompiscatole intransigenti, avevamo scelto di             mossi è stato perché alla professionalità è rimasta affiancata la carica etica e gratu-
averci a che fare. La nostra ricerca ha fortunatamente coinciso con il tentativo che stava      ita di giovani e meno giovani. Amici storici e qualificati come il poliedrico Sergio Loi,
portando avanti il neo Assessore alle Politiche Sociali della Regione Campania di mettere       l’urbanista Federica Palestino, l’africanista Livia Apa, il maestro Oreste Brondo, i vecchi
in campo qualcosa di innovativo e valido. E così è partito un anno di incontri - fatto di       saggi sempre presenti come Goffredo Fofi, Fabrizio Valletti, Mirella Pingataro, Gabriella
estenuanti e stravaganti passaggi che meriterebbero un racconto a parte – al termine            Giardina, Pasquale Amato o nuove conoscenze come Rosario, Tonino, Pasquale, Enzo,
dei quali siamo riusciti a partorire un progetto condiviso con l’Assessora e il suo staff.      Francesca, Peppe, Daniele, Crocchè e i tanti ragazzi che quest’anno si sono aggiunti al
La Regione garantì la copertura finanziaria per almeno tre anni. Il cambio di Assessore,        nostro lavoro grazie al progetto Corridoio, hanno permesso di tenere alto il senso di
avvenuto nel bel mezzo delle nostre attività (a seguito della “tempesta munnezza” che           quanto andavamo facendo, grazie anche alla totale gratuità del loro contributo.
travolse l’amministrazione Bassolino), ci ha creato non poche difficoltà, mettendo in
seria crisi la nostra scelta istituzionale e congelando per oltre 5 mesi la possibilità di un      Le azioni
secondo anno di finanziamento. Fortunatamente anche con la nuova Assessora e il suo
Staff siamo presto riusciti a raggiungere una buona intesa, garantendo così al Centro               Con gli incontri di presentazione in varie città d’Italia di Napoli comincia a Scampia
Territoriale un secondo anno di respiro. Oltre alla Regione Campania, a permetterci di          (Ancora del Mediterraneo), un racconto a più voci sulle periferie napoletane e con il censi-
nascere e lavorare per un anno intero c’è la stata la Fondazione Banco di Napoli per            mento di buone pratiche realizzata insieme alla rivista Lo Straniero, il lavoro di costruzio-
l’assistenza all’Infanzia.                                                                      ne di una rete in grado di supportare il progetto era partito circa due anni prima dell’inizio
    Il discreto investimento istituzionale ha determinato il bene quanto il male del pri-       dei lavori del Mammut. Fu proprio a partire da queste brevi incursioni in varie realtà della
mo anno di lavoro. È cosa nota che a Napoli appena qualcuno prende l’iniziativa gli             penisola e dagli incontri con i gruppi più inquieti che da tempo vi lavoravano che iniziam-
altri sono pronti a “sparargli addosso”. Anche per noi è stato un po’ così. Ci sentivamo        mo a renderci conto di esigenze e spinte comuni a territori anche molto diversi.
16          mammut pratiche                                                                                                                                                     un anno           17

    Tra il lavoro svolto per mettere insieme abitazioni, gruppi musicali, teatrali, enti di         La costituzione di un gruppo libero, non strutturato, spontaneo e non finanziato e quin-
formazione, istituzioni funzionali alla nostra scuola per adolescenti; tra il centinaio di          di più libero nell’analisi, nella critica e nella lotta, da affiancare alla realtà più formale e
artisti e utopisti che è andata su e giù per l’Italia a rianimare spazi pubblici di periferia;      “vincolata” nella quale il nostro intervento sociale e pedagogico di muoveva, si è rivelata
tra i ragazzi partiti per i 7 viaggi ‘Corridoio’; tra le tante mail e telefonate, alla fine del     una strategia efficace.
primo anno si sono creati nuovi legami capaci di dare maggiore forza ed efficacia a                     Oltre alle tante azioni in spazi pubblici significativi (nella Piazza dei Grandi Eventi e al
quanto ognuno degli appartenenti alla rete stava portando avanti nel proprio ambito e               campo rom di Scampia, a Villa Presti, il parco pubblico abbandonato di S.Giovanni, nella
nella propria zona geografica. Almeno sul breve periodo, sembra che le nostre intenzioni            vecchia Serra di via Garibaldi a Venezia, alle Fornaci di Pistoia) i momenti più coinvol-
di dare forza e nuove possibilità all’incontro tra gruppi e pratiche, abbia avuto gli esiti         genti del Comitato Spazio Pubblico sono state le riunioni di coordinamento al Gridas.
migliori nello scambio tra aree di intervento geograficamente lontane piuttosto che in              Riunioni spesso folli, con arrivi a flusso continuo di rom e abitanti di quartieri anche
quello locale. Collegarsi cioè con territori altri e lontani è stato un grimaldello efficace        molti distanti della città o di altre regioni. In alcuni momenti si è realizzato davvero
per quanto ognuno di noi cercava di fare nella propria città.                                       qualcosa di raro e prezioso, come la presenza di tanti rom che non erano là per occuparsi
                                                                                                    delle loro sventure, ma per lavorare insieme agli altri cittadini sul tema ‘trascendente’
     Il Mammut a Napoli                                                                             del bene comune.

     Una desolata piazza di Scampia (abitata solo da tossici e motorini sfreccianti), qual-            Il Mito del Mammut
che credito di fiducia che ci eravamo guadagnati negli anni da parte di individui piut-
tosto eterogenei (anticlericali, sacerdoti, comunisti, anarchici, rifondaroli, democratici,              La parte territoriale del nostro lavoro è stata per gran parte occupata dal Mito del
rom, immigrati…) e una diffusa depressione carica di sfiducia e di lamentosa impotenza              Mammut, inventato per mettere in rete il lavoro quotidiano di scuole e associazioni del
caratterizzavano il quadro cittadino trovato dal Mammut alla sua nascita.                           quartiere. Quello che abbiamo chiamato gioco didattico di teatro-quartiere si articolava
     I bambini e la città. È da qui che siamo ripartiti. Dall’Arn (Associazione risveglio Na-       in momenti di laboratorio d’aula svolti durante l’arco di un mese che trovavano com-
poli) la storica associazione degli anni ’60 animata, fra gli altri, da Fabrizia Ramondino:         pimento in una giornata di giochi di piazza. Nel mese di maggio abbiamo terminato i
abbiamo tentato di ereditarne la ‘persuasione’ come impronta della ricerca pedagogica               laboratori nelle scuole dando appuntamento a tutti nei due cantieri, aperti tutti i giorni
e l’inchiesta di quartiere come metodo dell’intervento.                                             al Centro di Salute Mentale e al V Circolo di Scampia, per costruire i quattro “titani”,
     I nuovi tempi erano però del tutto diversi. Alla fame e alla miseria propri del dopo-          strutture giganti in cartapesta che si sono affrontati in uno scontro catartico e propi-
guerra in cui nasceva l’Arn, si era sovrapposto il mare di falsi bisogni della Napoli del           ziatorio che ha concluso un anno di lavoro.
2000, l’omologazione verso modelli borghesi e televisivi di consumo e spettacolarizza-                   Nella Napoli delle emergenze sociali, in molti avevano storto il naso a sentire che
zione. Terzo mondo e post-modernità fusi insieme, in una terra profondamente stuprata               avevamo scelto come “sfondo integratore” del lavoro con i bambini i miti di creazione
nel suo paesaggio naturale e sociale.                                                               dei cinque Continenti. Ma negli otto mesi del Mito del Mammut abbiamo avuto con-
     L’incapacità di condividere spazi pubblici, in senso letterale quanto metaforico (usci-        ferma di quanto potenti potessero essere le storie di creazione tramandate nella loro
re dal proprio orticello, dal fortino costitutivo del quartiere di origine, dall’associazio-        versione originale, senza edulcorazioni o stravolgimenti. Bambini refrattari alle pagine
ne di appartenenza, dalla famiglia, assieme alla “corruzione” di strade e piazze, storica           disneylandizzate dei sussidiari rimanevano ipnotizzati ad ascoltare storie della Grecia
ricchezza della città, rovinate da smog, motori, droga, pubblicità, merce e anche dalla             antica o degli Indiani d’America sulla nascita della Terra e dell’Universo.
retorica del ‘recupero dalla strada’ come pratica educativa), ci sembrava uno dei fattori                All’inizio le scuole ci prendevano come un progettificio tra i tanti: il compito più dif-
principali del disastro napoletano. È stato per questo che abbiamo iniziato ad aggregare            ficile è stato far capire che volevamo fare scuola e non extrascuola, che non eravamo
forze di varia origine proprio attorno al tema dello “spazio pubblico”.                             esperti esterni, ma che volevamo potenziare le risorse interne, cercando insieme forme più
     A dare il via alle danze fu la variopinta carovana di artisti di strada e utopisti emiliani:   efficaci di didattica e educazione. In realtà il Mito del Mammut ha funzionato solo dove
la rete della Parata Par Tot si insediò con un tendone magrebino nella piazza dei Grandi            c’erano maestre e dirigenti già alla ricerca di quello che stavamo cercando anche noi.
Eventi di Scampia, sotto gli occhi increduli di tutti. Nei tre giorni di laboratori di strada            Il Mito ci è servito a far conoscere le nostre intenzioni e la capacità di tenuta, a
e dibattiti con parata finale, l’inizio fu notevole. Non eravamo soli. Con alcuni dei gruppi        mettere in rete chi voleva farlo. Ha reso possibile continuare a sdoganare luoghi nor-
che si erano fino ad allora riuniti attorno al Gridas (lo storico centro sociale del quartie-       malmente off limits della città e a contribuire a riconnettere col tessuto urbano i campi
re, animato da Felice Pignataro e dalla sua compagna Mirella), come Chi rom e chi no,               rom (da sempre una delle nostre priorità). Molto importante nel lavoro di quest’anno è
Figli del Bronx, Circolo Legambiente avevamo costituito nel luglio passato il Comitato              stata la relazione con il centro di Salute Mentale di Scampia, diventato per noi un fon-
Spazio Pubblico, con lo scopo proprio di riaprire in città il dibattito sugli spazi pubblici.       damentale punto di aggregazione.
18           mammut pratiche                                                                                                                                               un anno          19

    Non sappiamo quanto sia una nostra impressione, ma un po’ tutti abbiamo con-                torno, l’esperienza condivisa del viaggio sembrava aprire nuove possibilità e richieste
diviso l’idea che rispetto allo spazio pubblico qualcosa, in città (Scampia compresa),          nei ragazzi che vi avevano preso parte. Una specie di momento magico, che in seguito
si sia smosso. E non solo tra gli intellettuali. Peccato che il tutto, per ora, sia rimasto     capimmo di breve durata. Le nuove consapevolezze e le conseguenti richieste dei viag-
circoscritto alle nostre iniziative, garanti di pulizia e ‘animazione’. Il processo di ap-      giatori, richiedevano risposte veloci e repentine. Che non sempre siamo stati in grado
propriazione autonoma e spontanea della piazza ha bisogno di un’incubazione ancora              di offrire.
lunga e complessa.                                                                                  La potenzialità dei viaggi Corridoio è stata evidente anche rispetto a quanto erano in
                                                                                                grado di provocare nei territori in cui avvenivano. A Pistoia, ad esempio, questo aspetto
     I 7 palazzi                                                                                funzionò in maniera evidente. L’interazione con la periferia pistoiese di un quartiere,
                                                                                                Le Fornaci, ad alta conflittualità sociale, fu intensa e provocò anche momenti di atrito
    Per tutto l’anno abbiamo portato avanti anche un altro fronte di lavoro, quello dei         con chi ci viveva. La comparsa dei graffiti, eseguiti dal gruppo dei viaggiatori napole-
7 palazzi, rione di Scampia generalmente noto per lo spaccio di droga. A tirarci in ballo       tani dopo essersi confrontati a distanza con i coetanei ospiti che stavano vivendo sulla
era stata Linda che assieme al compagno Luigi e al figlio Stefano avevano iniziato a            propria pelle i cambiamenti imposti al quartiere, per molti degli abitanti fu come un
prendere parte alle riunione del Comitato Spazio Pubblico. Proprio sotto casa di Linda          richiamo alla realtà. Lo slogan scelto dal Comune per definire gli obiettivi del piano di
c’era uno spazio verde piuttosto malridotto, di cui la sua famiglia cercava di prendersi        riqualificazione e la propria idea di città, “da fornacini a cittadini”, non era bastato a
cura già da qualche anno. Come spesso succede negli spazi pubblici caduti in disgrazia,         rivelare gli intenti di un’amministrazione complice nel creare cittadini di serie B. I graffiti
tutti sembravano contribuire a quello stato di abbandono. Tanto gli abitanti, che oltre a       avevano dato una scossa a questa consapevolezza.
non prendersene cura, vi buttavano sacchetti dell’immondizia e rifiuti di vario genere,             Dando ascolto a quanto la pratica andava suggerendoci, i viaggi Corridoio sono di-
quanto le istituzioni, incapaci di garantire anche il servizio minimo del taglio e della        ventati sempre più individuali, utili allo svolgimento dei percorsi di vita e delle necessità
pulizia dell’erba.                                                                              formative dei singoli ragazzi incontrati. Il viaggio a Bologna di marzo ha rappresentato
    Noi non abbiamo fatto altro che andare a sostenere quello che il piccolo gruppo di          senz’altro una svolta: il festival internazionale del fumetto, organizzato dall’associazio-
attivisti tentava di portare avanti a fatica. Abbiamo inserito gli abitanti del rione nella     ne Hamelin, costituiva l’occasione offerta dalla città emiliana; due ragazzi, uno con la
rete del Mito del Mammut, cercando di far partecipare i bambini alle giornate di piazza.        passione della grafica, l’altro del fumetto, rappresentavano invece la potenzialità raccol-
A ottobre siamo andati a raccontare storie nel campetto da calcio di quello spazio, ini-        ta a Napoli. Mettendo in contatto questi due poli, i 10 giorni furono carichi di incontri
ziando a ragionare con bambini e ragazzi su come trasformarlo.                                  e stimoli indelebili.
    Spesso abbiamo dovuto rinunciare a quello che avevamo in mente, per non perdere                 Dopo i primi viaggi di gruppo, i mesi di lavoro territoriale col Mito del Mammut e le
l’incontro con la realtà fatta dalle persone e dai luoghi in cui lavoravamo. Più di una         azioni messe in campo insieme al Comitato spazio pubblico, dai ragazzi e gli educatori
volta abbiamo dovuto aggiustare il tiro. A un certo punto, quando la casa di Luigi e            della città iniziarono ad arrivare esigenze e istanze particolari, a cui non avremmo potu-
Linda strabordava di abitanti del rione e delle loro richieste, abbiamo corso il rischio di     to rispondere se non con una presa in carico più ampia. Ragionammo su quale dovesse
venire identificati con l’istituzione. Fu allora importante chiarire che il nostro ruolo era,   essere l’impianto di un progetto individualizzato e tentammo di condividere una prima
e sarebbe rimasto, quello di chi veniva da fuori per dare più forza, un po’ di distanza         bozza di metodologia comune. È così partita, sebbene ancora lontana dalla sua forma
prospettica e qualche strumento in più al gruppo di attivisti che abitava nel rione e che       definitiva, la vera e propria scuola ‘Corridoio’.
volevano renderlo un posto più decente per viverci.
                                                                                                   Il metodo
     Il Corridoio
                                                                                                    Le ore estenuanti di dibattiti sul sesso degli angeli nei gruppi di cui avevamo fatto
    Da qualche parte dovevamo partire. Una nuova scuola per adolescenti basata sul              parte in precedenza e la consapevolezza acquisita di quanto male possa fare guardare
viaggio era un’idea bella e accattivante. Ce n’eravamo innamorati tante volte nei rac-          ai contesti (individuali e collettivi) che si pretende di aiutare con gli occhi foderati dalle
conti che ne faceva Goffredo Fofi a Cenci. Ma a farla per davvero, come si fa? (fu proprio      proprie aspettative, ideologie e proiezioni di varia natura, ci ha spinti, sin dall’inizio, a
Goffredo, a dare il via a quest’impresa: in un pomeriggio romano iniziò a sfogliare la sua      cercare un metodo di lavoro capace di sguardi più ‘oggettivi’.
agenda sparando nomi e numeri di telefono di possibili referenti sparsi in ogni angolo              Lo schema della ricerca-azione è stato quello preso a modello. Ipotesi, domande,
d’Italia).                                                                                      ricognizione di materiale su pratiche e teorie affini, osservazione dell’esperienza messa
    Il viaggio, a partire dal primo a Firenze per finire con Napoli, passando per Pistoia,      in campo, ridefinizione delle ipotesi e delle domande iniziali: questo lo schema che ab-
Bologna e Venezia, si rivelò da subito un acceleratore di processi senza eguali. Al ri-         biamo cercato di osservare. Prendere decisioni che non fossero dettate dall’abitudine,
20          mammut pratiche                                                                                                                                               un anno          21

dall’ossequio a chi è più influente o potente di noi, dalla “superstizione” e dall’opinio-         Un po’ di numeri
nismo (per dirla con Dewey) è stata la via che, con uno schema del genere, abbiamo
tentato di tenere.                                                                                  La prima annualità, dal punto di vista quantitativo, ha registrato complessivamente
    La necessità di rendere conto ai finanziatori con linguaggio burocratico e formale,         5.170 presenze, tra cui i bambini di 10 scuole e 10 agenzie educative sul territorio comu-
unita a quella di marcare la presenza, di far sapere che esistevamo, in un contesto in          nale, 600 adolescenti in 4 regioni italiane e in 8 viaggi di scambio e formazione/lavoro.
cui anche il lavoro sociale è sempre più sottoposto alle logiche della comunicazione                Sono stati realizzati 30 tipi di percorsi laboratoriali multidisciplinari in materie uma-
pubblicitaria, non ha giocato a favore della ricerca di un rigore osservativo. Ci ha aiutato    nistiche, scientifiche, di educazione ambientale, motoria, educazione all’immagine, con-
però a riconoscere un tratto che ci caratterizzava, senza troppa consapevolezza, anche          dotti durante il normale orario scolastico per bambini dai 5 ai 12 anni.
prima di essere finanziati. Raccontare quanto si andava facendo ha infatti da sempre                A supporto delle attività sono stati organizzati, insieme all’Associazione risveglio
connotato la nostra azione. Quest’anno abbiamo scoperto che questo tratto può diven-            Napoli e il Comitato spazio pubblico, incontri formativi con oltre 900 presenze tra ope-
tare una grave degenerazione a discapito dell’azione stessa. Il contesto in cui abbiamo         ratori e insegnanti su tematiche pedagogiche.
scoperto di muoverci è quello dove se quel che fai non è pubblicato, sembra quasi che
non sia mai stato fatto. Ogni cosa che si fa sembra debba essere pensata in funzione del
racconto che se ne farà. Ne rimane fuori la quotidianità tediosa, quel tempo che a nes-
suno andrebbe di leggere o di vedere in un film. Eppure, è proprio questa quotidianità
‘inenarrabile’ che molto spesso consente costanza e tenuta nel tempo. Ci siamo cioè resi
conti che se adottato come diktat interno, il tratto “epico-narrativo” influenza l’agire
sociale in maniera ancora più nociva rispetto a censure e obblighi imposti dall’esterno.

     Propositi

    Anche in funzione di questa sofferta acquisizione, l’obiettivo per l’anno in corso è
quello di concentrare gli sforzi su azioni più circoscritte, meno volte alla rappresenta-
zione, più finalizzate al consolidamento delle intuizioni e dei percorsi abbozzati il primo
anno.
    Il lavoro sullo spazio pubblico, sulla crosta della città, ha mosso molte dinamiche
sociali e culturali che si trovavano in profondità, permettendoci di scoprire potenzialità
e bisogni su cui concentrarci. Le necessità di bambini, adolescenti e adulti emerse nel
lavoro ai 7 palazzi ci lasciano molti suggerimenti circa la direzione verso cui orientare le
nostre azioni.
    La parola che meglio sintetizza le nostre intenzioni future è scuola. Se è vero che l’in-
soddisfazione per la cultura educativa corrente e i processi (istituzionali e non) attraverso
cui si formano opinioni, conoscenze e valori è stata la forza attrattiva che ci ha fatto
incontrare e che ha dato origine al “progetto educativo” del Mammut, il desiderio di con-
tribuire alla costruzione di una “scuola” rispondente alle nostre esigenze di formazione e
di quelle dei bambini e dei ragazzi che incontreremo guiderà i nostri prossimi passi.
    Anche per questo, vorremmo prestare più attenzione alla didattica e alla dimensione
“artigianale” del fare educazione, pensata per le tre fasce d’età già coinvolte quest’anno.
Una scuola dell’infanzia con programmi di pre-scolarizzazione per bambini dai 3 ai 6
anni provenienti da diversi contesti geografici e sociali; un doposcuola come forma di
sperimentazione didattica per i preadolescenti con forti collegamenti con le scuola del
territorio; viaggi Corridoio, individuali e di gruppo, con maggiore finalizzazione alla di-
dattica per gli adolescenti.
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