BOLLETTINO - CAMERA PENALE VENEZIANA "ANTONIO POGNICI" III NUMERO SPECIALE 2020 - Amazon AWS
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CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI” CONVEGNO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE “HATE SPEECH E QUESTIONE FEMMINILE. DALLA VIOLENZA VERBALE ALLA VIOLENZA AGITA” Lunedì 25 novembre 2019 ore 15.00-19.00. Venezia – Aula Magna Cazzavillan, San Giobbe AVV. ANNAMARIA MARIN – Presidente Camera Penale Veneziana Buon pomeriggio e benvenuti a tutte e a tutti. Buon 25 novembre. Secondo me dobbiamo oramai avere familiarità anche con questa data che ha assunto un’importanza nel corso degli anni che va riempita di significati e che è di assoluto rilievo nella nostra società. Riempita di significati e di contenuti e non poteva esserci iniziativa migliore del convegno di oggi pomeriggio. Un seminario di approfondimento che, per il quarto anno, mi consente di essere presente il 25 novembre con un’iniziativa che tocca temi collegati a questa giornata, con una prospettazione che ogni anno si è voluta diversa. E’ uno degli obiettivi che nella mia Presidenza della Camera Penale ho voluto porre come obiettivo da raggiungere: i primi due 1
anni in collaborazione stretta con il Comitato “Pari Opportunità” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, poi con la successivamente costituita Commissione “Diritti fondamentali, immigrazioni e questioni di genere” della Camera Penale Veneziana che ha raccolto il testimone e che, tanto nel 2018 quanto nel 2019, ha proposto e propone ai colleghi dei momenti di approfondimento di assoluta qualità. La mia Presidenza volge al termine, sto facendo praticamente il conto alla rovescia, ma sono convinta che l’interesse che queste iniziative hanno riscontrato tra i colleghi significa che siamo ad un punto di non ritorno e che, quindi, su questi temi bisogna andare avanti, perché i colleghi ce lo chiedono, perché la società ce lo chiede, perché il nostro impegno anche civile, oltre che professionale, ce lo chiede. Ringrazio quindi soprattutto i colleghi e le colleghe della Commissione “Diritti fondamentali, immigrazione e questioni di genere” della Camera Penale Veneziana per aver passo dopo passo costruito questo evento, che non avrebbe potuto essere realizzato in un posto più bello di questo, per il quale dobbiamo ringraziare la Prof.ssa Monica Billio, Direttrice del Dipartimento di Economia dell’Università di Ca’ Foscari, che oggi è all’estero per impegni professionali e non può essere con noi, che però ci ha consentito di fare questa bella iniziativa in questo posto che è così importante per la storia di Venezia e per l’attualità di una Venezia che vede nell’Università un’anima pulsante di idee e di approfondimenti sui temi quali quelli che oggi caratterizzeranno il nostro seminario. Io non ho molto altro da aggiungere e mi permetto di leggervi una cosa, spero di non averla troppo maltrattata con dei tagli che mi sono permessa di fare, ma ve la voglio leggere così com’è: “Quando nel 2013 il Parlamento italiano ratificò la Convenzione di Istanbul si impegnò non solo a riconoscere che le violenze di genere 2
rappresentano un problema strutturale della nostra società, ma anche a portare avanti una triplice strategia: punire i colpevoli, proteggere le vittime, prevenire le violenze. Poi però la politica si è accontentata di mettere a punto un arsenale giuridico repressivo, senza preoccuparsi né della protezione delle vittime né della prevenzione della violenza. Nessun governo si è preoccupato di varare un serio piano nazionale di prevenzione. Fino a quando non si educheranno i più giovani al rispetto reciproco e all’accettazione delle differenze non si riuscirà nemmeno a contenere la violenza di genere. Com’è possibile che la politica non si renda conto che viviamo in una società in cui si immagina che il rispetto lo si debba conquistare o meritare, mentre è semplicemente dovuto a ogni persona in quanto tale? Com’è possibile che sia la stessa politica a valorizzare un linguaggio fatto di prevaricazione e manipolazione, invece di trasmettere i valori dell’ascolto e del reciproco riconoscimento? Fino a quando non si capirà che l’educazione e la cultura sono essenziali per conoscere e riconoscere se stessi e gli altri, e la politica non punterà quindi sulla prevenzione, non si riuscirà mai a contrastare davvero la terribile piaga delle violenze di genere” Questo è quanto ha scritto Michela Marzano, saggista, politica, filosofa, accademica. Ho rubato le sue parole perché mi sembravano scritte molto bene e questo è il senso ed il motivo dell’incontro di oggi. Ringrazio tutti quanti si sono iscritti e comunque sono presenti e hanno inteso con la loro presenza sottolineare l’importanza di questa giornata. Grazie a tutti e buon lavoro! Per i saluti istituzionali, adesso do la parola all’Avvocato Renato Alberini. 3
AVV. RENATO ALBERINI – Presidente Fondazione Feliciano Benvenuti. Grazie, Annamaria, grazie alla Camera Penale per aver avuto anche quest’anno la sensibilità di organizzare questo convegno così importante. Porto i saluti del Presidente Giuseppe Sacco, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, che per concomitanti impegni non è potuto essere presente qui quest’oggi e mi ha dato incarico di portare i suoi saluti, l’apprezzamento del Consiglio dell’Ordine e quindi di tutto il Foro veneziano. Così come porto il saluto del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Feliciano Benvenuti, di cui sono Presidente, che ugualmente ha condiviso questo progetto. Il mio non vuole essere soltanto un indirizzo di saluto abbastanza scontato e, per certi aspetti, banale, ma proprio perché oggi partecipiamo a un evento, a un convegno di così straordinaria importanza, desidero fare qualche spunto di riflessione sui temi che poi saranno oggetto di questo convegno. I temi che verranno trattati quest’oggi sono di attualità, di una disarmante attualità possiamo dire, basti pensare all’ennesimo femminicidio che abbiamo sentito nei giorni scorsi relativo a quella povera ragazza assassinata perché aveva detto al suo amante che era incinta e ha reagito nel modo che abbiamo visto. Sono impegnativi e meritevoli di approfondite riflessioni e approfondimenti. L’anno scorso abbiamo avuto 142 donne uccise da uomini. L’altro giorno guardavo con mia moglie “Quarto Grado” e c’era questo numero “142” su un bollino attaccato a tutti i vestiti dei vari interpreti di questa trasmissione, di tutti quelli che sono entrati a farne parte, che seguono quotidianamente questi delitti dal punto di vista della persona offesa. E’ una prospettiva diversa che deve essere tenuta in considerazione, tenuto conto che 142, 4
come numero, donne uccise assassinate dai loro ex compagni, dai loro mariti, fidanzati e quant’altro, è un dato che purtroppo si sta confermando anche in questi primi dieci mesi del 2019, dove si registra un femminicidio ogni tre giorni. Sappiamo bene che poi il femminicidio rappresenta l’ultimo anello di una escalation di vessazioni e violenze che la presenza di un’efficace rete di supporto potrebbe invece riuscire ad arginare. Basti pensare all’orrore che, quotidianamente, si vede nei pronto soccorsi degli ospedali; le donne spesso non hanno il coraggio di parlare e denunciare, ma i corpi e le lesioni parlano per loro e rivelano vertigini di orrore quotidiano ad opera, come dicevo, di mariti, ex mariti, compagni, fidanzati e quant’altro. E’ lo scenario di una guerra nascosta nelle mura di casa che non sempre i numeri riescono a comunicare e raccontare, e sappiamo che questa escalation e questo orrore è l’anticamera del femminicidio. E’ un quadro allarmante che dura da moltissimi anni, per cui parlare di emergenza è improprio, non ha alcun significato, emergenza è un qualcosa che emerge all’improvviso, cui si deve far fronte, ma un’emergenza che dura da anni e che rimane e addirittura si aggrava negli anni non può più ritenuta tale. Le istituzioni devono affrontare in maniera strutturale, come diceva prima Annamaria Marin, un fenomeno che è soprattutto di carattere sociale e culturale. Un fenomeno cui dobbiamo dare delle risposte, perché di fronte a questo abisso, a questo orrore quotidiano, dobbiamo per prima cosa accendere una luce nel buio profondo in cui le vittime di questi reati si trovano. Siamo tutti noi colpevoli se restiamo in silenzio e non mettiamo in atto delle politiche efficaci. Oggi è la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne. Al di là dei proclami e delle buone intenzioni, delle nuove promesse che poi non verranno mantenute, basterebbe soltanto raccogliere, e dico soltanto per 5
modo di dire perché è estremamente difficile poi darne attuazione pratica da parte delle istituzioni, basterebbe, dicevo, raccogliere l’appello che arriva da tutte le associazioni di volontariato e dei centri antiviolenza, che accolgono le donne in difficoltà e in pericolo e danno loro assistenza medica, psicologica, legale, il cui lavoro quotidiano va riconosciuto, garantito e valorizzato. Spesso è un problema di carattere economico, perché sappiamo bene che i soldi ai centri antiviolenza, se arrivano, arrivano pochi, spesso non arrivano e non sono certamente adeguati alle esigenze che sono tante. Ma, dicevo, non è solamente una questione di fondi. In questi anni di populismo penale che ha fatto credere che tutti i problemi possano essere risolti soltanto con nuove leggi istitutive di nuovi reati, con l’aggravamento di pene o quant’altro, sappiamo che tutto questo non è possibile risolverlo solo ed esclusivamente con l’inasprimento delle pene. I dati quotidiani che si ripetono nel tempo dimostrano ancora una volta il contrario. Non è solo un fatto di inefficacia, perché questo tentativo del legislatore di dare una risposta in termini di nuove normative, di inasprimento di pena, è soltanto un problema che sposta l’attenzione dalla vera sfida a questo tipo di violenza, perché a mio avviso questo tipo di violenza, questo tipo di mentalità, di cultura sbagliata, deve, in particolare, partire dalla famiglia, dalle scuole, dalla società, dove bisogna cercare di ripensare al rapporto uomo/donna. Le difficoltà sono palesi e i dati dei vari rapporti che quotidianamente ascoltiamo, compreso quello dell’Eures e quello anche della Polizia di questi giorni, ci danno la triste conferma. Le nuove disposizioni del cosiddetto “Codice Rosso” hanno certamente innovato e modificato in positivo la disciplina penale, corredandola, come al solito, di inasprimenti di sanzione e, come dicevo, sappiamo benissimo, 6
chi fa il penale, la loro inutilità, basti pensare alle leggi sulla corruzione che non hanno risolto nulla perché la corruzione continua ad essere una costante del nostro Paese. Resta comunque la difficoltà pratica di gestire l’alto numero di segnalazioni, di estrapolare i casi più gravi. Recentemente il Procuratore Capo di Milano, Francesco Greco, rappresentava questa difficoltà a seguito dell’uccisione di una donna da parte del marito denunciato quattro giorni prima per aggressione. Ma, dicevo, anche il Codice Rosso è nato dietro la logica punitiva. Alcune norme possono essere valide, ma la cultura di fondo è sempre quella che porta lo Stato a pensare soltanto all’inasprimento di pena, e possiamo dire tranquillamente che è inutile punire dopo, quando la donna è già stata ammazzata. Aiutiamo chi fa prevenzione e chi, giorno dopo giorno, aiuta concretamente le donne in difficoltà. La violenza domestica non ha passaporto, non ha classe sociale né razza, colpisce in maniera indiscriminata e colpisce tutti. In questo senso è talmente democratica che non guarda in faccia nessuno. La violenza può esserci in qualsiasi tipo di società, in qualsiasi tipo di famiglia, a prescindere dalla capacità economica, reddituale e lavorativa. In questo contesto, prendendo uno dei temi di questo convegno di oggi si inseriscono i cosiddetti “discorsi di incitamento all’odio”, intesi come comprensivi di tutte le forme di espressione miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e altre forme di odio fondate sull’intolleranza, la discriminazione, l’ostilità, la violenza nei confronti delle minoranze e purtroppo anche delle donne. Sappiamo bene che le donne sono prime nel barometro dell’odio, anche questa è una costante. Combattere il discorso d’odio è possibile ma non è facile. Perché, vedete, il discorso dell’odio 7
molto spesso viene anche banalizzato e reso normale soprattutto quando reso online; rapidità di reazione, di impulsività, l’anonimato, rendono particolarmente aggressivo e qualche volta virale il contenuto delle offese dirette quasi sempre verso i più fragili. E’ necessario diffondere, soprattutto tra i più giovani, una nuova cultura sui pericoli dell’odio. Bisogna creare un circuito vizioso di azione contro l’odio in tutte le sue forme. Qualcuno ha opportunamente sottolineato che, per chi è in rete, l’odio è virtuale, ma per chi lo riceve, invece, è reale e ha un effetto a volte devastante nella vita quotidiana. Questa è la differenza tra chi scrive e chi riceve. Notevole è anche il ruolo dei social media, corsia preferenziale di incitamento all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi minoritari e socialmente più deboli. Il numero esiguo di caratteri che compone un tweet, un post, infatti consente e addirittura favorisce la diffusione e la condivisione di pensieri e atteggiamenti idiosincratici, a maggior ragione se garantiti dall’anonimato. Dobbiamo riuscire a sanare gli haters, i cosiddetti “leoni da tastiera”, che si nascondono dietro l’anonimato di nomi di fantasia. Quale può essere una chiave per reagire? La contronarrazione, che significa rispondere, argomentare, non lasciare che il linguaggio violento, volgare, scurrile, dei tweet d’odio non abbia risposta. Concludo dicendo che non possiamo e non dobbiamo mai accettare un linguaggio d’odio, perché il linguaggio d’odio è tossico e purtroppo contagioso. Auguro a tutti un buon lavoro, agli illustri Relatori in particolare. AVV. ANNAMARIA MARIN – Presidente Camera Penale Veneziana Grazie all’Avvocato Alberini. 8
La parola alla Prof.ssa Ivana Padoan, direttrice del Cestudir, Centro Studi per i Diritti Umani dell’Università di Venezia, oramai una presenza quasi costante alle nostre iniziative e quindi per questa perseveranza particolarmente gradita, perché ci ha abituati a dei contenuti sempre molto stimolanti. PROF.SSA IVANA PADOAN – Direttrice Cestudir Grazie, Presidente. Grazie a tutte e a tutti voi, perché ormai è diventato di prassi citare anche il femminile, non solo il maschile, nei saluti. Anzi noi abbiamo una nostra collega che addirittura se mi scappa una volta un maschile o un neutro mi taglia le unghie! A parte che non le ho, mi taglierà un dito! Contenta sempre di essere qui. Oramai io veramente devo essere grata agli Avvocati, all’Ordine degli Avvocati e anche alle Camere Penali per tutte le iniziative che fanno, proprio perché non è che tutti gli Ordini o comunque i professionisti riescano a fare iniziative del genere. Prendo un derivato dal discorso che è stato fatto prima dall’Avvocato: noi non siamo vaccinati alla violenza e nemmeno a quella di genere, io direi a quella DEI generi. Per questo io porto i saluti della mia Università, in particolare del mio Rettore che malgrado sia un informatico, un tecnico, da sempre si è speso per le problematiche di genere, di tutti i generi, tanto che lunedì 16 dicembre promoviamo il bilancio di genere all’Università, e se avete voglia ci fa piacere che veniate per vedere anche com’è stato fatto un bilancio di genere all’Università, tenendo presente che ci sono solo tre donne Rettrici in tutta Italia e quindi ha un significato importante questo, forse non è per voi perché molte sono le figure femminili che vedo in questa professione. Non solo questo, ha promosso un percorso di 9
insegnamenti rivolto a tutti i dipartimenti, integrativo fra tutti i dipartimenti, che si chiama Minor, sul genere, che tratta tutte le tematiche di genere: dal diritto, alla pedagogia, alla disuguaglianza, visto che molti dei percorsi che noi facciamo, ne faccio anch’io di genere, a quanto pare sono troppo all’interno dei singoli dipartimenti, di pochissimi dipartimenti, più quelli umanistici. L’ho voluto proprio trasversale a tutti i dipartimenti. Inoltre ha promosso con la nostra collega Giusti un Mooc destinato al linguaggio e alle stereotipie linguistiche e dei media, altrettanto fondamentale, che troverete all’Università, nel sito universitario, che è gratuito per tutti, ma è molto interessante, perché dà a tutti noi degli insegnamenti anche rispetto all’uso del linguaggio che facciamo tutti i giorni, praticamente, certi errori che magari sembrano delle abitudini ma sono degli errori di significato, semantici fondamentali per noi. E poi abbiamo voluto, e su questo siamo anche implicate noi dell’Università, un Master in Gender Study and Social Change, proprio per promuovere la parità di genere e contro tutte le disuguaglianze. E’ una tematica fondamentale, perché se noi facciamo una specie di attraversamento delle tematiche di genere possiamo vedere il primo periodo dei diritti, il secondo periodo della trasformazione sociale e politica e il terzo periodo attuale che è proprio la parità anche a livello economico di riconoscimento e soprattutto, come si dice, la lotta contro tutte le tipologie di violenza. Come avete scritto voi, soprattutto come ha voluto scrivere Monica, che ringrazio sempre perché lei persevera in questa iniziativa, quindi se c’è qualche colpevole andate da lei, e quindi dalle parole alle azioni vere e proprie, perché basta una parola stupida detta dal marito o dal fidanzato alla compagna perché questa sia già una violenza psichica. E poi voglio portare i saluti nostri, siamo qui io e Sara De Vido del Cestudir che è un organismo, c’è anche un ex Presidente, Lauso Zagato, e 10
altri colleghi. E’ un centro che si occupa in particolare di diritti umani, ma il tema di genere è un tema che fin da sempre noi abbiamo tematizzato, scritto, fatto convegni, promosso, esercitato, perché abbiamo fatto anche all’Università del Volontariato destinata anche al genere e a percorsi di genere. Fatti tutti i saluti, il Rettore doveva venire ma ha un pre Senato, un pre CDA, un pre tutto, e ho chiesto proprio l’orario perché se riesce a finire per le 18.30 ha detto che fa un salto. Va bene. Tre temi che però voglio sottolineare, velocissima, tre punti. Il primo punto che voglio sottolineare è che la questione di genere, lo ha detto prima sia la Presidente che l’Avvocato, è una questione profondamente educativa dalla nascita: il vestitino rosa contro il vestitino blu, il robot contro la bambolettina, quindi le cure che di conseguenza bisogna far maturare nella donna. La questione di genere è una questione educativa, di istruzione, i nostri libri sono scritti tutti al maschile e con contenuti maschili, quante sono le filosofe donne scritte nei testi non lo so, quante sono le Avvocatesse donne scritte nei saggi giuridici non lo so, e via di conseguenza. E formazione professionale, perché trattare soprattutto voi le relazioni con donne o con uomini è diverso, e quindi è una questione che ci tocca dalla base, siamo tutti implicati, anche qui non abbiamo vaccinazioni rispetto all’educazione. Secondo punto: è una questione oggi più che mai psichica. I social oggi stanno attraversando a tappeto, attraverso le parole d’odio, la nostra vita. E’ qualcosa di vergognoso e di disastroso che non ci siano delle barriere, non come il Mose, delle barriere vere che in qualche modo frenino questa prospettiva. E le barriere chi le fa? Le fanno già molti, enti e istituzioni, ma troppo pochi. Molte istituzioni pubbliche non fanno nessuna barriera, compresa l’Università e anche enti e associazioni. Non so quanta barriera 11
faccia il mio Ordine degli Psicologi, non so a queste performances... perché poi a noi arrivano i casi dei giovani pieni di odio, impregnati di odio, arrivano casi di persone adulte che hanno lo stesso problema, e casi anche di anziani. Quindi noi dobbiamo lavorare costruendo, non tanto una barriera quando arriva la parola d’odio, ma una prevenzione, diceva prima la Presidente. Intendo barriere in termini metaforici, proprio per far sì che le parole d’odio diano il senso del significato profondo che hanno, ma soprattutto di quella traccia corporea di cui si è parlato prima, perché l’odio come l’amore lascia tracce corporee, non solo parole al volo, sono tracce corporee che ci fanno crescere in un certo modo. Terzo punto, e chiudo, è la questione che per me è la più importante, il mio tema: la cura delle relazioni. Noi dobbiamo parlare oggi non solo della cura del sé, io scrivo di queste cose ma è insufficienze la cura del sé, cosa vuol dire la cura del sé? Il sé esiste nella relazione, perché il sé puro è un proto- sé. Non ha sesso il sé puro se non perché è stato formattato. Ma il sé emerge dalle relazioni e noi attraverso la relazione, che sia di gesto, di comportamento, di accoglienza, di parole, di abbigliamento, dimostra la nostra capacità relazionale. E quindi non possiamo lavorare, voi che siete in primis a lavorare nei conflitti, io veramente mi pongo il problema come fate a ragionare sulle relazioni, perché è difficilissimo ragionare sulle relazioni, a volte noi lavoriamo per opportunismo, per chi fa meno danni, per chi magari arriva prima, per chi paga di più. La stessa cosa è la scuola, la stessa cosa anche la gerarchia scolastica. Ma il lavoro sulle relazioni e un lavoro educativo, un lavoro formativo, un lavoro pesantissimo, e quindi è la cura delle relazioni che noi dobbiamo promuovere. Non voglio dire conciliazione, condivisione, sono parole che poi sono tematizzate rispetto a certe aree, ma è la cura delle relazioni che è la più importante per la nostra esistenza, è la più importante per l’esistenza di tutti noi. Grazie. 12
AVV. ANNAMARIA MARIN – Presidente Camera Penale Veneziana Grazie alla Prof.ssa Padoan per il saluto affettuoso e convinto che ha voluto dare a questa iniziativa, ma non avevamo dubbi. Adesso chiamo la moderatrice dell’incontro di oggi, l’Avvocato Monica Gazzola, che è la responsabile della Commissione “Diritti fondamentali, immigrazione e questioni di genere” della Camera Penale Veneziana, e chiedo che Monica prenda posto con i nostri Relatori i quali poi ci illustreranno i temi che sono stati indicati nella convocazione. Propongo di fare un applauso a tutta la Commissione “Diritti fondamentali”. - Applausi. Perché ascolteremo i Relatori, ma senza la Commissione questo incontro non ci sarebbe stato. Grazie. AVV. MONICA GAZZOLA Buonasera a tutti. Grazie per le parole affettuose rivolte alla Commissione. Ringrazio anch’io questa bella Commissione, perché è una Commissione fatta di amiche e di amici, di avvocate e avvocati impegnati non solo nella nostra professione, nella convinzione che sia necessario portare l’Avvocatura ad aprirsi anche alle tematiche extragiuridiche. 13
Questa iniziativa nasce da un indirizzo, che abbiamo fatto un po’ nostro, che è quello di una visione multidisciplinare per affrontare temi importanti, scottanti, gravi, attuali, come quello dell’hate speech in tutte le sue declinazioni, oggi in questa giornata in relazione all’identità di genere e in particolare nei confronti delle donne. E’stato ricordato prima dall’Avvocato Alberini quale sia oggi il dato tremendo dei numeri dei femminicidi. Avevo scritto due righe la settimana scorsa, ero arrivata a 94, ahimè in una settimana ho dovuto aggiornarlo a 96. Ma il femminicidio è la punta dell’iceberg di un mare di violenze fisiche, verbali, vessazioni, un mare profondo, un mare spesso silenzioso. Leggevo ieri un articolo su un nostro quotidiano locale che informava di come a Mestre e Venezia – una realtà di 200 mila abitanti, perché siamo una piccola città tutto sommato - ben 253 donne si sono recate al Pronto Soccorso nel 2018 per violenze subite. Sono numeri raccapriccianti. La violenza agita nei confronti di una donna rappresenta l’apice della piramide dell’odio. Di piramide dell’odio parla la relazione finale di un bellissimo lavoro che è stato fatto dalla Commissione parlamentare Jo Cox sull’intolleranza, sulla xenofobia, sul razzismo e sui fenomeni di odio, che è stata istituita nel maggio 2016, e che ha preso il nome da una parlamentare che è stata uccisa poco dopo nel Regno Unito. La Commissione ha lavorato per un anno e mezzo presentando nel 2017 una relazione finale. Ha effettuato una ricerca approfondita sul nesso tra i discorsi d’odio e la violenza perpetrata, in relazione a delle grandi categorie vulnerabili - stranieri, extracomunitari, e in particolare in relazione alle donne – e individua questa piramide dell’odio in una stratificazione significativa: alla base ci sono gli stereotipi, le false rappresentazioni; poi abbiamo un livello appena superiore che è dato dalle discriminazioni, cioè sulla base delle false rappresentazioni, 14
degli stereotipi di genere, arriviamo alle discriminazioni nel posto di lavoro, negli studi; poi arriviamo al linguaggio d’odio, e dopo vedremo come viene definito, come si può definire; infine, da qui si arriva ai crimini d’odio, cioè la violenza perpetrata. Conclude testualmente la Commissione: “Esiste un nesso tra i discorsi d’odio e i crimini d’odio, così come tra il discorso d’odio e la discriminazione. Infatti da una parte il discorso d’odio è una forma estrema di intolleranza che se non contrastata può contribuire a creare un ambiente favorevole al verificarsi di crimini d’odio, dall’altra essa segnala il più delle volte il radicamento di vere e proprie forme di discriminazione nei confronti dei soggetti colpiti”. Questo è un po’ il senso dell’incontro di oggi, ossia cercare di capire, di conoscere, di approfondire di che cosa stiamo parlando quando parliamo di hate speech, di discorsi d’odio, se ci sono strumenti normativi e culturali per contrastarlo e poi cosa si può fare in concreto. Piccola parentesi: ho citato il lavoro di questa splendida Commissione e immediatamente leggendo questo report non ho avuto fare a meno di pensare a quella Commissione abortita di recente che doveva avere lo stesso oggetto, che era stata affidata alla Senatrice Liliana Segre. Credo che la vicenda di questa Commissione abortita sia la prova della gravità della situazione oggetto del nostro convegno, nel senso che una commissione nata per contrastare i discorsi d’odio, tutte le forme di disuguaglianza, di xenofobia, di razzismo, di antisemitismo, di omofobia, eccetera, è stata affondata. Non solo, ma la sua promotrice, la Senatrice Segre, è stata oggetto di una violenza nei social inaudita tanto che, come sapete tutti, le hanno assegnato una scorta. Questo credo che non abbia bisogno neppure di commento e costituisca la cartina di tornasole di quanto sia grave la 15
situazione, anche perché, anziché essere gestita e combattuta dalle istituzioni e forze politiche, viene fomentata da alcuni esponenti politici. Prima di dare la parola al Prof. Faloppa che farà, com’è il suo stile, un’introduzione approfondita e completa, sia sotto il profilo linguistico che sotto il profilo della realtà quotidiana, molto brevemente cerchiamo di dare una definizione dei discorsi d’odio, in particolare i discorsi d’odio e relazione identità di genere. Non vi è una nozione universalmente riconosciuta, credo che tutti e tutte possiamo convenire che forse la più completa oggi, anche se non è vincolante giuridicamente, è quella che è stata data dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza del Consiglio d’Europa del 21 marzo 2016, una raccomandazione quindi, una soft law. Il discorso d’odio viene definito come: “L’istigazione e la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazioni o minacce tale persona o gruppo e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione fondata su una serie di motivi quali la razza, il colore, la lingua, la religione, le convinzioni, la nazionalità, l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”. C’è anche una definizione molto completa che è stata data dal Garante delle Telecomunicazioni a maggio di quest’anno, dopo lotte intestine piuttosto pesanti. Ne parlerò poi quando sentiremo il nostro Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Amadori. Dò subito la parola al Prof. Faloppa. Il Prof. Federico Faloppa insegna Linguistica all’Università di Reading in Inghilterra e si occupa da molti anni di rappresentazione delle diversità nel linguaggio e nei massmedia, nonché di migrazioni e politiche linguistiche. Ha pubblicato numerosi 16
saggi, l’ultimo - che sta avendo un grande successo editoriale e che a mio avviso dovrebbe essere adottato come libro di testo nelle scuole – si intitola “Brevi lezioni sul linguaggio”. E’ partner di numerosi progetti dell’Unione Europea di ricerca sui fenomeni d’odio fondati sul linguaggio ed è coordinatore del Tavolo Nazionale di Contrasto al Linguaggio d’Odio di Amnesty International Italia. Lascio a lui la parola con la relazione “Uomini che odiano le donne, cattive pratiche (linguistiche) tra informazione e social media”. Prego, Federico. PROF. FEDERICO FALOPPA Grazie, ringrazio moltissimo chi mi ha invitato qui oggi ad essere con voi, a discutere di questi temi. Ringrazio moltissimo voi, che siete così numerosi qui oggi con noi. Proverò, nel tempo che mi è dato, a tracciare alcune linee che sono già state in qualche modo ricordate e a cui si è fatto cenno nelle relazioni precedenti, ma che potranno, spero, essere anche d’aiuto per la discussione successiva. Io mi occupo da vent’anni, effettivamente è così, ahimè, di razzismo linguistico e di discorsi d’odio, anche se vent’anni fa non si chiamavano ancora così, ma quello che voglio proporvi oggi è un percorso che va dal linguaggio all’informazione ad alcune questioni che secondo me sono ancora poco studiate e poco approfondite quando parliamo di questi argomenti. Inizio in modo un po’ brutale, mi perdonerete, ma c’è un perché. Posso anche leggere alcune di queste cose, vi invito a leggerle, non le leggo io, ma potete leggerle voi, posso leggerne un paio solo per farvi sentire il tenore e la cattiveria di queste affermazioni. Queste sono frasi vere, reali. 17
Quelle che vedete all’inizio sono le iniziali di chi le ha scritte, e sono state scritte all’indirizzo di una sola persona, qualcuno di voi avrà già indovinato, sono alcune delle frasi e delle espressioni rivolte a questa persona e questa persona è Laura Boldrini. Perché ho iniziato in questo modo un po’ brutale? Perché una delle caratteristiche del linguaggio d’odio è sì la formulazione scritta, lessicale, tutto quello che cercheremo di toccare tra poco, ma anche il peso e la fatica di ricevere queste frasi, questi insulti, queste ingiurie, da parte di chi riceve. Io non le ho lette apposta, ma voi le avete immaginate, le avete lette nella vostra mente, potremmo leggerle e se le leggessimo trovereste veramente il peso, la violenza di queste frasi. Violenza che in qualche modo poi Laura Boldrini ha deciso di denunciare, questo è un famoso.. Tra l’altro non l’ho preso a caso, tre anni fa esattamente in questa data, il 25 novembre, Laura Boldrini dice: “Nella Giornata contro la Violenza sulle Donne vorrei sottoporre alla vostra attenzione un fenomeno sempre più frequente e inaccettabile: l’utilizzo nei social network di volgarità, di espressioni violente, di minacce nella quasi totalità a sfondo sessuale”. E poi lei mette con nome e cognome queste frasi, le pubblica sulla sua pagina Facebook. Interessante, perché in quel momento incomincia, e lo dice anche un libro che è stato scritto da poco, Flavio Alivernini “La grande nemica”, pubblicato da People, che ricostruisce questa storia, cioè le ingiurie rivolte alla Presidente della Camera e poi dopo anche quando lei non aveva più quella carica, e anche la storia, i tanti anni in cui sono state raccolte queste ingiurie, e alla fine lei ha deciso di agire, ha deciso di agire anche per smascherare le persone che si erano rese responsabili di quelle frasi. Infatti molte di queste persone, una volta smascherate con nome e cognome, si sono espresse, come vedete sulla destra della diapositiva in quel modo, cioè: “Mi dispiace, non lo sapevo, pensavo che non avrebbe fatto nessun 18
danno, pensavo che sarebbe rimasto lì tra noi, pensavo che”, eccetera eccetera eccetera. Questo la dice lunga sui linguaggi d’odio e non soltanto sulla violenza del linguaggio d’odio, in particolare in questo caso contro le donne, ma anche sulla incapacità di comprendere, da parte di chi poi li esprime, tutta la violenza che possono esercitare. Da lì si sono fatti diversi passi in avanti, voi conoscete questa campagna “Odiare ti costa”, l'Avvocato Cathy La Torre e altri a Bologna, nel luglio di quest’anno, hanno lanciato questa campagna molto efficace sul piano comunicativo ma anche molto efficace perché in poche settimane hanno raccolto 70 mila segnalazioni. Stanno portando avanti, mi diceva Cathy, 500 cause contemporaneamente; non sappiamo che esito avranno, ma intanto c’è un punto, un’associazione in Italia che raccoglie le denunce e che cerca di rispondere con il diritto, e lascerò poi questa materia ai colleghi che parleranno dopo di me. Guardate quello che dice Cathy La Torre: “Il diritto di critica e la libertà di opinione”, eccetera, “sono diritti inviolabili ma la diffamazione, l’ingiuria, la calunnia, l’offesa, la minaccia non lo sono”. Queste sono le categorie che cerca in qualche modo di analizzare Cathy La Torre col suo team di Avvocati. Ritorneremo su questo. Questa è una cosa un po’ leggera che ho messo: Cathy La Torre si basa nelle sue cause sull’ingiuria e sulle ingiurie codificate nel diritto italiano. C’è un dizionario giuridico degli insulti, queste sono ingiurie, 1200 circa, che dal dopoguerra in poi sono state codificate come tali. Allora se rientrano in questa messe di ingiurie, probabilmente si possono utilizzare oggi per fare delle istruttorie, per fare appunto causa a chi utilizza queste parole. E’ una slide leggera, ma adesso andiamo in una materia un po’ più complessa. 19
Siamo andati avanti nella denuncia, nella raccolta di questo linguaggio d’odio nei confronti delle donne, e non solo, e ci sono delle azioni finalmente oggi che stanno avendo anche un buon esito, vedremo poi se sul piano civile avranno lo stesso esito, alcuni dicono che non bisognerebbe usare solo quello strumento, ma intanto c’è questo strumento e vediamo cosa raccoglieremo e raccoglieranno. Ma, com’è stato già detto poco fa, il linguaggio d’odio è un problema, è un problema innanzitutto di definizione; ci sono tante definizioni, non c’è una definizione condivisa a livello europeo dal punto di vista giuridico. Le giurisprudenze dei Paesi europei, lo diranno dopo i colleghi che parleranno, hanno definizioni diverse, alcuni non le hanno affatto. In Italia il linguaggio d’odio non è codificato sul piano giuridico, ma certamente ci sono delle definizioni operative che possiamo tentare di utilizzare, una è già stata ricordata da Monica ed è forse quella più interessante, quella più utilizzabile, anche se si parla di “advocacy promotion and sentiment della denigrazione”, l’odio, la vilificazione o il vilipendio della persona o di un gruppo di persone. Qui è interessante: “una persona o un gruppo di persone”, si inserisce questo elemento che prima nelle altre definizioni precedenti a questa non c’era. Chiaramente si parla di espressioni anche se sul piano linguistico non c’è una definizione precisa, quali espressioni linguistiche? L’ingiuria? Vedremo dopo che l’ingiuria è una delle forme del linguaggio d’odio, non è l’unica e non è necessariamente la più pericolosa. E poi certo abbiamo un problema: linguaggio d’odio e poi abbiamo i crimini d’odio, che sono codificati sul piano giuridico da molte giurisprudenze europee, e questo ci porta a dire che le domande aperte e le questioni aperte sono una di questo tipo qui: dove finisce la libertà di espressione, dove inizia invece il linguaggio d’odio. Questa è la domanda centrale nel dibattito probabilmente non solo 20
giuridico ma anche nell’informazione, nel dibattito di chi cerca di fare attivismo anche su questi temi, al punto che alcune giurisprudenze stanno cercando di equilibrare questi due poli e trovare delle soluzioni. Lo vedremo dopo meglio. In Italia lo strumento più importante che abbiamo sul piano penale è la Legge Mancino del ’93, in generale sui linguaggi d’odio, non sto parlando d’odio contro le donne; voi la conoscete, potete leggere di che cosa si tratta, non devo ripeterla, ma questa legge però include quattro categorie: discriminazione su base nazionale, razziale, etnica, religiosa. Ne lascia fuori altre, e questa è una questione aperta, sul piano penale non abbiamo strumenti, per esempio, per tutelare le persone LGBT, se dobbiamo utilizzare uno strumento di questo tipo, non ce l’abbiamo. Infatti nella giurisprudenza italiana, ma anche nel dibattito parlamentare italiano, nella scorsa legislatura si è avanzata una proposta, la Rete Lenford di Avvocatura LGBT aveva proposto di estendere la Legge Mancino anche ad altre categorie o ad altre persone che erano colpite dal linguaggio d’odio; non si è avuto né in tempo né il coraggio di portare avanti questa discussione nella legislatura scorsa e, come vi dicevo, appunto, ci sono delle categorie che non sono coperte. Anche il linguaggio d’odio contro le donne effettivamente non rientra in una definizione, nel penale abbiamo – Cathy La Torre lo dice – altri strumenti: l’ingiuria, la diffamazione, e certamente questi sono gli strumenti che vengono utilizzati. Lascio questa materia a chi ne sa più di me. Sul piano linguistico ci sono delle questioni aperte altrettanto importanti. Il linguaggio d’odio è una forma complessa di linguaggio. Qui ho raccolto un po’ ti spunti. Ci sono responsabilità legali individuali, certamente, ma se a esercitare il linguaggio d’odio è un gruppo e non si riesce a individuare il 21
responsabile sul piano giuridico? Se c’è un linguaggio d’odio utilizzato anche come industria, diciamo così, non solo dell’informazione, della propaganda, se c’è un personaggio politico che usa il linguaggio d’odio per fare propaganda come si può intervenire? Nella giurisprudenza statunitense è molto dibattuto questo elemento oggi, perché Donald Trump usa il linguaggio d’odio, non solo per fare propaganda ma per governare un intero Paese. Ma come si può intervenire? La giurisprudenza statunitense, tra l’altro, con il primo emendamento dice che la libertà di espressione vince quasi sempre su tutto il resto. Ma anche qui devo fare dei salti. Poi certamente ci sono degli elementi, attinenti alla giornata di oggi, che mettono in relazione il linguaggio d’odio sia con le cause e sia con gli effetti. Attenzione però: un problema, e continua a essere un problema, è che non dobbiamo illuderci che possiamo fare facilmente un profiling dell’odiatore. Spesso nei dibattiti si dice: lo hater o la hater è fatto così, ha queste caratteristiche. No, Cathy La Torre utilizzando il materiale che ha raccolto in questi mesi mi raccontava un mese fa che le persone contro le quali ha sporto denuncia oggi sono quasi tutte inattese, inaspettate, non fanno parte del classico profilo dell’hater frustrato, l’ultimo degli ultimi che se la prende con penultimo, eccetera eccetera; no, dice Cathy La Torre che le 500 denunce che lei sta portando avanti sono contro persone che stanno bene, tra i 40 e 60 anni e che vivono in zone dove non ci sono quasi problemi da un punto di vista sociale della gestione del conflitto. Interessante. Dobbiamo rivedere l’idea anche di hater, e infatti in linguistica, ma non solo, si pensa che sia meglio parlare di atteggiamenti di odio, non di odiatori, cioè chiunque può incappare in questo tipo di formulazione di espressioni. Poi, certamente, ci sono degli effetti, sono stati studiati anche dai neuroscienziati, e non solo, dagli psicologi, dai cognitivisti: chi riceve il linguaggio d’odio ha degli effetti di breve durata 22
(rabbia, imbarazzo, perdita di autostima, scoraggiamento, eccetera) ma anche di lunga durata (isolamento, depressione, traumi duraturi). Questo è stato studiato. Allora la cosa interessante è che il linguaggio non è solo linguaggio, ma diventa anche azione; se l’esito è lo stesso di ricevere un pugno perché il trauma si avvicina al trauma generato da un’aggressione fisica, allora evidentemente il linguaggio non è solo linguaggio. Ma sul piano della giurisprudenza è un problema, perché spesso si dice: il linguaggio d’odio e classificabile come tale solo se prelude a un’azione d’odio, a un crimine d’odio; no, spesso il linguaggio d’odio non ha bisogno di un’azione d’odio, di un crimine d’odio codificato come tale per essere violento, e ce lo dicono appunto le ricerche di psicologia sociale. Allora, se è una forma complessa di linguaggio, immaginiamo che sia anche un problema di relazione. Io credo che sia una parola chiave quando parliamo di queste cose, “relazione”, sarà la fine della mia requisitoria oggi. E’ un problema di relazione, cioè alcuni linguistici dicono sul piano pragmatico il linguaggio d’odio nasce quando si interrompe un dialogo, cioè quando chi si contrappone non ha più gli argomenti e gli elementi per continuare un dialogo, allora se non ho gli elementi cosa faccio? Insulto. Se ho una povertà di argomentazione che cosa faccio? Insulto. E c’è un problema enorme in questo Paese, e non solo, di educazione all’argomentazione. Io lo dico sempre quando vado nelle scuole: va bene l’educazione civica, ma facciamo educazione all’argomentazione, per permettere ai nostri studenti e studentesse di individuare un argomento debole e di poter consolidare invece un argomento forte, solido, sul piano appunto retorico, che porti una conclusione logica. Questo è un problema. Allora con Amnesty negli ultimi due anni io ho contribuito a formare un’equipe di 300 persone che si chiama “Task force contro i discorsi d’odio” che cerca quotidianamente di intervenire sui social media per 23
riattivare quella comunicazione che si era interrotta. Stiamo raccogliendo dei dati quantitativi per sapere quanto successo ha avuto questa esperienza, non lo sappiamo ancora, tra sei mesi li avremo. Ma se è efficace effettivamente intervenire in quel modo, cioè recuperare il dialogo quando era perso, allora forse abbiamo uno strumento in più, un’arma in più, se lo riusciamo a dimostrare è un successo. E poi, certo, come riconoscere il linguaggio d'odio? Ci sono tanti elementi. Io ho parlato di un piano lessicale, appunto l'ingiuria. Ma questo è uno degli elementi del linguaggio d'odio ed è anche il più facile da individuare. Possiamo usare strumenti automatici, per i social, dei filtri lessicali, per esempio, ma non basta. Ci sono certamente, per esempio, dei livelli, come l'ironia, livelli non letterali, e anche i livelli delle implicature o delle presupposizioni e i livelli appunto argomentativi che non sono individuabili facilmente dalle macchine, e ci pongono un problema: come facciamo intanto ad individuare il linguaggio d'odio, quando non è espresso soltanto da un elemento lessicale, e poi come facciamo ad intervenire. E questo appunto è un lavoro che stiamo cercando di fare e chiaramente qui vado molto veloce perché il tempo scorre, chiaramente la rete, e questo è stato detto da Giovanni Ziccardi, "L'odio online" un libro fondamentale del 2017, e ci ha insegnato che la rete effettivamente ha delle specificità. Il linguaggio d'odio non nasce con la rete. Io me ne occupo da 20 anni. Il mio primo libro è del 2000 su questi argomenti, non c'era nulla di tutto quello che noi conosciamo oggi, ma c'erano già espressioni di linguaggio d'odio evidentemente e ho cercato di studiarle storicamente nei miei libri. Ma certamente la rete ha aggiunto degli elementi, li ha aggiunti. Per esempio sul piano appunto della moltiplicazione del messaggio. Non ripeto cose che sono ormai di senso comune. Ma anche la facilità di reiterare comportamenti ossessivi, compulsivi e anche l'esposizione di chi è vittima di questo linguaggio 24
d'odio, un pubblico che non si sa bene quale sia, uno, dieci, cento, mille. Un analfabetismo emotivo è stato detto. La mia amica collega Vera Gheno, Bruno Mastroianni, lavorano molto su questo in Italia, per educare sul piano dell'uso del mezzo. Come facciamo se un cinquantenne, un sessantenne, un settantenne si avvicina per la prima volta ai social e pensa che sia come mandare un messaggio sul telefono? C'è qualcosa che bisogna in qualche modo registrare. E poi certamente ci sono degli elementi molto grossi, molto importanti. Sono stati studiati nella sociologia delle comunicazioni, ve li lascio scorrere velocemente: il pregiudizio di conferma, l'effetto priming, l'effetto alone, l'echo chamber, per cui noi ci circondiamo di persone che più o meno la pensano come noi e quindi di conseguenza la cosiddetta spirale del silenzio che, guarda caso, oggi, grazie alle Sardine, in qualche modo si sta spezzando questa spirale del silenzio, cioè abbiamo pensato che la rete fosse popolata da odiatori dal linguaggio d'odio ma anche perché chi non la pensava così si poneva in silenzio, diceva: "Se io penso di essere parte di una minoranza, e quindi di essere attaccato, me ne sto zitto". Oggi le Sardine ci stanno dimostrando che forse non è così, cioè che c'è comunque un grossa fetta della popolazione che vuole essere vocal, che vuole esprimersi, vuole esprimere un'altra opinione, la spirale del silenzio però ha agito per anni nei social media da questo punto di vista. Qui sono degli esempi molto violenti di nuovo, una bambina folgorata da un cavo elettrico in un campo Rom: "Una in meno. Una futura ladra in meno. Una di meno. Ogni tanto buone notizie" eccetera. Certo c'è un problema anche cognitivo e lo dicono di noi i neuroscienziati: lo schermo fa lavorare il nostro cervello in modo diverso. I cosiddetti neuroni specchio pare si attivino in modo diverso e meno se abbiamo uno schermo davanti, invece che essere siamo in presenza di un essere umano. Non vi sto a raccontare la storia dei neuroni specchio; in questo libro mio che ha 25
citato Monica cerco di ragionarci, in queste brevi lezioni sul linguaggio, ma è interessante perché evidentemente se il nostro cervello biologicamente processa l'informazione in modo diverso e quindi non si cura dell'effetto che il nostro messaggio può avere sull'altro, perché lo schermo glielo impedisce, un effetto empatico inferiore rispetto alla presenza dell'altro, ebbene c'è un elemento grosso importante da tenere in conto. E questo è stato introdotto di nuovo anche nei social media. C'è un altro elemento a cui ho fatto cenno, la sovrapposizione tra discorsi d'odio e crimini d'odio. Le mappe dell'intolleranza di Vox Diritti stanno cercando di cartografare l'Italia ormai da cinque anni e cioè stanno raccogliendo milioni di tweet in alcuni periodi specifici dell'anno per capire se c'è una sovrapposizione tra la produzione di tweet e quello che succede nell'offline, ovvero un milione di tweet a Milano contro le donne? Perché? C'è una relazione tra qualcosa che è successo prima o qualcosa che deve succedere? Tra il crimine d'odio magari? Tra un femminicidio o no? Stanno cercando di correlare questi dati. Non abbiamo una risposta definitiva, non è semplice, ma le mappe, che vi consiglio di sfogliare online, danno molti elementi da questo punto di vista e questi sono dati che lo hanno raccolto. Quindi abbiamo quantitativamente dei dati che possiamo utilizzare per spiegare questo fenomeno e però sappiamo anche che in alcuni casi sì ci sono stati dei picchi di tweet, quindi di linguaggio d'odio online, in corrispondenza con alcuni eventi: 150 mila tweet analizzati nel 2019, marzo-maggio, da Vox Diritti; 40 mila sono contro le donne, 40 mila tweet su 150 mila analizzati sono contro le donne, una percentuale molto alta. Crescono i tweet contro le donne quando ci sono casi di femminicidio o durante il family day, quindi casi in cui l'informazione evidentemente parla della donna e della famiglia in un certo modo. Allora c'è uno sciame d'odio che si esercita. Ma non è più una impressione. Ecco, abbiamo lavorato per tanti anni a livello 26
impressionistico, oggi per fortuna abbiamo dei dati che ci confermano delle tendenze che ci interrogano in modo più completo su questi fenomeni. E una cosa a cui ho partecipato io come curatore e anche ho scritto una parte del rapporto, il barometro dell'odio di Amnesty 2019 in cui invece si è lavorato su Facebook, lavorando su tutti i contenuti prodotti dai candidati alle elezioni europee e anche sui primi 500 commenti dei loro followers per ogni contenuto, per capire se c'era una relazione tra il loro linguaggio d'odio e quello poi esercitato dai followers. Anche qui stiamo producendo dei dati interessanti. Ebbene, le donne sono uno dei più importanti, tra virgolette, target di odio, questo lo sapevamo già, ma di nuovo abbiamo dei dati, e la cosa interessante è che, se noi andiamo a scorporare i dati che abbiamo trovato, vi faccio vedere questi, le donne sono nel mirino e sono bersaglio dei commenti degli utenti, non soltanto di altri politici o di altre persone, ma negli utenti si produce di nuovo.. anche qui si producono dei picchi interessanti e tra l'altro i commenti negativi in qualche modo a spirale di nuovo continuano a generare commenti negativi. Cioè è interessante perché, lo intuivamo, adesso di nuovo abbiamo dei dati per cercare di capire se ci sono dei punti di partenza e come si allargano queste spirali d'odio. Vi invito a sfogliare questo rapporto che è assolutamente accessibile online. Per andare verso una conclusione ancora due cose vorrei dire. Vi dicevo che stiamo facendo moltissimo lavoro di raccolta dati e di analisi. Certamente c'è un elemento lessicale che è il primo e più facile da individuare, ci abbiamo lavorato per tanti anni, con dei filtri automatici, con una ricerca anche qualitativa, anche i dizionari pre-social, diciamo così, individuavano alcune parole chiave intorno a cui si esercitava il linguaggio d'odio, per esempio questo è tradotto dall'inglese, insomma, li leggete anche voi gli esempi. Io non li leggo e vi dico anche il perché, mi è capitato di leggere queste parole in un'aula e offendere delle persone e questo ve la 27
dice lunga; io lo facevo da scienziato, diciamo così, in modo neutrale, eppure solo la lettura di quegli insulti, di quelle parole esercitava una violenza verso alcuni soggetti. Questo per farvi capire che non siamo tutti vittime allo stesso modo, ci sono dei soggetti verso i quali queste parole qui esercitano una violenza maggiore, anche per motivi storici, anche per motivi sociali, e qui appunto gli studi si moltiplicano anche in questo caso. Una cosa che non ho, scusate, questo non è un esempio legato al genere, alla violenza sulle donne, bisognerebbe poi lavorare anche sulle cosiddette collocazioni, qui i linguisti computazionali lo sanno fare molto bene, cioè il testo non è solo una somma di lemmi, ma la semantica di una parola cambia a seconda delle parole che stanno a sinistra o a destra di questa parola. Allora, con grandi corpora di dati, milioni di testi, noi possiamo individuare delle tendenze. Questa è una tendenza che non riguarda le donne, ma ve l'ho messa perché viene da una ricerca interessante: dieci anni di stampa britannica sulle migrazioni, un collega di Oxford, un mio amico che ha fatto questa ricerca molto ampia e ha scoperto che "migration" che in isolamento può anche avere un significato neutro, però nella maggior parte dei casi era associata a dei verbi di reclusione e di contenimento e allora ecco che la parola singola non necessariamente ci individua qualcosa sul piano semantico, dobbiamo ragionare sulla semantica estesa del testo e questo ce la dice lunga anche sul fatto che c'è questo "donna" in termine neutro, non connotato, ma se nel testo troviamo una aggettivazione di un certo tipo, dei verbi di un certo tipo, chiaramente anche quella semantica cambia. Allora un lavoro esteso sul testo e di codifica del testo. Poi c'è un elemento di framing, qui siamo nella sociologia delle comunicazioni, che è un po' l'impacchettamento e qui faccio una parentesi sui media appunto. Il framing, ci viene spiegato, è il primo modo in cui noi recepiamo un contenuto, per esempio un titolo di giornale o una fotografia su una prima 28
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