STEPHAN SCHMIDHEINY: Il "BILL GATES SVIZZERO" O "IL PADRINO" DELL'ASBESTO?
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STEPHAN SCHMIDHEINY: Il “BILL GATES SVIZZERO” O “IL PADRINO” DELL’ASBESTO? LA MIRABOLANTE STORIA DI UN UOMO D’AFFARI Fernanda Giannasi1 Ecco come Stephan Schmidheiny, il miliardario svizzero erede dell’impero Eternit, si difende pubblicamente dall’accusa di aver permesso per quasi un secolo l’uso dell’amianto nelle imprese familiari sparse per il mondo. Lo fa tramite il suo sito internet, tradotto in varie lingue. L’amianto è noto per essere cancerogeno, ed è responsabile della maggior catastrofe sanitaria di cui si abbia notizia nella storia contemporanea. “La polemica sui potenziali effetti nocivi della polvere di amianto è stata uno shock per me sotto molti aspetti. Io stesso sono stato esposto alle fibre di questo materiale durante il mio stage in Brasile. Caricavo sacchi di amianto e gettavo le fibre nel miscelatore, aspirandole profondamente a causa dello sforzo fisico. Alla fine della giornata ero coperto di polvere bianca” 2 “La famiglia Schmidheiny ha vissuto sempre in modo discreto, lontana dai riflettori. All’improvviso, mi sono visto catapultato sulle prime pagine dei giornali a causa degli effetti nocivi prodotti dall’amianto, gli stessi dai quali tentavo di proteggere i miei dipendenti e tutto il gruppo. E’ stato un momento molto difficile, non solo per me, ma per tutta la mia famiglia, per i miei amici” 3 Nel tentativo di sfuggire ad una possibile condanna a 20 anni per “disastro ambientale doloso permanente e omissione volontaria delle misure di sicurezza antinfortunistiche” - la sentenza del Tribunale di Torino è prevista per il 13 febbraio 2012 - l’accusato si difende con storie mirabolanti. “In quel momento capii che non mi sarebbe stato possibile calcolare il rischio reale che comportava la fabbricazione di prodotti in fibrocemento. I nostri esperti credevano che gli studi scientifici sugli effetti nocivi di questo materiale fossero pieni di contraddizioni. Percepivo che la mancanza di consenso scientifico e tecnico in relazione all’amianto e sull’imprevedibilità dei suoi effetti non avrebbe permesso alcun tipo di pianificazione o gestione del rischio. E concludevo perciò che non si trattava di una prospettiva promettente nella quale impegnarmi”.4 “Allo stesso tempo presi una decisione radicale. Senza aver la minima idea di come avremmo introdotto il cambiamento, annunciai pubblicamente che il gruppo avrebbe interrotto la fabbricazione dei prodotti contenenti amianto, molto prima che l’Unione Europea lo bandisse. Ricordo bene le parole di uno dei manager del settore tecnico dopo il mio annuncio: ‘Il giovane Schmidheiny è impazzito! Vuole fabbricare prodotti Eternit senza amianto. E’ come trovare l’acqua asciutta...’5 Presi la decisione di non utilizzare più l’amianto per i danni ambientali e alla salute causati dal minerale. Ma avevo anche l’impressione che in un’epoca di crescente trasparenza e attenzione per i rischi sanitari, sarebbe stato impossibile sviluppare e mantenere un’impresa di successo continuando ad usare l’amianto. Questa intuizione mi fece pensare al nesso tra impresa e società. 1 Ingegnere civile e Ispettrice del Ministero del Lavoro e dell’occupazione dal 1983. Responsabile del Programma Amianto dello Stato di San Paolo, della Sovrintendenza Regionale del Lavoro e dll’Occupazione di San Paolo. Coordinatrice della Rede Virtual- Cidadã per la proibizione dell’amianto in América Latina e fondatrice della ABREA - Associazione Brasiliana dei lavoratori esposti all’amianto. 2 In http://www.stephanschmidheiny.net/business-career/?lid=1 3 Idem. 4 Idem. 5 Idem. 1
E’ stato un periodo duro, ma allo stesso tempo anche un momento di valore inestimabile per il mio futuro impegno nelle questioni relative a imprenditoria e società”6 “Furono momenti estremamente difficili, però col passar del tempo mi convincevo sempre di più di aver preso la decisione giusta”7 “Quando guardo indietro e valuto il nostro attuale livello di conoscenza sulle molte vittime dell’amianto, mi sento sollevato per la fermezza con cui ho deciso di non usare più questo materiale, nonostante le incertezze e le resistenze dell’industria, del mio gruppo e di molti dei miei dipendenti. Come sappiamo oggi, le malattie causate dall’amianto si manifestano solo dopo molti anni – a volte decenni – dopo l’esposizione alle fibre. Ciò è deplorevole, soprattutto perché per molto tempo né i governi né l’industria hanno ammesso le conseguenze del problema e preso le misure di tutela necessarie” 8 Il settimanale Epoca del 30/10/20039 presentava la vicenda in questi termini: “Lo scandalo dell’amianto è stato decisivo perché Schmidheney rivedesse le sue pratiche aziendali e si trasformasse in un apostolo della gestione consapevole, come in una sorta di espiazione dei peccati”. Ed ancora: “Schmidheney ha annunciato pubblicamente che avrebbe abbandonato la fabbricazione di prodotti contenenti amianto, ma solo agli inizi degli anni Novanta ha venduto la Eternit, e con essa tutte le sue cause di lavoro, ad un gruppo francese”10 La rivista Forbes nell’edizione del 5/10/200911 riporta la spiegazione data da Schmidheiny per questo cambiamento: “La mia impresa stava fallendo a causa dell’effetto combinato dei problemi relativi all’amianto e della grande crisi del settore edilizio. Ho ricostruito la mia impresa ripartendo come da zero”. La rivista conclude così: “Ritiene che la vendita un’impresa fondata dal nonno lo abbia agevolato nella distribuzione di parte della sua ricchezza quando era ancora giovane”12 La decisione di “ritirarsi” dalle attività legate all’amianto all’inizio degli anni ’90 in Brasile non è stato un mero caso, né è stata determinata da ragioni cosi’ “umanitarie”, come suggeriscono le affermazioni sopra riportate. Coincise con l’invito fattogli da Maurice Strong, segretario generale della Conferenza delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), cioè il futuro Earth Summit previsto a Rio de Janeiro nel giugno del 1992. Strong sollecito’ Stephan Schmidheiny, suo consigliere per l’industria e il commercio, a presentare le prospettive del mondo imprenditoriale sul tema. In quell’occasione furono convocati circa 50 imprenditori, che organizzarono il Consiglio Imprenditoriale per lo Sviluppo Sostenibile (BCSD)13, il quale dal 1995 si chiamerà WBCSD (World Business Council for Sustainable Development). Nel 2000 Schmidheiny ne fu nominato presidente onorario. Più avanti vedremo come il suo “ritiro” sia stato piuttosto una delle strategie di greenwashing promossa dai suoi abili addetti alle pubbliche relazioni. [Il termine greenwashing, entrato nel dizionario Oxford nel 1990, indica la “disinformazione creata da una corporazione per presentare una immagine pubblica di responsabilità ambientale”, NdT]. A partire dall’iniziativa guidata da Schmidheiny compaiono neologismi rapidamente incorporati da mezzi di comunicazione, ambientalisti e pubblici amministratori. Termini come eco-efficienza, responsabilità sociale e sviluppo sostenibile rappresentarono uno spartiacque per imprese con scarsa o nulla eco-efficienza, che inquinavano l’ambiente e gli esseri umani, ed erano facilmente imputabili di mancanza di responsabilità sociale. Tra queste è emblematico il caso della Eternit del 6 In http://www.stephanschmidheiny.net/business-career/?lid=1 7 Idem. 8 Idem. 9 In http://revistaepoca.globo.com/Revista/Epoca/0,,EDG60937-6014-285,00.html 10 Idem. 11 In http://www.forbes.com/forbes/2009/1005/creative-giving-philanthrophy-bill-gates-of-switzerland.html 12 Idem. 13 In http://cerradoemcrise.blogspot.com/2009/01/desenvolvimento-sustentvel-discursos-e.html 2
signor Schmidheiny, che non ha mai pagato alcun indennizzo decente alle vittime brasiliane dell’amianto, tanto meno per i danni ambientali provocati dalla imprese del suo impero. Il suo “ritiro” dal business dell’amianto ha lasciato in Brasile un immenso passivo socioambientale, dato che non ha versato neanche un centesimo e ha lasciato la pesante eredità i suoi successori, prima al gruppo francese Saint Gobain e poi alla ETERNIT S.A., che vene rifondata e nazionalizzata. Per tutto il periodo nel quale ha diretto l’impresa, non ha mai riconosciuto o comunicato ufficialmente alle autorità sanitarie un solo caso di malattia professionale causata dall’amianto. Ne esistono le prove. Nel 1987 durante un controllo che realizzammo nella fabbrica di Osasco per conto del GIA (Gruppo Interistituzionale dell’Asbesto coordinato dal Ministero del Lavoro di San Paolo) il medico responsabile dell’impresa confesso’ di essere a conoscenza di sei casi di malattia provocati dall’amianto. Questi casi non furono comunicati alle autorità sanitarie e alla previdenza sociale per decisione del vertice della multinazionale. Nel 1996 lo stesso medico, già in pensione, confessò che furono esaminati da lui stesso molti altri casi, tutti comunicati regolarmente in Svizzera, e che l’ordine ricevuto fu di mantenere il silenzio; e chi avesse scoperto di essere malato facesse pure causa all’impresa. Questa era la politica di responsabilità sociale della Eternit! Prima della nostra ispezione già relazione di Daniel Berman e Ingrid Hoppe (1985)14 riportava che “Il medico responsabile della Eternit aveva trovato solo 3 casi di asbestosi durante tutta la sua permanenza nella fabbrica di Osasco, ma ammetteva anche che c’erano altri 32 casi sospetti di fibrosi polmonare. Negò l’esistenza di casi di mesotelioma e di cancro al polmone, e giustificò il fatto in base all’alto turnover dei lavoratori, ai quali sarebbe stata evitata un’esposizione prolungata a contatto con l’amianto. Allo stesso tempo però ammetteva che l’ETERNIT aveva cominciato a dotarsi di registri medici accurati solo a partire dal 1978; percio’ la maggior parte dei danni alla salute antecedenti (cioè dal 1939 in poi) sono rimasti sconosciuti”. Responsabilità d’impresa o greenwashing? Leggendo l’ammirevole autobiografia di Schmidheiny, viene da chiedersi se la “crescente trasparenza” di cui parla si sia tradotta in atti concreti o sia un puro esercizio di retorica. E la risposta emerge dalla relazione15 della Commissione Speciale della Camera Federale dei Deputati, che esaminava il Progetto di Legge 2186/96 sulla “sostituzione progressiva della produzione e commercializzazione dei prodotti contenenti amianto” in Brasile. Nel maggio 2001, cioè dieci anni dopo l’annunciata rinuncia all’uso dell’amianto da parte del gruppo elvetico, Elio Martins – presidente della ETERNIT S.A., impresa nazionalizzata che controlla anche la terza maggior miniera di amianto nel mondo, la SAMA S.A. – spiego’ alla Commissione la composizione azionaria del gruppo. “La Eternit è un’impresa nazionale a capitale aperto, quotata in Borsa, e non ha un azionista di maggioranza che la controlla. I suoi maggiori azionisti sono la DINAMO - Fundo de Investimentos em Ações (25,17%); il Fundo de pensão do Banco Central (previdenza privata) CENTRUS con il 17,49%; la Saint Gobain (Brasilit) con il 9,11%; il Fundo de Participação Social del BNDES (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e social) con l’ 8,41%; l’AMINDUS HOLDING AG con il 6,81%, e la Empreendimentos e Participações HOLPAR con il 4,31%.” Una ricerca approfondita sull’origine della AMINDUS HOLDING AG ha mostrato il legame con imprese dell’impero Schmidheiny come la Nueva AG, Amanco AG con sede nel canton Glarona. Una pagina del sito personale di Schmidheiny ce ne dà conferma: “Quando nel 1994 Stephan 14 In Berman, D. e Hoppe, I. 1985 Book Review: Der Eternit-Report: (Stephan Schmidheinys Scheres Erbe) by Werner Catrina, Orell Fuessli, Zuerich, Switzerland, 240p. 15 In http://www.camara.gov.br/Internet/comissao/index/esp/asbestont0 80501.pdf 3
Schmidheiny decise di vendere tutte le sue attività in Svizzera e concentrare le sue attività in America Latina, fondò il GrupoNueva, che comprendeva tutte le attività imprenditoriali in America Latina. Le sue divisioni ‘Amanco, Masisa and The Plycem Company’ svolgevano un ruolo di guida”. Sempre dal suo sito veniamo a conoscenza che “tra marzo e dicembre 2007 sono state vendute, rispettivamente, la Amanco e la Plycem Company. Oggi il GrupoNueva controlla la Masisa. Il GrupoNueva è un gruppo che fa investimenti e occupa una posizione leader nelle Americhe, che produce valore per i suoi azionisti e per la società” Che cosa si deduce da questa miscellanea di imprese e da queste storie sempre più fantasiose? Che pur avendo rinunciato nei primi anni ’90 all’uso dell’amianto come recita la sua propaganda ufficiale, tutto lascia credere che Schmidheiny abbia continuato indirettamente, tramite sue imprese camuffate, a partecipare al business dell’amianto in Brasile almeno fino al 2001. Cio’ si deduce dalla testimoniansa del presidente della Eternit, Elio Martins, che svela l’ipocrisia dell’ “uscita eroica dall’amianto” raccontata dall’ennesima leggenda sul grande imprenditore. Quando gli è stato chiesto di dar conto delle contraddizioni di questa grave accusa, il portavoce di Schmidheiny Peter Schuermann ha risposto così all’editore della SonntagsBlick: “Stephan Schmidheiny ha venduto le azioni della Eternit in Brasile nel 1998; da allora né lui né altri delle sue holdings hanno avuto o hanno azioni dell’impresa. Per decenni sono esistite varie imprese sotto il nome di Amindus. Nel documento che mi è stato presentato (fa riferimento alla relazione della Camera dei Deputati), non c’è nessuna evidenza che si tratti della Amindus Holding di Glarona alla quale voi state pensando, dato che si fa riferimento solo alla Amindus Holding e alla Amindus Holding AG”.(messaggio del dicembre 2004) Filantropia o Furfanteria? Sul suo ruolo di filantropo, abbiamo trovato alcune dichirazioni su Internet, e ce ne sono alcune che sembrano bravate uscite dalla bocca di un Don Chisciotte: “Da molto tempo volevo riunire tutti i lati del mio carattere: sono imprenditore, cittadino, padre, escursionista, collezionatore d’arte e filantropo. Mi sforzo quotidianamente perché tutte le mie attività abbiano la stessa visione d’insieme, gli stessi valori e le stesse convinzioni”16 “Ho dedicato una percentuale considerevole del mio patrimonio e del mio tempo allo sviluppo di una nuova forma di filantropia. Come imprenditore ho voluto creare ricchezza economica e sociale, cercando allo stesso tempo di salvaguardare e migliorare l’ambiente. Come filantropo ho voluto sostenere un cambiamento sociale positivo, aiutando soprattutto chi ne avesse più bisogno, salvaguardando le generazioni future e la loro possibilità di scelta nel miglior modo possibile”17. La rivista Epoca nell’edizione del 30.10.2003 lo celebro’: “Ha donato 2,2 miliardi di dollari. Il magnate svizzero passa il controllo azionario delle sue compagnie ad una fondazione filantropica in America Latina”18 “La donazione della holding non l’ha lasciato povero, al contrario. Dopo aver annunciato la creazione della Viva, ha lasciato il mondo degli affari con un patrimonio personale di oltre un miliardo di dollari. L’ex patron ha voluto scherzare con i presidenti delle imprese del GrupoNueva, distribuendo loro un nuovo biglietto da visita senza numero di telefono, dove si legge solo ‘Stephan Schmidheiny, pilota di elicottero e sub’. Da allora, il miliardario si divide tra gli appartamenti in Svizzera, la casa in Spagna e le fazendas in Argentina e Costa Rica. Prima di togliere l’ancora ha creato la fondazione Mar Viva per la protezione dell’arcipelago cileno delle Galapagos, insieme a Greenpeace. “Sono cresciuto nelle terre della mia famiglia, passeggiando 16 In http://www.stephanschmidheiny.net/biography/?lid=1 17 Idem. 18 In http://revistaepoca.globo.com/Revista/Epoca/0,,EDG60937-6014-285,00.html 4
per sentieri di montagna. Con mio padre passavo le vacanze nel Mediterraneo, dove ho imparato a fare immersioni subacquee” – spiega – “Da qui nasce il mio interesse per l’ambiente’”19 Secondo la rivista Forbes il miliardario svizzero puo’ essere paragonato a Bill Gates e a Warren Buffett. Nonostante fugga la stampa, ha accettato di scambiare con la giornalista Tatiana Serafin alcune email nelle quali si definisce: “più di un imprenditore che si è fatto da solo”. La giornalista conclude: “Puo’ darsi, ma lui è anche la quarta generazione di una dinastia industriale svizzera”. “Pensava di fare il missionario, ma poi studio’ giurisprudenza e lavoro’ in varie parti del mondo per l’impresa di famiglia Eternit, che produceva prodotti per l’edilizia e che debutto’ nel 1903 usando il cemento rinforzato con fibre di amianto”. Debito sociale Nonostante le attività ostentate dalla Fondazione Avina, il “finanziamento di progetti sociali e ambientali in 12 paesi latinoamericani”, l’investimento di circa 280 milioni di dollari a sostegno di 130 progetti brasiliani (i dati sono della rivista Epoca), le associazioni delle vittime brasiliane dell’amianto non hanno mai ricevuto alcun appoggio per le loro campagne. Lo prova un messaggio che ci ha mandato nell’aprile 2004 Geraldinho Vieira, rappresentante della Fondazione Avina in Brasile: “Abbiamo ricevuto la sua richiesta a sostegno di una campagna pubblicitaria di sensibilizzazione per l’abbandono dell’uso dell’amianto e per la creazione di un centro specializzato per il trattamento delle vittime del suddetto materiale. E’ mio dovere informarla che questa possibilità non rientra tra le finalità e gli obiettivi della Fondazione AVINA” Ma sempre Epoca20, nonostante l’apologia riservata al fondatore dell’Avina, nel numero del 30/10/2003 non riesce a nascondere il danno ambientale e l’eredità nefasta lasciata in Brasile dal gruppo Eternit. L’articolo dice: “Si è lasciata alle spalle operai come João Francisco Grabenweger. A 77 anni, 38 dei quali passati alla Eternit, non ha più fiato per camminare. In cambio dei polmoni devastati dall’amianto, riceve una pensione di 2.400 Reais [poco più di mille euro, NdT]. Grabenweger è di San Paolo ma ha origini austriache. Si ricorda di uno Schmidheiny giovane, che conversava con lui in tedesco”. Nel dicembre 2003 Grabenweger gli scrisse una lettera in tedesco esprimendogli tutta la sua angoscia. Ne riportiamo i passaggi più toccanti: “Ricorda il suo stage nella fabbrica di Osasco in Brasile negli anni ‘60? Passò in tutti i reparti di produzione, fece lo stesso lavoro degli operai. Io fui scelto per accompagnarLa perché parlavo tedesco. Sono di origine austriaca, mi chiamo João Francisco Grabenweger. Non so se ancora ricorda questo umile operaio al quale Lei raccontava della sua passione per le immersioni subacquee, soprattutto nel Mediterraneo. La accompagnai personalmente, anche per una visita all’Istituto Butanta, famoso nel mondo per il serpentario e per la produzione di siero antiveleno. La mia vita di operaio Eternit ad Osasco è cominciata nel 1951 ed è terminata nel 1989 (è durata quasi 38 anni) Devo essere l’unico sopravvissuto di quel periodo, malgrado mi trovi oggi con una progressiva e irreversibile asbestosi, indurimento pleurico bilaterale diffuso e placche diafragmatiche bilaterali. Faccio parte di un gruppo di ex dipendenti Eternit, circa 1200 vittime dell’amianto ancora in vita, uniti oggi nella Associazione degli Esposti all’amianto (ABREA), diretta dall’ingegnere Fernanda Giannasi, che con molto coraggio e impegno lotta a livello nazionale e internazionale perché l’amianto sia bandito e perché alle vittime sia riconosciuto il diritto all’indennizzo. Mi permetta di farLe una domanda: Lei ha già visto i servizi sulle vittime dei campi di concentramento della Germania nazista? I sopravvissuti ricevono consistenti indennizzi e vengono 19 In http://revistaepoca.globo.com/Revista/Epoca/0,,EDG60937-6014-285,00.html 20 Idem. 5
riconosciuti loro tutti i diritti del mondo. E noi, ex dipendenti dell’Eternit di Osasco, che abbiamo lavorato completamente ignari in un campo di concentramento dell’amianto, aiutando con molta dedizione e orgoglio a costruire l’impero di fibrocemento della Famiglia Schmidheiny, cosa abbiamo avuto dalla nostra “Mamma” Eternit? Una bomba a effetto ritardato piazzata nei polmoni. Le allego una foto dei sopravvissuti di Osasco, chissà che non si commuova nel vedere le carcasse umane alle quali sono ridotti oggi gli antichi dipendenti dei tempi d’oro della Eternit. Forse Lei non lo sa, ma noi, vittime di Osasco ancora vive, siamo la garanzia di impiego per quelli che difendono contro i suoi ex-dipendenti l’attuale ETERNIT, umiliandoci quotidianamente con offerte di indennizzo irrisorie, veramente offensive per le nostre condizioni di salute e i nostri capelli bianchi. Mi auguro di ricevere in breve una Sua risposta, perché ho sempre avuto l’impressione che molto di quel che accadeva nelle fabbriche veniva passato sotto silenzio dalla Sua famiglia, e perché confido sull’impressione positiva che Lei mi ha trasmesso, di grande sensibilità e rispetto, ora corroborata anche dall’articolo di Alex Mansur della Rivista Epoca. E’ per questo che mi rivolgo a Lei, in nome delle vittime di Osasco, perché promuova la tanto agognata giustizia per quelli che hanno dato la vita per Lei, per la Sua famiglia e per la Sua impresa” João Francisco Grabenweger è morto il 16 gennaio 2008, aspettando fino all’ultimo giorno la risposta di Schmidheiny, che non è mai arrivata. La Eternit gli aveva offerto 27 mila dollari perché desistesse dall’azione giudiziaria. Iustitia Quae Sera Tamen (Giustizia, anche se tardiva) E’ questo che ci si aspetta dalla sentenza di primo grado prevista per il 13 febbraio 2012 al Tribunale di Torino. Speriamo nella condanna dei responsabili del maggior disastro ambientale doloso permanente di tutti i tempi e dell’omissione volontaria delle misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In previsione di una condanna che si fa sempre più concreta, il magnate svizzero dell’amianto ha fatto una dichiarazione al Wall Street Journal, in un articolo pubblicato il 12 settembre 2002 21. Con la sua abituale arroganza ha detto: “Prometto che non finirò mai in una prigione italiana. Ogni tanto mi guardo allo specchio, e mi posso guardare dritto negli occhi e sentire tutto il bene che ho fatto. E’ chiaro che nessuno è perfetto, e guardando indietro ci si rende conto che si sarebbe potuto fare di più”. 21 In WST “Moral Fiber: Billionaire Activist On Environment Faces His Own Past. An Eco-Efficiency' Advocate, Swiss Magnate Confronts Questions on Asbestos. Mr. Schmidheiny's Conscience” by David Bank. 6
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