Simbolicità e emotività nella comunicazione animale Prospettive (zoo)semiotiche - Stefano Gensini (Sapienza, Dipartimento di Filosofia)
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Simbolicità e emotività nella comunicazione animale Prospettive (zoo)semiotiche Stefano Gensini (Sapienza, Dipartimento di Filosofia) 1
Una posizione “classica”: Cassirer 1945, Essay on Man (1945: 47-8) Reff. a W. Köhler, The mentality of Apes (1925; orig. ted. 1917) K. Bühler, Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache (1934) 2
Interessante confrontare questa posizione con (almeno) due pagine strategiche nella storia del dibattito sulla comunicazione animale Aristotele, Politica l. I 2 (ed. Viano, vol. 1 Utet) Perciò è chiaro che l’uomo è animale più socievole di qualsiasi ape e di qualsiasi altro animale che viva in greggi. Infatti, secondo quanto sosteniamo, la natura non fa nulla invano, e l’uomo è l’unico animale che abbia la favella: la voce è segno del piacere e del dolore e perciò l’hanno anche gli altri animali, in quanto la loro natura giunge fino ad avere e a significare agli altri la sensazione del piacere e del dolore. Invece la parola serve a indicare l’utile e il dannoso, e perciò anche il giusto e l’ingiusto. E questo è proprio dell’uomo rispetto agli altri animali: esser l’unico ad avere nozione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e così via. È proprio la comunanza di queste cose che costituisce la famiglia e la città. 3
Descartes Discours de la méthode (1637), dal libro V (< AT) [Ha appena spiegato che nessun automa, e nessun animale, è in grado di usare il linguaggio «pour déclarer aux autres nos pensées»] Reff. agli Anciennes: prob. Lucrezio, Plutarco e Sesto Empirico, le cui tesi erano state di recente riprese e popolarizzate da Montaigne negli Essais (1580, 1588). 4
In Cassirer, interessante il riferimento al carattere SIMBOLICO E PROPOSIZIONALE del linguaggio umano, in relazione al dibattito filosofico-linguistico e psicologico del tempo. SIMBOLO vs. SEGNALE Il SEGNALE (tipico degli animali) è ancorato necessariamente a un processo fisico, ha un «carattere operativo» (ad es. la reazione del cane di Pavlov al campanello annunciante il cibo); IL SIMBOLO (tipico dell’essere umano) ha carattere designativo e funzionale, può cioè riferirsi a oggetti e stati di cose. (1945: 51) Reff. (Frege), Morris, The foundation of the theory of signs (1938), Thorndike, Animal Intelligence (1911) 5
Il dibattito sul tema viene influenzato dal classico libro di C. K. Ogden e I. A. Richards, The Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language (1923) che ha goduto di immensa fortuna, fino agli anni Sessanta-Settanta, anche in ambito etologico. (1923: 149) (1) La nozione di linguaggio emotivo viene contrapposta a quella di l. simbolico; essi si presentano come mutuamente esclusivi; (2) I segnali animali sono dunque considerati “emotivi” in quanto manifestazioni non volontarie di stati affettivi 6
Si ricordi che anche Charles Darwin, The Expression of Emotions in Man and the Animals (1872), in cerca di argomenti per identificare gli elementi dicontinuità psicologica fra gli umani e gli altri animali, aveva posto l’accento sulla espressione delle emozioni come tratto unificante. Questa sua posizione viene fatta “collassare” sulla distinzione filosofico-linguistica tra momento emotivo e momento simbolico-referenziale del linguaggio. 7
Prima crisi del paradigma: Karl von Frisch (1886-1982) e la “danza delle api”, un vero e proprio linguaggio per mezzo del quale le api esploratrici comunicano alle conspecifiche la presenza di una fonte di cibo nell’ambiente, la sua localizzazione approssimativa, la sua ricchezza. Attivo fin dagli anni 1920~, ma la scoperta viene popolarizzata nei primi anni 1950 con alcune pubblicazioni in lingua inglese, che ha un grande impatto, anche sui linguisti. (1) Danza dell’addome (2) danza “a otto”. La direzione in cui va cercato il cibo viene indicata mediante un doppio tipo di danza il cui asse rispetto alla posizione del sole forma un angolo rappresentante la traccia di ricerca. L’intensità del movimento indica il grado di ricchezza della fonte di nettare individuata. 8
Esemplare il commento di un linguista come Émile Benveniste (1902-1976) che nel 1953 (Diogenes, I/1, p. 5) scrive: Conclude dunque che «there are thus several points of resemblance with human language. An effective, though rudimentary symbolism is brought into play» 9
La stagione della zoosemiotica (aprox 1958-1970) 3 Figure chiave: Thomas Sebeok (1920-2001) biologo, semiologo, fondatore di Semiotica (1969-), conia il termine zoosemiotics (1963) e promuove un intenso lavoro di coordinamento fra studiosi di varia formazione e ambito di ricerca. Cfr. Animal Communication: Techniques of Study and Result of Research. Indiana University Press 1968 (trad. it. Zoosemiotica. Studi sulla comunicazione animale, Milano: Bompiani, 1973) Charles F. Hockett (1916-2000) linguista di scuola bloomfieldiana, con forti interessi biologici, fra il 1957 e il 1968 propone il modello dei design features, una matrice di tratti per classificare i linguaggi animali e umani, base fino a tempi recentissimi di ogni ricerca di tipo comparativo. Peter Marler (1928-2014) zoologo e etologo, esperto di ornitologia e primatologia, leader delle ricerche sulla comunicazione animale e autore di contributi fondamentali sotto il profilo metodologico (a partire da “The logic of animal communication”, 1961) Sebeok ed. 1968 Hockett 1958 Peter Marler 10
Una sintesi dei design features di Hockett: … e una loro (discutibile) applicazione recente 11
Questa stagione ha il suo apice (e l’inizio del suo declino) nella celeberrima esperienza della femmina di scimpanzé Washoe, cui i coniugi Allen e Beatrice Gardner e il loro assistente R. Fouts insegnano – con notevoli risultati – a usare l’ASL (American Sign Language). Deel 1969 è il libro in cui l’esperienza viene resocontata in dettaglio. Washoe impara a capire e usare molti segni/parole (120/250) e alcune regole di combinazione. Nell’ultima parte della sua vita, Washoe insegna alcuni segni a un suo cucciolo. Rilevanza dell’esperimento….. - Possibilità di apprendere (parte di) un linguaggio umano; - Conquista della dimensione simbolico-funzionale; - Interattività interspecifica (affettività come quadro motivazionale dell’esprienza) Sua originalità: i Gardner mettono a frutto la recente scoperta (Stoke, 1960) del carattere sistemico, pienamente semiotico, delle lingue dei sordi; E sua cornice comportamentista: - carattere completamente artificiale della situazione di apprendimento; - disinteresse per le (possibili) implicazioni cognitive del comportamento. 12
La stagione di Chomsky e la crisi della zoosemiotica A partire da Syntactic structures (1957) Chomsky propone un nuovo modello di linguaggio: - è una facoltà innata: l’apprendimento non spiega la creatività del comportamento (argomento della povertà dello stimolo); - ha un nocciolo sintattico profondo (la semantica ha solo un valore interpretativo); - è specie-specifica: nessun animale condivide il linguaggio perché nessun animale è capace di combinatorietà/creatività sintattica. La ricerca sul presunto “linguaggio” animale è dunque teoricamente insensata (come lo è – da un altro punto di vista – la sociolinguistica). Il libro del 1966 segna pertanto una svolta nel dibattito. La convergenza di generativismo e studi sulle intelligenze artificiali decreta la fine della zoosemiotica. Si afferma un modello del linguaggio come manipolazione di simboli astratti; la mente è assimilata a un programma di computer, irrelata alla sua base cerebrale. Siamo nel pieno del “cognitivismo di prima generazione” (Lakoff). 13
Il ritorno della mente animale: l’etologia cognitiva Ruolo apripista svolto da Donald Griffin (1915-2003), zoologo e etologo noto per le sue ricerche sulla ecolocalizzazione nei pipistrelli (1940s) pervenuto negli anni Settanta a posizioni che ne fanno il caposcuola della etologia cognitiva (Question of Animal Awareness, 1976; Animal Minds, 1992). Nel tardo saggio Window on nonhuman minds (2009) egli scrive Fra le evidenze scientifiche più probanti egli cita: - la classica ricerca di Von Frisch sulle api; - gli studi sull’uso del linguaggio nelle antropomorfe, particolarmente quegli condotti sul bonobo Kanzi negli anni 80-90; - gli studi sui sistemi di allarmi dei cercopitechi e di altre specie (condotti a parite dal 1980); - gli esperimenti di Irene Pepperberg col pappagallo Alex. 14
Un caso esemplare: i segnali d’allarme dei cercopitechi di Amboseli (Kenya) Paper seminale di D. Cheney, R. Seyfarth e P. Marler (1980) seguito da numerose pubblicazioni fino al 1990 (How Monkeys See the World. Inside the Mind of Another Species). Novità dell’esperienza: - ricerca in the wild, senza mediazione laboratoriale; - metodo osservativo condotto secondo procedure rigorose e ripetibili; - applicazione di categorie (1) linguistiche e (2) mentaliste Il cercopiteco si drizza sulle zampe posteriori e guarda attentamente verso il basso per scrutare la presenza del predatore: è questo il contesto in cui viene emesso il segnale d’allarme specifico per il pitone. Tre predatori naturali – tre segnali d’allarme acusticamente e funzionalmente distinti: (1) per l’aquila (2) per il leopardo (3) per il pitone 15
Conseguenze “semiotiche” I segnali – formanti un vero e proprio codice – sembrano dunque esibire il tratto della simbolicità, in quanto si riferiscono senza dubbio a un particolare tipo di predatore. Essi sono inoltre arbitrari in quanto non le loro fisonomie fonico-acustiche NON sembrano collegate in modo naturale al predatore. Vengono organizzate prove di controllo mediante registrazione dei segnali e loro emissione con altoparlanti in assenza di stimoli visivi (non ci sono i predatori): in percentuale rilevante, la risposta dei conspecifici è la stessa data in presenza dei predatori. Ciò milita a favore del carattere simbolico e arbitrario (non dunque emotivo) dei segnali d’allarme. 16
Conseguenze “mentaliste” L’intervento di Daniel Dennet (“Intentional systems in cognitive ethology: the Panglossian paradigm defended”, 1983) connette l’esperienza di Cheney e Seyfarth al dibattito sulla nozione di intenzionalità, intesa à-la Brentano, come indizio del mentale. Si v. – per una lettura commonplace di questo concetto, l’inizio della voce Intentionality in SEP: Intentionality is the power of minds to be about, to represent, or to stand for, things, properties and states of affairs. The puzzles of intentionality lie at the interface between the philosophy of mind and the philosophy of language. The word itself, which is of medieval Scholastic origin, was rehabilitated by the philosopher Franz Brentano towards the end of the nineteenth century. ‘Intentionality’ is a philosopher's word. It derives from the Latin word intentio, which in turn derives from the verb intendere, which means being directed towards some goal or thing. La capacità di fare riferimento a qualcosa viene pertanto letta come “hallmark” del mentale, come il punto di distinzione del mentale rispetto al mondo fisico. Ne discende una importante conseguenza: (1) Segnali d’allarme -> simbolici (si riferiscono a tipi di predatore); (2) Ma riferimento = indizio del mentale; (3) Dunque i cercopitechi hanno una mente? (senza avere un lv) Ref: Premack, D.G. and Woodruff, G. (1978) “Does the chimpanzee have a theory of mind?” Behavioral and Brain Sciences, 1: 515-526. 17
Excursus: Franz Brentano 1874, Psychologie vom empirischem Standpunkt (lib. I, pp. 115-16) Congiunzione di questa definizione con la teoria analitica del riferimento (anni Cinquanta?) Mentale = riferimento Linguaggio verbale = riferimento Linguaggio verbale = mentale 18
Polemica sulla tesi “arbitrarista” Versione forte (Marler 1980~) I segnali dei cercopitechi funzionano – nel caso specifico – come le parole del linguaggio verbale; Versione moderata (Macedonia, Marler, Evans e al. 1990~) I segnali sono “funzionalmente referenziali”: il loro comportamento non implica necessariamente la presenza di una mente; Versione negazionista (numerosi critici fino a Owen e Rendall 2009) - (a) la visione arbitrarista non regge perché i segnali animali hanno sempre un fortissimo contenuto emotivo (= motivazionale) il che funziona in senso contrario rispetto all’arbitrarismo; - (b) i segnali animali sono sempre radicalmente contestuali quindi non sono propriamente simbolici in quanto traggono dal contesto (e non dalla loro struttura “lessicale”) il significato. 19
Simbolicità ~ Emotività? A scuola dai suricati Gli studi su queste e altre specie (ad es. gli scoiattoli terricoli della California) fortemente sociali mettono in luce una situazione più complessa. I segnali d’allarme hanno: - Una componente simbolica (in quanto si riferiscono a certe tipologie di predatori) - Una componente emotivo-motivazionale (in quanto segnalano il livello di pericolo e quindi l’urgenza di trovare riparo) Emerge dunque un adattamento del segnale al contesto che non veniva considerato nei primi studi sui segnali di allarme: lungi dal rappresentare un ostacolo alla dimensione della simbolicità, la componente motivazionale ne integra il funzionamento. 20
Esiste dunque una pragmatica della comunicazione animale? Un ulteriore esempio: la comunicazione vocale dei babbuini Cfr. Cheney, Seyfarth, Baboon’s metaphysics. The evolution of a social mind (2007) Due situazioni tipiche della complessa vita sociale, rigidamente gerarchizzata, dei babbuini: la protezione dei cuccioli, legata alla parentela e alla gerarchia sociale delle femmine; e lo spostamento della comunità (che può raggiungere gli 80-100 individui) durante il quale è fondamentale la tenuta del contatto fra gli individui mediante segnali di richiamo. Un repertorio vocale molto limitato, che è stato sottoposto a analisi spettrografiche per poterne distinguere le caratteristiche fono-acustiche, spesso impercettibili per l’orecchio umano. Emergono importanti varianti fisiche correlate a precisi contesti sociali, che determinano il valore del segnale (aggressivo, conciliativo, richiestivo ecc.) L’idea è dunque che il segnale sia “riempito di significato” dal ricevente in relazione (1) al rapporto col mittente (gerarchia, familiarità, esperienze pregresse) e (2) al contesto di comunicazione. 21
Considerazioni conclusive Per l’etologo - Questo tipo di ricerche conferma che è lecito parlare di una semanticità dei segnali animali che può essere variamente modulata, fra un massimo di simbolicità e un massimo di motivatezza/contestualità; - Viene dunque falsificata la teoria del carattere solo emotigeno della comunicazione animale; - La significazione fa parte del corredo evolutivo della specie e può/deve essere indagata entro un quadro darwiniano. 22
Per il filosofo del linguaggio - Il riconoscimento di quanto precede si è accompagnato alla conquista di una concezione nuova dello stesso linguaggio verbale, liberato dalle pastoie (1) del comportamentismo e (2) del generativismo e del cognitivismo “disembodied”, concentrati su una visione simbolica e calcolistica del lv.; - La pragmatica (che comincia a circolare in area etologica dagli anni 1990-) ha rappresentato la svolta (limitatezza delle fonti degli etologi) - Molto potrebbe venire oggi da un rapporto ravvicinato con le concezioni “embodied” del linguaggio che mettono in risalto: o Le radici cerebrali senso-motorie della comunicazione (neuroni canonici e neuroni specchio); o Il fondamento dell’attività di concettualizzazione in processi arcaici della cognizione, condivisi con molte specie animali; o La dimensione dell’azione come base per una considerazione “enacted” del comportamento comunicativo; o Il problema del mentale viene riconsiderato in una chiave rigorosamente evoluzionista che tende a riassorbire ogni forma di dualismo (cfr. la ‘teleosemantica’ di Ruth Millikan e altri autori). Due letture consigliate: Mark Johnson, Embodied mind, meaning and reason. How our bodies give rise to understanding (2017) Philip Lieberman, Robert Mc Carthy, “Tracking the evolution of language and speech” (2007) ww.cog.brown.edu/people/lieberman/pdfFiles/Lieberman,%20P.%20&%20McCarthy,%20R.%202 007.%20Tracking%20the%20evolution%20of.pdf 23
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