SEMIOTICA 2020-21 PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia

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SEMIOTICA 2020-21

PROF. ILARIA TANI
La tipologia dei segni in Peirce
         Dal punto di vista della relazione tra il segno e il suo oggetto:
                            icona, indice, simbolo

  «Un’icona è un segno che si riferisce all’Oggetto che essa denota
  semplicemente in virtù di caratteri suoi propri, e che essa possiede nello
  stesso identico modo sia che un tale Oggetto esista effettivamente, sia che
  non esista […]. Una cosa qualsiasi, sia essa qualità o individuo esistente, o
  legge, è un’Icona di qualcosa nella misura in cui è simile a quella cosa ed è
  usata come segno di essa» (CP 2.247)

L’icona è correlata al suo oggetto in virtù di un carattere di similarità. I segni
iconici sono motivati per somiglianza tra il segno e l’oggetto.

  •     Es.: illustrazioni, ritratti, diagrammi, silhouette, caricature, schemi illustrativi di un
        apparecchio, suoni onomatopeici, metafore.

  Problema della similarità o della somiglianza: cfr. dibattito sull’iconismo (Eco 1968,
  1997): più che di somiglianza, si tratta di un analogo effetto percettivo suscitato
  dall’Oggetto dinamico e dalla immagine, mediato dallo schema percettivo o tipo
  cognitivo (acquisito culturalmente).
«Un Indice è un segno che si riferisce all’Oggetto che esso denota in virtù
  del fatto che è realmente determinato da quell’Oggetto (CP 2.2248)

I segni indicali sono motivati per contiguità fisica e causale:

  «L’indice è fisicamente connesso con il suo oggetto; indice e oggetto
  costituiscono una coppia organica, ma la mente interpretante non ha niente
  a che fare con questa connessione: si limita a metterla in luce dopo che
  essa è già stata stabilita» (CP 2.299)

  •     Es.: la firma (traccia della presenza dell’autore), la banderuola che indica la direzione del
        vento; il dito puntato, l’impronta, la fotografia.
«Un Simbolo è un segno che si riferisce all’Oggetto che esso denota in virtù di una
  legge, di solito un’associazione di idee generali, che opera in modo che il Simbolo sia
  rappresentato come riferentesi a quell’Oggetto» (CP 2.249).

Il simbolo è un segno non motivato. Peirce lo definisce anche legisegno (basato su una
legalità propria di una comunità):

  «Un Simbolo è un Representamen il cui carattere Rappresentativo consiste
  precisamente nel suo essere una regola che determinerà il suo Interpretante. Tutte le
  parole, frasi, libri, e altri segni convenzionali sono Simboli. Noi parliamo di scrivere o
  pronunciare la parola «uomo»: ma è solo una replica, o incarnazione della parola che
  è pronunciata o scritta. La parola in sé non ha esistenza sebbene abbia un essere
  reale, consistente nel fatto che gli esistenti si conformeranno ad essa. [Essa] diventa
  segno solo nel fatto che un abito, o legge acquisita, causerà il fatto che le sue repliche
  siano da interpretare come significanti un uomo o gli uomini» (CP 2.292).

Fadda 2013: 184: «il simbolo è, ma non esiste – esistono semmai le sue
repliche (ciò che in semiotica strutturale si chiama «fonia» o «grafia»). Esso
non agisce come esistente ma pragmatisticamente come una regola, un abito».
«Il simbolo è connesso con il suo oggetto in virtù dell’idea della mente che usa il
   simbolo, senza la quale non esisterebbe questa connessione» (CP:2.299).

Che sia la mente dell’interprete a stabilire la relazione tra il Representamen e l’Oggetto
non significa che il singolo sia il creatore del segno:

«Puoi scrivere la parola «stella», ma ciò non fa di te il creatore della parola, e neppure se
la cancelli l’avrai distrutta: la parola vive nella mente di coloro che la usano. Anche se
essi sono tutti addormentati, essa esiste nella loro memoria».

   •     Es.: segni del linguaggio naturale, della matematica, del codice della strada,
         gradi militari.
Interpretazione
«Qualcosa è un segno solo perché è interpretato come segno di qualcosa da un
interprete […] pertanto la semiotica non ha a che fare con lo studio di un particolare tipo
di oggetti, ma con gli oggetti comuni nella misura in cui (e solo nella misura in cui)
partecipano alla semiosi» (Charles Morris, Foundations of the Theory of Signs, 1938; tr.
it. Lineamenti di una teoria dei segni, Torino, Paravia, 1954: 20).

«L’oggetto di una rappresentazione non può essere se non una rappresentazione di cui
la prima interpretazione è l’interpretante. Ma di una serie senza fine di rappresentazioni,
di cui ognuna rappresenti quella precedente, si può concepire che abbia un oggetto
assoluto come suo limite. Il significato di una rappresentazione non può essere altro che
una rappresentazione. In effetti, non è nient’altro che quella rappresentazione stessa
concepita come spogliata di un velo irrilevante. Ma queste vesti non possono mai essere
completamente tolte: sono solo sostituite con altre più trasparenti. Così vi è qui una
regressione infinita. Alla fine, l’interpretante non è nient’altro che un’altra
rappresentazione cui la torcia della verità viene passata; e tale rappresentazione ha
ancora il suo interpretante. Da qui, un’altra serie infinita» (CP 1.339).

«Un Segno è qualcosa che è relato a una Seconda cosa, il suo Oggetto, rispetto a una
Qualità, in maniera tale da portare una Terza cosa, il suo Interpretante, in relazione con
lo stesso Oggetto, e ciò in maniera tale da condurre a un Quarto in relazione con
quell’Oggetto nella stessa forma, ad infinitum. Se la serie viene spezzata, il Segno, nella
stessa misura, perde il suo carattere perfettamente significante» (CP 2.92
Argomento o inferenza

• Importanza     della logica sillogistica. Interessato alla logica
 dell’indagine, Peirce presta attenzione in particolare agli argomenti
 induttivi e ipotetici, in quanto forme di inferenza sintetica, produttiva di
 informazione.

• L’inferenza è la rappresentazione della correlazione tra due o più
 proposizioni dette premesse e una proposizione detta conclusione,
 che costituisce l’interpretante delle prime due.

• Una inferenza valida può essere completa o incompleta: è incompleta
 quando la sua validità dipende da qualche dato non contenuto nelle
 premesse, tuttavia implicito in esse e quindi virtualmente ammesso.
 Tale inferenza può essere assimilata a un’inferenza completa (es. Elia
 è un uomo, quindi dovrà morire”, dove implicita è la premessa minore:
 “tutti gli uomini sono mortali”).
Un argomento valido può essere semplice o complesso: complesso è l’argomento che
contiene tre o più premesse e può essere trasformato in una serie di argomenti semplici
successivi, dunque è ad essi equivalente.

Un argomento completo è apodittico o probabile.
Nel sillogismo apodittico la conclusione dipende esclusivamente da quanto
asserito nelle premesse: è la deduzione.

  Es.: I quadrilateri regolari hanno tutti gli angoli a 90 gradi
  Un angolo di questo quadrilatero è diverso da 90 gradi
  Questo quadrilatero non è regolare

Un sillogismo la cui validità dipende in parte dalla non-esistenza di qualche
altra conoscenza è definito probabile: ciò che si conclude è infatti che è
possibile/probabile, sulla base di ciò che conosciamo, che una tale conclusione
sia vera

  Es. Una persona è affetta da anemia
  Si espone al sole e l’anemia scompare
  Dunque esporsi al sole fa passare l’anemia
Modelli di ragionamento

• Deduttivo: Regola, Caso, Risultato (se p allora q, ma p, dunque q)
  • RE. Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori
  • C. Quest’uomo è governatore
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori (sicuramente)

• Induttivo: Caso, Risultato, Regola
  • C. Quest’uomo è governatore
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori
  • RE.Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori (forse)

• Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori
  • RE?. Se un uomo è governatore riceve grandi onori (forse)
  • C. Quest’uomo è governatore (forse)
• Deduttivo: Regola, Caso, Risultato
  • RE. Tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi
  • C. Paolo ha preso una manciata di fagioli da questo sacco
  • RI. I fagioli che ha Paolo sono bianchi (sicuramente)

• Induttivo: Caso, Risultato, Regola,
  • C. Questi fagioli sono di questo sacco
  • RI. Questi fagioli sono bianchi
  • RE. Tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi

  • C. Gavagai
  • RI. Gavagai + comparsa di un coniglio
  • RE.Gavagai significa coniglio (forse)
• Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
      • RI. Questi fagioli sul tavolo sono bianchi
      • RE Tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi
      • C. Questi fagioli vengono da questo sacco

      • RI. L’orbita di Marte passa per x e y
      • RE? x e y sono i punti di un’ellisse
      • C. l’orbita di Marte è un’ellisse (ipotesi)

Fadda, Peirce, Quodlibet, 2013: 92: «L’induzione è una scommessa sull’estensione,
mentre l’abduzione è una scommessa sull’intensione (cfr. CP 5.272): nell’induzione,
infatti, scommettiamo sul fatto che tutti gli elementi di una data classe (ad esempio tutti i
fagioli di un dato sacco) abbiano una determinata caratteristica (ad esempio, essere
bianchi), sebbene non si possa verificarla che per un numero limitato; nell’abduzione,
invece, scommettiamo che gli elementi esaminati abbiano un determinato carattere (ad
esempio il provenire da un determinato sacco), anche se in realtà non lo sappiamo».

L’abduzione è alla base di ogni indagine, in quanto forma del ragionamento ipotetico.
L’abduzione fornisce una spiegazione dei fatti, ma da sola non è in grado di fornire a
questa spiegazione alcuna forza o certezza. Chiave di volta è il termine medio, cioè la
regola, che può essere data in modo obbligante e automatico, essere prodotta per
selezione a partire dalle conoscenze disponibili, oppure risultato di una invenzione
creativa (cfr. Proni, Introduzione a Peirce, Bompiani, 1990). Sul paradigma indiziario:
Eco-Sebeok (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani 1983).
Eco, Kant e l’ornitorinco, 1997:78-79

Peirce ha decisamente posto l’intero processo cognitivo sotto il segno della
inferenza ipotetica, per cui le sensazioni appaiono come interpretazioni di
stimoli; le percezioni come interpretazioni di sensazioni; i giudizi percettivi
come interpretazioni di percezioni; le proposizioni particolari e generali come
interpretazioni di giudizi percettivi; le teorie scientifiche come interpretazioni di
serie di proposizioni.

Di fronte alla infinita segmentabilità del continuum sia gli schemi percettivi che
le stesse proposizioni circa le leggi di natura (come sia un rinoceronte, se il
delfino sia un pesce, se sia possibile pensare l’etere cosmico) ritagliano entità
o rapporti che – sia pure con diversità di grado – permangono sempre ipotetici
e sottomessi alle possibilità del fallibilismo […].

La garanzia che le nostre ipotesi siano giuste (o almeno accettabili come tali
sino a prova contraria) non sarà più cercata nell’a priori dell’intelletto puro (se
anche di esso si salveranno le forme logiche più astratte) bensì nel consenso,
storico, progressivo, temporale anch’esso, della Comunità.
L’uomo è un segno
«Poiché l’uomo può pensare solo per mezzo di parole o di altri simboli
esterni, questi potrebbero volgersi a dire: “Tu non significhi niente che
non ti abbiamo insegnato noi, e quindi significhi solo in quanto indirizzi
qualche parola come l’interpretante del tuo pensiero» (Some
Consequences of Four Incapacities, in Semiotica. i fondamenti della
semiotica cognitiva, Einaudi, 1980:84).

La scienza dei segni è la scienza di come si costituisce storicamente il
soggetto (Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, 1984: 54).
Semeion, tekmerion, onoma, symbolon
Semeion compare come termine tecnico-filosofico nel V
sec. a.C. con Parmenide e Ippocrate, che lo usano come
sinonimo di Tekmerion (prova, indizio, sintomo). Il termine
non viene usato ancora per i segni linguistici, che sono
onoma.

• Symbolon = marca di riconoscimento, gettone (Aristotele
  lo usa per le parole, i nomi).
• Onoma = nome, parole: il nome stabilisce una
  pseudoequivalenza con la realtà, è una etichetta (cfr.
  Platone).
Aristotele
                    (Stagira 384/3-322 a.C)

• Distinzione   tra segno naturale (semeion) e segno linguistico
 (symbolon)

De interpretatione (16a 1-10)
• Le parole in quanto “espressioni della voce” (ta en te phoné) sono
  simboli (symbola) delle affezioni dell’anima, come le lettere
  dell’alfabeto (graphomena) sono simboli delle parole.
• Parole e lettere sono poste per convenzione (thesei), in questo
  differiscono dai suoni emessi dagli animali per manifestare le loro
  affezioni interne, suoni inarticolati, segni naturali.
• Il rinvio tra le parole e le affezioni si regge su un rapporto di
  equivalenza (è Aristotele a introdurre il modello della equivalenza per
  i termini linguistici) (Eco, 1984: 25).
Simbolo
«Ordunque, i suoni della voce (ta en te phone) sono simboli (symbola) delle
affezioni che hanno luogo nell’anima (ton en te psyche pathematon), e le
lettere scritte (graphomena) sono simboli dei suoni della voce. Allo stesso
modo poi che le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni
sono i medesimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni (semeia) anzitutto delle
affezioni dell’anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini
(homoiomata) di oggetti (pragmata), già identici per tutti”. (De int., 16a3-8).

Aristotele qui usa anche la nozione di semeion per indicare che suoni e lettere
possono essere considerati “indizi” dell’esistenza delle affezioni dell’anima.
Con il cambiamento terminologico cambia la prospettiva dalla quale viene
esaminato lo stesso fenomeno, che, nel secondo caso, rientra appunto nella
sfera di pertinenza di una teoria del segno e non del linguaggio.
Il segno linguistico per Aristotele
                                                 pensiero

Suoni verbali -------------------------------- oggetti
Voces significant res mediantibus conceptis
Cfr. Ogden e Richards, The meaning of meaning, 1923; tr. it. Il significato del significato
La teoria dei simboli linguistici è connessa con il problema della relazione tra espressioni del
linguaggio, loro correlati mentali e stati del mondo

Cfr. Lo Piparo, Aristotele e il linguaggio, Laterza, 2003: l’espressione symbolon non indica che
la relazione tra phonai e pathemata en te psyche è convenzionale, ma che i due termini sono
generati insieme e sono interdipendenti.
Il segno non linguistico per Aristotele
La teoria del segno viene distinta da quella del linguaggio e si colloca nel punto
di intersezione tra logica e retorica.

Analitici Primi, secondo libro, capitolo 27 (II, 70a), Retorica, primo libro (I,
1357a)

Definizione di segno:
«Quando, in concomitanza con l’essere di un certo fatto, un altro è, oppure
quando, in concomitanza al verificarsi di un evento, un altro evento si verifica,
anteriormente o posteriormente, questi ultimi sono segni dell’essere o del
verificarsi dei primi» (Analitici Primi, II, 70a7-9)
  Relazione di implicazione tra due fatti o due eventi a livello ontologico: “p implica q”,
  dove p e q sono due fatti o due eventi che si verificano in connessione l’uno con l’altro (livello
  ontologico delle cause).

Sul piano epistemologico dell’acquisizione di conoscenza, il segno viene a
configurarsi come quel dispositivo che permette di passare da p a q, secondo
una formula del tipo “p è segno di q”. Il segno permette cioè una conoscenza
che parte dal conseguente (cfr. Confutazioni sofistiche,167b1-8).
Semeion e tekmerion
Tekmerion: prova come segno necessario, da cui si sviluppa un’inferenza inquadrabile
nella prima figura del sillogismo
   la febbre è segno di malattia, necessariamente: se ha la febbre, allora è malato = affermativa
   universale: tutti coloro che hanno la febbre sono malati; non vale però l’inverso: non tutti coloro che
   sono malati hanno la febbre (il carattere bicondizionale è proprio invece della equivalenza)

Semeion: segno non necessario e perciò confutabile, può risultare vero ma può anche
non esserlo (grado minore di rispettabilità e conclusività), da cui si sviluppano inferenze
proprie della seconda e terza figura del sillogismo
   se una persona è pallida allora è malata (probabilità, segno debole)
   se Pittaco è eccellente, i sapienti sono eccellenti (esempio, forma dell’induzione)

La teoria dei segni non verbali pone il problema di come si acquisisce la
conoscenza indiretta risalendo dagli effetti alle cause.
Aristotele si muove a fatica tra questi vari segni, perché conosce il sillogismo
apodittico, ma non chiaramente il sillogismo ipotetico
Aristotele attribuisce al semeion il ruolo basilare di essere uno degli
elementi che forniscono le premesse per quel particolare tipo di
sillogismo conosciuto come entimema (An. Pr. II, 70a9-10 e Rhet. I,
1357a30-32).

Entimema: sillogismo accorciato, una delle sue premesse resta
implicita, poiché la si considera ben nota o ovvia (doxa).

Il fine dell’entimema è persuadere più che dimostrare (per questo la
tradizione successiva lo definirà anche come “sillogismo retorico”): le
sue premesse non sono necessariamente vere, ma è sufficiente che
siano soltanto probabili.
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