SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 5-7 MAGGIO 2021 - PROF. ILARIA TANI

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SEMIOTICA 2020-21
II MODULO
5-7 MAGGIO 2021
PROF. ILARIA TANI
Concetti delle categorie intermedie
                     e loro attributo numerico
«12. Questo passaggio dai molti all’uno è numerico. Il concetto di un terzo […]
coincide con il concetto di interpretante. Il concetto di altro è chiaramente
equivalente a quello di correlato. Il concetto di secondo differisce da quello di
altro perchè implica la possibilità di un terzo. Allo stesso modo il concetto di io
implica la possibilità di un altro. La Base è l’io astratto dalla concretezza che
implica la possibilità di un altro» (57)

Concetti
Terzo = interpretante
Secondo = Correlato o Altro (implica la relazione a un terzo)
Stesso = Base, io astratto dalla concretezza (implica la possibilità di un altro)

Questo schema si sovrappone a quello delle categorie e prelude a quello del periodo
fenomenologico. I due concetti di secondo e stesso possono essere considerati sotto un
duplice aspetto: astratti dal concetto superiore oppure rinvianti ad esso.
Primità, Secondità
In seguito la dottrina delle categorie riceverà una fondazione fenomenologica: tre
modalità in cui si organizza in via prioritaria la nostra esperienza, tre “toni” “tinte”
pervasive, sovrapposte e interdipendenti ma differenti, che costituiscono il quadro
basilare dell’esperienza.
Ogni momento della nostra vita quotidiana è caratterizzato dal nostro impatto con
l’oggettività, in due direzioni: da noi sull’oggettività nell’atto volontario e
dall’oggettività a noi nella percezione. Nel volere e nella percezione abbiamo piena
coscienza della oggettività. La secondità è questa struttura oppositiva
dell’esperienza, la percezione della bipolarità di azione e reazione, della
costrizione o forza bruta che connette materialmente le cose, che è anche la
categoria dell’esistenza, che si estrinseca nella opposizione a un altro. Ogni fatto «è
qualcosa che è lì, che io non posso cancellare con il pensiero, ma che sono forzato
a riconoscere come un oggetto, o secondo, di fronte a me, che sono il soggetto, o
numero uno, e che costituisce il materiale per l’esercizio della mia volontà» (CP
1.358).
Ma l’esperienza non si dà solo come costrizione, non c’è percezione che non sia
vivacemente caratterizzata: il mondo fenomenico è ricco di qualità. Non posso
avere la percezione di un oggetto senza coglierne le qualità, così come non posso
distinguere le qualità senza contrapporle. L’elemento qualitativo è costituito
dalla primità, che si presenta intrecciata con la secondità, ma di cui posso cercare
di cogliere la purezza quale si manifesterebbe in un sentimento indifferenziato, al
limite inafferrabile di un presente immediato e senza spessore di durata.
Terzità
Primità e Secondità non si danno mai puramente nell’esperienza, è impossibile
individuarle indipendentemente dal giudizio, dall’interpretazione. Una qualità
viene individuata solo in quanto confrontata con un’altra; un fatto viene visto
sempre attraverso una forma: un giudizio percettivo che collega la connessione
fisica bruta agli effetti qualitativi secondo un principio, una legge di
registrazione e di attesa. Ogni esperienza, nella misura in cui è cosciente e
comprensibile, contiene elementi di memoria e di anticipazione, cioè di
interpretazione mediatrice fra i momenti del flusso fenomenico.
La rappresentazione, necessariamente presente in ogni percezione come
in ogni prassi volontaria, è la genuina terzità.

Le tre categorie sono sempre compresenti, interdipendenti e irriducibili l’una
all’altra.
(Bonfantini, Introduzione a Peirce, Semiotica, Einaudi 1980: XXXIX sgg.)
Definizione di semiosi
• «È importante capire cosa io intenda per semiosi. Ogni azione dinamica, o azione
 di forza bruta, fisica o psichica, o ha luogo tra due soggetti […] o ad ogni modo è
 la risultante di tali azioni tra coppie. Ma per “semiosi” io intendo, al contrario,
 un’azione, o influenza, che è, o implica, una cooperazione di tre soggetti, come
 un segno, il suo oggetto e il suo interpretante, tale influenza tri-relativa non
 potendo risolversi in nessun modo in azioni tra coppie» (CP 5.484).

• «Un segno, o representamen, è qualcosa che sta per qualcuno per qualcosa
 sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè, crea nella mente di
 quella persona un segno equivalente, o piuttosto un segno più sviluppato. Quel
 segno che crea, lo chiamo l’interpretante del primo segno, il segno sta per
 qualcosa, il suo oggetto. Sta per il suo oggetto, non in ogni rispetto, ma in
 riferimento a una sorta di idea, che ho talvolta chiamato il ground del
 representamen» (CP 2.228).

• «Un Segno è qualcosa che è relato a una Seconda cosa, il suo Oggetto, rispetto
 a una Qualità, in maniera tale da portare una Terza cosa, il suo Interpretante, in
 relazione con lo stesso Oggetto, e ciò in maniera tale da condurre a un Quarto in
 relazione con L’oggetto nella stessa forma, ad infinitum. Se la serie viene
 spezzata, il Segno, nella stessa misura, perde il suo carattere perfettamente
 significante» (CP 2.92)
• Ogni costruzione segnica ha alla sua origine, quali “premesse” più o
 meno remote, «i nostri giudizi percettivi» (5.116, 5.119), che sono
 interpretanti di percepts. Nei percepts o percepiti si manifesta
 l’esistenza dell’oggetto (Bonfantini 1980: XXXII).

• Ma l’oggetto può essere illuminato solo a patto di essere interpretato;
 l’interpretazione è frutto della mediazione creativa dell’uomo quale
 facitore di segni. Ma in quanto interpretazione la rappresentazione è
 sempre essenzialmente una ipotesi.

• Il percetto costituisce il primo gradino delle immagini mentali, il primo
 livello meno consapevole e più involontario della rappresentazione
 iconica (Oggetto immediato).
Lista degli «oggetti supponibili»

Questi oggetti sono il concretizzarsi delle categorie nel loro legame gerarchico
e nel sommarsi delle loro relazioni, dato che nessuna categoria può essere
prescissa da quella più semplice che la precede.

Ciò che è
Quale – ciò che si riferisce a una base
Relato – ciò che si riferisce a una base e a un correlato
Representamen – ciò che si riferisce a una base, a un correlato e a un interpretante
Esso

Il Quale è l’ oggetto della categoria di qualità, l’oggetto più primitivo, semplice riferimento
al ground privo di sostanza.
Il relato è un oggetto più complesso, che comprende ground e correlato.
Il representamen è un oggetto ancora più vasto, che comprende tutti e tre i riferimenti.
Tipi di rappresentazioni
Il più semplice può essere separato dal più complesso, ma il più complesso
non può mai fare a meno del più semplice.
«14. Una qualità può avere una determinazione particolare che le impedisce di
essere prescissa dal riferimento a un correlato. Ci sono quindi due tipi di
relazioni.
  1)   Quella dei relati il cui riferimento a una base è una qualità prescindibile o interna.
  2)   Quella dei relati il cui riferimento a una base è una qualità imprescindibile o
       relativa.
  Nel primo caso la relazione è una mera concorrenza di correlati in uno
  stesso carattere e il relato e il correlato non sono distinti. Nel secondo caso il
  correlato è in contrasto con il relato e in un certo senso c’è un’opposizione.
  I relati del primo tipo sono messi in relazione dalla semplice concordanza. Il
  semplice disaccordo (non riconosciuto), invece, non costituisce una
  relazione e dunque i relati del secondo tipo sono messi in relazione solo da
  una corrispondenza di fatto.
«Un riferimento a una base può essere tale da non poter essere prescisso da
un riferimento a un interpretante. In questo caso può essere detto una qualità
imputata. Se il riferimento di un relato alla sua base può essere prescisso dal
riferimento a un interpretante, la sua relazione con il correlato è una mera
concorrenza o comunione del possesso di una qualità e di conseguenza il
riferimento a un correlato può essere prescisso dal riferimento a un
interpretante. Ne deriva che ci sono tre tipi di rappresentazioni»
Tre tipi di rappresentazioni
1.   Rappresentazioni in cui il riferimento a una base (qualità) può essere assunto
     indipendentemente dal riferimento a un correlato, avviene per similarità (l’azzurro
     del cielo di una mattina di giugno si riferisce al suo ground (azzurrità) perché è
     identico ad esso; anche se la predicazione/riferimento non avviene, l’azzurro del
     cielo non muta (Somiglianza > Icona). La qualità è intrinseca e prescindibile.

2.   Rappresentazioni il cui riferimento a una base non può essere assunto
     indipendentemente dal riferimento a un correlato: esso avviene per contrasto. Qui i
     due correlati sono in discordanza, ma una discordanza (non riconosciuta) non
     costituisce una relazione, è solo una corrispondenza di fatto. Il calore della stufa
     viene percepito solo come effetto sui recettori epidermici o su un termometro: se
     manca un tale contatto manca il riferimento al concetto generale di essere caldo,
     cioè al ground (Indici o Segni)

3.   Rappresentazioni il cui riferimento a una base non può essere prescisso dal
     riferimento a un interpretante. «In questo caso il riferimento a una base può essere
     detto qualità imputata». Una qualità imputata è una predicazione che avviene sulla
     base di un’assunzione convenzionale, come quando si decide di dare un certo
     nome a un certo fiume. Qui relato e correlato non vengono messi in relazione in
     virtù di un rapporto tra loro, né di similarità né di fatto. Sono accostati solo per un
     atto esplicito di collegamento (Segni generali o Simboli).
«i tre concetti di riferimento a una base, a un oggetto e a un interpretante sono
i concetti fondamentali» della logica.

La logica si occupa degli oggetti dell’intelletto in quanto rappresentazioni
(seconde intenzioni) di oggetti (prime intenzioni).

Gli oggetti dell’intelletto in quanto rappresentazioni sono simboli. «Tutti i
simboli, in un certo senso, sono relativi all’intelletto […]. Ma si può fare una
distinzione fra concetti che si suppone che non abbiano esistenza, se non in
quanto presenti di fatto nell’intelletto, e i simboli esterni che mantengono il loro
carattere di simboli finché sono passibili di comprensione».

«La logica si occupa dei simboli in generale in quanto essi si riferiscono ai loro
oggetti» (58).
Iconismo
• La sua revisione del kantismo porta alla necessità di sviluppare una scienza
 dei segni che si sottragga alla secca alternativa tra empirismo e razionalismo
 (cfr. Cassirer).

• Problema: come accade che “Qualcosa” si offra all’interpretazione? (Eco:
 problema della soglia inferiore della semiosi) > come si delinea la soglia in cui
 il sentir male si muta nel sapere di aver ricevuto un calcio?

  • Cosa significa riconoscere qualcosa come (simile a) qualcosa
  • Che cos’è o a quale livello di apprensione si dà questo primo qualcosa che chiama all’appello il
    segno ed esige una risposta interpretante.

• Qui sta il problema della sorgente dell’esperienza conoscitiva e del limite
  dell’interpretazione.
• Il problema dell’iconismo è innanzitutto il problema della relazione tra un
  oggetto e il suo sostituto per il pensiero, è il problema dell’assimilazione tra
  dato e pensato (o tra evento e significato) (Fabbrichesi Leo, Eco, Peirce e
  l’iconismo, in La filosofia di Umberto Eco (ed. or. 2017), La nave di Teseo
  2021: 348-349).
• La somiglianza primaria è quella tra il puro che c’è (that) del qualcosa che è e
 il cosa è (what) questo qualcosa che è. Il luogo dell’immagine è il luogo della
 infinita traduzione del mondo nel gesto, nel segno, nella figura (ivi: 350-351).
 Questa traduzione è al contempo adeguazione e distanza.

• Si tratta dell’antico problema del rapporto tra rappresentazione e realtà: cos’è
 la realtà e come si può darne una rappresentazione? Come si raggiunge il
 punto di massima adeguazione possibile tra segno e l’oggetto? La
 conoscenza è rispecchiamento o no?

• Per il neopositivismo (Wittgenstein, Tractatus), la conoscenza è immagine dei
 fatti. Ma cosa significa farsi l’immagine di un fatto? Come intendere questi
 termini?

• Eco, Kant e l’ornitorinco, Bompiani, 1997: 84: «L’icona è il fenomeno che
 fonda ogni possibile giudizio di somiglianza, ma non può venirne fondato».
• Peirce analizza le icone come segni Primi, Originari (Primità, Firstness): luogo del
    sorgere del processo di significazione. L’icona è Prima apparizione del Qualcosa.
•    L’icona nomina il segno nella sua prima relazione con l’oggetto: segno per
    ‘somiglianza’ o per ‘relazione interna’, mera co-occorrenza di due qualità nel
    possesso di un carattere (dove relato e correlato ancora non si distinguono).

• Peirce distingue tre piani di apparizione (fenomenica) della iconicità:

    • L’icona nomina la pura possibilità che qualcosa stia per qualcos’altro, sia cioè un segno di altro.
      Questa relazione è però ancora tutta interna: ogni accordo o comunità di caratteri si dà solo a
      partire da un ground, una pura astrazione che vale come rispetto interpretativo dell’offrirsi della
      Sostanza, del presente in generale. Il ground è astratto dalla concretezza che implica la
      possibilità di un altro. Ovvero, non c’è prima un campo di eventi diversi e poi il profilarsi della
      somiglianza tra due di essi. Ciò che si dà primariamente è la relazione, la relazione interna, cioè
      iconica: il ground che permette l’emergenza di un altro (un oggetto) che sotto un certo rispetto,
      ordine o qualità risulta essere il medesimo (un segno somigliante). Le relazioni interne
      qualificano le likeness, mentre quelle esterne, fondate su comparazioni e confronti, sono
      attribuibili alle identità, alle differenze, alle dissimilarità.

    • L’iconicità come pura possibilità di rimando si dà come relazione, che ancora non è né
      comparativa (Seconda) né interpretativa (Terza): non specifica oggetti concreti ma ne prepara
      l’individuazione e la costituzione. Qui sta il secondo livello di apparizione della iconicità: l’idea.
      Ogni immagine si presenta, oltre che come pura possibilità di relazione, come idea (es. la
      nerezza).

    • Infine un segno può essere iconico, cioè può essere rappresentante del proprio oggetto in virtù
      di una similarità stabilità convenzionalmente. Qui troviamo le ipoicone (disegni, grafi, metafore).
• Perché   si possa parlare di similarità, deve darsi un ground che
 manifestandosi prepari il luogo nel quale possono apparire il simile e
 l’oggetto cui esso somiglia, l’evento e la sua figura segnica. Essi non sono
 esistenti distintamente, ma si formano all’interno dell’associazione che li
 nomina, di quella relazione segnica che li distingue e collega strettamente e
 della quale l’icona nomina la prima possibilità. Non è il segno che ‘somiglia’
 all’oggetto là fuori, è l’oggetto che si annuncia e diventa significativo nelle
 relazioni permesse dalla sostituzione iconica, ed è quest’ultima a rendere
 l’Oggetto Altro, rappresentandolo come limite dinamico del rinvio del segno.

• Eco, Kant e l’ornitorinco: quando guardo il bianco del lenzuolo appena lavato
 e lo percepisco perfetto (prima di averlo comparato con altri lenzuoli bianchi),
 quando mi scotto con la caffettiera e il mio dolore è segno di un certo calore
 siamo davanti ad esperienze di Firstness: “momento aurorale che dà inizio al
 processo percettivo”, in cui si elaborano gli schemi di oggetti ignoti (come
 l’ornitorinco alla fine del Settecento), schemi che si formano in virtù di
 un’apprensione non mediata, che scaturisce da un contraccolpo improvviso,
 prima di una possibile definizione.
Iconismo primario: Eco, Kant e l’ornitorinco (1997); La soglia e l’infinito (in
Paolucci, Studi di semiotica interpretativa, 2007):

• Qualcosa che si offre alla nostra percezione prima che lo si sia interpretato,
 fatto bruto che attiva la nostra attenzione o produce una nostra reazione
 fisica, come accade con la sensazione di una scottatura – un momento
 aurorale che dà il via al processo percettivo prima che a quello semiotico; non
 ci può essere interpretazione che non tenga conto di questo qualcosa.

• La Firstness è una presenza, una “quality of feeling”, come un color porpora
 avvertito, non un oggetto, né qualcosa di inerente a qualche oggetto. Solo
 ponendo in gioco Secondness e Thirdness può iniziare il processo
 interpretativo; la Firstness è pura possibilità, qualcosa che non può essere
 pensato in modo articolato né asserito (CP 1.357).

• Feeling: «tipo di coscienza che non implica nessuna analisi, confronto o
 processo di alcun tipo, né consiste in tutto o in parte di qualche atto tramite
 cui un tratto di coscienza viene distinto da un altro, che ha la propria qualità
 positiva che non consiste in nient’altro, e che è in se stesso tutto ciò che esso
 è» (CP 1.306).
Questione (cfr. Paolucci, Strutturalismo e interpretazione, 2011: 194)

• Si dà davvero un primum, da cui origina ogni successiva mossa inferenziale,
 oppure tale primo è solo relativo, in rapporto a, per un secondo, un terzo ecc.,
 come farebbe pensare Peirce, per il quale una Primità non si dà mai in quanto
 tale ma solo come contenuto di una Terzità:

  «la concezione del primo assoluto sfugge a ogni tentativo di afferrarlo […] ma non esiste un terzo
  assoluto, perché il terzo è per sua natura relativo, ed è quello che pensiamo sempre, anche
  quando miriamo al primo e al secondo» (CP 1.363).

• Quella di Peirce rimane una semiotica fondata sul rinvio infinito di cognizione in
  cognizione, cioè di segno in segno, senza alcuna possibilità di pervenire a un
  primum o momento finale (Questions Concerning Certain Faculties): ogni
  presentazione è sempre una ripresentazione (presentazione mediata).
• Di fronte al lenzuolo bianco, non vedremmo il biancore se non avessimo già visto
  della bianchezza e se la bianchezza, come ground, non ci permettesse di situare
  quel quale in quanto bianco.
• Cfr. Some Consequences of Four Incapacities: che tipo di rosso ricordo dopo aver
  guardato un libro rosso: nessun esatto colore ma solo la «consciousness that we
  could recognize it» (cioè una inferenza segnica). Non solo non abbiamo immagini
  nella mente, pitture mentali à la Locke, ma non ne abbiamo nemmeno nella
  percezione diretta, perché ogni immagine è in realtà un giudizio.
Eco 2021: 372)

Pur avendo il carattere della apprensione immediata, questa Firstness non può
essere assimilata alla intuizione kantiana: non è intuizione del molteplice offerto
dall’esperienza, ma qualcosa di assolutamente semplice. È un tono della
coscienza (avverto la bianchezza del lenzuolo, poi, una volta passata al
riconoscimento dell’oggetto (Secondness) e iniziata la comparazione nutrita di
inferenze (Thirdness) posso affermare che c’è un altro lenzuolo più bianco del
primo, ma non posso cancellare l’impressione del primo, pura qualità: solo a
seguito del confronto con altre lenzuola passo al predicato, cioè al generale,
che si può nominare e per cui esiste un Oggetto immediato. Un conto è sentire
un oggetto come bianco, senza neppure aver avuto coscienza che siamo di
fronte a qualcosa di esterno alla coscienza, e un conto è operare la
prescissione per cui si predica di quell’oggetto la qualità di essere bianco).
• Intuizione: «una condizione non determinata da una cognizione
 precedente dello stesso oggetto, e perciò determinata da qualcosa
 fuori della coscienza» (CP 5.213; Questioni).

• Impressione: aggregato non organizzato di dati sensoriali.

• Feeling: «qualità materiale di una rappresentazione o del segno
 percepito»; ad es. un segno linguistico, considerato solo nella sua
 qualità materiale (sostanza dell’espressione), non è ancora un
 fenomeno semiotico, che porta a una rappresentazione e a un atto di
 cognizione; è un’occasione materiale che mi si offre come stimolo
 dato per poter poi passare alla inferenza.
Representamen e rappresentazione
• Re-praesento: ‘rendo presente, metto sotto gli occhi. Il representamen è tutto
 ciò che rende presente in qualche modo               qualcos’altro,   offrendolo
 all’esperienza di una mente (Fadda 2013: 168).

• «“Stare per” vuol dire essere con un’altra cosa in una relazione tale che per
 certi scopi ciò che “sta per” è trattato da qualche mente come se fosse
 quell’altra cosa» (CP 2.273)

• «Dunque un portavoce, deputato, procuratore, agente, vicario, diagramma,
 sintomo, contrassegno, descrizione, concetto, premessa, testimone, tutti
 rappresentano qualcos’altro, nei loro svariati modi, a menti che li considerano
 in questo modo. […] Quando si voglia distinguere tra ciò che rappresenta e
 l’atto o relazione del rappresentare, il primo può essere chiamato il
 “representamen”, il secondo la “rappresentazione” (ibid.)
Proposizione
La funzione fondamentale della proposizione è operare il riferimento, cioè collegare
degli eventi mentali a degli oggetti di esperienza.
La proposizione/asserzione rappresenta il momento del riferimento, cioè del
contatto tra i simboli e gli oggetti del mondo.
L’atto di collegare effettivamente un simbolo a un oggetto è un atto indicale.

Ma una proposizione non può limitarsi ad accostare un simbolo a un oggetto, deve
anche veicolare un significato. Ciò avviene per mezzo di icone.
«Prendiamo ad esempio ‘piove’ [it rains]. Qui l’icona è la fotografia mentale
composita di tutti i giorni piovosi che chi pensa ha esperito. L’indice è tutto ciò sulla
cui base egli distingue quel giorno, così come è situato nella propria esperienza. Il
simbolo è l’atto mentale sulla cui base [egli] contrassegna quel giorno come
piovoso» (CP 2.438, c. 1893; Proni 1990: 216-17)

I tre elementi implicati nella proposizione sono dunque 1) un’immagine mentale,
l’icona; 2) un evento individuale distinto da un indice; 3) un elemento convenzionale
con cui i primi due elementi vengono uniti, il simbolo o rema (Proni 1990:216).
Ancora su Una nuova lista di categorie
                     Divisione dei simboli
1.   Termine: rappresentazione che manca di oggetto e quindi di riferimento a un correlato;
     proposizione vuota, priva di soggetto: Es.: “-----è un albero”: abbiamo un predicato e resta
     aperta la possibilità di inserire al posto vuoto un numero indeterminato di soggetti: olmo,
     cipresso, ciliegio, ecc. Rappresenta – in maniera imputata, essendo un simbolo – solo
     dei fasci di marche, riferendosi perciò solo a basi o qualità imputate.

2.   Proposizione: si riferisce ai suoi oggetti o correlati, definendoli mediante uno o più termini.
     Rappresenta in modo convenzionale il riferimento a una base e a un correlato, cioè
     predica una qualità di una sostanza, in quanto tale è capace di verità o falsità. Parziale
     contrasto con il punto di partenza, in cui la proposizione veniva assunta come risultato
     della unificazione dell’intelletto (sostanza, essere, predicato). Ora si dice che la
     proposizione è un tipo di simbolo e il simbolo è un tipo di rappresentazione, che è una
     delle cinque categorie; ma le categorie sono state ottenute analizzando la proposizione
     come forma del giudizio. Secondo Proni (1990: 89) questo slittamento dipende dalla
     confusione tra piano percettivo-indicale e piano simbolico-analitico.

3.   Argomento: determina da solo il proprio interpretante. Si costruisce ponendo come
     premesse una o più proposizioni che devono essere credute, forzando le menti ad
     accettare la conclusione. «In un argomento le premesse formano una rappresentazione
     della conclusione perché indicano l’interpretante dell’argomento o rappresentazione, la
     quale rappresenta l’argomento come rappresentante del suo oggetto» (59). Emerge qui il
     carattere riflessivo della interpretazione: l’inferenza o argomento è un concetto chiave di
     Peirce.
Funzioni dei simboli

• Il termine è un aggregato di qualità, potenziale predicato di sostanze a cui
 può essere applicato.

• La proposizione ha funzione denotativa, in quanto predicazione relativa
 all’oggettività (essa comprende dei termini).

• L’argomento ha la funzione di esibire il proprio principio logico (quello della
 imputazione, della fattualità o della somiglianza) obbligando l’interpretante a
 trarre la conclusione. L’argomento può essere di tre tipi, a seconda che la
 conclusione abbia una relazione imputata, di fatto o di somiglianza, con le
 premesse: nel primo caso avremo un legame simbolico e l’inferenza sarà una
 deduzione; nel secondo un legame indicale e sarà una induzione; nel terzo
 caso avremo un legame di somiglianza (iconico) e sarà un’ipotesi.
Un possibile trivio
Riferimento alla articolazione       delle   arti   liberali   nel   Trivio   medievale
(grammatica, retorica, dialettica)

Grammatica formale: dovrebbe occuparsi delle condizioni formali dei simboli
che hanno un significato, cioè del riferimento dei simboli in generale alle loro
basi o ai loro caratteri imputati.

Logica: dovrebbe occuparsi delle condizioni formali della verità dei simboli.

Retorica formale: dovrebbe occuparsi delle condizioni formali della forza dei
simboli, della loro capacità di riferirsi a una mente, cioè, in generale, del
riferimento agli interpretanti.
Riepilogando
• Sulla base del presupposto kantiano secondo cui conoscere significa operare
  una sintesi delle impressioni per mezzo di concetti generali (categorie),
  Peirce elabora una teoria della conoscenza basata sulla proposizione come
  rappresentazione della sintesi del giudizio.
• La proposizione comprende Sostanza (molteplice), Essere (copula) e tre
  categorie intermedie: Qualità, Relazione, Rappresentazione.

• La Rappresentazione è di tre tipi: Somiglianza, Indice, Simbolo.
• Il Simbolo è di tre tipi: Termine, Proposizione, Argomento.
• L’Argomento è di tre tipi: Deduzione, Induzione, Ipotesi.
• La scienza dei simboli si divide in Grammatica formale, Logica, Retorica
 formale.

• Oltre a Kant, l’altra grande fonte di Peirce è la logica scolastica (realista di
 Scoto e nominalista di Abelardo), le cui tracce sono rinvenibili nei seguenti
 temi: modalità di separazione, generalità dell’essere, esistenza di astrazioni
 pure.
Nominalismo
   «Nominalismo: la dottrina che nulla è generale tranne i nomi; più specificamente, la
   dottrina che i nomi comuni, come uomo, cavallo, non rappresentano nella loro
   generalità nulla nelle cose reali, ma sono mere convenienze per parlare di molte cose
   alla volta, o al massimo necessità del pensiero umano» (Peirce in The Century
   Dictionary and Cyclopedia, 1889).

Peirce in questa voce traccia la linea di sviluppo del nominalismo dagli stoici a Roscellino
a Pietro Abelardo e Guglielmo di Ockham.

Per il nominalismo i concetti generali hanno una esistenza puramente logica o mentale,
interna: ad es. il concetto di cavallo non si basa sull’esistenza di tratti comuni a tutti gli
esemplari di cavallo, ma su un’operazione della mente che costituisce una descrizione in
base a principi di astrazione e generalizzazione interni, più o meno soggettivi a seconda
dell’autore.

Vi rientra anche Kant, il cui nominalismo si limita a sostenere che tutta l’unità del
pensiero dipende dalla natura della mente umana e non dalla cosa in sé.
Esempio di nominalismo è l’empirismo di Locke (che può essere definito più
propriamente concettualismo).
La semiotica di Locke
Tutte le posizioni nominaliste, attribuendo rilevanza al linguaggio e ai concetti,
sviluppano una riflessione sui segni. Locke è il primo a proporre la scienza
semiotica nel libro IV del Saggio sull’intelligenza umana.

  «Poiché la mente, in tutti i suoi pensieri e ragionamenti, non ha altro immediato
  oggetto che non siano le sue proprie idee, che sole esso contempla o può
  contemplare, è evidente che la nostra conoscenza si riferisce soltanto a quelle»
  (Saggio sull’intelletto umano (1690), IV, i, 1).
  «Poiché le cose che la mente contempla non essendo mai, tranne la mente stessa,
  presenti all’intelletto, è necessario che qualcos’altro, come un segno o una
  rappresentazione della cosa che viene considerata, sia presente alla mente: e queste
  sono le idee» (Saggio, IV, xxi, 4).
  «il generale e l’universale non appartengono all’esistenza generale delle cose, ma
  sono invenzioni e creature dell’intelletto, fatte da esso, per il suo uso, e riguardano
  soltanto dei segni, siano essi parole o idee» (Saggio, III, iii).

Locke ha ripartito le scienze in tre gruppi: physiké, praktiké, semeiotiké.
Quest’ultima ha per oggetto i segni, cioè “i modi e i mezzi coi quali viene
raggiunta e comunicata la conoscenza”.
• Locke opera due fondamentali unificazioni:
  • Quella tra Logica e Semiotica, basata sulla natura segnica comune a idee e parole.
  • Quella tra conoscenza e semiosi, basata sulla considerazione che la conoscenza del
    mondo esterno non è diretta ma mediata attraverso i segni, che stanno per le idee
    corrispondenti. Se le idee sono segni o rappresentazioni, e se esse costituiscono la
    totalità della conoscenza, allora tutto ciò che conosciamo, compresa la stessa coscienza,
    è segno.

• Di Locke Peirce accetta la tesi che la conoscenza è costituita da idee, che dal
 punto di vista logico vengono definite rappresentazioni o segni. Rifiuta però il suo
 nominalismo, ritenendo che la teoria secondo cui ogni pensiero è segno, sebbene
 sostenuta da filosofi nominalisti (Locke, Leibniz, Berkeley), non debba
 necessariamente coincidere con il nominalismo.

  «La tesi che ogni pensiero è segno […] è la dottrina di Leibniz, Berkeley, e dei pensatori degli anni
  a cavallo del 1700. Costoro erano tutti nominalisti al massimo grado; ma è un grosso errore
  ritenere che tale dottrina sia una peculiarità del nominalismo» (190/, CP 5.470).

• Nel primo Peirce il problema è sempre come conoscere la realtà a partire dalla
 considerazione che non vi è contatto diretto con essa e che ciò che la coscienza
 contiene sono solo segni.
Realismo
Anche del realismo si danno diverse versioni:

  «1) Il realismo estremo insegnava che gli universali erano sostanze o cose esistenti
  indipendentemente e separatamente dai particolari. Questa era l’essenza della teoria
  platonica delle idee […] 2) Anche il realismo moderato insegnava che gli universali
  erano sostanze, ma solo in quanto dipendenti e inseparabili dagli individui ai quali
  ognuno ineriva: cioè ogni universale ineriva a ognuno dei particolari che stavano sotto
  di esso. Questa era la teoria di Aristotele, il quale sosteneva che il tode ti o cosa
  individuale era la prima essenza, mentre gli universali erano solo seconde essenze. In
  questo modo rovesciava la teoria platonica, che attribuiva la realtà più piena solo agli
  universali, e una mera realtà partecipativa agli individui» (Peirce, Realism, 1889).

  Gli scolastici «fusero tutte queste idee in una e insegnarono che gli universali esistono
  in triplice maniera: universalia ante rem, come pensieri nella mente di Dio; universalia
  in re, come l’essenza (quiddity) delle cose, secondo Aristotele, e universalia post rem,
  come concetti nel senso del realismo moderato» (ibid.)

Peirce guarda in particolare al realismo di Scoto: un realismo moderato, che
non si oppone decisamente al nominalismo.
Questione delle categorie: Kant e Scoto
Peirce accetta l’idea kantiana che la conoscenza consista in un processo di sintesi del
molteplice delle impressioni, ma dissente dall’idea che non vi sia alcun elemento formale,
alcun principio organizzativo nel materiale fornito dalla sensazione. Questa impostazione
fa della conoscenza un processo del tutto sganciato dalla realtà esterna, dove le leggi
della scienza appaiono solo come convenzioni stipulate dagli uomini, perciò contingenti e
soggettive.

Da Scoto accoglie l’idea di graduare l’essere, cioè di riconoscere diversi statuti ontologici,
diversi modi dell’essere: le relazioni sono entia, come lo sono un determinato uomo o un
determinato cavallo. Questo è il punto centrale del suo realismo: le Rappresentazioni e le
Possibilità sono reali come il mondo della Fattualità, anzi il loro essere peculiare
determina i diversi modi in cui le categorie appaiono mescolate.

L’essere non può venir separato dall’essere in relazione. Le relazioni hanno un loro
statuto ontologico, che può essere indipendente dalla mente. Ciò vale in particolare per
la categoria di Somiglianza (ovvero di condivisione di qualità). Più difficile è definire lo
statuto ontologico della Rappresentazione, che in Peirce oscilla tra una definizione
idealista e una realista.
• Le proprietà (qualità), hanno un loro statuto ontologico come possibilità e comunque
  esistono realmente, seppure in modo potenziale, e non possono venire numerate. Solo
  la relazione fattuale con il soggetto che conosce ‘attiva’ determinate proprietà che
  vengono utilizzate nella costruzione di un abito di rappresentazione dell’oggetto cui
  appartengono.

• Altro aspetto ricavato da Scoto è la centralità delle modalità di separazione (in Scoto
  distinzioni): in Scoto abbiamo la distinzione reale, la distinzione formale e la distinzione
  di ragione; in Peirce la discriminazione, la prescissione (astrazione) e la dissociazione.

• In entrambi, l’esistenza di un grado intermedio di distinzione permette di analizzare la
  conoscenza distinguendo tra concetti generali e concetti meno generali. La distinzione
  di grado intermedio permette di separare entità che sono oggettivamente unite ma che
  al tempo stesso sono potenzialmente distinguibili attraverso un atto dell’intelletto.
  Queste entità sono reali e possiedono un’unità non numerabile. In questo modo viene
  risolto il problema degli universali sotto il profilo ontologico e sotto quello gnoseologico:
  vi sono entità che in Scoto sono di “bassa densità ontologica” e in Peirce sono
  Possibili; queste entità sono proprietà di oggetti ontologicamente individuali, esistenti,
  ma possono essere separate da tali oggetti pur facendone parte; attraverso questa
  separazione divengono predicati universali e appartengono alla mente. Questo è il
  realismo moderato che accomuna Scoto e Peirce, soprattutto nella prima fase del suo
  pensiero (cfr. Proni, Introduzione a Peirce, 1990: 44).
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