SEMIOTICA 2019-20 Ilaria Tani - Facoltà di Lettere e Filosofia

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SEMIOTICA
  2019-20

  Ilaria Tani
Programma del corso
Principali nuclei tematici del primo modulo:
Introduzione alla semiotica generale

• Origini della semiotica
• Segno e significazione
• La fondazione linguistica della semiotica
• Caratteristiche semiotiche del linguaggio umano
• Espressione/contenuto, modi di produzione segnica
• Sistemi di significazione e processi di comunicazione
• Cooperazione e interpretazione
• Dizionario / Enciclopedia
• Metafora
• Simbolo
Principali nuclei tematici del secondo modulo:
• La trasformazione semiotica della filosofia di Kant

• Peirce
  • Il confronto con Kant e l’elaborazione della semiotica cognitiva
  • Una prospettiva anticartesiana
  • Tipi di segno
  • Le forme dell’inferenza
  • Realismo e pragmatismo

• Cassirer
  • Il concetto di forma simbolica e il superamento della teoria kantiana della
    conoscenza
  • Il confronto con la storia del pensiero linguistico: l’importanza di Humboldt
  • Fenomenologia della forma linguistica: dall’indicare al significare
Testi d’esame
Primo Modulo
• Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Roma-Bari, Laterza,
  2002
• Umberto Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi,
  1984
• Materiali didattici disponibili nell’area docente del sito web del
  Dipartimento di Filosofia

• Testo integrativo per i non frequentanti
• Stefano Traini, Le due vie della semiotica, Milano, Bompiani 2013 (pp.
 1-113; 215-288).
Secondo Modulo
• Charles Sanders Peirce, Scritti scelti, a cura di G.
  Maddalena, Torino, Utet, 2008 (selezione: 53-103; 411-
  433)
• Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, vol. I: Il
  linguaggio, Firenze, La Nuova Italia (selezione)
• Materiali didattici disponibili nell’area docente del sito web
  del Dipartimento di filosofia

• Testi integrativi per i non frequentanti
• 3) G. Maddalena, Peirce, Editrice La Scuola, 2015 (pp. 1-
  112)
• 4) G. Raio, Introduzione a Cassirer, Laterza, 2002 (pp. 1-
  83)
Che cos’è la semiotica?
Una disciplina giovane con una lunga storia: le sue radici
 affondano nell’antichità greca e in particolare nel sapere
 medico

• Prima definizione: scienza dei segni

• Seconda definizione: Studio dei sistemi di significazione
 e dei processi di comunicazione (verbali e non verbali) in
 determinati contesti culturali.

La semiotica è la disciplina che studia le condizioni che
rendono possibile la produzione, la trasformazione e la
comprensione del senso; l’insieme di tali fenomeni è
chiamato anche significazione.
Come nasce la semiotica?
Margaret Mead, Convegno su paralinguistica e cinesica,
 Bloomington, 1962:

 «Io credo che a quanto si può immaginare stiamo lavorando in un
 campo che col tempo includerà lo studio di tutte le forme di
 comunicazione dotate di struttura, delle quali la linguistica è quella
 tecnicamente più avanzata. Sarebbe utile disporre di una parola per
 le forme di comunicazione in ogni modalità sensoriale, dotate di
 struttura […] molte persone qui, che avevano l’aria di essere da parti
 opposte della barricata, hanno usato la parola ‘ semiotica ’ . Mi
 sembra l’unica parola che, in una forma o in un’altra, sia stata usata
 da persone che ragionano da posizioni completamente differenti.”
• Ricerca di un territorio comune dove potessero incontrarsi e integrarsi
 istanze nate da discipline diverse: sguardo trasversale e problematico
 ai dispositivi molteplici della significazione e della comunicazione
 (Gensini, Elementi di semiotica, Carocci 2002).

• L’identità è data non dall’oggetto, ma dallo sguardo, dal metodo.

• Costitutiva interdisciplinarietà della semiotica, dipendente dal fatto di
 non avere un oggetto proprio.

• Grande varietà di indirizzi e ambiti applicativi (dagli stimoli percettivi ai
 più elaborati costrutti culturali). Rischio di smarrimento e di
 imperialismo

• Come evitare il rischio di imperialismo, come delimitare il campo?

  • Eco: soglia inferiore e soglia superiore della semiotica.
Sviluppi negli anni sessanta
Diverse scuole di orientamento semiotico:

 • Francese
   • Roland Barthes (1915-1980)
   • Algirdas J. Greimas (1917-1992)

 • Russa
   • Jurij Lotman (1922-1993)
   • Boris Uspenskij (1937-)

 • In Italia:
    • Umberto Eco (1932-2016)
    • Tullio De Mauro (1932-2017)
Semiotica e storia della semiotica
Eco, Filosofia del linguaggio, 1984, introduzione:

Per capire meglio tanti problemi che ancora ci occupano occorre
andare a rivisitare i contesti in cui una data categoria è apparsa per la
prima volta.

Rilevanza della tradizione filosofica: ogni grande filosofo del passato ha
elaborato a suo modo una semiotica, in quanto semiotica generale.

La semiotica generale, in quanto disciplina filosofica, ha il compito di
elaborare categorie che permettano di vedere ciò che accomuna
esperienze semiotiche apparentemente diverse.
Fondazione filosofica della disciplina
• Aristotele (384a.C.-322a.C.)
  (De interpretatione; Retorica, Poetica)
  distingue: semeîon, tekmerion, symbolon

• Agostino di Ippona (354-430)
 (De doctrina christiana; De magistro)
 segno = una cosa che sta per qualche altra cosa

• Locke (1632-1704)
 Essay on Human Understanding (1690)
 La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della conoscenza
 umana (accanto a fisica ed etica).

• Charles Sanders Peirce (1839-1914)
 Semiotica come teoria della conoscenza umana, incentrata sulla capacità di interpretare
 l’esperienza e ogni sua manifestazione empirica.
Prima definizione:
scienza dei segni
Che cos’è un segno?

La parola segno viene utilizzata per riferirsi a una molteplicità di
fenomeni diversi:

• Cicatrici, graffi, lividi (“ho ancora il segno della ferita”)
• Tracce o impronte (“i segni delle ruote sulla strada”, “il segno del suo
    passaggio”)
•   Segni come connotati fisici che permettono di identificare una persona
    (“segni particolari”)
•   Bersagli (“tiro a segno”, “mandare a segno un intervento”)
•   Indizi (“segno di amicizia”, “dare segni di pazzia”)
•   Gesti di comunicazione (“un segno di salute”, “esprimersi a segni”)
•   Simboli convenzionalmente usati per rappresentare qualcosa (“la
    croce è segno del cristianesimo” “la mezzaluna è segno dell’islam”, “il
    segno della moltiplicazione”)
E poi:

         •   Indicatori luminosi (spie)
         •   Espressioni del volto
         •   Comportamenti e segnali di altri animali
         •   Manufatti come la struttura di un edificio, l’arredamento di una
             casa
         •   Diagrammi
         •   Disegni
         •   Emblemi
         •   Parole di una lingua

In tutti questi casi attribuiamo sostanza e valore di segno a esperienze
diverse.
Cosa accomuna questi usi diversi della parola segno?
Relazione di rinvio

In tutti i casi considerati c’è qualcosa che sta per qualcos’altro: aliquid
stat pro aliquo.

Qualcosa di percepibile (sul piano visivo, acustico, tattile, olfattivo) sta
per qualcosa di non percepibile.

Perché si possa parlare di segno l’esperienza percettiva deve rinviare
a qualcosa di assente.
Interpretazione

«Qualcosa è un segno solo perché è interpretato come segno di
qualcosa da un interprete […] pertanto la semiotica non ha a che fare
con lo studio di un particolare tipo di oggetti, ma con gli oggetti comuni
nella misura in cui (e solo nella misura in cui) partecipano alla semiosi»
(Charles Morris, Foundations of the Theory of Signs, 1938; tr. it.
Lineamenti di una teoria dei segni, Torino, Paravia, 1954: 20).
La relazione di rinvio può assumere
                caratteristiche diverse

• Nel    caso del sintomo o dell’indizio è totalmente a carico
  dell’interprete. Il rapporto dello stare per si regge qui su un
  meccanismo inferenziale: una traccia o un sintomo sono segni di
  qualcosa solo se c’è qualcuno che li interpreta come effetti di una
  causa da scoprire.
• Questi segni non sono stati prodotti intenzionalmente per comunicare
  qualcosa.

• Il gesto dell’OK, La Z di Zorro sono segni prodotti da qualcuno con
 l’intenzione di comunicare qualcosa a un destinatario. La relazione di
 rinvio è sancita dall’emittente.
Segni naturali e segni artificiali
• Segni naturali
  Prodotti non intenzionalmente; il rinvio è fissato a valle da un
  interprete che decide di considerare un certo fenomeno come segno
  di qualcosa.

Segni artificiali
  Prodotti intenzionalmente per comunicare qualcosa a qualcuno e
  rendere manifesta questa intenzione; il rinvio è fissato a monte da un
  esecutore.
Agostino di Ippona (354-430 d.C.)
De doctrina Christiana (397 d.C.)
Ogni insegnamento ha come oggetto cose (res) o segni (signa): ma le
 cose si apprendono per mezzo di segni. Definisco ora cose in senso
 proprio quelle che non servono per significare qualcosa, per esempio
 legno pietra pecora e altro di tal fatta; non però il legno che, come
 leggiamo, Mosè gettò nelle acque per toglierne l’amarezza, né la
 pietra che Giacobbe si era posto sotto il capo né la pecora che
 Abramo immolò in luogo del figlio. Queste cose infatti sono tali da
 essere anche il segno di altre cose. Ci sono infatti cose di cui
 facciamo uso solo per significare (in significando), per esempio le
 parole: nessuno ne fa uso se non per significare qualcosa. Di qui si
 capisce che cosa io intendo per segno: una cosa che serve per
 significare qualcosa. Perciò ogni segno è anche una cosa, perché ciò
 che non è una cosa, non esiste affatto: invece non ogni cosa è anche
 segno. (De doct.chr. I, II 2)
Significazione naturale

Dei segni, alcuni sono naturali (naturalia), altri intenzionali (data). Sono
naturali quelli che, senza alcuna intenzionalità e volontà di significare,
fanno conoscere, a partire da sé, qualcos’altro oltre sé, come il fumo
significa il fuoco: lo fa senza intenzione di significare, ma perché grazie
alla osservazione e all’esperienza sappiamo che là sotto c’è il fuoco,
anche se si vede solo il fumo. Appartiene a questo genere di segni la
traccia dell’animale che passa; e il volto di una persona adirata o triste
ne rivela lo stato d’animo anche indipendentemente dalla volontà di chi
è adirato o triste, e così dicasi di altro sentimento che viene indicato
dall’atteggiamento del volto, anche se noi nulla facciamo per indicarlo
[…].
Significazione intenzionale

Segni intenzionali (data) sono quelli che gli esseri viventi si scambiano
gli uni con gli altri per far conoscere, per quanto è possibile, le emozioni
del loro animo, i sentimenti, i pensieri; e non c’è altro motivo per noi di
significare, cioè di dare un segno, se non per effondere e trasferire
nell’animo di un altro ciò che ha nel proprio animo colui che dà il segno
[…]. Anche gli animali si scambiano tra loro segni con i quali esternano
gli appetiti del loro animo: il gallo quando ha trovato da mangiare con
voce segnala (dat signum vocis) alle galline di accorrere, e il colombo
chiama con un verso lamentoso la colomba e così viene da lei
chiamato […].
Posto della parola tra gli altri segni
Dei segni con i quali comunichiamo tra noi i nostri sentimenti (sua
sensa), alcuni riguardano la vista, i più l’udito, ben pochi gli altri sensi.
Così, quando facciamo un cenno, diamo il segno solo agli occhi di colui
che in questo modo vogliamo rendere partecipe della nostra volontà.
Certi movimenti delle mani significano molte cose e gli attori col
movimento di tutte le membra comunicano alcuni segni agli spettatori
esperti e quasi conversano con i loro occhi; le bandiere e le insegne
militari trasmettono ai soldati attraverso gli occhi la volontà dei
comandanti […]. Ma tutti i segni di tal genere, a confronto con le parole,
sono molto pochi, perché gli uomini hanno assegnato in primo luogo
alle parole il compito di significare tutto ciò che meditano in cuor loro,
se hanno intenzione di comunicarlo […]. Infatti, tutti quei segni, i cui
vari generi ho brevemente accennato, li ho potuti esprimere con le
parole, mentre assolutamente non potrei esprimere le parole con quei
segni”. (De doct. Chr. II, I, II 3, III 4)

• Cfr. G. Manetti, Le teorie del segno nell’antichità classica, Milano,
 Bompiani, 1987.
In sintesi
                Cose

Cose in                   Cose che significano
senso proprio             altre cose (segni)

                  Naturali                       Intenzionali
                     Fumo
                     Orma
                  Espressione
                   del volto
                                Prodotti dagli                  Prodotti dagli esseri umani
                                animali
                                                                visivi                 uditivi
Questione
Come avviene la relazione di rinvio nei due tipi di segni considerati
(naturali e artificiali)?

Nei casi del sintomo e dell’impronta il passaggio dall’aliquid all’aliquo avviene
tramite un ragionamento (inferenza), che può essere più o meno complesso e
più o meno consapevole. Il ragionamento assume che tra ciò che non c’è (il
rinviato) e ciò che c’è (il segno) sussiste una relazione di causa-effetto che può
essere descritta nella forma della implicazione: se p allora q (congettura).

Nei segni artificiali la relazione di rinvio è più immediata, in virtù di una
convenzione che correla l’elemento materiale a qualcosa di immateriale (un
significato culturalmente codificato) (gesto dell’OK). Per attribuire un significato
al segno gestuale basta essere in possesso della regola correlativa che
autorizza a sostituire, in base a un meccanismo di equivalenza, quel
determinato gesto con un significato generalmente riconosciuto (lo stesso vale
per segnali stradali, bandierine navali, il bastone bianco del cieco, emblemi, i
simboli della logica e dell’algebra, i fischi dell’arbitro, ecc.) .
Casi ambigui o intermedi
«La semiotica ha a che fare con qualsiasi cosa possa essere assunta
come segno. È segno ogni cosa che possa essere assunta come
sostituto significante di qualcosa d’altro. Questo qualcosa d’altro non
deve necessariamente esistere, né deve sussistere di fatto al momento
in cui il segno sta in luogo di esso. In tal senso la semiotica, in
principio, è la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per
mentire» (Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975:
17).

• L’intenzionalità di un segno non è sempre evidente e per essere
 riconosciuta richiede un complesso processo inferenziale.

• L’intenzionalità può essere volutamente mascherata (es. del cavallo
 del fuggiasco ferrato al contrario).
Due modelli di segno

• Nella tradizione filosofica e semiotica antica prende forma una
 distinzione tra due concezioni del segno:

  • Segno come inferenza: Se p, allora q
   modello impiegato per spiegare la struttura logica soggiacente ai segni di
   ordine soprattutto non verbale (se c’è fumo, c’è fuoco; se c’è un’orma,
   c’è un animale; le nuvole annunciano - o significano - pioggia).

  • Segno come equivalenza o abbinamento tra un significante e un
   significato: A sta per B
   Modello impiegato per spiegare il funzionamento dei segni di ordine
   soprattutto verbale, ma anche segnaletiche, sistemi di allarme, programmi
   di scrittura, la cui realizzazione richiede l’intervento di regole, previste da
   un codice (intenzionalità).
Platone
               (Atene 428/7 a.C – 348/7 a.C.)
• Semeion:
  • divinazione (Repubblica, 382; Timeo, 71a-72 b; Fedro, 244b-c);
  • scrittura e linguaggio (Fedro, 247c-276a; Sofista, 262a: nome = semeion tes
    phones, “segno vocale”);
  • fatti psicologici, in particolare memoria: la mente è descritta come una tavoletta di
    cera su cui sono impressi i segni prodotti dalla percezione [ton aistheseon semeia]
    (Teeteto, 191a-195b).

  Segno linguistico: Segno linguistico = deloma, “rivelazione” di una entità
  non percepibile (“significato” di una parola, o “essenza” di un oggetto)
  (Cratilo, Sofista)
Cratilo
Problema del rapporto tra il segno linguistico e ciò a cui esso rimanda; problema della
“correttezza dei nomi” (orthotes onomaton) rispetto ai loro significati e/o referenti >
problemi fondamentali, su cui si soffermerà la successiva riflessione filosofica e
linguistica.
(Kretzmann, Plato on the correctness of names, in “American Philosophical Quarterly”, 8,
1971).
Par. 385:
1.    Cratilo e Ermogene ritengono entrambi che il nome è sempre corretto rispetto
      all’oggetto cui viene applicato.

2.   Ma secondo Cratilo la correttezza ha un fondamento naturale (“esiste naturalmente
     un genere di correttezza del nome”), mentre secondo Ermogene è basata
     sull’accordo e sull’abitudine “la correttezza dei nomi è la convenzione”)

3.   Per Cratilo il rapporto di correttezza è universale (è lo stesso per i Greci e i barbari);
     per Ermogene la relazione di correttezza è limitata alla comunità linguistica che ha
     stabilito l’accordo: «Nessun nome esiste per natura per nessuna cosa particolare,
     ma piuttosto per legge e per abitudine di quelli che usano il nome e chiamano le
     cose attraverso esso»; «I nomi sono convenzionali e rivelano le cose a quelli che
     hanno stabilito la convenzione»; i nomi possono essere cambiati: Qualsiasi nome
     uno imponga ad una cosa è quello corretto; e se uno cambia questo nome per un
     altro, il secondo è non meno corretto del precedente»
Socrate confuta entrambe le posizioni per sostenere una tesi alternativa:
• Se Ermogene avesse ragione (tesi convenzionalista), la dialettica sarebbe
  minacciata da un soggettivismo che renderebbe impossibile giungere ad una
  posizione ferma.

• Se Cratilo avesse ragione (tesi naturalista, basata sull’idea di somiglianza tra
 nomi e cose), la ricerca dialettica su che cosa sia una certa entità sarebbe
 impedita dal fatto che il nome-immagine dell’oggetto ne rivelerebbe la natura
 prima ancora che la ricerca dialettica avesse inizio.

• Per Socrate il nome è una “rivelazione” (deloma), ma non dell’oggetto o della
 sua essenza, bensì dell’opinione (doxa) che si erano fatti degli oggetti i primi
 “nomoteti”, cioè i creatori di nomi. Il nome funziona sulla base di due fattori:
 l’uso (ethos) e la relazione che si stabilisce tra gli utenti del nome (xyntheke o
 “convenzione”).

• Accentuazione della funzione comunicativa rispetto alla funzione cognitiva: il
 linguaggio in sé non è uno strumento sufficientemente valido ai fini del
 raggiungimento della conoscenza, per cui è necessario rivolgersi
 direttamente alle cose stesse, ma può essere un ottimo strumento di
 comunicazione.
Aristotele
                       (Stagira 384/3-322 a.C)
• Distinzione tra segno naturale (semeion) e segno linguistico (symbolon)

• Semeion compare come termine tecnico-filosofico nel V sec. a.C. con
 Parmenide e Ippocrate, che lo usano come sinonimo di Tekmerion (prova,
 indizio, sintomo). Il termine non viene usato ancora per i segni linguistici, che
 sono onoma.

De interpretatione (16a 1-10)
• Le parole in quanto “espressioni della voce” (ta en te phoné) sono simboli
  (symbola) delle affezioni dell’anima, come le lettere dell’alfabeto
  (graphomena) sono simboli delle parole.
• Parole e lettere sono poste per convenzione (thesei), in questo differiscono
  dai suoni emessi dagli animali per manifestare le loro affezioni interne, suoni
  inarticolati, segni naturali.
• Il rapporto di rinvio tra le parole e le affezioni si regge su un rapporto di
  equivalenza (è Aristotele a introdurre il modello della equivalenza per i termini
  linguistici) (Eco, 1984: 25)
Simbolo
«Ordunque, i suoni della voce (ta en te phone) sono simboli (symbola) delle
affezioni che hanno luogo nell’anima (ton en te psyche pathematon), e le
lettere scritte (graphomena) sono simboli dei suoni della voce. Allo stesso
modo poi che le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni
sono i medesimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni (semeia) anzitutto delle
affezioni dell’anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini
(homoiomata) di oggetti (pragmata), già identici per tutti”. (De int., 16a3-8).

Aristotele qui usa anche la nozione di semeion per indicare che suoni e lettere
possono essere considerati “indizi” dell’esistenza delle affezioni dell’anima.
Con il cambiamento terminologico cambia la prospettiva dalla quale viene
esaminato lo stesso fenomeno, che, nel secondo caso, rientra appunto nella
sfera di pertinenza di una teoria del segno e non del linguaggio.
Il segno linguistico per Aristotele
                                                 pensiero

Suoni verbali -------------------------------- oggetti
Voces significant res mediantibus conceptis
Cfr. Ogden e Richards, The meaning of meaning, 1923; tr. it. Il significato del significato
La teoria dei simboli linguistici è connessa con il problema della relazione tra espressioni del
linguaggio, loro correlati mentali e stati del mondo

Cfr. Lo Piparo, Aristotele e il linguaggio, Laterza, 2003: l’espressione symbolon non indica che
la relazione tra phonai e pathemata en te psyche è convenzionale, ma che i due termini sono
generati insieme e sono interdipendenti.
Il segno non linguistico per Aristotele
La teoria del segno viene distinta da quella del linguaggio e si colloca nel punto
di intersezione tra logica e retorica.

Analitici Primi, secondo libro, capitolo 27 (II, 70a), Retorica, primo libro (I,
1357a)

Definizione di segno:
«Quando, in concomitanza con l’essere di un certo fatto, un altro è, oppure
quando, in concomitanza al verificarsi di un evento, un altro evento si verifica,
anteriormente o posteriormente, questi ultimi sono segni dell’essere o del
verificarsi dei primi» (Analitici Primi, II, 70a7-9)
  Relazione di implicazione tra due fatti o due eventi a livello ontologico: “p implica q”,
  dove p e q sono due fatti o due eventi che si verificano in connessione l’uno con l’altro (livello
  ontologico delle cause).

Sul piano epistemologico dell’acquisizione di conoscenza, il segno viene a
configurarsi come quel dispositivo che permette di passare da q a p, secondo
una formula del tipo “q è segno di p”. Il segno permette cioè una conoscenza
che parte dal conseguente (cfr. Confutazioni sofistiche,167b1-8).
Semeion e tekmerion
Tekmerion: prova come segno necessario, da cui si sviluppa un’inferenza inquadrabile
nella prima figura del sillogismo
   la febbre è segno di malattia, necessariamente: se ha la febbre, allora è malato = affermativa
   universale: tutti coloro che hanno la febbre sono malati; non vale però l’inverso: non tutti coloro che
   sono malati hanno la febbre (il carattere bicondizionale è proprio invece della equivalenza)

Semeion: segno non necessario e perciò confutabile, può risultare vero ma può anche
non esserlo (grado minore di rispettabilità e conclusività), da cui si sviluppano inferenze
proprie della seconda e terza figura del sillogismo
   se una persona è pallida allora è malata (probabilità, segno debole)
   se Pittaco è eccellente, i sapienti sono eccellenti (esempio, forma dell’induzione)

La teoria dei segni non verbali pone il problema di come si acquisisce la
conoscenza indiretta risalendo dagli effetti alle cause.
Aristotele si muove a fatica tra questi vari segni, perché conosce il sillogismo
apodittico, ma non chiaramente il sillogismo ipotetico.
Aristotele attribuisce al semeion il ruolo basilare di essere uno degli
elementi che forniscono le premesse per quel particolare tipo di
sillogismo conosciuto come entimema (An. Pr. II, 70a9-10 e Rhet. I,
1357a30-32).

Entimema: sillogismo accorciato, una delle sue premesse resta
implicita, poiché la si considera ben nota o ovvia (doxa).

Il fine dell’entimema è persuadere più che dimostrare (per questo la
tradizione successiva lo definirà anche come “sillogismo retorico”): le
sue premesse non sono necessariamente vere, ma è sufficiente che
siano soltanto probabili.
Stoicismo antico
     (III sec. a.C.: Zenone, Cleante, Crisippo)

Come Aristotele, distinguono due aree semiotiche:

• linguaggio verbale: analisi delle relazioni tra linguaggio, pensiero e
 realtà: distinzione tra espressione          (semainon),     contenuto
 (semainomenon) e referente (tynchanon).

• segno non linguistico: analisi delle condizioni di correttezza logica
 dell’inferenza semiotica al fine di garantire i contenuti di conoscenza
 forniti dal segno.
«Alcuni hanno riposto il vero e il falso nella cosa “significata” (to
semainomenon), altri nella voce (phone), altri infine nel movimento del
pensiero. Della prima opinione sono stati i portabandiera gli stoici col sostenere
che sono tra loro congiunte tre cose, ossia la cosa significata (to
semainomenon), quella significante (to semainon), e quella che si trova ad
esistere (to tynchanon), e che, tra queste, la cosa significante è la voce (ad
esempio la parola “Dione”); quella significata è lo stesso stato di cose (auto to
pragma) indicato dalla voce pronunciata (to hyp’autes deloumenon), che noi
percepiamo come coesistente (paryphistamenon) con il nostro pensiero
(dianoia), mentre i barbari, pur ascoltando la voce che lo indica, non lo
comprendono; infine, ciò che si trova ad esistere è quello che sta fuori di noi
(ad esempio, Dione in persona). Di queste cose due sono corpi, cioè la voce e
ciò che si trova ad esistere, ed una è incorporea, cioè l’oggetto significato o
“detto” (lekton), e proprio quest’ultimo è vero o falso» (Sesto Empirico, Adv.
Math., VIII, 11-12)

> In questo passo vengono usati i termini “significante” e “significato”,
ma non il termine “segno”. Come già per Aristotele, l’idea di “segno”
(semeion) appartiene ad una differente sfera, non linguistica, della
teoria semiotica.
Significazione linguistica

                     Semainomenon/lekton
                     (Significato)  (detto)

                                         Tynchanon
Semainon
                                         (Oggetto esterno,
(significante)
                                         Referente)
Lektón
È una categoria semiotica.
La nozione espressa dal termine lekton è normalmente interpretata come il
giudizio che un enunciato esprime in relazione ad un oggetto. Così la
traduzione più appropriata di lekton è “ciò che è detto”, ed in quanto tale
l’espressione copre sia quella di “giudizio”, sia quella di “stato di cose che è
significato da una parola o da una serie di parole”.

Seneca (Epistulae Morales, 117, 13), citando l’esempio di una proposizione
(“Catone cammina”) (diversamente da Sesto Empirico, che usava un singolo
nome e per di più un nome proprio, “Dione”), richiama l’attenzione sulla
distinzione tra l’oggetto di riferimento, che è un oggetto materiale – in questo
caso, Catone – ed una asserzione intorno a questo oggetto (“Catone
cammina”), dove l’asserzione è un’entità incorporea. Il lekton coincide proprio
con questa asserzione.
Seneca        propone        tre      differenti     traduzioni   latine      del
termine:              enuntiatum                 (“enunciato”),          effatum
(“affermazione”), dictum (“asserzione”).
Anche esprimibile o dicibile.
Rapporto tra lektón e pensiero
Gli stoici «affermano che il lektón è ciò che sussiste in conformità con una
rappresentazione razionale (loghiké phantasìa) e che una rappresentazione
razionale è quella secondo cui il rappresentato (phantasthén) può essere
espresso in parole» (Sext. Emp. Adv. Math., VIII, 70)

Distinzione tra lektón, che rappresenta il livello del “significato”, e le
“rappresentazioni razionali” (loghikai phantasìai), intese come forme di attività
intellettiva (o pensieri) che possono essere espresse in parole (logikai)
Cfr. Long (1971: 82): «il lekton è definito come il contenuto oggettivo di un atto
di pensiero […] o come il senso di un discorso significante».

I lektà sono definiti da una parte come contenuti delle rappresentazioni
razionali e dall’altra come significati delle parole: necessità di postulare una
stretta connessione tra i contenuti della attività rappresentativa della mente e il
loro essere significati attraverso le parole (per gli stoici esiste una sostanziale
identità tra i processi del pensiero e quelli della comunicazione linguistica:
Manetti, Le teorie del segno nell’antichità classica, Bompiani, 1987/1994:142-
43).
La proposizione e le sue parti
Il contenuto è un incorporale, gli incorporali sono entia rationis,
relazioni, modi di guardare le cose (Eco, 1984: 28).

Lekton completo è la proposizione, come rappresentazione del
pensiero, ciò che può essere veicolato dal discorso;

lekta incompleti sono le parti di una proposizione (tra cui il soggetto e il
predicato, che sono categorie del contenuto, non grammaticali o
dell’espressione, unità culturali risultanti da una segmentazione astratta
del campo neotico).

Semainomenon = contenuto espresso dal semainon (lekton
incompleto), che assieme ad altri contenuti va a costituire la
proposizione (lekton completo).
Teoria del segno
Il lekton è un elemento centrale della teoria del linguaggio, ma è anche una
nozione fondamentale della teoria del segno […] è un fattore di mediazione fra
le due teorie (Manetti, 1994: 143)

I segni (semeia) per gli stoici sono soprattutto dei lekta, in quanto sono costituiti
da proposizioni.

Nella semiotica stoica si realizza una saldatura “di diritto” tra la dottrina del
linguaggio e la dottrina dei segni:
«perché ci siano segni occorre che siano formulate proposizioni e le
proposizioni debbono organizzarsi secondo una sintassi logica che è
rispecchiata e resa possibile dalla sintassi linguistica» (Eco, 1984: 30).

Però gli stoici non dicono ancora che le parole sono segni (come farà Agostino)
e adottano una differenza lessicale tra semainon/semainomenon e semeion).
Come Aristotele, gli stoici ritenevano i segni uno strumento per
raggiungere la conoscenza e/o per ampliarla. Perciò i segni dovevano
essere tali da offrire la massima garanzia di sicurezza. Occorreva
dunque testare la tenuta logica dei ragionamenti entro i quali i segni
potevano essere impiegati.

Mentre però Aristotele usa una logica dei termini o delle classi per il
suo sillogismo, gli stoici introducono una logica di tipo proposizionale.

La posizione del segno cambia radicalmente. L’inferenza semiotica si
sposta dalla retorica e dialettica, dove essa era collocata inizialmente,
alla scienza in generale. Gli stoici vedono nel segno il procedimento
canonico del passaggio da ciò che è noto a ciò che è ignoto.
Definizione di segno
«Gli stoici, volendo presentare la nozione di segno, dicono che è una proposizione
(axioma) che è l’antecedente (prokathegoumenon) in un condizionale vero (en hyghiei
synemmenon), e che è rivelatore del conseguente (ekrkalyptikon tou legontos). E dicono
che la proposizione è un lekton completo in se stesso […]. Essi chiamano antecedente la
prima proposizione di un condizionale che comincia con il vero e finisce nel vero. Essa fa
scoprire il conseguente poiché la proposizione “essa ha latte” sembra essere rivelatrice
(delotikon) di quest’altra “essa ha concepito”» (Sesto Empirico, Pyrr. Hyp., II, 104-106)

Segno è la proposizione che traduce in termini linguistici un fatto o un evento.
Tale conoscenza viene considerata affidabile se il segno si inquadra nella struttura logica
di un condizionale valido. Il condizionale assume la forma di una proposizione complessa
che segue lo schema “Se p, allora q”, in cui p e q sono due proposizioni.

Il segno deve permettere di passare dal piano strettamente logico a quello epistemico.
Appartiene a un campo distinto sia da quello logico che da quello semantico in senso
stretto. Così per gli stoici il segno non solo deve avere una corretta costruzione dal punto
di vista logico, da individuarsi nella possibilità di permettere un’inferenza valida tra due
proposizioni vere, ma deve anche essere un dispositivo capace di fornire un’informazione
nuova: il segno è il procedimento canonico del passaggio dal noto all’ignoto.
Doppia classificazione dei segni
                secondo due linee oppositive
• Scompare la distinzione tra tekmerion e semeion: i segni sono tutti semeia.
• Emerge un’altra distinzione:
  Segno particolare (o proprio) (idion semeion) è un segno necessario, in quanto non può esistere
  senza la cosa significata;
  Segno generale (o comune) (koinon semeion) può esistere sia che l’oggetto non percepito esista,
  sia che non esista (Filodemo, De signis, I, 1-19; XIV, 2-11). I segni comuni non sono legati
  necessariamente a un tipo di oggetto, ma possono indicarne uno tra molti, come ad esempio lo
  sbadiglio, che può essere segno di stanchezza o di noia, oppure possono attivare una inferenza,
  non sempre valida (es. la bontà di un uomo segno della sua ricchezza).

• Un’altra opposizione (fiilologicamente più incerta, ma che Sesto assimila alla
 prima) è la seguente:
  Segno rammemorativo (hypomnestikon semeion) nel caso in cui ci sia qualcosa che in altre
  occasioni è stato osservato in congiunzione con qualcos’altro e, in assenza di quest’altro, permetta
  di richiamarlo alla memoria, come il fumo quale segno del fuoco (Sesto Empirico, Adv. Math., VIII,
  152; Pyrrh. Hyp., II, 100):
  Segno indicativo (endeiktikon semeion) è “quel segno che, non osservato insieme con la cosa
  designata in maniera evidente, pure, per la propria natura e costituzione, segnala ciò di cui è
  segno” (Sesto Empirico, Pyrrh. Hyp., II, 101). Ne sono esempi i movimenti del corpo che
  costituiscono segni dell’anima o il rossore che diviene segno della vergogna (Sesto
  Empirico, Adv.Math., VIII, 173).
Il segno ha la forma della implicazione (se p allora q): il fumo non è segno se qualcuno
non lo interpreta come antecedente di un ragionamento ipotetico (se c’è fumo…) che si
correla per inferenza al conseguente (...allora c’è fuoco) (Eco 1984:29).

«Il segno non riguarda quel fumo e quel fuoco, ma la possibilità di un rapporto da
antecedente a conseguente che regola ogni occorrenza del fumo (e del fuoco). Il
segno è tipo, non occorrenza» (Eco 1984: 30).
Solo se già possiedo la legge generale per cui “se fumo allora fuoco” sono in grado di
rendere significante il dato sensibile vedendolo come quel fumo che può rivelarmi il fuoco
(ivi: 32)

Nella semiotica stoica dottrina del linguaggio e dottrina dei segni si fondono (pur
permanendo una differenza tra la coppia semainon/semainomenon e semeion): perché ci
siano segni occorre che siano formulate proposizioni e le proposizioni debbono
organizzarsi secondo una sintassi logica che è rispecchiata e resa possibile dalla sintassi
linguistica. I segni affiorano solo in quanto sono esprimibili razionalmente attraverso
elementi del linguaggio. Il linguaggio si articola in quanto esprime eventi significativi (cfr.
Lotman: la lingua è sistema modellizzante primario).

È solo nell’atto del giudizio che la cosa è riconosciuta come esistente e rilevante ai fini di
ulteriori predicazioni (ivi: 31).
Nella filosofia del segno proposta dagli stoici sparisce la distinzione tra
segni sicuri e segni insicuri. Poiché il segno deve fornire una
conoscenza affidabile, solo i segni sicuri sono presi in considerazione.

Come è testimoniato da Sesto (Pyrr. Hyp., II, 95-96), la dottrina
scientifica degli stoici è basata proprio sui procedimenti inferenziali che
assicurano il passaggio dalle cose evidenti (apo ton enargon) a quelle
non evidenti (adela). La semiotica (che in Aristotele era ancora una
parte marginale, seppur importante, del procedimento filosofico)
diviene centrale e la stessa dimostrazione viene considerata un
procedimento semiotico (Sesto Empirico, Adv. Math., VIII, 180).

Sempre secondo Sesto, gli stoici vedevano nella capacità umana di
“discorso interno” (logos endiathetos) in quanto abilità di combinare i
concetti e di passare dall’uno all’altro, la differenza rispetto agli animali.
L’uomo possiede infatti la nozione di consequenzialità e con ciò
possiede anche la nozione di segno, che ha la forma: “Se questo,
allora quest’altro”. Così l’esistenza del segno si pone in stretta
dipendenza dal pensiero umano (Manetti 1994: 157)
Epicuro
                       Samo 342 – Atene 270 a.C
Principio semiotico della possibilità di congetturare a partire da fenomeni visibili
fatti che non sono percepibili con i sensi:

  «Gli indizi (semeia) dei fenomeni celesti ce li forniscono alcuni fenomeni che accadono presso di
  noi, e che si vede dove e come avvengono, e non i fenomeni celesti stessi, che possono avvenire
  in molte maniere» (Epic., Epistula ad Pythoclem, 87)

Rifiuta il ragionamento deduttivo di Aristotele degli stoici e adotta l’inferenza
analogica che si sviluppa a partire dai segni (induzione semiotica) (Filodemo di
Gadara, Sui segni e sulle inferenze).

Le inferenze elaborate sulla base di segni consentono di elaborare giudizi
oggettivamente validi su fenomeni non direttamente accessibili all’esperienza.

Problema: entro quali limiti questi giudizi possono essere considerati attendibili
o meno (veri o falsi)?
Criteri di verità
• Sensazioni (aisthesis)
• Affezioni (pathe)
• Preconcezioni o prolessi (prolepseis)
• Evidenza immediata (enàrgheia)

Giocano un ruolo fondamentale sia nella teoria del segno inferenziale
che nella teoria del linguaggio, collegandole, anche se le due teorie
restano ancora separate.
Epistemologia epicurea
Ricerca di una fondazione empirica della conoscenza.
Due canali della conoscenza:
a) Via diretta di accesso alle cose
b) Via mediata dalle parole (percorso preliminare ed esposto a
    rischio).

La verità è relativa alla effettiva consapevolezza di qualcosa, vere
possono essere perciò anche le sensazioni e le affezioni: una
sensazione è vera se fornisce un indizio effettivo su un fatto reale,
rendendocene consapevoli.
I criteri di verità possono esser disposti gerarchicamente:
Affezioni e Sensazioni (valore di verità puramente soggettivo)
Evidenza immediata e Preconcezioni (forniscono un criterio oggettivo)
Criteri di verità

  Consapevolezza soggettiva                  Consapevolezza oggettiva

affezioni
                          sensazioni        evidenza             prolessi
Teoria dei simulacri
Lettera ad Erodoto, par. 46:
La percezione si basa sull’efflusso di atomi provenienti dagli oggetti, che
compongono configurazioni identiche alla forma esterna dei corpi solidi
(simulacri) (eidola) e penetrano nei nostri organi di senso o nella mente dove
producono una immagine (phantasia) più o meno esatta del corpo da cui i
simulacri sono stati emanati.

Ø Teoria causale della percezione: la phantasia non è un’immagine dell’oggetto
 ma del simulacro, perciò può differire anche molto dall’oggetto (p. es. una
 torre percepita a distanza appare piccola).

Ø Se gli uomini si limitassero a descrivere le loro immagini mentali non si
 darebbe errore. Questo interviene quando alla sensazione si aggiunge un
 “secondo movimento”: l’elaborazione dell’opinione attraverso l’aggiunta di un
 giudizio.
Congettura
Ipotesi conoscitiva su una dimensione che va oltre ciò che
può essere colto attraverso i sensi

 attestazione                                contestazione

 Non contestazione                         Non attestazione

 conferma                                   disconferma
La congettura è coinvolta in ogni atto percettivo: sensazioni
e immagini mentali forniscono i dati su cui si elaborano
congetture.

L’inferenza semiotica si esercita su due tipi di oggetti:
1. Ciò che attende conferma (inferenza percettiva)
  Es. : vedo in lontananza Platone e congetturo che si tratta di lui, ma solo
  quando si avvicina la mia congettura risulterà attestata dalla evidenza.

2. Ciò che non cade sotto i sensi (inferenza al non
   percepibile)
  Dall’esistenza del moto (percepibile) risalgo all’esistenza del vuoto (non
  percepibile): relazione logica di implicazione tra un antecedente e un
  conseguente.
Prolessi
• Ha un ruolo determinante nella inferenza percettiva:
«per esempio, per poter affermare: “Ciò che sta lontano è un cavallo o un bue”,
dobbiamo per prolessi (o anticipazione) già aver conosciuto una volta la figura
di un cavallo e di un bue» (Diog. Laërt., Vitae, X, 33).

La prolessi è necessaria per avere una percezione, ovvero per passare dalla
semplice consapevolezza del fatto che si sta vedendo una immagine, al
giudizio oggettivo che si tratta dell’immagine di un oggetto preciso.

Le prolessi 1) sono strettamente legate alla memoria di esperienze precedenti,
2) sono evidenti.
Le prolessi non corrispondono necessariamente a singoli oggetti esterni, ma
sono il tipo di cui le singole esperienze percettive sono le occorrenze (cfr.
stoicismo): solo possedendo il concetto generale di “uomo” si può decidere se
ciò che si ha di fronte sia o non sia un’occorrenza particolare di esso.
Teoria del linguaggio
Le prolessi costituiscono anche una condizione necessaria del linguaggio:

Sul piano della ricezione, la pronuncia di un nome (“uomo”) richiama
nell’ascoltatore una immagine o un concetto, una entità che è soggiacente a
quel nome e che è derivata dalla prolessi (il significante attiva un significato).
Sul piano della produzione, il locutore deve possedere una preconcezione di
ciò che intende esprimere, altrimenti non potrebbe dire niente: codifica un
significato che ha nella mente per mezzo di un artificio espressivo.

La prolessi è coinvolta nella formazione dei concetti.
Diversamente da quanto ritengono Sesto e Plutarco che riducono la teoria del
linguaggio di Epicuro a soli due fattori: la cosa significante (semainon) e la cosa
significata (tynchanon), in Epicuro la prolessi ricopre il ruolo del lekton per gli
stoici (elemento di mediazione tra le parole e le cose).
Significazione linguistica

                   Prolessi

                               Cose
Nomi
Origine del linguaggio
Lettera ad Erodoto (75-76)
Il linguaggio è un’attività umana sviluppata attraverso due stadi distinti:
• nel primo stadio il linguaggio esprime una relazione con la realtà di tipo
   naturale (emissioni di suoni sotto lo stimolo involontario e naturale delle
   affezioni e delle immagini): reazione istintiva all’ambiente (posizione
   naturalista). La diversità delle lingue è qui spiegata come diversità degli
   ambienti in cui si trovano i diversi popoli;
• nel secondo stadio si introduce la convenzione, a seguito di un movimento di
   razionalizzazione che rende le espressioni naturali più chiare e più concise; e
   dell’intervento di parlanti colti, che tendono a introdurre concetti relativi a cose
   che non ricadono nella percezione (e che dunque non appartengono allo
   stadio naturale).

Posizione intermedia nella polemica physis/nomos:
Per Epicuro i nomi sono simboli (come per Aristotele), in quanto non
riproducono le proprietà degli oggetti, ma sono naturali (come per Platone)
nella loro origine.
Peirce (1839-1914)
«Io sono, per quel che ne so, un pioniere, o piuttosto un esploratore, nell’attività di chiarire e
  iniziare ciò che io chiamo semiotica, vale a dire la dottrina della natura essenziale e delle
  varietà fondamentali di ogni possibile semiosi» (Collected Papers (1931-58), CP: 5.488)

«Per semiosi intendo un’azione, una influenza che sia, o coinvolga, una cooperazione di tre
  soggetti, come per esempio un segno, il suo oggetto e il suo interpretante, tale influenza
  trirelativa non essendo in nessun caso risolubile in un’azione tra coppie» (CP: 5.484)

Un segno, in quanto tale, ha tre riferimenti: primo, è un segno per un pensiero che lo
 interpreta; secondo è un segno in luogo di un oggetto a cui quel pensiero è equivalente;
 terzo, è un segno sotto qualche rispetto o qualità che porta il segno stesso in connessione
 con il suo oggetto.

«Un segno (o Representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche
 rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un
 segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo
 chiamo interpretante del primo segno» (CP: 2.228; trad. it. Peirce, Semiotica, a cura di
 Bonfantini, Einaudi 1980:132)
Teoria semiotica come teoria della conoscenza

• Critica dell’idea di conoscenza come intuizione: ogni
 conoscenza è condizionata da cognizioni precedenti.

• Non esiste pensiero senza segni.

• Importanza dell’inferenza (ragionamento), ragionamento
 che parte dagli effetti anziché dalle cause.
Modelli di ragionamento

• Deduttivo: Regola, Caso, Risultato (se p allora q, ma p, allora q)
  • RE. Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori
  • C. Quest’uomo è governatore
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori (sicuramente)

• Induttivo: Caso, Risultato, Regola
  • C. Quest’uomo è governatore
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori
  • RE.Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori (forse)

• Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
  • RI. Quest’uomo riceve grandi onori
  • RE?. Se un uomo è governatore riceve grandi onori (forse)
  • C. Quest’uomo è governatore (forse)
• Deduttivo: Regola, Caso, Risultato
       • RE. Se A allora B
       • C. ma A
       • RI. Allora B (sicuramente)

    • Induttivo: Caso, Risultato, Regola,
       • C. Gavagai
       • RI. Gavagai + comparsa di un coniglio
       • RE.Gavagai sta per coniglio (forse)

    • Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
        • RI. L’orbita di Marte passa per x e y
        • RE? X e y sono i punti di un ellisse
        • C. l’orbita di Marte è un’ellisse (ipotesi)

• L’abduzione è alla base di ogni indagine, in quanto forma del ragionamento ipotetico.
  L’abduzione fornisce una spiegazione dei fatti, ma da sola non è in grado di conferire a
  questa spiegazione alcuna forza o certezza. Chiave di volta è il termine medio, cioè la
  regola, che può essere data in modo obbligante e automatico, essere prodotta per
  selezione a partire dalle conoscenze disponibili, oppure risultato di una invenzione
  creativa.

(cfr. Proni, Introduzione a Peirce, Bompiani, 1990). Sul paradigma indiziario: Eco-Sebeok (a cura di), Il segno dei tre.
   Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani 1983; R. Petrilli, Il detective e le parole, Guerra, 2004).
Eco, Kant e l’ornitorinco, 1997:78-79

Peirce ha decisamente posto l’intero processo cognitivo sotto il segno della
inferenza ipotetica, per cui le sensazioni appaiono come interpretazioni di
stimoli; le percezioni come interpretazioni di sensazioni; i giudizi percettivi
come interpretazioni di percezioni; le proposizioni particolari e generali come
interpretazioni di giudizi percettivi; le teorie scientifiche come interpretazioni di
serie di proposizioni.

Di fronte alla infinita segmentabilità del continuum sia gli schemi percettivi che
le stesse proposizioni circa le leggi di natura (come sia un rinoceronte, se il
delfino sia un pesce, se sia possibile pensare l’etere cosmico) ritagliano entità
o rapporti che – sia pure con diversità di grado – permangono sempre ipotetici
e sottomessi alle possibilità del fallibilismo […].

La garanzia che le nostre ipotesi siano giuste (o almeno accettabili come tali
sino a prova contraria) non sarà più cercata nell’a priori dell’intelletto puro (se
anche di esso si salveranno le forme logiche più astratte) bensì nel consenso,
storico, progressivo, temporale anch’esso, della Comunità.
Modello triadico della semiosi

                   Interpretante

Representamen     Oggetto          Oggetto
                immediato          dinamico
Concezione inferenziale di segno
Il Representamen (puro aspetto espressivo) sta al posto di qualcos’altro.
   Tuttavia questo stare per non è da intendersi come un rapporto di pura
   sostituzione, in quanto il Representamen non sostituisce l’oggetto sotto ogni
   punto di vista, ma soltanto “sotto qualche rispetto o capacità”, cioè in base a
   qualche proprietà scelta come pertinente.

Se ad esempio prendiamo il disegno di un cavallo, che ne delinei soltanto il
 contorno, noi potremmo dire che tale disegno sta per il cavallo, ovvero ne
 costituisce un segno, il cui significato sia identificabile con il “concetto di
 cavallo”. Tuttavia il disegno non esaurisce tutto quello che noi possiamo
 sapere circa le proprietà del cavallo, ma ne costituisce un sostituto parziale
 che individua l’oggetto solo da un certo punto di vista: la silhouette visiva che
 può presentare un cavallo, lasciando da parte tutte le informazioni che
 riguardano ad esempio il suo essere distinto in varietà diverse ed avere
 differenti pezzature del manto, le sue caratteristiche fisiche di dimensione e di
 potenza, le sue abitudini in relazione all’uomo, e via dicendo. In altre parole,
 il segno come Representamen costituisce una mediazione tra le nostre
 rappresentazioni mentali e le caratteristiche reali di un determinato oggetto,
 mettendone in risalto volta per volta delle proprietà particolari, scelte secondo
 qualche criterio di pertinenza” (Manetti, Comunicazione, 2011: 64)
Oggetto dinamico e
                        oggetto immediato
• Oggetto dinamico è l’oggetto “realmente efficiente ma non immediatamente presente”
 (CP:8.343): oggetto in sé, che esiste nella realtà esterna, indipendentemente dal fatto
 che qualcuno lo pensi; in quanto tale non entra direttamente nel processo di semiosi
 (referente). Tale oggetto non è conoscibile se non attraverso la mediazione dei segni,
 che ne illustrano volta per volta le diverse proprietà (cioè come oggetto immediato).

• Oggetto immediato è l’oggetto “così come il segno lo rappresenta” (CP:8.343); è una
 entità concettuale, una rappresentazione mentale, è il modo in cui l’oggetto dinamico
 viene dato e conosciuto attraverso la mediazione dei segni, che ne mettono in risalto
 volta per volta certe proprietà. È il significato del segno che viene socialmente
 codificato e, in quanto tale, è la contropartita mentale del Representamen.

L’oggetto immediato si distingue dall’interpretante perché è un’entità interna al segno, è
  cioè il modo in cui l’oggetto dinamico viene dato nel segno.

L’interpretante è invece esterno al segno, è un secondo segno, una rappresentazione
  che scatta nell’interprete a partire dal primo segno e che lo arricchisce (Pisanty-
  Pellerey, Semiotica e interpretazione, Bompiani, 2004).
Interpretante e semiosi illimitata
L’interpretante è un altro segno che illumina l’oggetto da un altro punto di vista.
 Così un interpretante del disegno di cavallo può essere costituito da un’espressione
  linguistica quale “animale che nitrisce”, o da una fotografia di un cavallo o da una
  rappresentazione mimica dei movimenti della corsa del cavallo.
Gli Interpretanti possono essere molti e ciascuno di essi fornisce una conoscenza
  parziale dell ’ oggetto. Per produrre la semiosi, ovvero innescare il processo di
  significazione, gli Interpretanti si collocano in una serie tendenzialmente senza confini,
  che Peirce chiama appunto semiosi illimitata, i quali rendono conto delle molteplici
  proprietà dell’oggetto.
 La fuga degli Interpretanti, anche se tendenzialmente illimitata, dato che non è mai
  possibile cogliere tutte le caratteristiche di un Oggetto, può però arrivare a una sua
  normalizzazione nel momento in cui viene a istaurarsi un ’ abitudine o regola
  interpretativa stabile, che Peirce chiama abito, che potremmo considerare come
  registrata nella nostra memoria e che da un certo momento in poi orienterà le nostre
  scelte successive nella interpretazione di un determinato segno.
Interpretanti
                Interpretante logico finale

                Interpretante dinamico

                Interpretante immediato

Representamen       Oggetto                   Oggetto
                  immediato                   dinamico
Tre tipi di interpretante

• Interpretante immediato
    interpretazione del segno secondo regole socialmente determinate e
    tradizionalmente acquisite (ad es. riconoscimento di un sintomo, di effetti
    prodotti da una malattia)

• Interpretante dinamico
    Interpretazione che deriva dal confronto del significato acquisito con
    proprie esigenze di comprensione e con l’oggettività (attivazione di tensioni
    interpretative, valutazione delle diverse ipotesi di diagnosi)

• Interpretante logico-finale
    Produzione di un abito interpretativo che soddisfa esigenze conoscitive
    coordinate all’azione (selezione di un’ipotesi e intervento di cura)
La tipologia dei segni in Peirce
            Dal punto di vista della relazione tra il segno e il suo oggetto

•       Icona: correlata al suo oggetto (dinamico) in virtù di un carattere di
        similarità. I segni iconici sono motivati per somiglianza tra il segno e
        l’oggetto.
    •     Es.: illustrazioni, diagrammi, ritratti, silhouette, caricature, schemi illustrativi di un
          apparecchio, suoni onomatopeici, metafore.

•       Indice: «è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù
        del fatto che è realmente determinato da quell’oggetto» (CP:2.248). I
        segni indicali sono motivati per contiguità fisica: l’indice è un segno
        fisicamente o causalmente connesso con il proprio oggetto.
    •     Es.: la firma (traccia della presenza dell’autore), la banderuola che indica la direzione del
          vento; il dito puntato, l’impronta, la fotografia.

•       Simbolo: «segno che si riferisce a un oggetto in virtù di una legge» (CP:
        2.249). Il simbolo è un segno non motivato, quindi arbitrario. Peirce
        definisce il simbolo anche legisegno (basato su una legalità propria di una
        comunità): «il simbolo è connesso con il suo oggetto in virtù dell’idea
        della mente che usa il simbolo, senza la quale non esisterebbe questa
        connessione» (CP:2.299).
    •     Es.: segni del linguaggio naturale, della matematica, del codice della strada, dei gradi
          militari.
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