SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 19-21 MAGGIO 2021 - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia
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SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 19-21 MAGGIO 2021 PROF. ILARIA TANI
Some Consequences of Four Incapacities (1868b) Peirce dichiara di aver scritto Questions in opposizione al cartesianesimo. Riepilogando quella critica alle quattro pretese facoltà, individua quattro negazioni: 1. Non abbiamo capacità introspettive: tutta la conoscenza del mondo interiore deriva da un ragionamento ipotetico a partire dalla nostra conoscenza dei fatti esterni 2. Non abbiamo capacità intuitive: ogni cognizione è determinata logicamente da cognizioni anteriori 3. Non abbiamo alcuna capacità di pensare senza segni 4. Non abbiamo alcun concetto dell’assolutamente inconoscibile.
Una nuova via alla semiotica Il secondo saggio trae le conseguenze di queste quattro incapacità, inquadrandole in una esplicita presa di posizione contro Cartesio, cui contrappone l’insegnamento della scolastica medievale: 1. Contro il dubbio universale: dobbiamo al contrario partire dai pregiudizi che abbiamo di fatto quando intraprendiamo lo studio della filosofia 2. Contro l’idea che la certezza vada cercata nella coscienza individuale. Nelle scienze la conoscenza è un risultato della comunità scientifica. Bonfantini (1980:39) definisce questo saggio «una sorta di seconda via alla semiotica, dopo quella logico-analitica della New List: una via che possiamo definire “psicologica” – non per il suo metodo, beninteso, ma per il suo campo d’indagine, che è la psiche umana considerata in ogni tipo di “azione mentale”. Il primo saggio anticartesiano era inteso a mostrare la fallacia della tesi della esistenza di conoscenze intuitive. Ora l’intento è più costruttivo: Peirce vuole rendere conto del carattere inferenziale (e con ciò segnico) di ogni momento del pensare umano – non solo di tutte le cognizioni valide ma anche di tutti i giudizi, veri o falsi che siano; e non solo di tutti i giudizi intellettivi, ma anche di ogni altra azione mentale, comprese le sensazioni, le percezioni e le emozioni».
Contro Cartesio • Peirce mette in discussione l’idea che la filosofia debba cominciare dal dubbio universale: si tratta di un dubbio intellettualistico, di carta, un preliminare inutile, dal momento che prelude comunque al recupero di tutte le credenze alle quali ha fatto finta di rinunciare. Contro questo scetticismo formale, Peirce difende la forza dei pregiudizi che devono restare alla base della filosofia, a meno che non si abbia un motivo reale per metterli in discussione (dubbio vivente). • Rifiuta inoltre l’idea che il fondamento delle nostre certezze vada trovato nella autocoscienza individuale, che assume come «vero tutto ciò di cui sono chiaramente convinto»: «rendere dei singoli individui giudici assoluti della verità è molto pericoloso». La logica e la scienza moderne chiedono di poggiarsi su basi molto diverse: le conoscenze vengono messe alla prova finché non si raggiunge un accordo (una conclusione condivisa). La conoscenza è sempre relativa ad una comunità di ricerca.
Fune vs catena La filosofia deve guardare al procedimento della conoscenza scientifica «e fidarsi più della molteplicità e della varietà degli argomenti», anziché adottare un solo percorso inferenziale, come nel modello cartesiano. «Il ragionamento filosofico non dovrebbe formare una catena che non è mai più forte del suo anello più debole, ma una fune le cui fibre possono anche essere molto sottili, se sono sufficientemente numerose e saldamente intrecciate fra di loro» (79).
Critica dell’intuizionismo e critica del rispecchiamento • Il nucleo della gnoseologia e della semiotica di Peirce consiste in una concezione radicalmente nuova del rapporto tra rappresentazione conoscitiva e oggettività conosciuta. • Secondo la tradizione tanto razionalista che empirista, occorre postulare l’esistenza di conoscenze dirette o immediate, assolutamente certe, che riproducono esattamente e fedelmente la realtà. • La gnoseologia cartesiana poggia sul principio che esistono intuizioni di verità indubitabili ed evidenti di per sé, che non hanno bisogno di prove, ma sono garantite dal fatto che ogni intuizione è una relazione a due termini, assolutamente semplice e diretta, tra la mente conoscente e il fatto o la verità conosciuta. • A questa concezione della conoscenza come perfetta specularità (teoria del rispecchiamento) Peirce oppone la concezione della conoscenza come necessariamente interpretativa e ipotetica.
Struttura del saggio Consequences La prima parte si articola attorno alla tesi della centralità dell’inferenza valida per ogni forma di ragionamento (compresi quelli fallaci). Secondo Peirce il pensiero, in quanto pensiero giudicante e flusso di giudizi, ha sempre un suo ritmo tipico, che deriva dal suo carattere costitutivamente inferenziale, ma anche dal ritmo triadico proprio del segno. Peirce distingue diverse modificazioni della coscienza: pensiero, sensazione, emozione, attenzione. Nella prima parte analizza le forme del ragionamento. Nella seconda si tratta di far vedere che anche i prodotti della sensazione, dell’emozione e dell’attenzione sono inferenze.
Rasoio di Ockham «Finché possiamo, dobbiamo fare a meno di ipotesi addizionali, riducendo tutti i tipi di azione mentale a un tipo generale». Non possiamo individuare nessuna conoscenza che valga come fondamento della nostra conoscenza dell’oggetto, la conoscenza è un processo continuo: «Dobbiamo allora cominciare da un processo cognitivo tale che le sue leggi siano ben note e si attengano strettamente ai fatti esterni». È questo il processo dell’inferenza valida: «finché si può, si deve ridurre ogni azione mentale alla formula del ragionamento valido, senza aggiungere nessun’altra ipotesi all’infuori di quella che sostiene che la mente ragiona» (80). Ma la mente si muove davvero secondo un processo sillogistico?
Argomento o inferenza • Riferimento alla logica sillogistica. Interessato alla logica dell’indagine, Peirce presta attenzione in particolare agli argomenti induttivi e ipotetici, in quanto forme di inferenza sintetica, produttiva di informazione. • L’inferenza è la correlazione tra due o più proposizioni dette premesse e una proposizione detta conclusione, che costituisce l’interpretante delle prime due. • Un argomento valido può essere semplice o complesso: complesso è l’argomento che contiene tre o più premesse e può essere trasformato in una serie di argomenti semplici successivi, dunque «un’inferenza complessa è uguale a una successione di argomenti semplici» (80). Cfr. R. Fabbrichesi-Leo, Introduzione a Peirce, Laterza, pp. 29 sgg.; G. Proni, Introduzione a Peirce, Bompiani, pp. 67-72; 287 sgg.
Una inferenza valida può essere completa o incompleta: è incompleta quando la sua validità dipende da qualche dato non contenuto nelle premesse, tuttavia implicito in esse e quindi virtualmente ammesso. Tale inferenza può essere assimilata a un’inferenza completa (es. Elia è un uomo, quindi dovrà morire”, dove implicita è la premessa minore: “tutti gli uomini sono mortali”) (cfr. p. 80). Un argomento completo è apodittico o probabile. Nel sillogismo apodittico la conclusione dipende esclusivamente da quanto asserito nelle premesse: è la deduzione, in cui la verità della conclusione discende necessariamente dalla verità delle premesse: Es.: I quadrilateri regolari hanno tutti gli angoli a 90 gradi Un angolo di questo quadrilatero è diverso da 90 gradi Questo quadrilatero non è regolare Un sillogismo la cui validità dipende in parte dalla assenza di qualche altra conoscenza è definito probabile: ciò che si conclude è infatti che è possibile/probabile, sulla base di ciò che conosciamo, che una tale conclusione sia vera: Es.: Un uomo, affetto da colera asiatico, è in uno stato di collasso, è livido, freddo Comincia a sanguinare copiosamente ed esce dal collasso, il giorno dopo sta abbastanza bene Dunque, sanguinare fa guarire dal colera
Sillogismo probabile: induzione e ipotesi Le parti delle proposizioni che formano un argomento sono sostanze e predicati (qualità): nella inferenza (argomento) vengono definiti rispettivamente oggetti e caratteri (es. Tutti gli uomini (oggetto) sono mortali (carattere) > rapporto tra individui (uomini) e insiemi (mortale). L’inferenza stabilisce che certi oggetti possiedono certi caratteri. Nella induzione il ragionamento procede come se si conoscessero tutti gli oggetti che hanno certi caratteri. Nell’ipotesi il ragionamento procede attribuendo un carattere in quanto lo si presume collegato ad un altro carattere (es. presenza di bile e longevità) La differenza tra le due forme di ragionamento riguarda dunque l’ambito di non- conoscenza, che può riguardare 1) la possibile esistenza di altri oggetti, oltre a quelli considerati dalle premesse, che possiedono certi caratteri (INDUZIONE) (in questo caso la nostra ignoranza è quantitativa) 2) la possibile esistenza di altri caratteri, oltre a quelli stabiliti nelle premesse che, pur non essendo necessariamente implicati, appartengono comunque agli oggetti (IPOTESI) (in questo caso la nostra ignoranza è qualitativa).
• Nell’ipotesi «l’inferenza procede come se si conoscessero tutti i caratteri richiesti per la determinazione di un dato oggetto o di una data classe»: M possiede i caratteri p1, p2, pm-n Ogni elemento di S possiede i caratteri p1, p2, pm-n M è un elemento di S • Peirce qui considera induzione e ipotesi come inferenze simmetriche: l’induzione aumenta l’estensione, cioè il numero di individui che posseggono certi predicati, l’ipotesi aumenta l’intensione, cioè il numero di predicati attribuiti a certi individui (è una induzione di caratteri) (Proni 1990: 71). • Tuttavia Peirce si accorge delle difficoltà legate in una vera indagine alla numerabilità dei caratteri: Questo tipo di argomento, come effettivamente occorre, differisce molto dalla induzione, a motivo della impossibilità di contare semplicemente le qualità come vengono contate le cose individuali». Nella realtà non possiamo mai numerare tutte le qualità o caratteri di un individuo. Perciò la somiglianza tra due individui è sempre un’ipotesi, non può mai consentire di giungere, per enumerazione dei tratti condivisi, alla affermazione di una identità certa e assoluta. Che i caratteri non si possano numerare significa che su di essi non si possono operare percentuali.
RAGIONAMENTO INDUTTIVO • procede come se si conoscessero tutti gli oggetti che hanno certi caratteri (ad es. calcolo delle frequenze di certe vocali nei testi inglesi, condotto sulla base di un campione di testi, non della conoscenza di tutti i testi inglesi): «l’induzione assume che sia vero di un intero insieme ciò che è vero di un numero di campioni presi a caso da quell’insieme. Lo si potrebbe chiamare un argomento statistico. Alla lunga (in the long run) porta a conclusioni abbastanza corrette a partire da premesse vere» (82). • Aristotele definisce l’induzione come l’inferenza della premessa maggiore di un sillogismo a partire dalla premessa minore e dalla conclusione. Caso: questi fagioli provengono da questo sacco P.min: della quantità analizzata, il 60% è nero, il restante bianco P. Magg.: L’intero sacco è composto per il 60% da fagioli neri «La funzione dell’induzione è di sostituire una serie di soggetti con un singolo soggetto che includa essi e un numero indefinito di altri. Così si tratta di una specie di “riduzione della molteplicità all’unità”» (82).
RAGIONAMENTO IPOTETICO • È l’argomento sintetico che accresce l’informazione intensionale. Procede come se si conoscessero tutti i caratteri necessari per determinare un certo oggetto o una certa classe (es. della decifrazione di un testo cifrato: trascrivere un cifrato in chiaro non conoscendo il codice e ricavandone le regole dall’analisi del messaggio, cfr. Eco, 1984): «L’ipotesi può essere allora definita come un argomento che procede dall’assunzione che un certo carattere, noto per implicare necessariamente un certo numero di altri caratteri, può essere probabilmente predicato di ogni oggetto che ha tutti i caratteri implicati nel carattere iniziale» (82). • «l’ipotesi può essere vista come l’inferenza della premessa minore di un sillogismo a partire dalle altre due proposizioni […]. L’inferenza ipotetica può essere chiamata «un ragionamento dal conseguente all’antecedente» (83) • Quest’uomo riceve grandi onori (B) • Se un uomo è governatore allora riceve grandi onori (Se A, allora B) • Quest’uomo è governatore (A) «La funzione dell’ipotesi è di sostituire una serie di predicati che non formano in sé un’unità con un predicato (o un piccolo numero di predicati) che li implica tutti, più (forse) un indeterminato numero di altri. Si tratta anche qui di una riduzione della molteplicità all’unità».
Riepilogo • Ragionamento deduttivo: data una implicazione e dato il vigere dell’antecedente dell’implicazione, si ricava per analisi il conseguente: • Regola (implicazione): Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi • Caso (antecedente, A): questi fagioli provengono da questo sacco • Risultato (o conseguente, C): questi fagioli sono bianchi (sicuramente) • Ragionamento induttivo: dato un possibile antecedente e un possibile conseguente, si stabilisce tra il primo e il secondo una regola di connessione • Caso: questi fagioli provengono da questo sacco • Risultato: questi fagioli sono bianchi • Regola: Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi (forse) • Ragionamento ipotetico: dato un conseguente e posta una implicazione si inferisce l’antecedente • Risultato: questi fagioli sono bianchi • Regola: Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi • Caso: questi fagioli provengono da questo sacco (forse) • L’ipotesi ha carattere di spiegazione causale: il risultato è un caso da ricondurre a una regola, che non è necessariamente l’unica valida. Funziona al contrario rispetto alla deduzione.
• La deduzione è l’applicazione di una regola a un caso, che fornisce un risultato: permette di attribuire a un individuo o a un campione, in modo assoluto, dei caratteri sulla base del fatto che tale individuo fa parte di una classe di individui che possiedono tutti tali caratteri, assolutamente o in quella proporzione. Il caso che porta al risultato è l’informazione che quell’individuo fa parte di quella classe. • L’induzione è l’argomento sintetico che produce regole o leggi generali, estendendo il caso alla classe intera: la conclusione è una predicazione universale, in quanto riguarda tutta la classe o insieme. Produce allora una nuova caratteristica universale della classe, oltre a quella iniziale (appartenenza al sacco). • L’ipotesi produce un caso, cioè permette di ascrivere un individuo a una classe, affermando che esso possiede i caratteri costitutivi della classe, sulla base del fatto che possiede certi altri caratteri espressi da un risultato. Facendo rientrare un risultato in una classe, o sotto una regola, l’ipotesi ha la capacità di produrre ordine, ovvero regolarità, riconducendo eventi individuali sotto classi più generali (unifica un molteplice).
«Abbiamo un’ipotesi quando troviamo qualche circostanza molto curiosa, che sarebbe spiegata dalla supposizione che fosse il caso di una certa regola generale, e perciò adottiamo quella supposizione» («2.624, 1877) q Se p allora q p L’ipotesi è l’inversione del modus ponens (carattere di retroduzione) e fornisce una spiegazione causale (esempio di due pezzi di carta strappati e rinvenuti separatamente (Regola: se due pezzi di carta provengono dallo stesso foglio allora combaciano; ma combaciano, allora provengono dallo stesso foglio: dicendo che il pezzo A è stato strappato dal pezzo B, posso spiegare perché si assomigliano e non solo che si assomigliano > aspetto fondamentale della percezione della spiegazione scientifica). Nella percezione, l’ipotesi non mi dice soltanto che le impressioni unificate assomigliano a un dato oggetto reale, ma anche che quell’oggetto causa effettivamente quelle impressioni, anche se le stesse impressioni potrebbero essere causate da un altro oggetto. Nell’indagine scientifica, l’ipotesi non fornisce solo un modello descrittivo basato su somiglianze, ma una possibile spiegazione in termini causali.
Il pensiero è segno «Quando pensiamo, noi stessi, così come siamo, appariamo un segno. Ora un segno, in quanto tale ha tre riferimenti: 1) è un segno per (to) qualche pensiero che lo interpreta; 2) è un segno di (for) qualche oggetto di cui il segno è l’equivalente; 3) è un segno secondo (in) qualche aspetto o qualità che lo mette in connessione con il suo oggetto» (86). 1. «Il pensiero-segno che siamo noi è sempre interpretato da un nostro pensiero successivo», «ciascun pensiero precedente suggerisce qualcosa al pensiero seguente, cioè è per quest’ultimo il segno di qualcosa». «L’irrompere di una nuova esperienza non è mai una questione istantanea, ma è un evento che occupa del tempo e che compare grazie a un processo continuo» (86). (Interpretante) 2. «per che cosa sta il pensiero-segno»?, «qual è il suo suppositum»? La cosa esterna di cui è pensiero attraverso la mediazione del segno precedente: «il pensiero successivo denota ciò che era pensato nel pensiero precedente» (87). (Correlato) 3. «Il pensiero-segno sta per il suo oggetto secondo il rispetto per cui è pensato; vale a dire, questo rispetto è l’oggetto immediato della coscienza nel pensiero o, in altri termini, è il pensiero stesso o almeno ciò che si pensa che quel pensiero sia in un pensiero successivo per il quale esso era un segno» (ibid.). (Ground-Oggetto Immediato).
Proprietà del segno «Dal momento che un segno non è identico alla cosa che significa, ma differisce da quest’ultima per qualche aspetto, chiaramente deve avere alcuni caratteri che appartengono a esso in quanto tale e che non hanno nulla a che fare con la sua funzione rappresentativa. Chiamo questi caratteri le qualità materiali del segno» (87): ad es. la materialità fonica o grafica di un suono linguistico, o la materialità del colore sulla tela di un dipinto. Il secondo carattere del segno è la sua proprietà di essere connesso ad altri segni dello stesso oggetto o all’oggetto stesso, grazie alla capacità di associazione. Questa connessione fisica e reale di un segno con il suo oggetto (diretta o per mediazione di un altro segno) è l’«applicazione dimostrativa pura»; es.: parole rese definizioni di una stessa cosa per mezzo di una copula (connessione basata su convenzione), una banderuola connessa al vento (di fatto), un dipinto connesso con il segno mentale che lo identifica (per somiglianza), ecc. Il terzo carattere del segno è la sua funzione rappresentativa, cioè la capacità del segno di avere significato. Non si tratta di una proprietà intrinseca al segno, né derivata dalla sua connessione con l’oggetto: appartiene al segno «in virtù dell’essere per un pensiero, mentre entrambi i caratteri suddetti appartengono al segno a prescindere dal fatto che esso si rivolga a qualche pensiero» (87).
«Così nel pensiero ci sono tre elementi: primo, la funzione rappresentativa che lo rende una rappresentazione; secondo, la pura applicazione denotativa o connessione reale, che mette un pensiero in relazione con un altro; terzo, la qualità materiale, o il come lo si sente, che dà al pensiero la sua qualità». La funzione rappresentativa produce significato. Il pensiero è attività rappresentazionale, cioè conoscenza.
Significato Un concetto è tale perché ha un significato, una comprensione logica (intensione); «se lo si può applicare a un oggetto è a causa del fatto che quell’oggetto ha dei caratteri che sono contenuti nella comprensione di questo concetto. Di solito si dice che la comprensione di un pensiero consiste nei pensieri in esso contenuti, ma i pensieri sono eventi, atti della mente. Due pensieri sono due eventi separati nel tempo ed è letteralmente impossibile che uno sia contenuto nell’altro. […] Due pensieri possono solo essere considerati simili se sono assunti contemporaneamente nella mente e confrontati. I pensieri non esistono che nella mente, esistono solo se considerati. [...] l’idea che un pensiero sia simile a un altro non può derivare da una percezione immediata, ma dev’essere un’ipotesi (senza dubbio giustificabile con i fatti); pertanto la formazione di un pensiero che ne rappresenta un altro deve dipendere da una forza effettiva reale al di sotto della coscienza e non solo da un confronto mentale. Ciò che intendiamo, allora, dicendo che un concetto è contenuto in un altro è che normalmente rappresentiamo l’uno nell’altro; vale a dire che formiamo un tipo particolare di giudizio, nel quale il soggetto significa uno dei due concetti e il predicato l’altro» (88). Il significato è una fiaccola che ogni segno passa al successivo: ogni segno proietta qualcosa nel successivo e così facendo suscita un interpretante che a sua volta sarà segno per un nuovo interpretante; ma come segno in sè muore per sempre dopo essere accaduto: è questo il processo dinamico della semiosi illimitata.
Nessun pensiero presente in atto (mero feeling), ha significato, né valore intellettuale, perché il significato non sta in ciò che è pensato nell’atto in cui è pensato, «ma in ciò con cui il pensiero può essere connesso nella rappresentazione tramite altri pensieri; in tal modo il significato di un pensiero è qualcosa di totalmente virtuale» (89). Non si dà mai conoscenza o rappresentazione di uno stato mentale, ma solo conoscenza e rappresentazione nella relazione tra stati mentali di istanti diversi. «In breve, l’Immediato (di per sé non passibile di mediazione: l’Inanalizzabile, l’Inesplicabile, il Non-Intellettuale) scorre in un flusso continuo attraverso le nostre vite; è la somma totale della coscienza, la cui mediazione, che ne è la continuità, viene fatta emergere da una forza effettiva reale che è dietro la coscienza» (89).
Significato come relazione • Nel singolo istante non si dà dunque significato perché il significato non è un oggetto ma una relazione. Perciò non dobbiamo dire che “abbiamo” dei pensieri ma che “siamo in pensiero”. Quella di Peirce è una impostazione dinamica e relazionale del significato. Il significato esiste solo nella relazione tra un representamen e un interpretante, relazione che porta l’interpretante a rappresentare un oggetto. Ma è anche un fenomeno dinamico, e solo per convenzione possiamo descriverlo in maniera statica, così come rappresentiamo il moto di un corpo con una linea e con un’indicazione della velocità e di altre caratteristiche. Il significato, per Peirce, esiste solo come evento segnico-mentale (o quasi-mentale) e dinamico, come processo relazionale. (Cfr. Eco, Unlimited Semiosis and Drift: Pragmaticism vs Pragmatism, in K. Laine Ketner, Peirce and Contemporary Thought, 1989)
Sensazione • Analizzato il pensiero-segno secondo tre riferimenti e tre proprietà, Peirce passa a unificare le varie modalità della conoscenza nella nozione di segno e in quel tipo di segno simbolico che è l’inferenza. • Peirce respinge la tesi che la sensazione sia una prima o immediata «impressione dei sensi»: si tratta piuttosto di una interpretazione selettiva e unificatrice di diverse impressioni esercitate dallo stimolo su vari nervi e centri nervosi. • Quindi la sensazione ha la stessa forma logica e svolge la stessa funzione di un predicato semplice che viene attribuito a una cosa in luogo di un predicato complesso: è cioè perfettamente analoga alla ipotesi. • Diversamente però dall’ipotesi del giudizio vero e proprio, fondata su argomenti razionali, l’ipotesi della sensazione o «segno mentale naturale» è dettata da come è costituita la nostra natura: le impressioni – che costituiscono le premesse della sensazione – non possono essere né scelte né rifiutate, perciò la conclusione a cui portano è obbligata, anche se ipotetica.
• Il processo inferenziale che dà luogo alla sensazione «assomiglia» al processo argomentativo che dalla definizione di un termine porta ad individuare il termine stesso (definitum). «La classe delle inferenze ipotetiche, dunque, alla quale assomiglia l’emergere di una sensazione, è quella del ragionamento dalla definizione al definitum, nella quale la premessa maggiore ha natura arbitraria» (89). Il ragionamento definitorio normale è deduttivo, e procede dal definitum alla definizione. Es. (Bonfantini 1980): Premessa Maggiore: che un individuo è scapolo significa che quell’individuo è persona di sesso maschile che non è mai stata sposata (Se A allora B) Premessa minore: Tizio è scapolo (Ma A) Conclusione:Tizio è persona di sesso maschile che non è mai stata sposata (Allora B) Il ragionamento dalla definizione al definitum è invece ipotetico: Premessa Maggiore (Regola): Un’entità rossa produce gli stimoli nervosi a1, a2,…..am, è (Se A, allora B) Conseguente: questa entità produce gli stimoli a1,a2,…am (ma B) Premessa minore: questa entità è rossa (allora A)
Schema del processo inferenziale: Per tutte le entità attuali, che una data entità è rossa comporta necessariamente che quell’entità stimola il nervo ottico in momenti successivi così-e-così, con una durata così-e- così e con un’intensità così-e-così; Ma, questa entità stimola il nervo ottico in momenti successivi così-e-così, con una durata così-e- così e con una intensità così-e-così. Dunque questa entità è rossa. • In virtù della nostra natura, della struttura determinata del nostro apparato sensoriale e del nostro sistema nervoso, una sensazione determinata di colore, poniamo di rosso, sorge sempre e necessariamente come risultato dell’impatto di una serie di impressioni di un tipo determinato sull’occhio, esprimibili nei termini «Questo stimola il nervo ottico in momenti successivi così-e-così». • Nel passaggio dalle impressioni alla sensazione abbiamo il passaggio da ciò che è esprimibile come predicato complesso a ciò che è esprimibile come predicato semplice.
• La sensazione – come in parte è già stato detto nella List e in Questions – è in sé semplice, comunque più semplice delle impressioni che la compongono. • ad es. quando abbiamo una bella sensazione, «noi pensiamo che qualcosa sia bello»; «la sensazione di un colore dipende da impressioni sull’occhio che si susseguono secondo una certa regolarità e una certa velocità». «Tutte queste sensazioni in sé sono semplici o almeno lo sono di più delle sensazioni che danno loro origine». • «una sensazione è un predicato semplice preso al posto di un predicato complesso; in altre parole, svolge la funzione di un’ipotesi»(89). L’ipotesi è l’argomento che da molti predicati passa a uno solo. Dato che l’enumerazione delle impressioni e la loro distinzione non possono mai essere esaurienti, esiste sempre la possibilità di errore nell’unificarle: l’ipotesi implica una congettura, un rischio, è un argomento probabile.
La conclusione è ipotetica, ma è un’ipotesi obbligata: nel momento in cui vengono registrati gli stimoli (premessa minore) essi rappresentano tutto il contenuto della coscienza. La premessa maggiore è una regola registrata nella natura biologica, dunque la conclusione segue automaticamente, anche se vi può essere errore. Arbitrarietà della premessa maggiore: nell’ipotesi definitoria «la premessa maggiore è determinata dalle convenzioni del linguaggio ed esprime la condizione (occasion) in cui si usa una certa parola, mentre nella formazione di una sensazione è determinata dalla costituzione della nostra natura ed esprime le condizioni (occasions) in cui emerge una sensazione, o un segno mentale naturale» (89-90). L’inferenza ipotetica della sensazione è scritta per due terzi (le premesse) dalla natura del nostro sistema sensoriale: è un’ipotesi ma il nostro intervento cosciente si limita solo a trarre la conclusione, che viene ottenuta in modo automatico.
Nella sensazione dunque si uniscono le due facce del segno: una premessa (quella in cui si danno le impressioni, il puro feeling) proviene dall’esterno, è determinata da «una forza occulta e inesplicabile», cioè dalla realtà; l’altra premessa (la Maggiore) è determinata dalle cognizioni precedenti «secondo una legge logica». La legge logica costruisce la forma della sensazione, ma il suo contenuto, ciò che proviene dall’esterno, esula dalla forma logica: il feeling è la qualità materiale della rappresentazione e non riguarda la logica: «nel ragionamento dalla definizione al definitum è indifferente per il logico l’estetica del suono della parola definita, o quante lettere essa contenga». «Una sensazione (feeling) in quanto tale è soltanto la qualità materiale di un segno mentale» (90).
Emozione • Il caso della emozione sembra a prima vista analogo alla sensazione: qualcosa di immediato, di non inferenziale, di non riconducibile alla forma di un predicato. Mentre però la sensazione sembra immediatamente legata alla oggettività, l’emozione sembra immediatamente connessa al nostro io, slegata da ogni contenuto conoscitivo, semplice stato d’animo. • Tuttavia, l’emozione nello sviluppo del pensiero «sopraggiunge dopo l’inizio della percezione del suo oggetto» e insorge quando la nostra attenzione è fortemente attratta da circostanze complesse e che il pensiero non riesce a dominare. • Come le sensazioni, anche le emozioni sono predicati semplici presi in luogo di predicati complessi: «ogni qualvolta un uomo ha delle sensazioni sta pensando a qualcosa. Anche le passioni che non hanno un oggetto definito – come la malinconia – giungono alla coscienza solo colorando degli oggetti del pensiero» (90).
• Quindi da un lato l’emozione si presenta come sintesi di un lungo processo conoscitivo-inferenziale; dall’altro, pur ponendosi come “predicato semplice, che si sostituisce a un predicato altamente complesso”, e dunque secondo la forma propria dell’ipotesi, l’emozione non riesce a dominare gli elementi che interpreta. • È dunque una cognizione inferenziale ma ‘angusta’, grossolana e sommaria: una sorta di ipointerpretazione: insorge al posto di una ipotesi intellettuale. «La paura nasce quando non possiamo predire il nostro destino; la gioia nasce nel caso di certe sensazioni indescrivibili e particolarmente complesse. Se ci sono indizi che qualcosa che mi interessa molto e che io avevo previsto che accadesse possa non avvenire e se, dopo aver vagliato le probabilità, aver architettato delle garanzie e aver lottato per ottenere informazioni ulteriori, mi scopro incapace di arrivare a una conclusione definita riguardo al futuro, al posto della inferenza di cui ero alla ricerca, nasce il sentimento dell’ansietà. Quando accade qualcosa che non so spiegarmi nasce la meraviglia» (90).
• Peirce descrive gli stati emotivi in termini cognitivi: l’emozione nasce dalla incapacità di spiegare un evento: «L’indescrivibile, l’ineffabile, l’incomprensibile, eccita comunemente un’emozione; nulla, invece, è raggelante come una spiegazione scientifica. Così una emozione è un predicato semplice che viene sostituito a un predicato altamente complesso attraverso un’operazione mentale» (90), • L’emozione può essere dunque accostata a un’ipotesi, sebbene a differenza dell’ipotesi intellettuale non si possano produrre ragioni, «Ma ciò corrisponde precisamente alla differenza tra ipotesi e ragionamento dalla definizione al definitum e così risulta evidente che l’emozione non è altro che la sensazione» (90-91). • La differenza tra emozione e sensazione sta unicamente nei diversi livelli di elaborazione mentale a cui si pongono: la sensazione è un processo di basso livello, correlata a qualche reazione del nostro corpo e «non ha un’influenza decisiva sul corso del pensiero se non per le informazioni che può provocare» «L’emozione, invece, arriva molto più tardi nello sviluppo del pensiero – voglio dire molto dopo il primo sorgere della cognizione dell’oggetto – e i pensieri che essa determina hanno già reazioni che agiscono in concomitanza a loro nel cervello o in un organo principale; di conseguenza, produce nel corpo grandi reazioni e, a prescindere dal proprio valore rappresentativo, influenza molto il corso del pensiero» (arrossire, piangere, ridere, tremare, ecc..) (91).
Riepilogando, sensazione ed emozione sono i modi di conoscenza nei quali predomina la qualità materiale del segno e attraverso di essi si annuncia una forza occulta e inesplicabile» (ciò che esiste) Caratteri della sensazione • Basso livello di elaborazione • Alto contenuto di informazione • Scarsa influenza sul pensiero Caratteri della emozione • Medio livello di elaborazione • Contenuto informativo spesso poco rilevante • Forte influenza sul pensiero .
Sentire un pensiero Sensazione ed emozione differiscono entrambe dal normale sentire un pensiero (feeling of a Thought) perché sono ipotesi automatiche, forzate, in cui «il pensiero non ha alcuna relazione razionale con i pensieri che le determinano» (91). Nella normale percezione di un pensiero invece la premessa Maggiore dell’ipotesi non è data in modo obbligato, ma la logica del pensiero stesso può, attraverso la modificazione del percorso inferenziale, reperire diverse regole generali e giungere a diverse conclusioni Allora il pensiero comprende un pensiero che è altro da sé, cioè un pensiero complesso: «Solo una sensazione o un’emozione, dunque, che non ha carattere razionale, può essere un pensiero semplice. Questo è molto diverso dalla dottrina ordinaria, secondo la quale i concetti più alti e metafisici sono assolutamente semplici» (91) • «i concetti metafisici sono primariamente e fondamentalmente pensieri su parole o pensieri su pensieri; è la dottrina sia di Aristotele (le cui categorie sono parti del discorso) sia di Kant (le cui categorie sono i caratteri dei diversi tipi di proposizioni)» (92).
Attenzione • Ad un altro livello rispetto a sensazione ed emozione si pone l’attenzione o potere di astrazione. • Nella List l’attenzione gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della conoscenza in quanto modalità di astrazione (separazione e distinzione). • Qui viene considerata uno dei «due soli elementi costitutivi del pensiero» (92), assieme alla sensazione. • Oltre alla funzione di astrazione l’attenzione ha una funzione di “marcatura” di una rappresentazione e del suo rinvio a un altro segno: l’attenzione consiste nella capacità di mettere «un’enfasi su uno degli elementi oggettivi della coscienza. Quest’enfasi non è un oggetto immediato della coscienza», perciò «essa differisce totalmente dal feeling». • La nozione enfatizzata dall’attenzione produce un effetto sulla memoria oppure su un pensiero successivo: «un pensiero è ricordato più a lungo quando vi è prestata più attenzione. In secondo luogo, quanto più si fa attenzione, tanto più è stretta la connessione e l’accuratezza della sequenza logica del pensiero. In terzo luogo, è grazie all’attenzione che un pensiero dimenticato può essere recuperato» (92)
• L’attenzione è dunque la capacità che consente di mettere in relazione un pensiero con un altro pensiero di un altro momento, cioè è «la pura applicazione dimostrativa di un pensiero-segno» (92). L’applicazione dimostrativa è la capacità del representamen di essere connesso a un oggetto. • L’attenzione sorge «quando lo stesso fenomeno si presenta ripetutamente in diverse occasioni o lo stesso predicato si presenta ripetutamente negli stessi soggetti» (93). Questa sensitività dell’attenzione alla ripetizione ne fa un atto induttivo, ma è una induzione particolare «che non aumenta la nostra conoscenza perché i nostri “questi” non coprono che gli esempi di cui abbiamo esperienza. In breve è un argomento per enumerazione» (93). • L’attenzione produce «effetti sul sistema nervoso. Questi effetti sono abiti (habits) o associazioni nervose». Osservando che in diverse occasioni, a, b, c si compie un atto m, viene costruita una classe generale l di cui a, b, c sono casi speciali, e a ogni occorrenza di un elemento di l si produrrà m. Si tratta di un’induzione, «necessariamente connessa con l’attenzione o l’astrazione di cui qui Peirce sottolinea la meccanicità: «le azioni volontarie derivano dalle sensazioni prodotte dagli abiti come le azioni istintive derivano dalla nostra natura originaria» (93). • Abito è un concetto centrale nella riflessione di Peirce, qui ancora poco sviluppato.
Le tre proprietà del pensiero-segno vengono così associate alle tre modalità della conoscenza e ai tre tipi di inferenza: La prima modalità (qualità materiale) ha tre aspetti: sensazione emozione carattere ipotetico feeling di un pensiero La seconda modalità è l’attenzione applicazione dimostrativa rapporto representamen-oggetto, inferenza induttiva. La terza modalità, la funzione rappresentativa, dovrebbe essere associata alla intelligenza e alla deduzione, ma questo passaggio manca (cfr. Proni 1990: 110-11).
Immagini (rappresentazioni singolari) • Peirce ha ridotto ogni modificazione della coscienza ad inferenza. Una inferenza riguarda solo termini generali (concetti) e non individui. Come spiegare allora le immagini individuali, singolari, ad esempio l’immagine mentale della mia amica Anna, in questo momento? L’idea di Peirce che tutte le nostre conoscenze sono inferenze si scontra con l’opinione diffusa (e rappresentata nella tradizione filosofica da Berkeley e Hume) che le nostre percezioni siano innanzitutto relative a oggetti individuali determinati in ogni singolarità: una particolare casa, una persona, un cane, ecc. • «Accettare la singolarità di qualsiasi tipo di conoscenza, cioè accettare che sia possibile conoscere l’individuo nella sua completa determinazione (haecceitas) significa far entrare dalla finestra l’intuizionismo appena cacciato dalla porta» (Proni 1990: 111). • Si tratta allora di discutere lo statuto delle immagini mentali: cosa significa dire che un’immagine è “singolare”?
• Innanzitutto un singolare «non può trovarsi che in un posto in un determinato momento». Da questo punto di vista “singolare” non si oppone a “generale”: la prima è una determinazione ontologica, la seconda una determinazione concettuale: «posso avere un concetto molto generale di Ermolao Barbaro, anche se lo penso in grado di essere solo in un posto in un determinato momento» (93). • Ma quando si definisce una immagine “singolare”, «s’intende che è assolutamente determinata da ogni punto di vista»: secondo Berkeley, il maggior teorico delle immagini come contenuti singolari e determinati della mente, l’immagine di un uomo «”deve essere di un uomo bianco, nero o bruno, eretto o curvo; alto, basso o di statura media”. Deve essere l’immagine di un uomo con la bocca aperta o chiusa, con i capelli di una sfumatura di colore precisamente determinata e la cui figura abbia proporzioni precisamente determinate» (93). Secondo gli amici delle immagini, se immaginiamo un triangolo, questo dovrà essere «un triangolo preciso, i cui angoli hanno un certo numero di gradi, di minuti e di secondi».
Contro gli amici delle immagini, già Locke ha negato che «l’”idea” di un triangolo debba essere di un triangolo ottusangolo, di un triangolo rettangolo o di un triangolo acutangolo» (93) (vedi anche questione dello schema in Kant). Peirce concorda con Locke sul dubbio che la nostra immaginazione contenga qualcosa come un’immagine (singolare e determinata) (94). Gli amici delle immagini cadono in un triplice errore: • 1. che le immagini siano immediate • 2. che le immagini siano assolutamente determinate • 3. che la assoluta determinatezza sia coerente con l’immediatezza
Secondo Berkeley e Hume la percezione visiva e la memoria (ad es. di un libro rosso), differiscono solo per «diversi gradi di intensità e vivacità»: per Hume «i colori usati dalla memoria […] sono deboli e sfocati rispetto a quelli con cui si presentano le nostre percezioni originali» (94). Ne discende una visione distorta del cammino della conoscenza, che man mano che ci si allontana dalle percezioni (presunte immediate), si farebbe sempre più povera, sempre meno concreta, più astratta e indeterminata. Insomma in ciascuna immagine avremmo una quantità infinità di materiali per una conoscenza potenziale e l’inferenza sarebbe solo una registrazione economica rispetto all’eccessiva completezza del dato percettivo. Per Peirce è esattamente il contrario: la conoscenza si fa sempre più determinata man mano che procede, si intreccia e si arricchisce il processo inferenziale – così la percezione è più determinata della sensazione, ma ancora largamente indeterminata, imprecisa e confusa: la determinatezza è frutto di uno sforzo intellettuale e cresce dai giudizi percettivi ai giudizi scientifici, cresce con lo svilupparsi della generalità complessa del discorso teorico. Ciò che tratteniamo della percezione sensibile di un oggetto è solo «la coscienza che potremmo riconoscerlo» (94) (esperimento: immaginare l’immagine di un cavallo e contemplarla nella memoria).
• Già nelle Questions Peirce ha dimostrato che «non abbiamo nessuna capacità intuitiva di distinguere tra due modi soggettivi di conoscere»; quindi spesso pensiamo che qualcosa ci si presenti come un’immagine quando in realtà si tratta di una costruzione a partire da minuscoli dati di comprensione. • Non solo nella memoria ma neppure nella percezione sensoriale in atto possiamo dire di possedere immagini dell’oggetto percepito: «Se abbiamo un’immagine di fronte a noi quando vediamo qualcosa, si tratta di una immagine costruita dalla mente secondo il suggerimento di sensazioni precedenti» (cfr. Questions, punto cieco della retina). Se avessimo una immagine di tal genere, dovremmo avere solo immagini di sezioni dell’oggetto, sfumature parziali di colore. • Nei sogni la memoria cosciente elabora i materiali in «storie coerenti e complesse» mentre all’origine erano «probabilmente meri miscugli di queste sensazioni (feelings) della suddetta capacità di riconoscere questo o quel fatto» (94) • Né le immagini mentali né le percezioni sono assolutamente determinate e singolari: «ciascun senso è un meccanismo astraente» (96).
• Peirce vuole evitare anche l’errore opposto, quello di ridurre la conoscenza a un meccanismo di assunzione ed elaborazione di concetti generali privi di qualsiasi intenzionalità o partecipazione del soggetto. La sua critica si appunta perciò sulla dottrina delle associazioni di immagini, di taglio meccanicistico. Per evitare una descrizione della conoscenza come automatica elaborazione di immagini astratte che si richiamano l’una con l’altra per qualche caratteristica intrinseca, Peirce si rifà alla nozione di giudizio: il giudizio, atto assertorio, è presente in ogni passo della conoscenza: «ciò che va di solito sotto il nome di associazione di immagini, è in realtà un’associazione di giudizi […]. Si dice che l’associazione di idee proceda secondo tre principi: rassomiglianza, contiguità, causalità. Ma sarebbe altrettanto vero dire che i segni denotano ciò che denotano sulla base dei tre principi di rassomiglianza, contiguità, causalità. Non ci può essere dubbio sul fatto che qualsiasi cosa che è un segno di qualcosa è associata con esso per rassomiglianza, per contiguità o per causalità: né ci può essere dubbio alcuno che un segno richiami la cosa significata. Così, l’associazione di idee consiste in questo: che un giudizio è occasione di un altro giudizio del quale è segno. Non si tratta di niente di meno o di più di un’inferenza» (96).
• L’associazione dunque non è un’operazione meccanica e diadica in cui un’immagine ne richiama un’altra senza l’intervento di alcun altra entità, ma è un’operazione triadica, semiotica e di interpretazione. L’associazione è secondaria rispetto a quella di segno, essendone un caso particolare, e non può essere posta alla base del processo del pensiero, come vuole il sensismo. «Tutte le associazioni avvengono attraverso segni. Ogni cosa ha qualità soggettive o emotive, che sono attribuite assolutamente, relativamente o per imputazione convenzionale a qualcosa che è segno di essa». «Il segno è quasi (è rappresentativo di) quella cosa» (97). • Rilevanza del giudizio percettivo: è la soglia che collega il mondo del non simbolico con quello del simbolico, cioè dei concetti. È la base di tutta la conoscenza: nulla è nel significato di una qualche rappresentazione che prima non sia stato nel giudizio percettivo (Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu, Aristotele, De Anima III, 8). I giudizi percettivi costituiscono le premesse prime di una inferenza abduttiva: la generalità è presente nella percezione stessa, i principi logici vengono appresi nell’impasto stesso della conoscenza percettiva (realismo molto forte) (cfr. Proni, 1990: 331). .
Inconcepibilità di un inconoscibile • Quarta conseguenza (cfr. punto 6 delle Questions): non è possibile avere un concetto di inconoscibile. • Obiettivo: confutare la tesi cartesiana (ma anche kantiana) secondo cui «la realtà vera delle cose non può mai essere conosciuta», che porta a una paralisi cognitiva (97). • Soluzione di tipo idealista: • Il termine “inconoscibile” è privo di significato: il significato è un processo segnico, i segni sono generali, i generali sono concetti, dunque stabilire il significato di un termine è stabilire il concetto nel quale il termine si sviluppa. “Inconoscibile” non si sviluppa in alcun concetto, perciò non ha significato. • Dire che la realtà è inconoscibile significa che non ha alcun senso. Se vogliamo che il termine “realtà” abbia un senso dobbiamo perciò affermare che è conoscibile. • Tutto ciò che conosciamo sono segni, cioè cognizioni determinate da cognizioni precedenti e non esiste un inizio di questo infinito rinvio, ciò che sta fuori della coscienza è la cosa-in-sé, ma questa non esiste in quanto tale, cioè non vi è cosa che sia in sé stessa nel senso di non essere relativa alla mente (97).
• Peirce non nega che vi sia un primo materiale nel processo conoscitivo, cioè che tale processo abbia fisiologicamente inizio, ma questo primo, questo contatto diretto con l’esterno non è parte della coscienza, non è conoscibile, dunque non esiste: laddove percipiente e percepito si toccano si ha solo causalità materiale, bruta catena di eventi che fornisce un materiale sensoriale non analizzabile da chi lo riceve. • Ciò non basta a dire com’è la realtà, ma è sufficiente per dire che c’è e a testimoniare che le cose esistono al di là delle relazioni che hanno con noi. Tutto il resto della conoscenza sono queste relazioni. • Le cognizioni che ci raggiungono in questo modo sono di due tipi: il vero e il non-vero, o meglio «cognizioni i cui oggetti sono reali e cognizioni i cui oggetti sono irreali. La distinzione tra reale e irreale nasce nel momento in cui un essere umano autocorregge le proprie aspettative, distinguendo tra un mondo interiore di attese e un mondo esterno di risposte. Questo mondo esterno è ciò che si intende con reale. E lo si intende come permanente perché le attese vi si adeguano gradualmente; oggettivo, perché le risposte tendono ad essere uguali per tutti i soggetti. «Il reale, allora, è ciò a cui alla fine, presto o tardi che sia, giungeranno l’informazione e il ragionamento e che è dunque indipendente dalle mie e dalle vostre fantasie» (97-98).
Trasformazione del modello kantiano: Diversamente dalla tradizione kantiana, che considera irraggiungibile il mondo noumenico, per Peirce la realtà esterna è opaca, ma sempre afferrabile. Presa di posizione idealistica: «Ogni filosofia non idealistica presuppone un dato finale assolutamente inesplicabile non analizzabile: insomma qualcosa che risulta da mediazione, ma in se stesso non è suscettibile di mediazione ulteriore” (1868b). Ciò non è ammissibile perché sarebbe come dire che esiste qualcosa che il nostro bastone non toccherà mai. Ma “esiste” significa “modifica il comportamento del bastone”, e dunque l’affermazione è contraddittoria. La realtà dunque è sempre conoscibile, anche se in una prospettiva infinitamente lontana. Idealisticamente, l’uomo riempie il mondo di significato, attraverso le possibilità che sono consentite all’azione collettiva nei limiti imposti dal reale.
Realtà e Comunità Il reale è così costituito come entità semiotica, è ciò in cui si risolveranno le informazioni, ma la sua esistenza è nel futuro, come convergenza prospettica della conoscenza. La continuità e l’intersoggettività del reale richiedono dunque che il suo contenuto sia sancito non da un singolo ma da una collettività. «la vera origine del concetto di realtà dimostra che questo concetto implica essenzialmente la nozione di una COMUNITA’ senza limiti definiti e capace di un indefinito incremento di conoscenza» (98). “Reale” è dunque una cognizione che la comunità continuerà a riaffermare, “irreale” una cognizione che la comunità continuerà a negare, fino a prova contraria. Quello di Peirce è un idealismo cognitivo, non ontologico: la realtà viene identificata con la conoscenza, ma il rifiuto dell’intuizionismo ne preserva l’indipendenza ontologica: «Non c’è nulla allora che ci impedisca di conoscere le cose esterne così come esse sono realmente ed è assai probabile che abbiamo questo tipo di conoscenza in moltissimi casi anche se non possiamo mai essere assolutamente certi di avere questo tipo di conoscenza in un caso specifico» (98).
Ulteriore conseguenza di questa posizione è l’esistenza dei generali: poiché nessuna nostra cognizione è assolutamente determinata e singolare, i generali devono avere un’esistenza reale. Ragionamento sillogistico: dato che tutto ciò che conosciamo sono concetti, e dato che il reale è ciò che conosciamo, il reale sono concetti > realismo scolastico: «un realista è solo uno che non conosce una realtà più recondita di quella che è rappresentata in una rappresentazione vera. Dunque, visto che la parola “uomo” è vera di qualcosa, ciò che “uomo” significa è reale. Il nominalista deve ammettere che si può davvero applicare “uomo” a qualcosa ma crede che al di sotto di questo qualcosa ci sia una cosa in sé, una realtà inconoscibile. La sua è una finzione metafisica. I nominalisti moderni sono per lo più uomini superficiali, che non sanno, come sapevano invece Roscellino e Ockham (che erano molto più seri) che una realtà che non abbia rappresentazione non ha né qualità né relazione. Il grande argomento del nominalismo è che non c’è alcun uomo se non c’è qualche uomo particolare. Ciò però non scalfisce il realismo di Scoto; infatti anche se non c’è un uomo di cui si possano negare tutte le ulteriori determinazioni, tuttavia c’è un uomo, fatto astrazione da qualche ulteriore determinazione. C’è una differenza reale tra un uomo privo di ogni altra possibile determinazione e un uomo con questa o quella serie particolare di determinazioni, anche se senza dubbio questa differenza è solo relativa alla mente e non in re. Questa è la posizione di Scoto. La grande obiezione di Ockham è che non ci può essere una distinzione reale che non sia in re, nella cosa in sé; ma questa è una petizione di principio perché si basa solo sulla nozione che la realtà è qualcosa di indipendente dalla relazione rappresentativa» (98)».
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