SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 24-26 MARZO 2021 - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia

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SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 24-26 MARZO 2021 - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia
SEMIOTICA 2020-21
II MODULO 24-26 MARZO 2021
PROF. ILARIA TANI
SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 24-26 MARZO 2021 - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia
Ancora sulla percezione
                    Vedere/guardare

Vedere qualcosa significa decidere o sapere cosa guardare, perciò
riconoscere in una forma visiva un senso.
Le immagini non rappresentano le cose ma le nostre idee delle cose.
Alcune immagini consentono una doppia lettura (indecidibili, bistabili),
dunque convocano un’attività cognitiva.
(cfr. Marrone, Introduzione alla semiotica del testo, p. 138-140)
Figure bistabili
Costruire il significato

Attentato al London Bridge, 22 marzo 2017
Il linguaggio tra le forme della cultura

«Il linguaggio sembra essere il primo ad imboccare questa strada ed a
guidarvi i passi dell’umanità. Non possiede un’universalità comparabile
all’universalità del pensiero logico. È vincolato alle condizioni nazionali,
e persino individuali, eppure costituisce il primo e decisivo passo verso
quel mondo comune cui il processo della cultura dirige i suoi sforzi.
Wilhelm von Humboldt fu il primo a mettere in evidenza questo punto; e
da ciò fu condotto a sviluppare il principio basilare di una nuova
filosofia del linguaggio, che espose nel suo saggio sulla varietà delle
favelle umane e sulla sua influenza sullo sviluppo mentale
dell’umanità*» (L’idealismo critico come filosofia della cultura, in
Simbolo, mito, cultura, p. 81)

*W. Von Humboldt, Über die Verschiedenheit der menschlichen
Sprachbaues (1836), La diversità delle lingue, tr. it. a cura di D. Di
Cesare, Laterza, 1991-2000.
Una trasformazione semiotica del kantismo
Habermas (L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità
umanistica di Ernst Cassirer e la Biblioteca Warburg (1995, in Id.
Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica, Laterza):

   La svolta semiotica impressa da Cassirer alla filosofia trascendentale di Kant è la sua
   impresa fondamentale.

• Con la svolta semiotica va perduto non soltanto il punto di riferimento dell’unico mondo
  oggettivo, ma anche il soggetto trascendentale, in quanto posto al di là del mondo
  empirico: le forme a priori non sono condizioni della mente individuale di un soggetto
  trascendentale (prospettiva che porta a una deriva metafisica), ma appartengono a
  strutture storico-linguistiche: il soggetto trascendentale viene inserito con le sue
  personificazioni simboliche nel processo della storia e smembrato nel pluralismo dei
  linguaggi e delle culture.

• Questa svolta ha preparato il terreno per lo sviluppo della svolta linguistica realizzata
  dalla filosofia analitica e il suo incontro con la filosofia ermeneutica continentale.
Concetti kantiani nella trasformazione semiotica

• Sintesi a priori
  • Il linguaggio è un’attività di unificazione del molteplice (vedi concetto di
    riflessione in Herder)
  • La molteplicità delle sue manifestazioni è riconducibile a una funzione
    universale unitaria

• Forma organica
Centralità di Humboldt (1767-1835)
Wilhelm von Humboldt rappresenta un punto di riferimento costante per
Cassirer. A lui riconosce il merito di aver visto nel linguaggio una «autonoma
‘forma’ spirituale che si basa su una legge sua propria» (FFS, I: VIII).

• Attraverso il ritorno a Humboldt, Cassirer intende restituire al linguaggio «una
 posizione speciale», assicurandogli «la sua “autonomia”» (FFS, I: 143) nel
 complesso delle forme simboliche in cui comunque deve essere inserito, in
 quanto «attività formatrice tesa verso il mondo», pensata secondo il principio
 kantiano del «”primato” della funzione rispetto all’oggetto» (FFS, I: 12).

• In Humboldt Cassirer cerca il modello per una fondazione della filosofia del
 linguaggio distinta sia dalle ricerche psicologiche, sia dall’orientamento
 idealistico rappresentato, con le dovute differenze, da Hermann Cohen e
 Benedetto Croce, che ha voluto ricondurre il linguaggio «alla generale
 funzione estetica dell’espressione» (FFS, I: XIII).
• Il paragrafo V del primo capitolo (pp. 116-125) è interamente dedicato
 a mettere in luce l’importanza di Humboldt nello sviluppo della
 riflessione linguistica (già richiamato nella introduzione).

  «I suoi concetti non sono mai gli staccati e puri prodotti dell’analisi logica;
  vibra invece sempre in essi un tono estetico del sentimento, uno stato
  d’animo artistico che ravviva l’esposizione, ma al tempo stesso nasconde
  l’articolarsi e il concatenarsi dei pensieri» (FFS, I: 117).

• Qui vengono sottolineati tre grandi centri sistematici del suo pensiero,
 “tre grandi opposizioni fondamentali”, attorno a cui cerca di riordinare
 un percorso apparentemente non ordinato.
I tre passaggi fondamentali
                  della riflessione di Humboldt

Superamento di tre coppie oppositive:

• individuale / universale; soggettività / oggettività

• ergon / energheia

• materia / forma

Attorno a queste antinomie si costruisce «l’intelaiatura intellettuale» della
concezione humboldtiana del linguaggio.
1. Spirito individuale / spirito oggettivo

• «Ogni individuo parla la sua propria lingua, e tuttavia proprio nella libertà con
 cui di essa si serve diventa cosciente di un intimo legame spirituale. Così la
 lingua è ovunque mediatrice in primo luogo tra la natura infinita e finita, in
 secondo luogo fra un individuo e un altro; al tempo stesso e mediante il
 medesimo atto rende possibile l’unione e da essa nasce» (FFS, I: 117).

• Ogni    popolo (nazione) ha una sua lingua,                  che    rappresenta
 l’individualizzazione di una totalità ideale (linguaggio).

• «Così anche una nazione è in questo senso una forma spirituale dell’umanità
 caratterizzata da una determinata lingua, individualizzata rispetto alla totalità
 ideale» (FFS, I: 117).
• A questo proposito Cassirer cita un altro testo di Humboldt, Über die
 Verschiedenheiten des menschlichen Sprachbaues (1827-29) (VI, 1:
 125):

  «L’individualità divide, ma in una maniera così meravigliosa che
  proprio mediante la divisione risveglia il sentimento dell’unità, anzi
  appare un mezzo per costituire quest’unità almeno nell’idea [...]. Qui,
  in modo davvero meraviglioso, gli viene ora in aiuto il linguaggio, che
  unisce anche quando isola e che, nella veste della più individuale
  espressione, racchiude la possibilità di universale intelligenza. Il
  singolo, dove, quando e come vive, è un frammento staccato di tutta
  la sua stirpe, e il linguaggio dimostra e mantiene questo eterno
  nesso che guida il destino del singolo e la storia del mondo» (cit. in
  FFS, I: 118-119).
Soggettività / oggettività

 «quell’originaria corrispondenza fra il mondo e l’uomo, sulla quale poggia la
possibilità di ogni conoscenza del vero […] può essere da noi nuovamente
raggiunta in modo frammentario e graduale solo sulla via del fenomeno. In
questo senso l’elemento oggettivo non è il dato, ma rimane sempre ciò che si
tratta di raggiungere a prezzo di sforzo. Con questa precisazione Humboldt
trae dalla dottrina critica di Kant le conseguenze per la filosofia del
linguaggio. In luogo dell’opposizione metafisica di soggettività e oggettività si
viene ora a trovare la loro pura correlazione trascendentale. Come in Kant
l’oggetto, in quanto “oggetto fenomenico”, non si contrappone alla conoscenza
come qualcosa di estraneo e di trascendente, ma viene “reso possibile”,
condizionato e costituito solo mediante le categorie proprie di essa
conoscenza, così ora anche la soggettività del linguaggio non si presenta più
come un semplice limite che ci separi dalla comprensione dell’essere oggettivo,
ma come un mezzo dell’elaborazione formale, dell’”oggettivazione” delle
impressioni sensoriali» (FFS, I: 118-119).
La mediazione linguistica
Nella concezione critica di Kant l’oggetto è funzione del giudizio, per Humboldt la
funzione sintetica originaria si colloca invece nella proposizione, la «facoltà
rappresentativa» «è inseparabile dalla lingua» (FFS, I: 120), :

  «Ciò che da Kant viene descritto come opera del giudizio, nella concreta vita dello
  spirito è invece possibile, secondo quanto mostra Humboldt, solo grazie alla
  mediazione del linguaggio. L’oggettivazione nel pensiero deve passare attraverso
  l’oggettivazione nel suono linguistico» (Die kantische Elemente Wilhelm von
  Humboldt’s Sprachphilosophie, 1920: 256-7).

  «Per Humboldt il simbolo fonico che rappresenta la materia di ogni formazione
  linguistica costituisce per così dire, il ponte tra l’elemento soggettivo e l’elemento
  oggettivo, perché in esso si uniscono gli elementi essenziali dell’uno e dell’altro. Infatti
  il suono è da un lato suono pronunziato e in quanto tale da noi stessi prodotto e
  formato; ma dall’altro lato, come suono udito, è una parte della realtà sensibile che ci
  circonda. Noi lo comprendiamo e lo conosciamo perciò ad un tempo come qualcosa di
  “interno” e come qualcosa di “esterno”; come un’energia interiore che si esprime e si
  obiettiva in una realtà esteriore» (FFS, I: 28-29).
Lingua come visione del mondo
Ancora da Humboldt, Über              die   Verschiedenheiten       des    menschlichen
Sprachbaues, VI, 1: 119:

  «La parola, che fa per la prima volta del concetto un individuo del mondo del pensiero,
  gli conferisce molto della sua propria natura, e siccome l’idea acquista da essa
  determinatezza, viene al tempo stesso mantenuta entro certi limiti […]. Data la
  reciproca dipendenza del pensiero e della parola, risulta chiaro che le lingue non sono
  propriamente mezzi per presentare la verità già conosciuta, ma piuttosto per scoprire
  la verità ancora ignota. La loro diversità non è soltanto di suoni e segni, ma è diversità
  di modi di vedere il mondo. Per Humboldt qui si trovano racchiuse la ragione e la meta
  ultima di ogni ricerca sul linguaggio». (cit. in FFS, I: 120)

Cassirer mette in evidenza l’ascendenza herderiana e leibniziana di questa
concezione: «Come per Leibniz l’universo è dato soltanto nel rispecchiamento
da parte delle monadi, come ognuna di esse rappresenta la totalità dei
fenomeni sotto un “punto di vista” individuale – e come d’altro lato proprio la
totalità di queste vedute prospettiche e l’armonia fra esse forma tuttavia ciò che
chiamiamo l’oggettività dei fenomeni, la realtà del mondo fenomenico: – così
qui ogni singola lingua diventa una simile visione individuale del mondo, e solo
il complesso di questi punti di vista forma il concetto per noi raggiungibile
dell’oggettività» (FFS, I: 120-121)
Lingua come Zwischenwelt (mondo intermedio)

«Nel linguaggio mentre lo sforzo spirituale si apre la strada attraverso le labbra,
il prodotto di esso ritorna al proprio orecchio. La rappresentazione viene così
trasferita nella realtà obiettiva senza perciò essere sottratta alla subiettività. Ciò
può solo il linguaggio; e senza questa trasposizione in una obbiettività che
ritorna al soggetto, trasposizione che si compie sempre con la collaborazione
del linguaggio e anche silenziosamente, la formazione del concetto, e con esso
di ogni vero pensiero, è impossibile.
Come il singolo suono si pone tra l’oggetto e l’uomo, così il linguaggio nel suo
complesso si pone tra l’uomo e la natura che agisce su di lui dall’interno e
dall’esterno. L’uomo si circonda di un mondo di suoni per accogliere in sé ed
elaborare il mondo degli oggetti» (W. v. Humboldt, Einleitung zum Kawi-Werk
(1836), tr. it. La diversità delle lingue, Laterza, 1991-2000).

• L’oggettività non è un dato ma qualcosa che «va raggiunto mediante un
 processo dell’attività formatrice dello spirito».
Ripresa della critica al realismo ingenuo
            o “teoria del rispecchiamento”

• Il  realismo ingenuo non riconosce adeguatamente l’importanza della
  soggettività, al contrario tanto il linguaggio che la conoscenza non si limitano
  a riprodurre l’oggetto in quanto dato ma «celano in sé un modo spirituale di
  concepire che interviene come elemento decisivo in ogni nostra
  rappresentazione di ciò che è oggettivo […], secondo un’intima legge, in
  maniera tale che ciò che appariva come oggetto diventa esso stesso un
  modo di vedere soggettivo avente tuttavia una pretesa perfettamente
  legittima di validità universale» (FFS, I: 119).

• Per il realismo ingenuo «la diversità delle lingue è solo una diversità di
  suoni»; questa concezione impedisce un’adeguata comprensione del
  funzionamento del linguaggio» (ibid.).
Contro i progetti razionalistici di lingua universale

«La vera idealità del linguaggio è fondata sulla sua soggettività» (FFS, I: 120).
Di qui la critica al concetto di lingua universale:

  «Per questa ragione fu e sarà sempre un tentativo vano il voler sostituire le
  parole delle diverse lingue con simboli universalmente validi, quali li
  possiede la matematica nelle linee, nei numeri e nel calcolo letterale. In tal
  modo infatti sempre soltanto una piccola parte del pensabile può essere
  esaurita, e possono essere indicati soltanto quei concetti che sono
  suscettibili di essere formati mediante la costruzione puramente razionale.
  Quando invece si tratta di forgiare in concetti la materia dell’interna
  percezione e sensazione, ciò dipende dalla individuale facoltà
  rappresentativa dell’uomo, che è inseparabile dalla sua lingua».

In questo passo sta la dimostrazione della infondatezza della lettura di
Humboldt data da Chomsky in Cartesian linguistics (1966) come erede della
tradizione razionalistica cartesiana.
2. ergon /energheia
                        la prospettiva genetica

Lo studio del linguaggio deve adottare una prospettiva genetica, non in senso
storico-cronologico, andando alla ricerca delle cause empirico-psicologiche, ma
riconoscendo «la struttura già compiuta del linguaggio come qualcosa di
derivato e di mediato, struttura che viene compresa solo quando riusciamo a
ricostruirla partendo dai suoi fattori e a determinare la natura e la direzione di
questi fattori. Lo spezzare la lingua in vocaboli e regole rimane soltanto una
morta e inutile opera dell’analisi scientifica, giacché l’essenza del linguaggio
non si fonda mai su questi elementi che l’astrazione e l’analisi isolano in esso,
bensì soltanto sul lavoro continuamente ripetuto dallo spirito, che rende il
suono articolato capace di esprimere il pensiero» (FF.S, I: 121).

Il linguaggio va studiato come «unità ideale di un’attività» (FFS, I: 122).

Questo lavoro è governato dalla forma della lingua.
Il linguaggio è
                      energheia, non ergon
«il linguaggio non può per vero essere considerato come un materiale
esistente, che nel suo complesso si possa abbracciare con lo sguardo o
comunicare a poco a poco, ma deve essere considerato come un materiale
che eternamente si produce, ove le leggi della produzione sono determinate,
ma l’ambito e in un certo senso anche il genere della produzione rimangono
completamente indeterminati» (FFS, I: 29)

«In questa concezione idealistico-critica del linguaggio è ad un tempo indicato
un elemento valido per ogni genere e per ogni forma di produzione di simboli.
In ogni simbolo da esso liberamente abbozzato, lo spirito coglie l’”oggetto”, in
quanto in esso coglie ad un tempo se stesso e la peculiare legge del suo
operare. E solo questa peculiare compenetrazione prepara il terreno alla più
profonda determinazione sia della subiettività che dell’obiettività» (FFS, I: 29)».
Ciò apre anche una nuova prospettiva sulla comunicazione:

  «“Gli uomini si intendono tra loro non per il fatto che si scambino realmente i
  simboli delle cose, e neppure per il fatto che si determinino l’un l’altro nel
  produrre esattamente e perfettamente lo stesso concetto, ma per il fatto che
  reciprocamente toccano l’uno nell’altro lo stesso anello della catena delle
  loro rappresentazioni sensibili e delle loro produzioni concettuali, battono gli
  stessi tasti del loro strumento spirituale, e in conseguenza di ciò
  scaturiscono allora in ciascuno concetti corrispondenti, ma che non sono gli
  stessi [….]”. L’accordo nell’infinitamente varia produzione dei termini
  linguistici e concettuali, e non la semplice riproduzione in esso di qualcosa di
  esistente, è quindi ciò che fornisce una base sicura e la garanzia della
  oggettività» (FFS, I: 122).
La garanzia dell’oggettività è data dall’accordo tra i parlanti «nella
infinitamente varia produzione dei termini linguistici», non dalla
riproduzione di simboli identici in tutti i parlanti (cfr. Locke).

Ne deriva che il senso linguistico va cercato non nel singolo vocabolo
ma nell’enunciato (Cassirer usa il termine “frase”). È l’enunciato che
realizza la sintesi del pensiero e mostra la centralità della lingua come
energheia:

  «Perciò vero portatore del senso linguistico non è mai il singolo vocabolo, bensì
  soltanto la frase: in essa soltanto infatti si svela l’originaria facoltà della sintesi, su cui
  poggia ogni atto del parlare come del comprendere. Questa concezione generale
  trova la sua più sintetica e precisa espressione nella nota formula di Humboldt
  secondo la quale la lingua non è opera compiuta (ergon) ma attività (energheia), e
  quindi la sua definizione non può essere mai altro che una definizione genetica» (FFS,
  I: 123)
3. materia / forma
  «Per Kant la forma è una semplice espressione di rapporti, ma proprio per
  questo, dato che tutto il nostro sapere fenomenico in definitiva si risolve in
  un sapere di rapporti spazio-temporali, essa rappresenta il vero principio
  oggettivizzante della conoscenza. L’unità della forma fonda, come unità della
  connessione, l’unità dell’oggetto. La connessione di un molteplice non si può
  mai effettuare in noi mediante i sensi, ma è sempre un “atto della
  spontaneità della facoltà immaginativa”» […] tra tutte le rappresentazioni la
  connessione è la sola che non venga data dall’oggetto, ma istituita solo dal
  soggetto medesimo» (FFS, I: 123).

Per Kant le condizioni universali e necessarie del soggetto
trascendentale sono la garanzia della oggettività. La sintesi è prodotta
dalla spontaneità del giudizio (unità dell‘appercezione), per Humboldt si
compie soltanto nella proposizione.
Forma della lingua

  «Ciò che noi chiamiamo essenza e forma di una lingua non è quindi
  nient’altro che l’elemento permanente e uniforme che noi possiamo mostrare
  non in una cosa, ma piuttosto nel lavoro con cui lo spirito innalza il suono
  articolato a espressione del pensiero» (FFS, I: 122)

Nessun elemento del linguaggio si risolve nella rappresentazione di un
contenuto già dato, ma costituisce piuttosto «un incentivo alla
formazione» del concetto.
• Ogni attività linguistica implica «una specifica determinazione formale con cui
 il concetto venga trasferito in una determinata categoria del pensiero e venga
 quindi indicato per esempio come sostanza, come proprietà o attività. Questo
 trasferimento del concetto in una determinata categoria del pensiero è “un
 nuovo atto dell’autocoscienza linguistica, mediante il quale il caso singolo, la
 parola individuale vengono riferiti al complesso dei casi possibili nella lingua o
 nel discorso”» (FFS, I: 124)

• Anche in questo processo genetico materia e forma sono due elementi che si
 implicano reciprocamente (come già soggettività e oggettività, universale e
 individuale):

  «materia e forma, recettività e spontaneità sono, come prima avveniva per le
  opposizioni di “individuale” e “universale”, di “soggettivo” e “oggettivo”, non
  già pezzi staccati con cui si formi il processo del linguaggio, bensì momenti
  necessariamente legati tra loro di questo processo genetico, i quali solo
  nella nostra analisi possono essere separati gli uni dagli altri» (FFS, I: 124).
• «la priorità della forma rispetto alla materia, che Humboldt afferma
 con Kant e che egli trova espressa con la massima purezza e col
 massimo rigore nelle lingue flessive, viene perciò intesa anche da lui
 come una priorità di valore e non come una priorità dell’esistenza
 empirico-temporale. Infatti nell’esistenza di ogni lingua, anche delle
 cosiddette lingue “isolanti”, le due determinazioni, la formale e la
 materiale, sono necessariamente poste insieme, non già l’una senza
 l’altra, l’una prima dell’altra» (FFS, I: 125)
Conclusioni su Humboldt

• La specificità del percorso di Humboldt è data dalla saldatura tra
 l’intelaiatura intellettuale (impianto ideale) e l’osservazione sui
 fenomeni linguistici (ricerche glottologiche empiriche).

• In tal modo Humboldt ha realizzato nel campo linguistico quella
 sintesi tra filosofia e scienza già posta da Kant alla base del suo
 metodo trascendentale, rendendo così possibile «una forma nuova di
 glottologia» (FFS, I: 125).

• La sua riflessione, in particolare il superamento della distinzione tra
 sfera soggettiva e sfera oggettiva nell’idea del linguaggio come
 “universale concreto”, resta un modello per la FFS.
Kant e il problema del linguaggio

• De Mauro, in Introduzione alla semantica (Laterza 1965-1970), ha
 sottolineato criticamente il silenzio di Kant sul linguaggio, mettendo
 però in luce due passaggi nella sua opera importanti per la teoria del
 linguaggio:

  • la dottrina dello schematismo, contenuta nella Critica della Ragion pura,
   Analitica dei principi (1781-1787);

  • il § 59 della Critica del Giudizio (1790).
Kant, Critica della ragion pura, Parte II: Logica trascendentale, Libro II: Analitica
di principi, cap. I: Dello schematismo dei concetti puri dell’intelletto, tr. it. di G.
Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza 1981: 138-141
«Nel fatto, alla base dei nostri concetti sensibili puri non ci sono immagini degli
oggetti, ma schemi. Al concetto di triangolo in generale nessuna immagine di
esso sarebbe mai adeguata. Essa infatti non adeguerebbe quella generalità del
concetto, per cui esso vale tanto pel rettangolo quanto per l’isoscele ecc.; ma
resterebbe sempre limitata solo a una parte di questa sfera. Lo schema del
triangolo non può esistere mai altrove che nel pensiero, e significa una regola
della sintesi della immaginazione rispetto a figure pure nello spazio. Molto
meno ancora un oggetto dell’esperienza o una sua immagine adeguano il
concetto empirico; ma questo si riferisce sempre immediatamente allo schema
dell’immaginazione, come regola della determinazione della nostra intuizione
conforme a un determinato concetto generale. Il concetto del cane designa una
regola, secondo la quale la mia immaginazione può descrivere la figura di un
quadrupede in generale senza limitarla a una forma particolare che mi offra
l’esperienza, o a ciascuna immagine possibile, che io possa in concreto
rappresentarmi. Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai fenomeni
e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il
cui vero maneggio noi difficilmente strapperemmo mai alla natura per esporlo
scopertamente innanzi agli occhi».
«Donde segue che lo schematismo dell’intelletto, mercé la sintesi
trascendentale dell’immaginazione, non mira ad altro che all’unità di
ogni molteplice della intuizione nel senso interno, e perciò
indirettamente      alla    unità   dell’appercezione   come     funzione
corrispondente al senso interno (recettività). Dunque gli schemi dei
concetti puri dell’intelletto sono le sole vere condizioni, che danno ad
essi una relazione con oggetti, e quindi un significato; e le categorie
quindi non hanno infine altro uso che quello possibile empirico,
servendo soltanto a sottomettere, sul fondamento di una unità
necessaria a priori (per via della necessaria unificazione di ogni
coscienza in una appercezione originaria), i fenomeni a regole generali
della sintesi, e a disporli così alla connessione completa in una
esperienza».
Kant, Critica del Giudizio, §59, trad. it. di A. Gargiulo,
Laterza, 1982: 215-217).
«A torto e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso
della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione opposto a
quello intuitivo; perché il simbolico non è che una specie del modo intuitivo.
Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo di rappresentazione schematico
e simbolico. Entrambi sono ipotiposi, cioè esibizioni: non sono caratterismi,
cioè designazioni dei concetti per mezzo dei segni sensibili concomitanti, che
non contengono nulla che appartenga all’intuizione dell’oggetto, ma servono
soltanto come mezzo di riproduzione, secondo la legge dell’associazione
immaginativa, e quindi per uno scopo soggettivo; tali sono, come semplici
espressioni dei concetti, o le parole oppure i segni visibili (gli algebrici, ed
anche i mimici).
Tutte le intuizioni che sono sottoposte a concetti a priori sono dunque o schemi
o simboli, e le prime contengono esibizioni dirette del concetto, le seconde
indirette. Le prime procedono dimostrativamente, le seconde per mezzo di
analogia (per la quale ci serviamo anche di intuizioni empiriche), in cui il
Giudizio compie un doppio ufficio, in primo luogo di applicare il concetto
all’oggetto di un’intuizione sensibile, e poi, in secondo luogo, di applicare la
semplice regola della riflessione su quella intuizione a un oggetto del tutto
diverso, di cui il primo non è che il simbolo».
«È in tal modo che si rappresenta uno stato monarchico come un corpo
animato, quando esso sia governato da leggi popolari sue, e invece come una
semplice macchina (una specie di mulino a braccia), quando sia dominato da
un’unica assoluta volontà; in tutti e due i casi la rappresentazione è soltanto
simbolica. Non c’è, è vero, alcuna somiglianza tra uno stato dispotico e un
mulino a braccia; ma l’analogia sta tra le regole con le quali riflettiamo sulle due
cose e la loro causalità. Questo fatto è stato finora poco chiarito, sebbene
meriti un profondo esame […]. La nostra lingua è piena di queste esibizioni
indirette, fondate sull’analogia, in cui l’espressione non contiene lo schema
proprio del concetto, ma soltanto un simbolo per la riflessione. Tali sono le
parole fondamento (appoggio, base), dipendere (invece di seguire), sostanza (il
sostegno degli accidenti, come dice Locke), ed innumerevoli altre ipotiposi non
schematiche, ma simboliche, ed altre espressioni che designano concetti, non
mediante intuizioni dirette, ma soltanto secondo l’analogia con queste, cioè col
trasferimento della riflessione su di un oggetto dell’intuizione ad un concetto del
tutto diverso, al quale forse non potrà mai corrispondere direttamente
un’intuizione».
Osservazioni di De Mauro (1965-1970: 73-83)
«Ci chiediamo che cosa sia questa misteriosa tecnica [arte] se non la facoltà di
collegare a segni di valore generico sia le singole immagini sia i concetti. Ci
chiediamo se è mai possibile che Kant non abbia inteso che essa è
esattamente la funzione essenziale che, nella concezione lockiana e
berkeleiana, è assolta appunto dal linguaggio» (p. 75).

Come spiegare il silenzio di Kant sul linguaggio? Non è certo un silenzio
casuale, è consapevole e sistematico.

Riconoscere il ruolo del linguaggio (prodotto storico) nel funzionamento della
mente avrebbe portato a mostrare il carattere impuro, storico, corporeo della
mente.

«Forse a questo silenzio è affidato il riconoscimento più alto che mai sia stato
tributato alla irriducibile, irresidua storicità insita nell’umana facoltà di
significare» (p. 81).
La critica dello schematismo kantiano in Cassirer
• Cassirer si serve abbastanza liberamente della nozione kantiana di schema, spesso
  per indicare la possibilità di mediare tra piano intellettuale e piano sensibile per mezzo
  del linguaggio. Manca un chiaro esame del possibile rapporto tra schematismo
  trascendentale e linguaggio (cfr. J.P. Peters, Cassirer, Kant und Sprache, 1983: 83-
  102).

• Il linguaggio procede «dal “concreto” all’”astratto”» (FFS, I: 319), per questo è un
  “termine medio” tra l’elemento sensibile e quello intellettuale (ivi: 178), cioè un analogo
  dello schema kantiano, che consente di rendere «sensibilmente afferrabili» le
  «rappresentazioni intellettuali» (ivi: 179).

• Il ruolo distintivo del linguaggio come forma simbolica consiste nel passare «dal mondo
  della mera sensazione al mondo della intuizione e della rappresentazione», mostrando
  «in germe quel lavoro intellettuale che in seguito si estrinsecherà nella formazione del
  concetto come concetto scientifico, come determinata unità logico-formale» (ivi: 23).

• In questo lavoro simbolico, il linguaggio lascia cadere le immediate determinazioni del
  mondo della sensazione e della intuizione, per mettere in rilievo «determinati elementi
  “significativi”» e far emergere quelle generali dimensioni «di forma e di relazione» (ivi:
  51), in cui si rivela «la facoltà originaria di connessione e di unificazione» propria della
  coscienza (ivi: 52).
«Kant postula, per rendere possibile l’applicazione dei concetti intellettuali alle
intuizioni sensibili, un termine medio, nel quale entrambi, sebbene in sé
completamente dissimili, debbano corrispondersi; e trova questa mediazione
nello “schema trascendentale” che da una parte è intellettuale e dall’altra
sensibile. Per lui lo schema si distingue dalla mera immagine sotto il seguente
punto di vista: “L’immagine è un prodotto della facoltà empirica
dell’immaginazione produttiva; lo schema di concetti sensibili (come delle figure
nello spazio) è un prodotto e, per così dire, un monogramma
dell’immaginazione pura a priori, per il quale e secondo il quale cominciano ad
essere possibili le immagini, le quali, però, debbono essere legate al concetto
solamente e sempre mediante lo schema che esse indicano, e in sé non
coincidono esattamente con tale concetto”» (CRP, I: 163, cit. in FFS, I. 178-
179)
«Un tale “schema” al quale debbono essere riferite tutte le
rappresentazioni intellettuali affinché siano rese sensibilmente
afferrabili e rappresentabili, è posseduto dal linguaggio nelle
denominazioni che esso dà ai contenuti delle relazioni spaziali. È come
se tutte le relazioni concettuali e ideali potessero esser colte dalla
coscienza linguistica solo in quanto il linguaggio le proietta nello spazio
e in esso analogamente le “raffigura”. Nelle relazioni di coesistenza, di
giustapposizione ed esclusione la coscienza acquisisce per la prima
volta il mezzo per la rappresentazione dei rapporti qualitativamente
diversissimi di connessione, di dipendenza e di contrapposizione.
Questo nesso si potrà riconoscere già nella formazione dei vocaboli
spaziali più primitivi che il linguaggio conosce. Essi sono ancora
interamente radicati nella sfera dell’immediata impressione sensibile;
ma d’altra parte contengono il primo germe da cui si svilupperanno le
pure espressioni di rapporti. Risalgono quindi sia all’elemento sensibile
che all’”elemento intellettuale”» (FFS, I: 179)
Una prospettiva metacritica

• L’opera di Cassirer rientra nel programma “metacritico” avviato da Hamann,
 Metakritik über den Purismus der Vernunft (1784), sviluppato da Herder, Eine
 Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft (1799) e portato a compimento da
 Humboldt.

• Sitratta di una linea di riflessione profondamente influenzata dalla
 concezione leibniziana del simbolo (cfr. Trabant, Traditionen Humboldts,
 1990).

• L’importanza di questa linea emerge nel quadro storico che apre il primo
 volume della FFS (pp. 63-143), con l’enfasi sul nesso Leibniz-Shaftesbury-
 Hamann-Herder-Humboldt e la convergenza tra Hamann e Vico.
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