SEMIOTICA 2020-21 II MODULO 24-26 MARZO 2021 - PROF. ILARIA TANI - Facoltà di Lettere e Filosofia
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Ancora sulla percezione Vedere/guardare Vedere qualcosa significa decidere o sapere cosa guardare, perciò riconoscere in una forma visiva un senso. Le immagini non rappresentano le cose ma le nostre idee delle cose. Alcune immagini consentono una doppia lettura (indecidibili, bistabili), dunque convocano un’attività cognitiva. (cfr. Marrone, Introduzione alla semiotica del testo, p. 138-140)
Figure bistabili
Costruire il significato Attentato al London Bridge, 22 marzo 2017
Il linguaggio tra le forme della cultura «Il linguaggio sembra essere il primo ad imboccare questa strada ed a guidarvi i passi dell’umanità. Non possiede un’universalità comparabile all’universalità del pensiero logico. È vincolato alle condizioni nazionali, e persino individuali, eppure costituisce il primo e decisivo passo verso quel mondo comune cui il processo della cultura dirige i suoi sforzi. Wilhelm von Humboldt fu il primo a mettere in evidenza questo punto; e da ciò fu condotto a sviluppare il principio basilare di una nuova filosofia del linguaggio, che espose nel suo saggio sulla varietà delle favelle umane e sulla sua influenza sullo sviluppo mentale dell’umanità*» (L’idealismo critico come filosofia della cultura, in Simbolo, mito, cultura, p. 81) *W. Von Humboldt, Über die Verschiedenheit der menschlichen Sprachbaues (1836), La diversità delle lingue, tr. it. a cura di D. Di Cesare, Laterza, 1991-2000.
Una trasformazione semiotica del kantismo Habermas (L’energia liberatrice della figurazione simbolica. L’eredità umanistica di Ernst Cassirer e la Biblioteca Warburg (1995, in Id. Dall’impressione sensibile all’espressione simbolica, Laterza): La svolta semiotica impressa da Cassirer alla filosofia trascendentale di Kant è la sua impresa fondamentale. • Con la svolta semiotica va perduto non soltanto il punto di riferimento dell’unico mondo oggettivo, ma anche il soggetto trascendentale, in quanto posto al di là del mondo empirico: le forme a priori non sono condizioni della mente individuale di un soggetto trascendentale (prospettiva che porta a una deriva metafisica), ma appartengono a strutture storico-linguistiche: il soggetto trascendentale viene inserito con le sue personificazioni simboliche nel processo della storia e smembrato nel pluralismo dei linguaggi e delle culture. • Questa svolta ha preparato il terreno per lo sviluppo della svolta linguistica realizzata dalla filosofia analitica e il suo incontro con la filosofia ermeneutica continentale.
Concetti kantiani nella trasformazione semiotica • Sintesi a priori • Il linguaggio è un’attività di unificazione del molteplice (vedi concetto di riflessione in Herder) • La molteplicità delle sue manifestazioni è riconducibile a una funzione universale unitaria • Forma organica
Centralità di Humboldt (1767-1835) Wilhelm von Humboldt rappresenta un punto di riferimento costante per Cassirer. A lui riconosce il merito di aver visto nel linguaggio una «autonoma ‘forma’ spirituale che si basa su una legge sua propria» (FFS, I: VIII). • Attraverso il ritorno a Humboldt, Cassirer intende restituire al linguaggio «una posizione speciale», assicurandogli «la sua “autonomia”» (FFS, I: 143) nel complesso delle forme simboliche in cui comunque deve essere inserito, in quanto «attività formatrice tesa verso il mondo», pensata secondo il principio kantiano del «”primato” della funzione rispetto all’oggetto» (FFS, I: 12). • In Humboldt Cassirer cerca il modello per una fondazione della filosofia del linguaggio distinta sia dalle ricerche psicologiche, sia dall’orientamento idealistico rappresentato, con le dovute differenze, da Hermann Cohen e Benedetto Croce, che ha voluto ricondurre il linguaggio «alla generale funzione estetica dell’espressione» (FFS, I: XIII).
• Il paragrafo V del primo capitolo (pp. 116-125) è interamente dedicato a mettere in luce l’importanza di Humboldt nello sviluppo della riflessione linguistica (già richiamato nella introduzione). «I suoi concetti non sono mai gli staccati e puri prodotti dell’analisi logica; vibra invece sempre in essi un tono estetico del sentimento, uno stato d’animo artistico che ravviva l’esposizione, ma al tempo stesso nasconde l’articolarsi e il concatenarsi dei pensieri» (FFS, I: 117). • Qui vengono sottolineati tre grandi centri sistematici del suo pensiero, “tre grandi opposizioni fondamentali”, attorno a cui cerca di riordinare un percorso apparentemente non ordinato.
I tre passaggi fondamentali della riflessione di Humboldt Superamento di tre coppie oppositive: • individuale / universale; soggettività / oggettività • ergon / energheia • materia / forma Attorno a queste antinomie si costruisce «l’intelaiatura intellettuale» della concezione humboldtiana del linguaggio.
1. Spirito individuale / spirito oggettivo • «Ogni individuo parla la sua propria lingua, e tuttavia proprio nella libertà con cui di essa si serve diventa cosciente di un intimo legame spirituale. Così la lingua è ovunque mediatrice in primo luogo tra la natura infinita e finita, in secondo luogo fra un individuo e un altro; al tempo stesso e mediante il medesimo atto rende possibile l’unione e da essa nasce» (FFS, I: 117). • Ogni popolo (nazione) ha una sua lingua, che rappresenta l’individualizzazione di una totalità ideale (linguaggio). • «Così anche una nazione è in questo senso una forma spirituale dell’umanità caratterizzata da una determinata lingua, individualizzata rispetto alla totalità ideale» (FFS, I: 117).
• A questo proposito Cassirer cita un altro testo di Humboldt, Über die Verschiedenheiten des menschlichen Sprachbaues (1827-29) (VI, 1: 125): «L’individualità divide, ma in una maniera così meravigliosa che proprio mediante la divisione risveglia il sentimento dell’unità, anzi appare un mezzo per costituire quest’unità almeno nell’idea [...]. Qui, in modo davvero meraviglioso, gli viene ora in aiuto il linguaggio, che unisce anche quando isola e che, nella veste della più individuale espressione, racchiude la possibilità di universale intelligenza. Il singolo, dove, quando e come vive, è un frammento staccato di tutta la sua stirpe, e il linguaggio dimostra e mantiene questo eterno nesso che guida il destino del singolo e la storia del mondo» (cit. in FFS, I: 118-119).
Soggettività / oggettività «quell’originaria corrispondenza fra il mondo e l’uomo, sulla quale poggia la possibilità di ogni conoscenza del vero […] può essere da noi nuovamente raggiunta in modo frammentario e graduale solo sulla via del fenomeno. In questo senso l’elemento oggettivo non è il dato, ma rimane sempre ciò che si tratta di raggiungere a prezzo di sforzo. Con questa precisazione Humboldt trae dalla dottrina critica di Kant le conseguenze per la filosofia del linguaggio. In luogo dell’opposizione metafisica di soggettività e oggettività si viene ora a trovare la loro pura correlazione trascendentale. Come in Kant l’oggetto, in quanto “oggetto fenomenico”, non si contrappone alla conoscenza come qualcosa di estraneo e di trascendente, ma viene “reso possibile”, condizionato e costituito solo mediante le categorie proprie di essa conoscenza, così ora anche la soggettività del linguaggio non si presenta più come un semplice limite che ci separi dalla comprensione dell’essere oggettivo, ma come un mezzo dell’elaborazione formale, dell’”oggettivazione” delle impressioni sensoriali» (FFS, I: 118-119).
La mediazione linguistica Nella concezione critica di Kant l’oggetto è funzione del giudizio, per Humboldt la funzione sintetica originaria si colloca invece nella proposizione, la «facoltà rappresentativa» «è inseparabile dalla lingua» (FFS, I: 120), : «Ciò che da Kant viene descritto come opera del giudizio, nella concreta vita dello spirito è invece possibile, secondo quanto mostra Humboldt, solo grazie alla mediazione del linguaggio. L’oggettivazione nel pensiero deve passare attraverso l’oggettivazione nel suono linguistico» (Die kantische Elemente Wilhelm von Humboldt’s Sprachphilosophie, 1920: 256-7). «Per Humboldt il simbolo fonico che rappresenta la materia di ogni formazione linguistica costituisce per così dire, il ponte tra l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo, perché in esso si uniscono gli elementi essenziali dell’uno e dell’altro. Infatti il suono è da un lato suono pronunziato e in quanto tale da noi stessi prodotto e formato; ma dall’altro lato, come suono udito, è una parte della realtà sensibile che ci circonda. Noi lo comprendiamo e lo conosciamo perciò ad un tempo come qualcosa di “interno” e come qualcosa di “esterno”; come un’energia interiore che si esprime e si obiettiva in una realtà esteriore» (FFS, I: 28-29).
Lingua come visione del mondo Ancora da Humboldt, Über die Verschiedenheiten des menschlichen Sprachbaues, VI, 1: 119: «La parola, che fa per la prima volta del concetto un individuo del mondo del pensiero, gli conferisce molto della sua propria natura, e siccome l’idea acquista da essa determinatezza, viene al tempo stesso mantenuta entro certi limiti […]. Data la reciproca dipendenza del pensiero e della parola, risulta chiaro che le lingue non sono propriamente mezzi per presentare la verità già conosciuta, ma piuttosto per scoprire la verità ancora ignota. La loro diversità non è soltanto di suoni e segni, ma è diversità di modi di vedere il mondo. Per Humboldt qui si trovano racchiuse la ragione e la meta ultima di ogni ricerca sul linguaggio». (cit. in FFS, I: 120) Cassirer mette in evidenza l’ascendenza herderiana e leibniziana di questa concezione: «Come per Leibniz l’universo è dato soltanto nel rispecchiamento da parte delle monadi, come ognuna di esse rappresenta la totalità dei fenomeni sotto un “punto di vista” individuale – e come d’altro lato proprio la totalità di queste vedute prospettiche e l’armonia fra esse forma tuttavia ciò che chiamiamo l’oggettività dei fenomeni, la realtà del mondo fenomenico: – così qui ogni singola lingua diventa una simile visione individuale del mondo, e solo il complesso di questi punti di vista forma il concetto per noi raggiungibile dell’oggettività» (FFS, I: 120-121)
Lingua come Zwischenwelt (mondo intermedio) «Nel linguaggio mentre lo sforzo spirituale si apre la strada attraverso le labbra, il prodotto di esso ritorna al proprio orecchio. La rappresentazione viene così trasferita nella realtà obiettiva senza perciò essere sottratta alla subiettività. Ciò può solo il linguaggio; e senza questa trasposizione in una obbiettività che ritorna al soggetto, trasposizione che si compie sempre con la collaborazione del linguaggio e anche silenziosamente, la formazione del concetto, e con esso di ogni vero pensiero, è impossibile. Come il singolo suono si pone tra l’oggetto e l’uomo, così il linguaggio nel suo complesso si pone tra l’uomo e la natura che agisce su di lui dall’interno e dall’esterno. L’uomo si circonda di un mondo di suoni per accogliere in sé ed elaborare il mondo degli oggetti» (W. v. Humboldt, Einleitung zum Kawi-Werk (1836), tr. it. La diversità delle lingue, Laterza, 1991-2000). • L’oggettività non è un dato ma qualcosa che «va raggiunto mediante un processo dell’attività formatrice dello spirito».
Ripresa della critica al realismo ingenuo o “teoria del rispecchiamento” • Il realismo ingenuo non riconosce adeguatamente l’importanza della soggettività, al contrario tanto il linguaggio che la conoscenza non si limitano a riprodurre l’oggetto in quanto dato ma «celano in sé un modo spirituale di concepire che interviene come elemento decisivo in ogni nostra rappresentazione di ciò che è oggettivo […], secondo un’intima legge, in maniera tale che ciò che appariva come oggetto diventa esso stesso un modo di vedere soggettivo avente tuttavia una pretesa perfettamente legittima di validità universale» (FFS, I: 119). • Per il realismo ingenuo «la diversità delle lingue è solo una diversità di suoni»; questa concezione impedisce un’adeguata comprensione del funzionamento del linguaggio» (ibid.).
Contro i progetti razionalistici di lingua universale «La vera idealità del linguaggio è fondata sulla sua soggettività» (FFS, I: 120). Di qui la critica al concetto di lingua universale: «Per questa ragione fu e sarà sempre un tentativo vano il voler sostituire le parole delle diverse lingue con simboli universalmente validi, quali li possiede la matematica nelle linee, nei numeri e nel calcolo letterale. In tal modo infatti sempre soltanto una piccola parte del pensabile può essere esaurita, e possono essere indicati soltanto quei concetti che sono suscettibili di essere formati mediante la costruzione puramente razionale. Quando invece si tratta di forgiare in concetti la materia dell’interna percezione e sensazione, ciò dipende dalla individuale facoltà rappresentativa dell’uomo, che è inseparabile dalla sua lingua». In questo passo sta la dimostrazione della infondatezza della lettura di Humboldt data da Chomsky in Cartesian linguistics (1966) come erede della tradizione razionalistica cartesiana.
2. ergon /energheia la prospettiva genetica Lo studio del linguaggio deve adottare una prospettiva genetica, non in senso storico-cronologico, andando alla ricerca delle cause empirico-psicologiche, ma riconoscendo «la struttura già compiuta del linguaggio come qualcosa di derivato e di mediato, struttura che viene compresa solo quando riusciamo a ricostruirla partendo dai suoi fattori e a determinare la natura e la direzione di questi fattori. Lo spezzare la lingua in vocaboli e regole rimane soltanto una morta e inutile opera dell’analisi scientifica, giacché l’essenza del linguaggio non si fonda mai su questi elementi che l’astrazione e l’analisi isolano in esso, bensì soltanto sul lavoro continuamente ripetuto dallo spirito, che rende il suono articolato capace di esprimere il pensiero» (FF.S, I: 121). Il linguaggio va studiato come «unità ideale di un’attività» (FFS, I: 122). Questo lavoro è governato dalla forma della lingua.
Il linguaggio è energheia, non ergon «il linguaggio non può per vero essere considerato come un materiale esistente, che nel suo complesso si possa abbracciare con lo sguardo o comunicare a poco a poco, ma deve essere considerato come un materiale che eternamente si produce, ove le leggi della produzione sono determinate, ma l’ambito e in un certo senso anche il genere della produzione rimangono completamente indeterminati» (FFS, I: 29) «In questa concezione idealistico-critica del linguaggio è ad un tempo indicato un elemento valido per ogni genere e per ogni forma di produzione di simboli. In ogni simbolo da esso liberamente abbozzato, lo spirito coglie l’”oggetto”, in quanto in esso coglie ad un tempo se stesso e la peculiare legge del suo operare. E solo questa peculiare compenetrazione prepara il terreno alla più profonda determinazione sia della subiettività che dell’obiettività» (FFS, I: 29)».
Ciò apre anche una nuova prospettiva sulla comunicazione: «“Gli uomini si intendono tra loro non per il fatto che si scambino realmente i simboli delle cose, e neppure per il fatto che si determinino l’un l’altro nel produrre esattamente e perfettamente lo stesso concetto, ma per il fatto che reciprocamente toccano l’uno nell’altro lo stesso anello della catena delle loro rappresentazioni sensibili e delle loro produzioni concettuali, battono gli stessi tasti del loro strumento spirituale, e in conseguenza di ciò scaturiscono allora in ciascuno concetti corrispondenti, ma che non sono gli stessi [….]”. L’accordo nell’infinitamente varia produzione dei termini linguistici e concettuali, e non la semplice riproduzione in esso di qualcosa di esistente, è quindi ciò che fornisce una base sicura e la garanzia della oggettività» (FFS, I: 122).
La garanzia dell’oggettività è data dall’accordo tra i parlanti «nella infinitamente varia produzione dei termini linguistici», non dalla riproduzione di simboli identici in tutti i parlanti (cfr. Locke). Ne deriva che il senso linguistico va cercato non nel singolo vocabolo ma nell’enunciato (Cassirer usa il termine “frase”). È l’enunciato che realizza la sintesi del pensiero e mostra la centralità della lingua come energheia: «Perciò vero portatore del senso linguistico non è mai il singolo vocabolo, bensì soltanto la frase: in essa soltanto infatti si svela l’originaria facoltà della sintesi, su cui poggia ogni atto del parlare come del comprendere. Questa concezione generale trova la sua più sintetica e precisa espressione nella nota formula di Humboldt secondo la quale la lingua non è opera compiuta (ergon) ma attività (energheia), e quindi la sua definizione non può essere mai altro che una definizione genetica» (FFS, I: 123)
3. materia / forma «Per Kant la forma è una semplice espressione di rapporti, ma proprio per questo, dato che tutto il nostro sapere fenomenico in definitiva si risolve in un sapere di rapporti spazio-temporali, essa rappresenta il vero principio oggettivizzante della conoscenza. L’unità della forma fonda, come unità della connessione, l’unità dell’oggetto. La connessione di un molteplice non si può mai effettuare in noi mediante i sensi, ma è sempre un “atto della spontaneità della facoltà immaginativa”» […] tra tutte le rappresentazioni la connessione è la sola che non venga data dall’oggetto, ma istituita solo dal soggetto medesimo» (FFS, I: 123). Per Kant le condizioni universali e necessarie del soggetto trascendentale sono la garanzia della oggettività. La sintesi è prodotta dalla spontaneità del giudizio (unità dell‘appercezione), per Humboldt si compie soltanto nella proposizione.
Forma della lingua «Ciò che noi chiamiamo essenza e forma di una lingua non è quindi nient’altro che l’elemento permanente e uniforme che noi possiamo mostrare non in una cosa, ma piuttosto nel lavoro con cui lo spirito innalza il suono articolato a espressione del pensiero» (FFS, I: 122) Nessun elemento del linguaggio si risolve nella rappresentazione di un contenuto già dato, ma costituisce piuttosto «un incentivo alla formazione» del concetto.
• Ogni attività linguistica implica «una specifica determinazione formale con cui il concetto venga trasferito in una determinata categoria del pensiero e venga quindi indicato per esempio come sostanza, come proprietà o attività. Questo trasferimento del concetto in una determinata categoria del pensiero è “un nuovo atto dell’autocoscienza linguistica, mediante il quale il caso singolo, la parola individuale vengono riferiti al complesso dei casi possibili nella lingua o nel discorso”» (FFS, I: 124) • Anche in questo processo genetico materia e forma sono due elementi che si implicano reciprocamente (come già soggettività e oggettività, universale e individuale): «materia e forma, recettività e spontaneità sono, come prima avveniva per le opposizioni di “individuale” e “universale”, di “soggettivo” e “oggettivo”, non già pezzi staccati con cui si formi il processo del linguaggio, bensì momenti necessariamente legati tra loro di questo processo genetico, i quali solo nella nostra analisi possono essere separati gli uni dagli altri» (FFS, I: 124).
• «la priorità della forma rispetto alla materia, che Humboldt afferma con Kant e che egli trova espressa con la massima purezza e col massimo rigore nelle lingue flessive, viene perciò intesa anche da lui come una priorità di valore e non come una priorità dell’esistenza empirico-temporale. Infatti nell’esistenza di ogni lingua, anche delle cosiddette lingue “isolanti”, le due determinazioni, la formale e la materiale, sono necessariamente poste insieme, non già l’una senza l’altra, l’una prima dell’altra» (FFS, I: 125)
Conclusioni su Humboldt • La specificità del percorso di Humboldt è data dalla saldatura tra l’intelaiatura intellettuale (impianto ideale) e l’osservazione sui fenomeni linguistici (ricerche glottologiche empiriche). • In tal modo Humboldt ha realizzato nel campo linguistico quella sintesi tra filosofia e scienza già posta da Kant alla base del suo metodo trascendentale, rendendo così possibile «una forma nuova di glottologia» (FFS, I: 125). • La sua riflessione, in particolare il superamento della distinzione tra sfera soggettiva e sfera oggettiva nell’idea del linguaggio come “universale concreto”, resta un modello per la FFS.
Kant e il problema del linguaggio • De Mauro, in Introduzione alla semantica (Laterza 1965-1970), ha sottolineato criticamente il silenzio di Kant sul linguaggio, mettendo però in luce due passaggi nella sua opera importanti per la teoria del linguaggio: • la dottrina dello schematismo, contenuta nella Critica della Ragion pura, Analitica dei principi (1781-1787); • il § 59 della Critica del Giudizio (1790).
Kant, Critica della ragion pura, Parte II: Logica trascendentale, Libro II: Analitica di principi, cap. I: Dello schematismo dei concetti puri dell’intelletto, tr. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza 1981: 138-141 «Nel fatto, alla base dei nostri concetti sensibili puri non ci sono immagini degli oggetti, ma schemi. Al concetto di triangolo in generale nessuna immagine di esso sarebbe mai adeguata. Essa infatti non adeguerebbe quella generalità del concetto, per cui esso vale tanto pel rettangolo quanto per l’isoscele ecc.; ma resterebbe sempre limitata solo a una parte di questa sfera. Lo schema del triangolo non può esistere mai altrove che nel pensiero, e significa una regola della sintesi della immaginazione rispetto a figure pure nello spazio. Molto meno ancora un oggetto dell’esperienza o una sua immagine adeguano il concetto empirico; ma questo si riferisce sempre immediatamente allo schema dell’immaginazione, come regola della determinazione della nostra intuizione conforme a un determinato concetto generale. Il concetto del cane designa una regola, secondo la quale la mia immaginazione può descrivere la figura di un quadrupede in generale senza limitarla a una forma particolare che mi offra l’esperienza, o a ciascuna immagine possibile, che io possa in concreto rappresentarmi. Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai fenomeni e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemmo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli occhi».
«Donde segue che lo schematismo dell’intelletto, mercé la sintesi trascendentale dell’immaginazione, non mira ad altro che all’unità di ogni molteplice della intuizione nel senso interno, e perciò indirettamente alla unità dell’appercezione come funzione corrispondente al senso interno (recettività). Dunque gli schemi dei concetti puri dell’intelletto sono le sole vere condizioni, che danno ad essi una relazione con oggetti, e quindi un significato; e le categorie quindi non hanno infine altro uso che quello possibile empirico, servendo soltanto a sottomettere, sul fondamento di una unità necessaria a priori (per via della necessaria unificazione di ogni coscienza in una appercezione originaria), i fenomeni a regole generali della sintesi, e a disporli così alla connessione completa in una esperienza».
Kant, Critica del Giudizio, §59, trad. it. di A. Gargiulo, Laterza, 1982: 215-217). «A torto e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione opposto a quello intuitivo; perché il simbolico non è che una specie del modo intuitivo. Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo di rappresentazione schematico e simbolico. Entrambi sono ipotiposi, cioè esibizioni: non sono caratterismi, cioè designazioni dei concetti per mezzo dei segni sensibili concomitanti, che non contengono nulla che appartenga all’intuizione dell’oggetto, ma servono soltanto come mezzo di riproduzione, secondo la legge dell’associazione immaginativa, e quindi per uno scopo soggettivo; tali sono, come semplici espressioni dei concetti, o le parole oppure i segni visibili (gli algebrici, ed anche i mimici). Tutte le intuizioni che sono sottoposte a concetti a priori sono dunque o schemi o simboli, e le prime contengono esibizioni dirette del concetto, le seconde indirette. Le prime procedono dimostrativamente, le seconde per mezzo di analogia (per la quale ci serviamo anche di intuizioni empiriche), in cui il Giudizio compie un doppio ufficio, in primo luogo di applicare il concetto all’oggetto di un’intuizione sensibile, e poi, in secondo luogo, di applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione a un oggetto del tutto diverso, di cui il primo non è che il simbolo».
«È in tal modo che si rappresenta uno stato monarchico come un corpo animato, quando esso sia governato da leggi popolari sue, e invece come una semplice macchina (una specie di mulino a braccia), quando sia dominato da un’unica assoluta volontà; in tutti e due i casi la rappresentazione è soltanto simbolica. Non c’è, è vero, alcuna somiglianza tra uno stato dispotico e un mulino a braccia; ma l’analogia sta tra le regole con le quali riflettiamo sulle due cose e la loro causalità. Questo fatto è stato finora poco chiarito, sebbene meriti un profondo esame […]. La nostra lingua è piena di queste esibizioni indirette, fondate sull’analogia, in cui l’espressione non contiene lo schema proprio del concetto, ma soltanto un simbolo per la riflessione. Tali sono le parole fondamento (appoggio, base), dipendere (invece di seguire), sostanza (il sostegno degli accidenti, come dice Locke), ed innumerevoli altre ipotiposi non schematiche, ma simboliche, ed altre espressioni che designano concetti, non mediante intuizioni dirette, ma soltanto secondo l’analogia con queste, cioè col trasferimento della riflessione su di un oggetto dell’intuizione ad un concetto del tutto diverso, al quale forse non potrà mai corrispondere direttamente un’intuizione».
Osservazioni di De Mauro (1965-1970: 73-83) «Ci chiediamo che cosa sia questa misteriosa tecnica [arte] se non la facoltà di collegare a segni di valore generico sia le singole immagini sia i concetti. Ci chiediamo se è mai possibile che Kant non abbia inteso che essa è esattamente la funzione essenziale che, nella concezione lockiana e berkeleiana, è assolta appunto dal linguaggio» (p. 75). Come spiegare il silenzio di Kant sul linguaggio? Non è certo un silenzio casuale, è consapevole e sistematico. Riconoscere il ruolo del linguaggio (prodotto storico) nel funzionamento della mente avrebbe portato a mostrare il carattere impuro, storico, corporeo della mente. «Forse a questo silenzio è affidato il riconoscimento più alto che mai sia stato tributato alla irriducibile, irresidua storicità insita nell’umana facoltà di significare» (p. 81).
La critica dello schematismo kantiano in Cassirer • Cassirer si serve abbastanza liberamente della nozione kantiana di schema, spesso per indicare la possibilità di mediare tra piano intellettuale e piano sensibile per mezzo del linguaggio. Manca un chiaro esame del possibile rapporto tra schematismo trascendentale e linguaggio (cfr. J.P. Peters, Cassirer, Kant und Sprache, 1983: 83- 102). • Il linguaggio procede «dal “concreto” all’”astratto”» (FFS, I: 319), per questo è un “termine medio” tra l’elemento sensibile e quello intellettuale (ivi: 178), cioè un analogo dello schema kantiano, che consente di rendere «sensibilmente afferrabili» le «rappresentazioni intellettuali» (ivi: 179). • Il ruolo distintivo del linguaggio come forma simbolica consiste nel passare «dal mondo della mera sensazione al mondo della intuizione e della rappresentazione», mostrando «in germe quel lavoro intellettuale che in seguito si estrinsecherà nella formazione del concetto come concetto scientifico, come determinata unità logico-formale» (ivi: 23). • In questo lavoro simbolico, il linguaggio lascia cadere le immediate determinazioni del mondo della sensazione e della intuizione, per mettere in rilievo «determinati elementi “significativi”» e far emergere quelle generali dimensioni «di forma e di relazione» (ivi: 51), in cui si rivela «la facoltà originaria di connessione e di unificazione» propria della coscienza (ivi: 52).
«Kant postula, per rendere possibile l’applicazione dei concetti intellettuali alle intuizioni sensibili, un termine medio, nel quale entrambi, sebbene in sé completamente dissimili, debbano corrispondersi; e trova questa mediazione nello “schema trascendentale” che da una parte è intellettuale e dall’altra sensibile. Per lui lo schema si distingue dalla mera immagine sotto il seguente punto di vista: “L’immagine è un prodotto della facoltà empirica dell’immaginazione produttiva; lo schema di concetti sensibili (come delle figure nello spazio) è un prodotto e, per così dire, un monogramma dell’immaginazione pura a priori, per il quale e secondo il quale cominciano ad essere possibili le immagini, le quali, però, debbono essere legate al concetto solamente e sempre mediante lo schema che esse indicano, e in sé non coincidono esattamente con tale concetto”» (CRP, I: 163, cit. in FFS, I. 178- 179)
«Un tale “schema” al quale debbono essere riferite tutte le rappresentazioni intellettuali affinché siano rese sensibilmente afferrabili e rappresentabili, è posseduto dal linguaggio nelle denominazioni che esso dà ai contenuti delle relazioni spaziali. È come se tutte le relazioni concettuali e ideali potessero esser colte dalla coscienza linguistica solo in quanto il linguaggio le proietta nello spazio e in esso analogamente le “raffigura”. Nelle relazioni di coesistenza, di giustapposizione ed esclusione la coscienza acquisisce per la prima volta il mezzo per la rappresentazione dei rapporti qualitativamente diversissimi di connessione, di dipendenza e di contrapposizione. Questo nesso si potrà riconoscere già nella formazione dei vocaboli spaziali più primitivi che il linguaggio conosce. Essi sono ancora interamente radicati nella sfera dell’immediata impressione sensibile; ma d’altra parte contengono il primo germe da cui si svilupperanno le pure espressioni di rapporti. Risalgono quindi sia all’elemento sensibile che all’”elemento intellettuale”» (FFS, I: 179)
Una prospettiva metacritica • L’opera di Cassirer rientra nel programma “metacritico” avviato da Hamann, Metakritik über den Purismus der Vernunft (1784), sviluppato da Herder, Eine Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft (1799) e portato a compimento da Humboldt. • Sitratta di una linea di riflessione profondamente influenzata dalla concezione leibniziana del simbolo (cfr. Trabant, Traditionen Humboldts, 1990). • L’importanza di questa linea emerge nel quadro storico che apre il primo volume della FFS (pp. 63-143), con l’enfasi sul nesso Leibniz-Shaftesbury- Hamann-Herder-Humboldt e la convergenza tra Hamann e Vico.
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