Platone - Il mito della caverna - Libreria Filosofica

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Platone - Il mito della caverna
Il mito della caverna
Platone, Repubblica, 508c-521c

Nel brano che riportiamo, il "mito della Caverna" è inserito nel contesto delle pagine che lo precedono e lo seguono.

Dal Libro VI
Socrate: "Ebbene, sappi adesso, ripresi, che è il sole che io chiamo figlio del bene, è il sole ad aver generato a sua propria
somiglianza il bene. E quel che il Sole è nel mondo visibile in rapporto alla vista e agli oggetti visibili, lo stesso è il bene nel mondo
intelligibile in rapporto all'intelligenza e agli oggetti intelligibili."
Glaucone: "Come, chiese: spiegami bene."
"Tu sai, ripresi, che quando si guardano gli oggetti colorati non illuminati dalla luce del giorno, ma dalla luce della notte, gli occhi
vedono a mala pena e sembrano quasi ciechi come se avessero perduto la chiarezza della vista."
"Sì, disse."
"Ma quando si rivolgono verso oggetti illuminati dal sole, vedono distintamente, non è vero? Ed è quindi chiaro che gli stessi occhi
hanno una vista buona."
"Senza dubbio."
"E lo stesso accade per l'anima. Quando essa fissa il suo sguardo sugli oggetti illuminati dalla verità e dall'essere, appena li
concepisce li conosce e sembra essere intelligente, ma quando si rivolge ad oggetti intrisi di oscurità, a ciò che nasce e muore, allora
ha soltanto delle opinioni, il suo sguardo è confuso, cambia idea e passa da un estremo all'altro e sembra aver perso ogni
intelligenza."
"E' proprio così."
"Ciò che comunica la verità agli oggetti conoscibili e dà allo spirito la facoltà di conoscere, stai pur certo che è l'idea del bene; è
questa la causa della scienza e della verità, in quanto esse sono conosciute; ma per quanto belle esse siano entrambe, questa scienza e
questa verità, stai pur certo che l'idea del bene è distinta da esse e le supera in bellezza. Pensando così non ti sbaglierai. E come nel
mondo visibile abbiamo ragione di pensare che la luce e la vista hanno un rapporto con il sole, ma si sbaglierebbe a confonderle col
sole, lo stesso accade per il mondo intelligibile: abbiamo ragione di credere che la scienza e la verità sono entrambe simili al bene,
ma avremmo torto a credere che l'una o l'altra siano il bene; perché la natura del bene va cercata ancora più in alto."
"Tu parli di una bellezza ben straordinaria, disse, se produce la scienza e la verità ed è ancora più bella di esse; non è certamente il
piacere che tu intendi con questo bene."
"Dio me ne guardi, replicai; continua piuttosto a considerare l'immagine del bene seguendo il nostro discorso."
"Come?"
"Io penso che tu sappia che il sole dà agli oggetti visibili non soltanto la possibilità di essere visti, ma anche la nascita, la crescita e il
nutrimento, pur non essendo esso stesso nascita."
"Non lo è in effetti."
"E lo stesso accade per gli oggetti conoscibili: tu dirai che non soltanto deriva loro dal bene la possibilità di essere conosciuti, ma
che al bene devono anche l'esistenza e l'essenza, benché il bene non sia affatto essenza, ma qualcosa che va molto oltre l'essenza in
maestà e in potenza."
E allora Glaucone disse in modo divertente: "Per Apollo, dio del sole, che meravigliosa trascendenza!"
"E' colpa tua, replicai; perché mi obblighi a dire il mio pensiero su queste cose?"
"Ma tu, disse, non fermarti, porta avanti il tuo discorso e riprendi il paragone col sole, se c'è ancora qualcosa da dire."
"Certo, ripresi; c'è dell'altro."
"Allora non lasciare niente indietro, per poco che sia."
"Ho paura invece, risposi, che ne tralascerò di cose, e molte; comunque ti prometto, per quanto è possibile adesso, di non tralasciare
nulla."
"Non farlo dunque."
"Considera, dissi allora, che vi sono due realtà, come abbiamo già detto, che regnano una sul genere e sul mondo intelligibile, l'altra
sul mondo visibile (?). Hai ben capito quali sono queste due forme, il visibile e l'intelligibile?"
"Sì."

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"Prendi allora una linea divisa in due parti ineguali; dividi ancora ciascuna delle due parti secondo la stessa proporzione, quella del
genere visibile e quella dell'intelligibile; e secondo il grado di luminosità o di oscurità relativa delle cose, tu avrai nel mondo visibile
una prima sezione, quella delle immagini. Chiamo immagini in primo luogo le ombre, poi i riflessi che si formano sull'acqua e sulla
superficie dei corpi opachi, lisci e brillanti, ed ogni altra rappresentazione dello stesso tipo. Mi segui?"
"Sì, disse."
"Concentriamoci adesso sull'altra sezione di cui la prima è l'immagine: comprende tutti gli esseri viventi e con essi tutte le piante e
tutti gli oggetti fabbricati dall'uomo."
"Bene, concentriamoci su questo."
"Dovremo ammettere, ripresi, che il genere visibile si divide in vero e falso e che l'immagine sta al modello come l'oggetto
dell'opinione sta all'oggetto della conoscenza?"
"Sì, disse, certamente."
"Considera poi in che modo si debba dividere la sezione dell'intelligibile."
"Come?"
"Ecco: l'anima, nella prima parte di questa sezione, degli oggetti che nella sezione precedente erano degli originali si serve come se
fossero immagini; è costretta a fare delle ricerche partendo da ipotesi e segue un cammino che la porta non al principio ma alla
conclusione; invece nella seconda parte l'anima va dall'ipotesi al principio assoluto senza far uso di immagini, come nel caso
precedente, e conduce la sua ricerca per mezzo delle sole idee."
"Non ho capito bene cosa vuoi dire, disse."
"E allora riprendiamo tutto daccapo; capirai meglio dopo ciò che sto per dire. Tu non ignori, credo, che, nella loro ricerca, coloro che
si occupano di geometria, di aritmetica e delle altre scienze dello steso tipo danno per scontato il pari e il dispari, le figure, i tre tipi
di angoli ed altre cose analoghe; trattano tutte queste come cose conosciute e quando costruiscono delle ipotesi ritengono di non
dover più rendere conto di queste cose né a se stessi né agli altri perché sono evidenti; e infine partendo da queste ipotesi con tutto
quel che ne segue giungono mediante ragionamenti alla dimostrazione che cercavano."
"Sì, lo so."
"Sai quindi anche che essi si servono di forme visibili e che ragionano su queste figure, anche se non è ad esse che pensano ma a
quelle a cui le figure visibili assomigliano: per esempio è al quadrato in sé, alla diagonale in sé, che essi pensano e non alla
diagonale che disegnano, e così è per tutte le altre figure. Tutte queste figure che essi compongono o disegnano, che corrispondono
alle ombre e ai riflessi sull'acqua, servono loro come immagini per aiutarli a vedere quegli oggetti superiori che non possono essere
percepiti se non col pensiero."
"E' vero."
"Ecco ciò che intendo per prima classe delle cose intelleggibili: nella sua ricerca, lo spirito è obbligato ad usare un'ipotesi senza
giungere ai principi ? dato che la ricerca non può andare al di là delle ipotesi - ma deve servirsi degli oggetti stessi che producono le
ombre della sezione inferiore come delle immagini, oggetti che ritiene più chiari delle ombre e che prende come tali."
"Capisco, disse; tu vuoi parlare di ciò che si fa in geometria e nelle altre scienze dello stesso tipo."
"Sappi adesso che cosa intendo per seconda sezione delle cose intelleggibili. Si tratta di tutto quello che la ragione stessa sa in forza
della sua dialettica: non scambia le ipotesi per dei principi, ma ritenendole semplici ipotesi, e cioè gradini e punti di appoggio per
elevarsi fino al principio del tutto, che non ammette affatto delle ipotesi. Colto questo principio, essa discende seguendo tutte le
conseguenze che ne dipendono fino alla conclusione ultima, senza fare alcun uso di dati sensibili ma passando da un'idea a un'idea e
concludendo con un'idea."
"Capisco, disse, ma non del tutto perché non è piccola cosa la ricerca di cui tu parli. Mi sembra che tu voglia stabilire che la
conoscenza dell'essere e dell'intelligibile che si acquisisce mediante la scienza della dialettica è più chiara di quella che si acquisisce
mediante quelle che si chiamano le scienze che hanno delle ipotesi come loro principio. Senza dubbio coloro che studiano gli oggetti
delle scienze sono costretti a farlo mediante il pensiero, non mediante i sensi; ma poiché li esaminano senza risalire al principio, ma
partendo da ipotesi, essi non sembrano avere reale intelligenza di questi oggetti, benché essi siano intelleggibili secondo un
principio. Mi sembra che tu chiami conoscenza discorsiva, e non intelligenza, la scienza dei geometri e degli altri studiosi di materie
affini, perché la conoscenza discorsiva è qualcosa di intermedio tra l'opinione e l'intelligenza."
"Hai capito molto bene, dissi, e adesso alle nostre quattro sezioni applichiamo queste quattro operazioni dello spirito: alla sezione
più elevata l'intelligenza, alla seconda la conoscenza discorsiva, alla terza la credenza e all'ultima la congettura e ordiniamole per
ordine di chiarezza partendo da questa idea: più i loro oggetti partecipano della verità, più sono chiare."
"Capisco, disse, e sono d'accordo. Adotterò l'ordine che tu proponi."

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Dal Libro VII
"Adesso, ripresi, raffigurati la nostra natura così come essa appare riguardo all'educazione mediante il racconto che segue: immagina
degli uomini in un'abitazione sotterranea a forma di caverna la cui entrata, aperta alla luce, si estende per tutta la lunghezza della
facciata; son lì da bambini, le gambe e il collo legati da catene in modo che non possano lasciare il posto in cui sono, né guardare in
altra direzione che davanti, perché le catene impediscono loro di girare la testa; la luce di un fuoco acceso da lontano ad una certa
altezza brilla alle loro spalle; tra il fuoco e i prigionieri corre una strada elevata lungo la quale c'è un piccolo muro, simile a quei teli
che i burattinai drizzano tra loro e il pubblico e al di sopra dei quali fanno vedere i personaggi dello spettacolo."
"Vedo, disse."
"Immagina adesso che lungo questo piccolo muro degli uomini portino utensili di ogni tipo al di sopra dell'altezza del muro e
statuette di uomini e di animali, in pietra, in legno, di tantissime forme; e naturalmente immagina che alcuni di questi uomini parlino
tra loro ed altri stiano in silenzio."
"Il tuo è un racconto proprio strano e parli di strani prigionieri, disse."
"Eppure ci somigliano, risposi. Tu pensi infatti che in questa strana situazione abbiano visto di se stessi e dei loro vicini altro che le
ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che hanno di fronte?"
"E come potrebbe essere diversamente, se sono obbligati per tutta la loro vita a stare con la testa immobile?"
"E degli oggetti che passano non sarà forse lo stesso?"
"E certo."
"E allora se potessero dialogare tra loro non pensi che nominando le ombre che essi vedono crederebbero di stare parlando degli
oggetti reali stessi?"
"Certamente."
"E se vi fosse un'eco che rinvia i suoni al fondo della prigione tutte le volte che uno dei passanti parla, non credi che attribuirebbero
questa voce alle ombre che vedono sfilare?"
"Sì, per Zeus!"
"E non c'è dubbio, riprese, che agli occhi di queste persone la realtà non sarebbe fatta altro che dalle ombre degli oggetti al di là del
muro."
"Sarebbe così per forza."
"Esaminiamo adesso come reagirebbero se li si liberasse dalle loro catene e li si guarisse dalla loro ignoranza. Secondo me le cose si
metterebbero così. Poniamo che uno di questi prigionieri fosse costretto ad alzarsi, a girare la testa, a camminare, a levare gli occhi
verso la luce: tutti questi movimenti certo lo farebbero soffrire e sarebbe così abbagliato da non riuscir a vedere gli oggetti di cui
prima percepiva le ombre. Io ti chiedo che cosa potrebbe rispondere se gli si dicesse che prima non vedeva altro che vane ombre e
che adesso è più vicino alla realtà e vede meglio, voltatosi verso oggetti più reali. Che cosa direbbe se gli si facesse vedere ciascuno
degli oggetti che sfilano davanti a lui, costringendolo a forza di fargli domande a dire che cosa sono? Non pensi che sarebbe
imbarazzato e che gli oggetti che vedeva prima gli sembrerebbero più veri di quelli che gli si mostrano adesso?"
"Molto più veri, disse."
"E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non credi che i suoi occhi ne soffrirebbero e che egli tenderebbe a sfuggire e a
rivolgere lo sguardo verso le cose che può guardare e che egli vede ancora realmente più distinte di quelle che gli si mostrano?"
"Certo, disse."
"E se, ripresi, lo si costringesse a forza a risalire per la scarpata aspra ed erta e non lo si lasciasse prima di averlo portato alla luce del
sole, non pensi che ne soffrirebbe e tenterebbe di ribellarsi, e che una volta arrivato alla luce ne sarebbe abbagliato e non riuscirebbe
affatto a vedere gli oggetti che noi adesso chiamiamo veri?"
"No, non potrebbe, disse, almeno non subito."
"Deve, ripresi, abituarsi un po', se vuol vedere il mondo superiore. All'inizio ciò che vedrebbe più facilmente sarebbero le ombre,
dopo vedrebbe le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflessi sull'acqua, dopo gli oggetti stessi; poi, elevando il suo sguardo
verso la luce degli astri e della luna contemplerebbe nella notte le costellazioni e il firmamento stesso più facilmente di quanto non
possa durante il giorno contemplare il sole e la luce del sole."
"Senza dubbio."
"Alla fine io credo sarebbe proprio il sole, non riflesso nelle acque o in qualsiasi altro punto, ma il sole stesso nel luogo che gli è
proprio che egli potrebbe guardare e contemplare così come esso è."
"Certamente."

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"E quindi ne concluderebbe che è il sole a produrre le stagioni e gli anni, che governa tutto nel mondo visibile e che in qualche modo
è la causa di tutte le cose che lui e i suoi compagni vedevano nella caverna."
"E' evidente: dopo diverse esperienze arriverebbe a questa conclusione."
"Se poi gli venisse da pensare alla sua prima dimora e alla scienza che egli possedeva allora e ai suoi compagni di prigionia, non
credi che sarebbe felice del cambiamento per sé e avrebbe compassione dei suoi compagni?"
"Certo."
"Quanto agli onori e ai premi che allora i prigionieri si davano l'un l'altro e alle ricompense date a coloro che erano in grado di
riconoscere meglio gli oggetti che passavano, a quelli che sapevano tenere a mente più esattamente gli oggetti che di regola
passavano per primi o per ultimi, e così via, e ai più abili a indovinare quelli che sarebbero arrivati credi forse che il nostro uomo ne
avrebbe ancora voglia e che invidierebbe coloro che nel mondo dei prigionieri avessero onori e poteri? Non penserebbe piuttosto
come Achille in Omero, e preferirebbe cento volte essere al servizio di un povero contadino, e sopportare tutti i mali possibili,
piuttosto che ritornare alle sue vecchie illusioni e vivere come viveva?"
"Sono d'accordo con te, disse; preferirebbe soffrire tutti i mali piuttosto che tornare a vivere la vita di prima."
"E immagina ancora questo, ripresi. Se il nostro uomo tornasse nella caverna e riprendesse il suo vecchio posto, non avrebbe gli
occhi offuscati dalle tenebre tornando bruscamente dalla luce del sole?"
"Sì, certo, disse."
"E se dovesse di nuovo ragionare su quelle ombre e gareggiare con i prigionieri che non hanno mai lasciato le loro catene mentre la
sua vista è ancora confusa e prima che i suoi occhi si siano rimessi e riadattati all'oscurità, cosa che richiederebbe un tempo molto
lungo, non farebbe forse ridere e non direbbero di lui che per essere salito di sopra è tornato indietro con gli occhi malati e che non
vale certo la pena di tentare la salita? E se qualcuno tentasse di liberarli e di portarli in alto ed essi potessero afferrarlo o ucciderlo,
non credi forse che lo ucciderebbero?"
"Lo ucciderebbero certamente, disse."

"Mio caro Glaucone, ripresi, adesso bisogna applicare esattamente questo racconto ai discorsi che facevamo prima. Dobbiamo
paragonare il mondo visibile alla caverna e l'effetto del sole alla luce del fuoco da cui la caverna è illuminata. Quanto alla salita
verso il mondo superiore e alla contemplazione delle sue meraviglie dobbiamo vedervi la salita dell'anima verso il mondo
intelligibile. Così tu non mancherai di conoscere il mio pensiero, perché desideri conoscerlo, e Dio sa se è vero. In ogni caso è mia
opinione che agli estremi limiti del mondo intelligibile vi sia l'idea del bene, a cui possiamo arrivare con molta fatica ma che non
può essere contemplata senza concluderne che si tratta della causa universale di tutto ciò che vi è di bene e di bello; che nel mondo
visibile è ad essa che si deve la luce e la fonte della luce; e che nel mondo intelligibile è questa idea a dare verità e intelligenza e che
bisogna vederla per comportarsi con saggezza sia nella vita privata che nella vita pubblica."
"Sono della tua opinione, disse, almeno per quel che posso seguire il tuo pensiero."
"Quindi, ripresi, sei ancora del mio parere su questo punto: non è certo strano che coloro che si sono elevati fin lassù non siano più
disposti a occuparsi dei problemi degli uomini: le loro anime aspirano a vivere continuamente a quelle altezze. E questo è naturale,
se ci riferiamo su questo punto alla nostra allegoria.
"In effetti è naturale", rispose.
Ma, ripresi, ti meraviglieresti se, passando dalla contemplazione di queste cose divine alle povere realtà della vita umana, il filosofo
finisse col fare brutte figure, ed anche ridicole, se, avendo ancora la vista debole e non essendo ancora sufficientemente abituati alle
tenebre in cui si è finiti, fosse portato in tribunale da qualcuno a far causa su qualche ombra della giustizia o sulle immagini prodotte
da queste ombre? Oppure se dovesse combattere le interpretazioni che di queste apparenze dà chi non ha mai visto la giustizia in
sé?"
"In effetti non ci sarebbe niente da meravigliarsi."
"Ma a ben rifletterci, dissi, dovremmo ricordarci che gli occhi hanno subito due diversi danni, per cause opposte: per il passaggio
dalla luce all'oscurità e per quello dall'oscurità alla luce. Allora bisognerebbe riflettere se queste due situazioni si applicano anche
all'anima: quando si incontra un'anima dubbiosa e incapace di discernere il proprio oggetto, piuttosto che ridere senza ragione
bisognerebbe chiedersi se non stia arrivando da una vista più luminosa e, priva di abitudine, non sia offuscata rivolgendosi
nuovamente alle tenebre; oppure se venendo dall'ignoranza alla luce, non sia abbagliata da uno splendore troppo grande. Nel primo
caso dovremmo felicitarci per la sua situazione e per la vita che conduce; nell'altro dovremmo compatirla, e se volessimo ridere di
lei, avremmo qualche giustificazione in più che se ridessimo di quella che ridiscende dalla luce."
"Ecco una distinzione molto giusta."

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"Bisogna dunque, ripresi, se tutto questo è vero, trarne la conclusione che l'educazione non è affatto come alcuni la descrivono; essi
pretendono infatti di mettere la scienza nell'anima che non ce l'ha ancora, come se mettessero la vista in occhi ciechi."
"E' vero, dicono così."
"Ora, il discorso che abbiamo fatto dimostra che ogni anima ha in se stessa una certa capacità di apprendere e un organo che glielo
consente, e che come un occhio non potrebbe rivolgersi dall'oscurità alla luce se tutto il corpo non vi si rivolgesse, allo stesso modo
quest'organo deve essere distolto dalle cose mortali insieme con l'anima tutta intera, finché non diventi capace di reggere la vista
dell'essere e della parte più brillante dell'essere, che è quella che noi chiamiamo il bene. Non è così?"
"Certo."
"L'educazione, ripresi, è quindi l'arte di ben dirigere quest'organo e di trovare il metodo più facile e più efficace per farlo; essa non
consiste nel mettere la vista nell'organo, perché questo la possiede già. Ma mentre prima era mal diretto e guardava altrove rispetto a
dove avrebbe dovuto, adesso si è verificata una conversione."
"Così sembra, disse."
"Ora, possiamo ammettere che quelle che chiamiamo facoltà dell'anima siano analoghe alle facoltà del corpo; è vero che quando
esse mancano, è possibile acquisirle in seguito per via di abitudine ed esercizio; ma ce n'è una, la facoltà di conoscere, che sembra
proprio appartenere a qualcosa di più divino, a qualcosa che non perde mai il suo potere: a seconda della direzione che si dà ad essa
diventa utile e vantaggiosa o inutile e dannosa. Non hai ancora notato a proposito delle persone cattive come il loro povero spirito
abbia vista penetrante e distingua nettamente le cose verso cui è diretto? Infatti la loro vista non è debole, ma è costretta a mettersi al
servizio della loro cattiveria: e così più queste persone hanno la vista penetrante, più fanno del male."
"E' proprio così, disse."
"E quindi, ripresi, bisognerebbe che sin dall'infanzia si agisse conformemente alla natura dell'anima e si eliminassero, se così posso
dire, quei pesi di piombo che appartengono alla famiglia del divenire e sono legati all'anima attraverso i legami delle feste, dei
piaceri e dei desideri di questo genere, costringendo così la vista verso il basso. Se infatti, liberatasi da questi pesi, la si rivolgesse
verso la verità, questa stessa anima dello stesso uomo vedrebbe la verità con la più grande chiarezza, così come adesso vede le cose
verso cui è orientata."
"E' verosimile, disse."
"E non è anche verosimile, ripresi, e non segue forse necessariamente da quello che abbiamo detto che né le persone senza
educazione e senza conoscenza della verità, né quelle che hanno passato tutta la loro vita negli studi sono adatti al governo degli
Stati? I primi perché non hanno nella loro vita alcun ideale a cui possano rapportare tutti i loro atti, privati e pubblici; gli altri perché
non acconsentiranno ad occuparsene, loro che in vita credono di essere già presso le isole beate."
"E' vero."
"Sta dunque a noi, fondatori dello Stato, obbligare gli uomini migliori a dirigersi verso la scienza che abbiamo riconosciuto prima
come la più sublime di tutte, e cioè la visione del bene, e a compiere l'ascesa di cui abbiamo prima parlato. Ma quando, pervenuti a
questa regione superiore, essi avranno a sufficienza contemplato il bene, guardiamoci dal consentir loro quel che oggi è loro
concesso."
"Di che si tratta?"
"Di restare lassù, risposi, e di non voler più tornare verso voi prigionieri; di non farci prender parte al loro lavoro e ai loro onori,
piccoli o grandi che siano."
"Ma allora, disse, non lederemo i loro diritti costringendoli a vivere una vita meschina quando potrebbero godere di una condizione
più felice?"
"Amico mio, tu dimentichi una cosa, ripresi, che la legge non ha l'obiettivo di assicurare una felicità eccezionale a una sola classe di
cittadini, ma di cercare di realizzare la felicità per la città tutta intera, unendo i cittadini sia con la persuasione sia con la costrizione e
guidandoli a mettersi gli uni al servizio degli altri per quel che ciascuna classe è capace di fare per la comunità. Se la legge intende
formare nello Stato simili cittadini, non è perché possano orientare la loro attività dove più piace, ma perché insieme possano
concorrere a rendere forti i legami dello stato."
"Hai ragione, l'avevo dimenticato."
"Ora, Glaucone, ripresi, osserva anche il fatto che non saremmo ingiusti verso i filosofi che si sono formati presso di noi e che
avremmo buone ragioni per obbligarli a farsi carico della condotta e della difesa degli altri. Infatti potremmo dire loro: ?Negli altri
Stati è naturale che coloro che si elevano fino alla filosofia non prendano parte alle seccature della politica, perché essi si formano da
sé senza l'intervento dei loro rispettivi governi; ora quando ci si forma da sé e non si deve a nessun altro il proprio nutrimento, è
giusto che non si debba nessun risarcimento a nessuno. Ma voi siete stati formati nell'interesse dello Stato così come nel vostro per

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essere i capi e i re, come avviene negli alveari, e noi vi abbiamo dato un'educazione migliore e più completa di quella dei filosofi
stranieri e vi abbiamo reso più capaci degli altri di legare la filosofia alla politica. Voi dovete dunque, ciascuno a un suo turno,
ridiscendere nella dimora comune a tutti e abituarvi nuovamente a guardare verso le ombre oscure perché, una volta abituati
all'oscurità, diverrete mille volte migliori degli altri e riconoscerete ciascuna immagine e ciò che essa rappresenta perché avete già
visto veri esemplari del bello, del giusto e del bene. Così la nostra Costituzione diventerà una realtà per voi e per noi, e non un
sogno, come nella maggior parte degli Stati di oggi in cui i capi combattono tra loro per delle ombre e lottano per il potere come se
fosse un gran bene. Ecco invece qual è la verità: lo Stato in cui il potere è riservato a coloro che sono meno interessati a ottenerlo è
necessariamente il migliore e quello governato più saggiamente. Accade il contrario negli Stati regolati in maniera opposta.'"
"E' proprio vero, disse."
"Ebbene, secondo te i nostri allievi rifiuteranno di arrendersi a questi ragionamenti? Non acconsentiranno a prender parte al lavoro
politico quando toccherà a loro, passando per il resto la maggior parte del loro tempo gli uni con gli altri nel mondo delle pure idee?"
"Non si rifiuteranno di certo, disse. Queste persone sono giuste e noi non domandiamo loro nient'altro che il giusto. Certo però
ciascuno di loro non prenderà il comando che per dovere, al contrario di quelli che oggi governano negli Stati."
"Questa è la verità, mio caro amico, replicai. Se tu scopri per coloro che devono comandare una condizione migliore del possesso del
potere, avrai trovato il mezzo per avere uno Stato ben governato. Infatti soltanto in questo Stato comanderanno coloro che sono
veramente ricchi, non in oro ma in virtù e in saggezza, che sono le ricchezze davvero necessarie alla felicità; ma là dove dei pezzenti
e delle persone avide di ricchezza personale ottengono il controllo degli affari pubblici, finiranno per fare i loro interessi. E allora,
non è possibile avere un buon governo perché combatteranno fra loro per il potere e questa guerra tra cittadini, una guerra interna,
perderà tutti: sia loro sia lo Stato."
"Niente di più vero, disse."
"Conosci forse un'altra condizione diversa da quella del vero filosofo per ispirare il disprezzo del potere?"
"No, per Zeus, disse."
"Ora è certamente bene che non si cerchi il potere con passione; altrimenti ne nasceranno rivalità e conflitti."
"Senza dubbio."
"E a chi daremo il compito di dirigere lo Stato se non a coloro che, meglio istruiti degli altri sui mezzi per rendere stabile un governo
buono, hanno altri onori ed una vita che preferiscono a quella dell'uomo di Stato?"
"Ad essi soli, rispose."

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