Sardegna: rom e sinti alle prese con la legge Tiziana
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SARDEGNA IL RACCONTO Sardegna: rom e sinti alle prese con la legge Tiziana Cagliari, 23 gennaio 2007. Sono ancora bassi i numeri dell’immigrazione in Sardegna, ma in molte zone dell’interno attività tradizionali come l’agricoltura e la pastorizia riprendono grazie agli stranieri. Il rovescio della medaglia sono i casi di sfruttamento e di caporalato. Non mancano episodi di razzismo. L’assemblea è molto partecipata. Uno dei temi in discussione è l’integrazione dei rom: la legge regionale n. 9 del 1988 resta infatti per lo più inattuata. L’incontro viene introdotto dall’assessore al Lavoro, Maddalena Salerno. In regione sono presenti, secondo i dati Istat 2005, 17.930 stranieri regolari. La nazionalità più rappresentata è quella marocchina, con 3.007 persone. V ivono come in una discarica, ai bordi della statale 554, periferia di Cagliari. Sono più di 150 persone, tra cui trenta bambini. Tutto attorno un cimitero di rifiuti elettronici e di ogni genere. Nell’aria odore di pneu- matici bruciati, per ricavare metalli e fuoco per cucinare. Il campo nomadi è stato aperto nel 1995, grazie ai finanziamenti della legge regionale Tiziana, la n. 9 del 1988. Un paradosso, perché la normativa, se rispettata, consentireb- be di dare ai rom un tetto, maggiore istruzione, possibilità lavorative e occa- sioni di contatto con il mondo gagé. Cioè, l’universo non zingaro, sedentario. UNA NORMA IN CHIARO SCURO Tiziana è il nome di una bambina rom, uccisa da una broncopolmonite fulminante e martoriata dai topi dentro la culla alla fine degli anni 80, pro- prio in un campo alla periferia di Cagliari. Il padre, Nusret Selimovic, di ori- gine montenegrina, reagì facendosi promotore dei diritti della sua gente. L’episodio scosse gli animi e, grazie a una mobilitazione civile e politica, portò all’appro- vazione di una legge a tutela dei nomadi. Il primo anno furono stanziati un miliardo di vecchie lire. «Ma in quasi un ventennio non si è riusciti a supera- re la logica della costruzione di campi di sosta e transito. Servono villaggi, c’è 125
IL RACCONTO SARDEGNA gente che ormai è stanziale da sempre», protesta Carla Osella, presidente dell’Aizo - Associazione italiana zingari oggi. Il testo di legge, in particolare a partire dall’articolo 4, garantisce espressamente anche all’interno dei campi servizi fondamentali, presenza della vigilanza igienica, corrette modalità di gestione del campo, superficie minima dello stesso, possibilità di accesso alle case con scelta sedentaria, iniziative in merito alla scolarizzazione dei bambini e attivi- tà di educazione permanente degli adulti, corsi di formazione e riconversione professionale per una maggiore densità relazionale con chi vive all’esterno. Il vicepresidente di Aizo è un uomo di 64 anni, cappello in testa, carnagio- ne e occhi scuri, un volto attraversato dalle rughe, come in un film di Emir Kusturica. «Mi chiamo Jovanovic Jonco. Sono nato in ex Jugoslavia. Da 37 anni vivo in Italia. Ma non lo posso dimostrare». Gli archivi anagrafici sono andati distrutti durante la guerra e oggi per molti rom slavi è impossibile dimostrare chi sono. Senza più un Paese d’origine, in Italia non sono registra- ti in alcun modo. «E i nostri figli nati qui cosa sono? Fino a 18 anni vanno a scuola come gli altri. Ma poi non possono continuare, non possono fare il militare, niente, perché sono stranieri», prosegue Jovanovic. «Vogliamo che la nostra identità sia riconosciuta. Non è giusto abbassare sempre la testa. Almeno vorremmo una casa: perché continuate a metterci nei campi? Siamo capaci di entrare e uscire da quattro mura». Anche i bungalow di Monserrato, vicino a Cagliari, in realtà sono strutture di passaggio. «Lì però sono stati usati criteri diversi e una maggiore sensibilità per l’individualità di ognuno», dice il professor Gianni Loy, della Fondazione Anna Ruggiu, nata nel 1999 per la tutela dei diritti dei rom e per diffondere la conoscenza delle sue tradizioni culturali. È intitolata alla memoria di una donna scomparsa nel 1998, Anna Ruggiu, ideatrice e animatrice di una scuola per donne romnì nel campo di via San Paolo a Cagliari. Fu il principale impegno della sua vita. Nel 1996 scriveva: «L’obiettivo è contribuire al superamento della barriera tra la popolazione stanziale e le famiglie rom insediate nel territorio. Lavoriamo per la conoscenza reciproca, non per l’acculturazione, non per spingerli ad assu- mere i nostri valori, ma per la comprensione e il rispetto reciproci». ROM E SINTI: UNA GALASSIA IN DUE NOMI Secondo Osella il problema reale sono i documenti. «I romá xoraxané, il gruppo più consistente in Sardegna, hanno capito che di elomosina non si può vivere, ma per lavorare devono essere in regola». Sono musulmani, ven- gono dalla Bosnia Erzegovina e dal Montenegro, tradizionalmente lavoratori 126
SARDEGNA IL RACCONTO di metalli e legno. Poi ci sono i dassikané, cristiani ortodossi, meno numero- si, arrivati anche loro dall’ex Jugoslava negli anni 70 passando da Piemonte, Lombardia e Lazio. Fino a prima delle guerre balcaniche iniziate nel 1991, i romá cagliaritani tornavano regolarmente nelle località di provenienza. Andavano a visitare i parenti, partecipavano ai matrimoni, magari per videoregistrarli e mostrarli poi in Italia, o portavano le salme per la sepoltura in Jugoslavia. Oggi non succede più. I sinti, nomadi giocolieri, artisti del circo e giostrai, sono il gruppo più esiguo e sconosciuto alla maggioranza dei sardi. Sono di origine mitteleuropea e cattolici. Pochi i profughi delle guerre in ex Jugoslavia. Lo stesso vale per i rom romeni. In Sardegna i nomadi sono circa mille, sparsi in tutte le province. In Europa sono circa 9 milioni, come rileva il dossier Caritas/Migrantes 2006. Il gruppo più numeroso vive in Romania: 1,5 milioni. Secondo l’Opera Nomadi in Italia sono circa 150mila, di cui 70mila con cittadinanza italiana, gli altri sono stranieri o apolidi. Il gruppo più numeroso vive a Roma, 7.900 esclusi i rom romeni. Le prime notizie sull’arrivo degli zingari in Italia risalgono al XV secolo. In un documento del 1422 si parla di una carovana di più di cento persone, con gli animali. La reazione fu di sbalordimento e curiosità, per la bellezza e i colori degli abiti, i tratti somatici dei volti, vissuti ma senza età. L’arte e la magia attraevano la gente. Ma allo stesso tempo il documento li descrive come «la più brutta genia che mai fosse stata in quelle parti, magri e neri e mangiavano come porci». Iniziarono le accuse per furto e addirittura antropofagia, soprattutto di bambini. E una storia di conflitti tra culture diverse, due modi opposti di vedere il mondo, zingaro e gagé. Fino al tentativo di sterminio nazista, con l’uccisione di almeno 500mila persone. A Cagliari, prima dell’apertura del campo sosta della 554, vivevano circa 800 rom, sparsi in diversi insediamenti abusivi. Quelli della zona di via San Paolo, ben visibili sulla strada dall’aeroporto, non erano considerati un buon biglietto da visita da mostrare ai turisti. Allora si decise di costruire un cam- po di sosta e transito, sempre in periferia. La struttura è divisa in due parti, nella prima dovrebbe stare chi decide di fermarsi per non più di un anno, la seconda sarebbe per il transito, cioè per chi è solo di passaggio. Ma la distinzione è solo formale. Qui vivono bambini nati a Cagliari e adulti arrivati anche trent’anni fa, ormai del tutto sedentarizzati. C’è chi si sposta per diversi mesi e poi torna, a meno che non trovi una vita migliore da 127
IL RACCONTO SARDEGNA qualche altra parte. Ma per lo più si muovono in zone limitrofe, ci stanno quattro, cinque giorni, dipende se le cose vanno meglio o peggio, poi torna- no negli insediamenti abituali. Decidono la sera e partono la mattina, senza pensarci due volte e senza avvertire. Marito, moglie, figli, il nucleo familiare ristretto. Cercano nuovi spazi e nuovi gagé per la sussistenza, la vendita di prodotti in rame e chi vuol farsi leggere la mano. Oppure si spostano anche per i litigi tra famiglie. Se succede, uno dei due gruppi deve lasciare il campo immediatamente per evitare la rissa e magari l’intervento delle forze dell’ordi- ne. Un motivo di litigio è se un uomo si intromette in una disputa tra mari- to e moglie. Ci sarebbe subito il sospetto di una relazione tra i due, quindi solo una donna può intervenire. In primavera o d’estate succede che partano più famiglie dello stesso parentado, soprattutto verso il Piemonte o la Lombardia. La creazione del campo di sosta e transito sulla 554 e gli sgomberi hanno ridotto la presenza dei rom a Cagliari a meno della metà e nonostante questo non c’è spazio per tutti. Costruito come un campeggio, con piazzole troppo piccole e servizi igienici centralizzati, l’insediamento è nato tra mille polemiche ancora non risolte. Ad esempio, non si è tenuto conto che di solito le abitazioni hanno ciascuna uno spazio esterno, variabile a seconda del vicinato. La distanza tra un cortile e l’altro, infatti, riflette la struttura della parentela. I confini sono vicini e tendono a sparire tra genitori e figli, o tra fratelli, a meno che non ci siano litigi in corso e allora prevale l’evitarsi a vicenda e si va a vivere lontani. Nella costruzione del campo della 554 non si è considerato nemmeno che i gruppi che abitavano nei diversi insediamenti abusivi di Cagliari erano in realtà anche in conflitto tra loro e non avrebbero potuto vivere a così stretto contatto. Chi viveva in via San Paolo veniva dal Montenegro, gli altri, che stavano in via Cornalias, Simeto e San Simone, erano originari della Bosnia Erzegovina e Krajina. Hanno usi e costumi diversi e non si parlano. Così, il giorno dell’inaugurazione si è festeggiato in tavoli separati. Inoltre il campo è stato recintato, messo sotto controllo, con un regolamento non condiviso ma imposto dall’alto. Il risultato è che il progetto è abbandonato a sé stesso, il livello di vita è tra i peggiori, le strutture sono rovinate e quelli che ci vivono sempre in contrasto tra loro. «Però ancora oggi ti chiedono il documento per entrare. È inconcepibile, quando ci vado faccio finta di non sentirli ed entro, possibile che non si possa andare liberamente a visitare un amico?», commen- ta scandalizzata Osella. 128
SARDEGNA IL RACCONTO È dello stesso parere il professor Loy. «I fondi della legge Tiziana sono sta- ti usati per mettere il campo sotto sorveglianza notte e giorno. L’obiettivo non è certo il rispetto dell’individualità. Intanto gli anni passano e tutto rimane ugua- le. I servizi igienici sono in comune, sporchi, insufficienti, mal tenuti. Così l’elet- tricità, senza adeguate misure di sicurezza». Diverse ricerche dell’università di Cagliari dimostrano che i piccoli rom finiscono più spesso degli altri bambini al Pronto soccorso, soffrono di problemi alle vie respiratorie e dermatiti, le donne hanno gravidanze difficili, aborti, parti prematuri. Alberto Melis, anche lui membro della Fondazione Anna Ruggiu, descri- ve il campo di Selargius, comune del cagliaritano, come altro esempio di ghet- to, lontano sei chilometri dal centro abitato e costruito su un ex inceneritore di rifiuti. Le baracche stanno attaccate alla struttura dismessa e in parte sopra una collinetta, antico ammasso di rifiuti coperto di terra. ROM IN CLASSE, LA RICETTA DI MONSERRATO In sei anni la Fondazione Anna Ruggiu ha erogato trenta borse di studio per ragazzi e soprattutto ragazze rom che frequentano le scuole medie e superiori. Infatti, ormai l’istruzione elementare si dà quasi per scontata. Molte borse le hanno vinte studenti del comune di Monserrato. Qui dieci anni fa è nato un piccolo campo per una decina di famiglie di romá xoraxa- né. Vivono in casette prefabbricate, dotate di servizi all’interno e pompe di calore. Il regolamento è stato scritto insieme da amministratori e rom. Così oggi il campo è ancora in buone condizioni, chi ci vive paga l’energia elet- trica e rispetta le strutture, considerate come proprie. Osella continua a non considerare sufficiente l’accoglienza di Monserrato, «un lager, con casette piccole dipinte di nero». Ester Mura, fino a due anni fa direttrice scolastica, racconta così l’arrivo dei rom a Monserrato. «Si sono presentati un po’ all’improvviso, da un gior- no all’altro. All’inizio stavano in un accampamento con una sola fontanella a 800 metri. I bambini avevano difficoltà oggettive ad arrivare a scuola puliti. Allora abbiamo predisposto delle docce e ogni mattina le assistenti sociali del Comune venivano a lavare i piccoli rom per farli entrare in classe come gli altri. Gli facevamo anche il trattamento per i pidocchi e davamo un bicchiere di latte caldo e la merenda a metà mattina. Si è creata una rete solidale e i geni- tori hanno risposto creando un guardaroba con vestiti usati. Serviva perché spesso, non avendo acqua, le famiglie rom non lavavano i panni sporchi e risolvevano il problema alla radice, cioè li buttavano». Poi il Comune ha for- 129
IL RACCONTO SARDEGNA nito bungalow con acqua e luce. I bambini potevano arrivare a scuola lavati come gli altri, e i salesiani li portavano in colonia d’estate. Alcuni di loro han- no terminato le superiori. «Valentino aveva 12 anni quando è entrato in clas- se la prima volta. Ma è un ragazzo molto intelligente, ha imparato in fretta e oggi ha un diploma di informatico. Poi la difficoltà è trovare lavoro, per i pre- giudizi ancora molto radicati nei confronti dei rom», racconta l’ex direttrice Mura. «Chi studia ha spesso problemi d’identità. Non si inseriscono completamen- te nella società stanziale e allo stesso tempo non sono più come gli altri. Sono soprattutto le ragazze ad avere difficoltà. Oltre alle normali crisi adolescenzia- li, vivono anche un conflitto identitario. Magari si vestono come le altre, fre- quentano i compagni, ma poi si vergognano di vivere nei campi nomadi». Per cercare di superare questa difficoltà, la scuola ha invitato alcune mamme a fare lezione di danze e musica rom, anche in collaborazione con una compa- gnia teatrale impegnata in spettacoli con i diversi. Monserrato però resta un caso isolato. «La legge Tiziana ha almeno il meri- to di aver smosso la situazione, altrimenti forse nulla sarebbe cambiato dalla fine degli anni 80», commenta Osella. Il 17 gennaio scorso l’Unione Sarda, il quotidiano più diffuso in Sardegna, dava notizia del trasferimento di 160 per- sone a Piandanna, vicino Sassari, in case-container lunghe 12 metri e larghe due e mezzo. Il nuovo campo, affacciato sulla strada per Ittiri, è separato da una recinzione, da un lato ci stanno i musulmani, dall’altro gli ortodossi. Dopo sei anni i nomadi lasciavano il campo “provvisorio” di Truncu Reale, dove vivevano senza luce né acqua. Ma a soli tre giorni dal traferimento, sono emersi i primi problemi. Dagli spazi ridotti e poco sfruttabili, corridoi più che case, al pavimento dei bagni che sta già cedendo. Nelle piazzole davanti ai container i rom ortodossi vorrebbero almeno rea- lizzare piccole verande, da utilizzare come soggiorni e cucine. «Lo spazio trop- po stretto dentro le casette ci impedisce di sfruttarle al meglio. E per raggiun- gere i bagni è necessario passare sulla terra, in questo modo si sporcano in continuazione sia le case che i bagni», spiega Zoran Iancovich, rappresentan- te dei nomadi ortodossi. E Nenad Jancovic si lamenta: «Io ho tre figli e alla mia famiglia è stato assegnato lo stesso container dei miei genitori. In tutto siamo dieci e chiaramente non ci stiamo. Ho chiesto di poter costruire una baracca accanto al container, ma i funzionari dell’assessorato mi hanno detto che non è possibile». Assieme alla legge Tiziana, anche il messaggio del premio Nobel per la let- 130
SARDEGNA IL RACCONTO teratura Günther Grass resta per lo più inascoltato: «Lasciate che un milione di rom e sinti vivano tra noi. Ne abbiamo bisogno. Potrebbero aiutarci a scompigliare un po’ del nostro ordine rigido. Potrebbero insegnarci quanto prive di significato sono le frontiere: incuranti dei confini i rom e i sinti sono di casa in tutta Europa. Sono ciò che noi proclamiamo di voler essere: citta- dini d’Europa. Forse ci servono proprio coloro che temiamo tanto». In Italia, i Rom e Sinti sono circa 140mila, per questo alla fine dello scor- so anno, esattamente il 20 dicembre, presso il Ministero della Solidarietà sociale è stato inuagurato il “Tavolo Rom e Sinti”. Un tavolo di lavoro e di confronto che coinvolge tutti i soggetti interessati: la rappresentanza delle popo- lazioni Rom e Sinti, le associazioni, le Regioni, le Provincie e le municipalità. «Un tavolo partecipato e vivace che premette di ragionare insieme allo scopo di superare le emergenze», assicura Massimo Pasquini, capo segreteria del Ministro della Solidarietà sociale. E con le emergenze, magari, anche la logi- ca dei “campi”. ALL’INCONTRO, TRA GLI ALTRI, HANNO PARTECIPATO: Centro russofono; Cisl; Tavolo coordinamento associazioni datoriali Sardegna; Ab- dou Ndjaye, membro della Consulta regionale degli immigrati; Mario Matta, asses- sore al Lavoro della Provincia di Oristano; Cgil; Associazione marocchini in Sarde- gna; Carla Medau, assessore al Bilancio e Finanza della Provincia di Cagliari; Uil; Comunità indo-pakistana di Cagliari; Salvatore Marino, assessore al Lavoro della Provincia di Sassari; Marco Zurru, università di Cagliari; Associazione il Samarita- no; Romina Congera, assessore al Lavoro della Provincia dell’Ogliastra; Associa- zione sarda per l’amicizia e cultura cinese; Comunità del Benin in Italia; Velio Urtu, assessore al Lavoro della Provincia del Medio Campidano. 131
LA REGIONE SARDEGNA Grazie agli immigrati salveremo il nostro saldo demografico di Renato Soru, presidente Regione autonoma Sardegna C redo che si parli troppo poco di un fatto fondamentale: la Sardegna è all’ultimo posto in Italia nel tasso di natalità. Se questo andamento dovesse proseguire, l’Istat ci dice che nel 2050 la Sardegna passerà da un milione e 650mila abitanti a un milione e 300mila. E non è soltanto il centro della Sardegna che si sta spopolando: ma l’intera isola. Dobbiamo dedicare tutta l’attenzione necessaria a questo problema rilevante. E allora, la comunità politica ha il dovere in Sardegna, e anch’io me ne farò parte, di avviare con attenzione questo discorso: dando maggior garanzia, maggior sicurezza ai nostri giovani, stimolandoli, aiutando le famiglie, aiutando la natalità, ma anche favorendo una politica di immigrazione legale in Sardegna. Favorendo l’accoglienza di cittadini mediterranei affinché possano vivere in pace e felicemente in Sardegna. L’abbiamo segnalato al precedente governo che viviamo in maniera penalizzante il limite numerico della possibilità di immigrazione nella nostra regione. Addirittura nelle campagne dell’interno abbiamo questo problema e abbiamo questo problema nelle famiglie. Lo chiediamo ancora all’attuale governo di autorizzare una politica di immigrazione in Sardegna. Io spero che sempre più persone che non sono ancora cittadini italiani, ma residenti nelle nostre comunità e che ancora non votano, possano al più presto avere il diritto di voto. È solo dall’essere a pieno titolo rappresentanti di una comunità, e dal voto, che passa una migliore integrazione e un migliore vivere assieme. La Regione autonoma a statuto speciale della Sardegna ha delle competenze specifiche in materia di enti locali, e credo che sia un dovere della nostra comunità analizzare che cosa possiamo fare perché all’interno dello statuto della Sardegna - della legge statutaria che è in discussione in queste settimane in Consiglio regionale, ma anche della legge su gli enti locali della Sardegna - sia prevista la possibilità di dare molto velocemente il diritto di voto ai residenti in Sardegna. Va ricordato che noi stessi, i nostri genitori, i nostri zii, i nostri vicini di casa, hanno vissuto lo stesso problema, in maniera contrapposta, quando erano in Svizzera, quando erano in Germania, quando erano lontano da casa, e lo vivevano con sofferenza, e credo che abbiamo buona memoria per ricordarcelo. Il tema dell’immigrazione è quindi il tema dei diritti degli immigrati. Io spero che in tempi molto brevi potremo dare risposte diverse. 132
SARDEGNA I NUMERI Stima soggiornanti stranieri regolari per provincia PROVINCE 1995 2005 incidenza % di cui % di cui % minori donne CAGLIARI 3.020 9.014 16,6 50,1 1,2 NUORO 1.147 2.272 16,7 46,5 0,9 ORISTANO 353 1.152 18,5 61,3 0,7 SASSARI 3.359 7.517 18,6 54,0 1,6 totale SARDEGNA 7.879 19.955 17,4 51,7 1,2 totale ITALIA 729.159 3.035.144 19,3 49,9 5,2 Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2006, Caritas Secondo l’Istat la popolazione straniera residente in Sardegna è di 17.930 persone. Di seguito le prime cinque nazionalità rappresentate al 31 dicembre 2005 MASCHI FEMMINE TOTALE MAROCCO 1.884 1.123 3.007 SENEGAL 1.595 191 1.786 CINA 884 775 1.659 GERMANIA 497 627 1.124 UCRAINA 75 626 701 Fonte: Istat 133
I NUMERI SARDEGNA Occupati per attività lavorative (dati Inail 2005) SETTORI ATTIVITÀ totale di cui stranieri AGRICOLTURA 10.025 600 PESCA 988 49 ESTRAZIONE MINERALI 2.949 78 INDUSTRIA 52.959 1.623 di cui tessile 2.611 155 di cui conciaria 272 31 di cui metallurgica 10.238 299 di cui meccanica 3.661 95 ELETTRICITÀ GAS ACQUA 3.869 60 COSTRUZIONI 49.663 1.594 COMMERCIO 51.248 1.834 ALBERGHI E RISTORANTI 37.938 2.626 TRASPORTI 19.993 745 INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA 6.768 83 SERVIZI ALLE IMPRESE 48.499 1.797 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 34.771 513 ISTRUZIONE 9.677 254 SANITÀ E ASSISTENZA SOCIALE 13.660 434 SERVIZI PUBBLICI 17.913 660 ATTIVITÀ SVOLTE DA FAMIGLIE 2.646 401 ATTIVITÀ NON DETERMINATE 15.403 495 totale SARDEGNA 378.969 13.846 totale ITALIA 17.399.586 2.078.396 Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2006, Caritas 134
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