Ristoratori in affanno per l'assalto di kebab e take away: resiste la colazione al bar - Format Research
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Ristoratori in affanno per l'assalto di kebab e take away: resiste la colazione al bar Il rapporto annuale di Fipe-Confcommercio fotografa le difficoltà ma anche i passi in avanti del settore, che è comunque in crescita: 336 mila aziende, una su tre gestita da donne e l'11,6% da cittadini stranieri di ROSARIA AMATO 22 Gennaio 2020 (ansa) ROMA - La crisi non ferma la colazione al bar e il pranzo al ristorante. Anzi l'abitudine di mangiare fuori casa si consolida, anche se la ristorazione tradizionale soffre per la concorrenza di paninoteche, kebab e finti take away che operano in spazi minimi, con pochissimo personale e servizi ridotti all'osso. Nel 2019, rileva la Fipe-Confcommercio nel Rapporto annuale, gli italiani hanno speso lo 0,7% in più sul 2018 per mangiare fuori casa. Una tendenza che si è consolidata negli ultimi dieci anni: la crescita decennale è stata di 4,9 miliardi di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro di consumi alimentari a casa. "Siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere l'occupazione e contribuiamo alla tenuta dei consumi alimentari", rivendica il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani. Pur mangiando al bar o al ristorante, gli italiani non rinunciano alla qualità, e fanno attenzione agli sprechi. Il 68,1% dei clienti si informa sulla provenienza geografica dei prodotti, il 58,5% sui valori nutrizionali dei piatti e il 54,5% sull'origine e la storia di una ricetta. Sempre maggiore
attenzione si presta inoltre alla sostenibilità ambientale: conta per sette consumatori su dieci. Per il 37,7% dei clienti è importante che i ristoranti portino avanti politiche contro lo spreco alimentare dando la possibilità ai clienti di portare a casa la parte di pietanze non consumate, per il 36,7% è importante l'uso di materie prime provenienti da allevamenti sostenibili, mentre per il 33,3% è importante limitare l'uso della plastica. Solo meno di un italiano su tre rimane totalmente indifferente di fronte a questo tipo di politiche sostenibili. Lo zoccolo duro del pasto fuori casa è la colazione al bar: è un'abitudine giornaliera per oltre cinque milioni di persone. Altrettante le persone che pranzano fuori casa, un numero che probabilmente è collegato anche agli impegni di lavoro. Mentre la cena non è una consuetudine giornaliera ma di uno, due giorni la settimana: riguarda comunque un numero elevato di italiani, circa 10 milioni, il 18,5% della popolazione. Cena invece fuori casa almeno una volta al mese il 62,5% degli italiani. E se in un caso su tre si La spesa per i pasti fuori casa è passata dagli 84,3 miliardi di euro del 2018 agli 86 del 2019. Il mercato italiano della ristorazione è il terzo più grande in Europa, dopo Gran Bretagna e Spagna. Impiega 1,2 milioni di addetti di cui il 52% donne e un gran numero di giovani, con un trend di crescita consistente, in dieci anni è stato del 20%. Tuttavia il settore ha una produttività decisamente bassa (il 41% in meno) anche rispetto al modesto standard italiano. E nel corso degli ultimi dieci anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di 9 punti percentuali. Inoltre le aziende del settore mostrano un'elevata mortalità. dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti. Circostanze che hanno aperto la porta a una diffusione sempre maggiore di locali a basso costo. https://www.repubblica.it/economia/2020/01/22/news/ristoratori_in_affanno_per_l_assalto_di_kebab_e_take_away_resiste_la_colazione_al_bar-246340355/
Boom del kebab e i bar chiudono di Damiana Verucci 22 gennaio 2020 In una città dove i turisti vanno molto più volentieri al ristorante piuttosto che a fare shopping, la vera sorpresa sono i bar che cedono lo scettro alle paninerie, kebaberie ed esercizi simili. Negli ultimi dieci anni, secondo il rapporto Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) presentato ieri, sono calati del 6 per cento solo nel centro della città. Un dato che preoccupa perché il bar è da sempre una delle articolazioni forti della rete dei pubblici esercizi e nel Lazio, insieme a Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Campania, si concentrano ben i due terzi delle imprese del settore. La concorrenza di esercizi che propongono pasti veloci e a poco prezzo è stata in questi anni a dir poco spietata e sebbene resista la tradizione della colazione al bar, non si vive di soli cappuccini e cornetti. Quindi, la redditività per chi ha scelto questa forma di impresa, nel tempo, si è decisamente abbassata. A resistere, invece, sono i ristoranti sebbene il loro numero «abbia raggiunto livelli tali da considerare più che saturo il comparto almeno per quanto riguarda il centro storico», spiega Luciano Sbraga, vicedirettore Fipe. Dal 2008 al 2019 proprio nei vicoli e nelle piazze più «preziose» della città i ristoranti con servizio (a tavolo, si intende) sono aumentati del 43,5 per cento mentre nel resto della città si è superata quota 60 per cento. Ancora meglio hanno fatto i take away: +57,3 per cento in centro; +42,3 per cento altrove. Bene anche... https://www.iltempo.it/roma-capitale/2020/01/22/news/bar-chiudono-roma-kebab-commercio-ristoranti-cappuccino-cornetto-fipe-1269427/
Come sta la ristorazione italiana? Il rapporto 2019 di Fipe con numeri, luci e ombre del settore FIPE RACCOGLIE COME OGNI ANNO I DATI SULLO STATO DI SALUTE DELL'IMPRENDITORIA DELLA RISTORAZIONE. AUMENTANO LE ATTIVITÀ REGISTRATE, MA ATTENZIONE AL TURNOVER, LA MORTALITÀ DELLE IMPRESE DI SETTORE E MOLTO ELEVATA. 22 Gen. 2020, 12:00 | a cura di Livia Montagnoli Aumenta il numero dei ristoranti. Ma molti chiudono Chiuso il bilancio dell’anno appena finito, la Fipe condivide i dati del consueto Rapporto annuale sullo stato dell’arte della ristorazione nazionale. Come sempre, i risultati – in prima battuta decisamente lusinghieri – nascondono la compresenza di luci e ombre. A cominciare dal numero di attività censite nel 2019 nel settore dell’imprenditoria della ristorazione, in crescita rispetto all’anno precedente. E però, alle 336mila impreseregistrate sul territorio nazionale, fa da contraltare l’elevato turnover, che evidenzia l’emergenza più preoccupante per gli addetti ai lavori: per tanti ristoranti che aprono, molti concludono la propria
esperienza anzitempo. È ancora troppo elevato, insomma, il tasso di mortalità imprenditoriale: dopo un anno di attività chiude il 25% dei ristoranti; dopo 3 anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Imprenditoria femminile, under35 e investimenti stranieri Positivo, invece, il dato sull’iniziativa femminile – quasi un’attività di ristorazione su tre è gestita da donne, per una cifra che supera le 112mila insegne – e sugli investimenti degli stranieri, che coprono l’11,6% delle attività totali (45mila imprese); oltre 56mila, invece, sono le imprese gestite da under35. Le abitudini di consumo. Come scelgono un ristorante i clienti? Al contempo, il rapporto indaga tra le abitudini di consumo degli italiani, che determinano il successo (o meno) di chi opera nella ristorazione. Gli italiani amano mangiare fuori, e anzi, investono sempre di più per soddisfare questa voglia: in 10 anni la spesa per mangiare fuori casa è aumentata di 4,9 miliardi; e nel 2019 l’oscillazione a rialzo si è attestata sull’0,7%, per un totale di 86 milioni di euro di spesa. Ma in che direzione si orientano i consumatori? Territorialità, sostenibilità e convenienza sono gli asset privilegiati: • Al ristorante gli italiani cercano soprattutto i prodotti del territorio: 7 consumatori su 10 prestano attenzione alla provenienza delle materie prime e il 54% di loro vuole conoscere le origini dei piatti. Oltre il 58%, invece, si informano sui valori nutrizionali dei piatti. • Il 62,5% degli intervistati cena fuori almeno una volta al mese: spesso si punta sulla pizza ma in un caso su tre la spesa media è di poco inferiore ai 30 euro a persona. • 7 consumatori su 10 prestano attenzione alle politiche green dei ristoranti: il 37,7% verifica se è disponibile la doggy bag contro gli sprechi di cibo e il 36,7% chiede prodotti provenienti da allevamenti sostenibili. La ristorazione fa bene all’agroalimentare e all’occupazione Il comparto della ristorazione, oggi, traina la filiera agroalimentare, acquistando prodotti alimentari per un totale di 20 miliardi di euro, e creando un valore aggiunto superiore ai 46 miliardi, il 34% del valore complessivo dell’intera filiera. E assicura, al contempo, uno sbocco occupazionale importante: nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di addetti di cui il 52% donne e in maggioranza giovani. In 10 anni la crescita è stata del 20% (anche se il dato rispetto al 2018 è stabile).
Le criticità. L’anarchia nei centri storici Le principali criticità, invece, riguardano da vicino la situazione di concorrenza sleale che vige nei più noti centri storici italiani: “I costi di locazione sono diventati insostenibili, il servizio richiede personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a cominciare dalla Tari, sono sempre più pesanti” spiega Lino Stoppanianalizzando la contingenza “La scorciatoia è fatta da attività senza servizio, senza spazi e con personale ridotto all’osso, ed è favorita da politiche poco lungimiranti delle amministrazioni locali che consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio ‘stesso mercato, stesse regole’ che per noi è alla base di una buona e sana concorrenza”. Così nel corso degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e take away di dubbia qualità (+54,7%), mentre sono diminuiti i bar (-0,5%). Eppure, come testimonia anche il lavoro di Gambero Rosso sulla guida Bar d’Italia, il bar è un presidio importante della cultura gastronomica nazionale. E un numero cospicuo di italiani, circa 5 milioni di persone, lo sceglie quotidianamente per godersi il momento della colazione. Le criticità. L’italian sounding Il fenomeno del plagio e della contraffazione dell’italianità è duro a morire. E non riguarda più solo i prodotti della filiera agroalimentare, ma anche insegne e marchi registrati di ristoranti e pasticcerie, imitati all’estero. Il marchio “ospitalità italiana” è nato per contrastare il fenomeno: il lavoro di certificazione è in corso d’opera, e al momento attesta l’autenticità di circa 2200 insegne sulle oltre 60mila che nel mondo si dichiarano italiane. https://www.gamberorosso.it/notizie/come-sta-la-ristorazione-italiana-il-rapporto-2019-di-fipe-con-numeri-luci-e-ombre-del-settore/
Ristorazione, Fipe: occupazione stabile rispetto allo scorso anno. Il settore batte la crisi con intraprendenza, qualità e sostenibilità 22/01/2020 - Cambiano i ritmi di vita, i luoghi di consumo, gli stili alimentari, ma una cosa è certa: la passione degli italiani per il ristorante e la buona cucina non accenna a tramontare. Al contrario. Se si guarda ai dati messi in fila da Fipe, la Federazione dei Pubblici esercizi, all’interno del rapporto 2019, infatti, si nota come il settore della ristorazione stia conoscendo una stagione estremamente dinamica. Gli italiani infatti non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale. Una marcia in più per un comparto che si muove all’interno di un quadro congiunturale niente affatto semplice, con un 2019 che ha visto il moltiplicarsi di forme di concorrenza sleale nel mondo del food. “Il mondo della ristorazione– sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani – è un grande asset della nostra economia e un patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere l’occupazione e contribuiamo alla tenuta dei consumi alimentari: negli ultimi 10 anni, nonostante la crisi, gli italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, riducendo al contrario la spesa in casa. Merito di un’offerta che cresce in segmentazione dei format commerciali, in qualità dell’offerta gastronomica e in professionalità. I milioni di turisti che arrivano in Italia mettono proprio bar e ristoranti tra le cose che maggiormente apprezzano del nostro Paese.” “Questo – prosegue Stoppani – non è un settore dove si vive di rendita, come dimostra l’altissimo turnover imprenditoriale. I preoccupanti tassi di mortalità delle imprese confermano che ascolto del mercato e innovazione sono processi fondamentali per il successo. Conforta vedere che i nostri imprenditori si stanno dimostrando particolarmente attenti ad alcune nuove tendenze del mercato: sono in prima linea nella lotta allo spreco alimentare e molto sensibili sia al tema della sostenibilità ambientale che a quello della valorizzazione dei prodotti del territorio. Su questo punto giova ricordare che come settore acquistiamo ogni anno 20 miliardi di euro di materie prime alimentari sia dall’industria che dall’agricoltura”. A COLAZIONE E A PRANZO, VINCE IL FUORI CASA Dall’analisi in dettaglio del rapporto 2019, si scopre che ogni giorno circa cinque milioni di persone, il 10,8% degli italiani, fa colazione in uno dei 148mila bar della penisola. Altrettante sono le persone che ogni giorno pranzano fuori casa, mentre
sono poco meno di 10 milioni (18,5%) gli italiani che cenano al ristorante almeno due volte a settimana. Un vero e proprio esercito di persone che nel 2018 ha speso, tra bar e ristoranti, 84,3 miliardi di euro, l’1,7% in più in termini reali rispetto all’anno precedente e che nel 2019 ha fatto ancora meglio, arrivando complessivamente a spenderne 86 milioni. La ciliegina sulla torta di un decennio che ha visto i consumi degli italiani spostarsi al di fuori delle mura domestiche: tra il 2008 e il 2018, infatti, l’incremento reale nel mondo della ristorazione è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa. Una cifra, quest’ultima, che nel 2019 è salita a 8,9 miliardi di euro. Una performance che consente al mercato italiano della ristorazione di diventare il terzo più grande in Europa, dopo quelli di Gran Bretagna e Spagna e che ha ricadute positive sull’intera economia italiana e in particolare sulla filiera agroalimentare. Ogni anno, infatti, la ristorazione acquista prodotti alimentari per un totale di 20 miliardi di euro, andando a creare un valore aggiunto superiore ai 46 miliardi, il 34% del valore complessivo dell’intera filiera agroalimentare. PRODOTTI TRACCIABILI E ZERO SPRECHI Nonostante la sperimentazione degli chef televisivi abbia raggiunto in questi anni livelli record, ciò che attira in maniera sempre più marcata i consumatori all’interno dei ristoranti è la tradizione. Il 50% degli intervistati da Fipe, infatti, cerca e trova nei locali che frequenta un’ampia offerta di prodotti del territorio, preparati con ricette classiche ma non solo. Il 90,7% dei clienti confessa di essersi fatto tentare da piatti nuovi e mai provati, mentre il 60,5% ammette di andare al ristorante anche per affinare il proprio palato. Tutti, o quasi, concordano, però su un punto: è fondamentale sapere ciò che si mangia. Il 68,1% dei clienti quando entra al ristorante, per prima cosa si informa sulla provenienza geografica dei prodotti, il 58,5% sui valori nutrizionali dei piatti e il 54,5% sull’origine e la storia di una ricetta. L’altro elemento che incide sulla scelta di un locale è la sua politica “green”. Sette consumatori su dieci sostengono infatti che sia importante che i ristoranti operino in modo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Il che significa, per il 37,7% degli avventori, che portino avanti politiche contro lo spreco alimentare dotandosi di doggy bag o rimpiattini, per il 36,7% che utilizzino materie prime provenienti da allevameni sostenibili, mentre per il 33,3% che limitino l’uso della plastica. Solo meno di un italiano su tre rimane totalmente indifferente di fronte a questo tipo di politiche sostenibili. UN MARCHIO DOC CONTRO L’ITALIAN SOUNDING Quello dell’Italian sounding è un problema che si sta estendendo sempre più e che ormai non vede coinvolti solo i prodotti italiani. Sempre più numerosi sono infatti i casi di plagio all’estero dei marchi dei principali ristoranti e delle pasticcerie italiane più note. Per questo è stato creato il marchio di riconoscimento “ospitalità italiana”, attraverso il quale il nostro Paese certifica che si tratta di ristoranti che utilizzano prodotti italiani e si ispirano ad autentiche ricette italiane con una forte enfasi sulle cucine del territorio. La presenza è diffusa ovunque, dall’Europa all’Oceania: il Paese con il maggior numero di ristoranti certificati sono gli Stati
Uniti d’America e la prima città è New York. In totale, sugli oltre 60mila ristoranti “all’italiana” presenti nel mondo, solo 2.200 hanno ottenuto questo importante riconoscimento. DONNE, GIOVANI E STRANIERI. SEMPRE PIU’ OCCUPATI NELLA RISTORAZIONE Secondo l’ultimo censimento disponibile, sono 336mila le imprese della ristorazione attualmente attive. Sono 112.441 quelle gestite da donne che scelgono in un caso su due di aprire un ristorante. 56.606 imprese sono, invece, gestite da giovani under 35. Sono infine 45mila le imprese che hanno soci o titolari stranieri. Nel mondo della ristorazione l’occupazione rimane stabile rispetto allo scorso anno (1,2 milioni di dipendenti di cui il 52% donne) ma sul lungo periodo mostra un’impennata notevole, soprattutto rispetto agli altri settori dell’economia nazionale. Negli ultimi 10 anni fa, infatti, i posti di lavoro, misurati in unità di lavoro standard, in bar e ristoranti sono cresciuti del 20%, a fronte di un calo dell’occupazione totale del 3,4%. LUCI E OMBRE Esistono alcune criticità strutturali nel mercato della ristorazione e alcuni fenomeni recenti. Da un lato il settore soffre ancora di un elevato tasso di mortalità imprenditoriale: dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti; dopo 3 anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che fa il paio con la bassa produttività di questo settore: il valore aggiunto per unità di lavoro è di 38.700 euro, il 41% più basso rispetto al dato complessivo dell’intera economia. Nel corso degli ultimi 10 anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di 9 punti percentuali. La novità risiede invece nelle piaghe dell’abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Nei centri storici, nel corso degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e (finti) take away di ogni genere (+54,7%), mentre sono diminuiti i bar (-0,5%). Il pubblico esercizio deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle città più grandi. “Questo – continua il Presidente Stoppani – dipende da una molteplicità di fattori: i costi di locazione sono diventati insostenibili, il servizio richiede personale e il personale costa, gli oneri di gestione, a cominciare dalla Tari, sono sempre più pesanti. La scorciatoia e’ fatta da attività senza servizio, senza spazi e con personale ridotto all’osso, ed è favorita da politiche poco lungimiranti delle amministrazioni locali che consentono a tutti di fare tutto senza il rispetto del principio “stesso mercato, stesse regole” che per noi è alla base di una buona e sana concorrenza. La disparità di condizioni non genera soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso, la sicurezza dei consumatori e la qualità delle nostre città”. https://www.lavorolazio.com/ristorazione-fipe-occupazione-stabile-rispetto-allo-scorso-anno-il-settore-batte-la-crisi-con-intraprendenza-qualita-e-sostenibilita
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