Relazione conclusiva - Iperurbano

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Responsabile procedimento
Ufficio Cultura Spettacolo Politiche Giovanili Turismo Marketing Territoriale - Comune di
Altamura

Coordinamento generale
Donato Colonna, Rosa Lucarelli, Saverio Massaro

Consulenza scientifica
Emma Capurso

Team
Birgit Atzl, Pietro Colonna, Elena Dambrosio, Michele Dambrosio, Pasquale Iacovone,
Alessandro Iacovuzzi, Gianpiero Zaccaria

Progettazione grafica
Giuseppe Incampo

Video-interviste e montaggio video
Piero Crivelli

Riprese video aeree
Giuseppe Casanova

“Interviste informali”
Maria Bruno, Gianni Lucarelli, Gianni Miglionico

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INDICE

   Introduzione

1. Inquadramento metodologico

2. I report delle attività
   2.1. I workshop
   2.2. Le passeggiate

3. Testimonianze
   3.1. Progettualità
   3.2. Memoria storica

4. La strategia di valorizzazione
   4.1. Due itinerari tematici
   4.2. Dieci azioni chiave

5. La rete delle esperienze

Conclusioni

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Introduzione

L’archeologia industriale e l’architettura rurale si possono configurare come una chiave di
lettura della realtà territoriale, grazie alla quale è possibile ricostruire ed interpretare il
passato (ed il presente) di un luogo e della vita della sua comunità, consentendo inoltre di
analizzare le motivazioni e le diverse fasi di sviluppo delle attività produttive.
Questi due elementi sono una valida risorsa a disposizione delle comunità locali al fine di
comprendere come si è venuto a costituire il tessuto territoriale e sociale di un luogo, sia nei
casi in cui c’è stata una conseguente dismissione degli apparati produttivi, sia quando essi
sono tuttora funzionanti e costituiscono parte imprescindibile della quotidianità cittadina.
La “scoperta” delle fabbriche dismesse o attive costituisce quindi una proposta di
acquisizione di consapevolezza della storia di una comunità, della vocazione del territorio,
soprattutto laddove c’è la possibilità di una loro a scopi educativi e didattici.
Il distretto territoriale compreso tra Puglia e Basilicata è caratterizzato da una elevata attività
produttiva documentata sin dall’antichità e successivamente sviluppatasi in linea con i
processi di industrializzazione.
Le comunità di tale distretto, dedite alle attività agro-pastorali, hanno lasciato le tracce di
quelle che furono le dinamiche insediative proprie del mondo rurale, costituito da una antica
tradizione produttiva documentata anche nelle numerose aree archeologiche disseminate
nel territorio.
Le attività vitivinicole, le attività molitorie per la produzione di olio e di grano sono il risultato
di elementi presenti nel paesaggio agrario che caratterizzano il distretto territoriale che
circonda Altamura; la presenza di aree coltivabili ai piedi dei pendii, dei solchi vallivi a
regime torrentizio tra le lame murgiane, hanno favorito l’impianto e lo sviluppo di una
efficiente attività produttiva. Una produzione antica, in buona parte praticata nelle masserie,
che da sempre è stata richiesta dai mercati esteri ed esportata grazie ai porti dislocati sulla
costa jonica e adriatica.
La presenza di trappeti per la produzione dell’olio, di centimoli per la produzione delle farine,
accanto alle architetture connesse alla transumanza hanno segnato il paesaggio produttivo
costituito dalle numerose masserie sparse nel territorio e, successivamente, dagli opifici
ubicati nelle aree urbane.
La pastorizia venne poi sistematicamente favorita con la costruzione di una grande
organizzazione territoriale che metteva in collegamento le aree adibite a pascolo, attraverso
una rete di tratturi, tratturelli e bracci.
Le lunghe vie erbose percorse dalle greggi che dalla seconda metà dell’Ottocento,
terminano di essere i percorsi di un fenomeno temporale di spostamenti, infatti con la
soppressione della Dogana delle pecore, subiscono un lento disuso che interessò tutto il
sistema di sfruttamento del territorio; si generò un sostanziale mutamento del paesaggio
agrario, che determinò anche il graduale abbandono delle masserie e di tutti le architetture
ad esse correlate come jazzi, casolari e piscine
In questi anni lo sviluppo delle tecniche industriali e le grandi opere realizzate dallo Stato
come la Rete Ferrata e il successivo Acquedotto Pugliese, furono determinanti per la
riorganizzazione territoriale urbana e rurale. Ad Altamura vennero realizzati opifici per la
produzione degli sfarinati, che ne hanno fatto il più importante bacino di approvvigionamento

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per la produzione delle paste da minestra del distretto del Mezzogiorno. Numerosi pastifici,
opifici oleari, filande, concerie, cantine, forni da pane, facevano parte di un organizzato
tessuto urbano, spesso impiantati in edifici storici dall’elevato rilievo architettonico, hanno
documentato il lavoro delle maestranze locali di diverse generazioni di altamurani.
Accanto alla nascita degli opifici crebbero le botteghe artigiane interessate alla realizzazione
delle macchine e degli attrezzi necessari alla filiera produttiva.
La grande azienda rurale costituita da estesi pascoli e seminativi, disposti attorno a casette
rustiche costituisce il nuovo ambiente attorno al quale si distribuisce una grande massa di
lavoratori ognuno con compiti precisi, che caratterizzano una manodopera specializzata. Il
latifondo si organizza attorno alla masseria padronale attorno alla quale il territorio era
destinato a vigneto e oliveto.
Negli stessi anni si delineò il piano di organizzazione urbanistica, un nuovo assetto socio-
culturale composto braccianti che lavoravano i latifondi delle famiglie borghesi della città che
vivono in città in case contadine a schiera, dislocate fuori dalle mura del centro antico.
I molini rientrarono nel piano di organizzazione urbanistica creando un nuovo assetto sociale
della città. Il passaggio dai molini a sangue a quelli a cilindri è segnato dall’introduzione della
macchina a vapore, prima, e successivamente dall’uso dell’energia elettrica la quale fornisce
energia pulita, superando il grosso problema che rappresentavano i fumi delle ciminiere nel
contesto urbano in cui ormai erano stati inglobati.
I sette molini a cilindri testimoniano un’attività molitoria che si confermerà una caratteristica
unica e continuativa, se pur affiancata dalla produzione di olio, del vino (oggi in misura
minore), delle leguminose, il grano costituisce il motore trainante dell’economia agricola
altamurana, murgiana, pugliese e nazionale.
Con il cambiamento dei processi produttivi e l’introduzione di nuove normative di genere
igienico-sanitario o l’ampliamento della struttura produttiva, si è assistito alla dislocazione di
tutti gli opifici che si sono dislocati nelle aree industriali determinando l’abbandono delle
vecchie strutture. Molti dei mulini pugliesi sono stati abbandonati divenendo dei monumenti
di condiviso valore storico, documentario, archeologico industriale, nonché elemento
essenziale del paesaggio urbano.
Ad Altamura la dismissione dei mulini, se pur di rilevante interesse architettonico e
monumentale, ha determinato l’abbattimento delle strutture destinandole a palazzine
abitative, cancellando definitivamente la stratigrafia socio-culturale storica della città.
Se pur non valutando la possibilità di riadattare tali opifici nelle loro sedi archeo-industriali,
resta nella memoria storica e documentaria l’elevato interesse per una delle più importanti
attività produttive praticata nel territorio, la produzione delle farine.
Si è resa necessaria una ricerca dei luoghi che hanno rappresentato la memoria storica,
sociale ed economica di tutto il XIX secolo e di parte del secolo successivo.

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  1.
  Inquadramento
  metodologico

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La coerenza con la Strategia Integrata di Sviluppo Urbano Sostenibile (SISUS)
della città
Altamura ha nel tempo perso la sua relazione con il territorio murgiano nata dall’essere
“presidio” svevo della Murgia. La città antica, chiusa dalle mura, si affacciava su un territorio
caratterizzato dalla pietra, che creava uno stretto legame tra ambiente e costruito. Legame
che con il tempo è venuto meno con l’espansione incontrollata della città. Quello che resta è
il rapporto tra le direttrici di mobilità di relazione e le matrici territoriali. Con le attività di
partecipazione attivate per la Strategia Integrata di Sviluppo Urbano Sostenibile, si sono
individuate le 4 direttrici principali: Via Bari, Via Matera, Via Gravina e Via Santeramo e
tramite queste è possibile rileggere il paesaggio murgiano, creando così delle matrici
identitarie che caratterizzavano il territorio di Altamura in 4 ambiti.
Pertanto la parte compresa tra via Gravina e via Bari rappresenta l’Alta Murgia; quella tra via
Bari e via Santeramo è l’area del Mare; quella tra via Santeramo e via Matera è quella del
Pane e, infine, da via Matera a via Gravina abbiamo la matrice delle cave e, quindi, della
Pietra. Ognuna di queste matrici assume il ruolo fondamentale di essere asse di
penetrazione che dalla campagna porta alla città, ricucendo le periferie con la città
consolidata e con il centro storico. Da queste si procederà con progettualità atte ad
innescare processi di rigenerazione urbana.

I presupposti dell’abbraccio: il percorso di Gutta Cavat Lapidem
Gutta Cavat Lapidem è un percorso di condivisione nato ufficialmente il 24 gennaio 2015
dall'unione di alcune delle associazioni che operano nel territorio della Murgia Apulo-Lucana.
Il nome Gutta Cavat Lapidem rievoca la locuzione latina sia per il senso figurativo del
termine, che rimanda alla capacità dell’uomo di raggiungere gli obiettivi prefissati attraverso
una forte determinazione, e l’altra è strettamente legata alla relazione tra due elementi
naturali in opposizione, l’acqua e la pietra.
L’acqua, elemento di raccordo tra le città attorno a Matera, rappresenta il ciclo della vita, e la
pietra, elemento naturale durevole e solido, rimanda al concetto di permanenza e al
processo di insediamento antropico.
L'obiettivo è di tutelare le bellezze del territorio, rilanciare i valori identitari, rendere i cittadini
parte attiva della rigenerazione dei luoghi, incentivare la ricerca e la narrazione del territorio.
Il progetto prevede di istituire un “distretto culturale”, di redigere un “Manifesto” che
regolamenta gli obiettivi, le procedure di recupero e di coinvolgimento della comunità
attivando un sistema di mappatura partecipata delle "emergenze culturali". Le associazioni
credono fortemente che attraverso una serie di azioni sistemiche sia possibile sostenere lo
sviluppo culturale, intellettuale ed economico del territorio Murgiano.
Il progetto tiene conto della proclamazione di Matera Capitale Europea della Cultura 2019,
della Carta Europea del Turismo Sostenibile del Parco dell'Alta Murgia, del riconoscimento
dell'area murgiana come area omogenea nello Statuto della Citta Metropolitana di Bari.
I soggetti che hanno promosso e animato il progetto sono:
- Altamura: Il Cuore di Altamura, C.A.R.S., A.B.M.C., Spiragli, Ferula Ferita, Esperimenti
Architettonici;
- Gravina: Siamo Tutti Tufi, UnderGrà, Gravina Sotterranea;
- Matera: Fondazione Zetema, Circolo La Scaletta, Circolo La Scaletta Giovani, Casa
Netural;
- Santeramo in Colle: Paese Mio.

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Il metodo MAMA
Nel rispondere al programma regionale “La Murgia Abbraccia Matera” che coinvolgeva
diversi comuni (Gravina, Altamura, Ginosa, Laterza, Santeramo) è nata la necessità di
attribuire un nome alle attività da sviluppare ad Altamura e di declinarlo in base al contesto
di attuazione. Pertanto è stato scelto il nome “MAMA”, acronimo di “La Murgia Abbraccia
Matera e Altamura” che, in questa sua forma sintetica e facilmente memorizzabile, rievoca
l’idea di un abbraccio materno e del legame affettivo (m’ama/non m’ama) con i luoghi.

Iperurbano ha inteso coinvolgere la cittadinanza e gli stakeholders locali attraverso
l’organizzazione di tre tipologia di attività tra loro complementari:
- 3 workshop orgnizzati in 3 differenti luoghi (Palazzo Baldassarre, Masseria Jesce e Sala
Conferenza a Palazzo di Città) con la presenza di 6 esperti esterni;
- 4 passeggiate-esplorazioni, 2 in ambito urbano e 2 in aree extra-urbane;
- 1 mostra finale durante la quale presentare gli esiti dei lavori, mostrare l’archivio delle foto
raccolte e proiettare il video finale del progetto;
I workshop sono stati pensati come “giornate di cantiere”, laboratori intensi condotti dalla
mattina al tardo pomeriggio, per dare spazio ad un dibattito ampio sui temi in oggetto, alla
conoscenza delle esperienze locali e allo sviluppo di idee e riflessioni su cui costruire le linee
guida di valorizzazione del patrimonio.
Attraverso le passeggiate-esplorazioni si è voluto intercettare un target di partecipanti più
ampio, estendere il raggio d’azione del progetto e stringere un più forte legame tra cittadini e
luoghi, portando il loro sguardo all’interno di quei manufatti che attendono da anni di
conoscere il loro destino.

La strategia di disseminazione adottata si è basata su una serie di attività offline/online.
Dal punto di vista delle attività offline, sono state effettuate:
- una mappatura fisica degli spazi attivi e dismessi attraverso l’applicazione del logo-stencil
di MAMA in tempera lavabile sulle superfici esterne;
- l’affissione di locandine nei principali luoghi di transito e della socialità della città;
- quattro passeggiate-esplorazioni partecipate in differenti luoghi urbani ed extra-urbani;
- pubblicazione di articoli-interviste e partecipazione a programmi radiofonici-televisivi locali;
- stampa e diffusione di un pieghevole cartaceo sintetico;

Per quanto riguarda le attività online, è stato previsto:
- la raccolta e pubblicazione di foto storiche sulle pagine Facebook e Instragram di
Iperurbano;
- la realizzazione di video-testimonianze con esperti, cittadini e best-practices disponibili sul
Canale Youtube di Iperurbano;
- l’invio di una newsletter periodica agli indirizzi email raccolti durante i mesi di attività;
- la pubblicazione e invio via email dei report delle singole attività;
- la realizzazione di una mappa web (su piattagorma OpenStreetMap) con la
geolocalizzazione del patrimonio esistente e degli itinerari tematici proposti.

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  2.
  I report
  delle attività

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2.1 I workshop

18.11.2017 | PERCEZIONE DEL PAESAGGIO E BENI COMUNI

Esperti invitati: Antonio Monte e Mauro Lazzari – Laboratorio Urbano Aperto

Per la conoscenza del patrimonio archeologico industriale della Puglia
Antonio Monte

La Puglia è tra le regioni più virtuose e all’avanguardia in tema di salvaguardia, cura del
territorio e valorizzazione del patrimonio culturale presente nel contesto regionale. Grazie al
Piano Paesaggistico territoriale regionale; alle Leggi Norme per la rigenerazione urbana del
2008, a quella sull'Istituzione degli ecomusei del 2011 e sulle Disposizioni in materia di beni
culturali (nota come Carta dei beni culturali) del 2013 e alle prime Leggi del 2015 quali le
Norme per la conoscenza, la valorizzazione e il recupero dei trabucchi (siti del patrimonio
industriale marittimo) e quella sulla Valorizzazione del patrimonio archeologico industriale (la
seconda regione in Italia a varare una Legge sull'archeologia industriale) è stata posta molta
attenzione verso temi -dei quali oggi tanto si parla- come la tutela del paesaggio, l’ambiente,
la pianificazione, la valorizzazione delle risorse culturali attraverso piani di comunicazione e
promozione del territorio.
Va ricordato che lo stesso Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (D.Lvo. n° 42 del 2004),
nelle disposizioni correttive e integrative fatte nel 2008 dalla riforma voluta dal Ministro
Rutelli, alla Parte seconda, Beni culturali, Titolo I – Tutela, articolo 10, comma 3, lettera d,
considera beni culturali “le cose immobili e mobili […] della scienza, della tecnica,
dell’industria”. E’ la prima volta che si parla di tutela dei beni del patrimonio di archeologia
industriale.
Pertanto come è già ben noto, il nome “bene culturale” abbraccia oggi un vasto corpus di
tipologie di manufatti che costituiscono un patrimonio. Si tratta quindi di considerare
“patrimonio culturale” anche vecchi opifici e fabbriche, siti industriali dismessi, macchine
utilizzate nei processi di produzione dove ancora si percepisce la storia del luogo, la
memoria del lavoro, l’identità sociale ed economica. Tutto questo oggi è conosciuto come
patrimonio di archeoindustriale.
Il patrimonio industriale oggi è divenuto un campo di indagine interdisciplinare che lega
istituzioni, professionisti e cittadini animati dalla sensibilità verso la cultura della
patrimonializzazione, della conservazione, del riuso e della valorizzazione.
Nella nostra regione i resti materiali della produzione, preindustriale e industriale, sono legati
-prevalentemente- al settore agroalimentare e a quello manifatturiero; un po' meno
all'estrattivo e alle infrastrutture di servizio e di trasporto. Essi hanno lasciato su tutto il
territorio pugliese dei “segni fisici” che rappresentano la storia e l'evoluzione dell’industria nel
corso dei secoli.

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Questi luoghi del lavoro, noti come opifici, fabbriche o stabilimenti, costituiscono un
importante testimonianza della genialità e intraprendenza di numerosi artigiani che hanno
trasformato le loro piccole botteghe in delle fabbriche a carattere industriale scrivendo una
significativa pagina della storia d’impresa della Puglia.
L'archeologia industriale è una disciplina che a partire dallo studio dei luoghi, dei processi
produttivi, dei resti materiali dell'industrializzazione (oggetti, macchine, edifici, e altro) giunge
alla ricostruzione della fisionomia di un determinato territorio, della sua storia, delle sue
modificazioni e con essa alla conoscenza della storia di un popolo, della sua cultura e della
sua civiltà. Quindi, lo studio dei resti dell'industrializzazione viene inteso come attività di
identificazione, salvaguardia e tutela di un determinato territorio.
Il noto archeologo Andrea Carandini, nel volume Archeologia e cultura materiale. Dai “lavori
senza gloria” dell’antichità a una politica dei beni culturali, la definì archeologia del mondo
contemporaneo.
Ma tornado al patrimonio archeoindustriale, giova ricordare che le testimonianze (o resti
materiali) presenti su tutto il territorio pugliese sono migliaia e meritano di essere studiate e,
in parte, anche tutelate sia per il loro pregio artistico e architettonico che come testimonianza
di un vissuto sociale e di un fattore economico.
Per inquadrare più da vicino l'entità dell'industria pugliese bisogna tener presente che
durante il primo decennio del XX secolo la produzione manifatturiera era legata alle attività
tradizionali che attingevano ai mercati locali, nazionale ed internazionali.
La storia della produzione industriale pugliese è fatta di olio, vino (la Terra d'Otranto era nota
come "la cantina d'Europa" per l'esportazione del vino da taglio) , spirito (alcol), cereali (la
provincia di Capitanata era considerata “il granaio d’Italia”), pasta e tabacco, accuratamente
scelti per l’esportazione e per dare vita alle principali industrie della regione.
Dal 1999, con l'insegnamento di Archeologia industriale (Facoltà di Beni Culturali-Università
del Salento), l’Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto per i Beni Archeologici e
Monumentali di Lecce, l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale-
Sezione regionale della Puglia e il Master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del
Patrimonio Industriale con sede presso l’Università degli Studi di Padova, è stata avviata
una compagna di catalogazione scientifica di monumenti, siti e paesaggi del patrimonio
industriale pugliese; un corpus di oltre mille schede catalografiche utili agli Enti locali durante
l'elaborazione degli strumenti urbanistici per la salvaguardia e tutela della "memoria del
lavoro".

Mauro Lazzari – Laboratorio Urbano Aperto
P.A.M.P. - Parco agricolo multifunzionale dei Paduli e Laboratorio Urbano ABITARE I
PADULI. Un progetto neorurale sull’abitare sostenibile.

Nel lembo più ad est di Italia, tra il Mar Adriatico e quello Ionico, attraversato dall’antica via
istmica che collega i porti di Gallipoli e di Otranto, si estende - nelle Terre denominate di
Mezzo - un vasto e maestoso uliveto secolare che prende il nome di Paduli.
Conosciuto sin dal XVII secolo per la produzione di olio lampante, combustibile quotato alla
Borsa di Londra ed utilizzato per l’illuminazione pubblica delle capitali europee, oggi vive una
condizione di persistente abbandono, legato sia alla obsoleta tecnica colturale sia alla
profonda crisi del settore agricolo.

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Questo territorio, rappresenta, per la sua storia, per la posizione geografica, e per il valore
paesaggistico, un terreno ideale per la sperimentazione di nuove forme di cura che ne
impediscano il degrado, ed attivino modelli di produzione compatibili con le sue peculiarità.
Dal 2003 è stato avviato un lungo processo di condivisione, maturato all’interno di un
laboratorio di partecipazione coordinato dal LUA, che ha coinvolto le istituzioni locali, le
associazioni, gli abitanti ed un altissimo numero di esperti da tutta Italia intorno a un’idea di
parco agricolo, in cui sperimentare nuove forme di neoruralitá, ridisegnando l’economia, la
storia, l'agricoltura e l’accoglienza, ponendo al centro di ogni riflessione il “paesaggio rurale”
nella sua duale accezione: quella produttiva e quella contemplativa.
Un’idea nata dal basso, che ha accresciuto la consapevolezza del valore paesaggistico nei
suoi abitanti, ha orientato le strategie di sviluppo urbano nei Comuni che lo circondano
attraverso la redazione di un Programma Integrato di Rigenerazione Territoriale, ha indotto
le fasce più giovani a praticare inedite attività di gestione di un bene agricolo attraverso il
Laboratorio Urbano delle Terre di Mezzo “Abitare i Paduli” e infine ha contribuito come
“progetto sperimentale” alla redazione del nuovo Piano Paesaggistico della Regione Puglia.
Oggi è candidato dal Ministero dei Beni Culturali a rappresentare l’Italia al Premio del
Paesaggio del Consiglio d’Europa 2014-2015.

Foto dell’uliveto. Fonte: http://www.abitareipaduli.com/gallery-raccontare-i-paduli.html

Il Parco, dal processo al progetto.
Il Parco dei Paduli si estende per 5.500 ettari tra maestosi ulivi secolari, muretti a secco,
pajare (case rurali a forma di trullo), masserie, motte, casini di caccia, cripte, dolmen,
menhir, vore, ed è delimitato dai comuni di San Cassiano, Nociglia, Botrugno, Surano,
Maglie, Muro Leccese, Sanarica, Scorrano, Giuggianello, Supersano.
Caratterizzato dalla presenza di canali e sentieri, stagni e laghi temporanei, è attraversato
da Nord a Sud dalla ss275 (la strada mercato) e dalla rete ferroviaria della Sud-Est che
collega le città di Lecce con Otranto, Leuca e Gallipoli e da Est a Ovest attraverso l’antica

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Via, che potremmo chiamare “istmica”, dovuta forse a correnti di ellenizzazione, che
collegava le aree di Callipolis-Ydruntum (Gallipoli-Otranto).
L’ulivo è l’elemento unificante il paesaggio. A sostegno di questo patrimonio, i Comuni dei
Paduli in questi anni si sono dotati di un programma territoriale comune.
Infatti, il Parco dei Paduli, pur non essendo un “parco agricolo istituito”, è riconosciuto nelle
“volontà” dagli atti deliberativi dei dieci Comuni, dal Programma Integrato di Rigenerazione
Territoriale1 “Terre dei Paduli tra ulivi pietre e icone” adottato dagli stessi nel luglio del 2011
e dal nuovo Piano Paesaggistico della Regione Puglia PPTR nel quale è individuato come
Progetto Pilota per la sperimentazione di pratiche afferenti alla multifunzionalità in territorio
agricolo.
Il programma prevede interventi di valorizzazione dei centri urbani e dei beni agricoli, specie
quelli di rilevante valore storico culturale attraverso il recupero della fitta rete di connessione
delle strade rurali. (in fase di realizzazione).
Il progetto di una rete di interconnessione a mobilità lenta tra centri minori all’interno del
Parco intreccia motivi di salvaguardia e tutela delle testimonianze storico culturali del
territorio con la difesa di una funzione economica come quella agricola che ha segnato la
storia dello sviluppo economico di questa area; un progetto che tiene conto di una domanda
sociale sempre più ampia, alla ricerca di spazi aperti, fruibili e ricchi di significativi valori
culturali. Attraverso l’uso di “infocircle”, dispositivi di informazione a terra installati lungo le
strade rurali, connessi a una banca dati tramite un qr-code, si è dato un nuovo valore alle
connessioni, divenendo il luogo dove si conservano, tutelano, raccolgono, divulgano e si
rendono accessibili tutti i beni, sia materiali (piazze, strade, cripte, palazzi, stazioni
ferroviarie, musei, casini, boschi, uliveti, masserie, dolmen, menhir, spazi di servizio) che
immateriali del Parco (racconti orali, ricerche di natura storica, archeologica, architettonica,
antropologica, sociologica, botanica, agraria, prodotti all’interno dei Laboratori di
partecipazione realizzati dal 2003-2009) proponendo così al fruitore un inedito percorso
conoscitivo ragionato ed esplicativo.

L’uliveto pubblico.
Campo di sperimentazione di tutte le pratiche legate alla multifunzionalità dell’agricoltura è
un uliveto secolare di proprietà pubblica (3000 mq circa) situato lungo uno dei percorsi
principali del parco (Vicinale Campine), caratterizzato da alcuni piccoli rifugi auto costruiti
(albergo biodegradabile temporaneo dei Paduli) utilizzati come residenza temporanea di
studenti, escursionisti, ricercatori, cicloturisti, e visitatori.
All’interno dell’uliveto è collocata una “caseddha”, un’antico riparo agricolo, recuperato
mediante un approccio biocompatibile ed ecosostenibile, nel quale sono presenti tutti i
servizi utili al funzionamento dell’albergo temporaneo (un wc, una cucina, un caminetto, un
divano letto, i servizi idrici con un sistema di fitodepurazione per le acque reflue, e quelli
elettrici, quest’ultimi prodotti da fonti di energia solare e eolica).

1
  Il PIRT, “Terre dei Paduli” è risultato primo nella graduatoria dei progetti ammessi alla Rigenerazione Urbana (2011) e ha
dato luogo alla sottoscrizione di un Protocollo d’Intesa con l’assessorato all’Assetto del Territorio della Regione Puglia per
la “sperimentazione congiunta e condivisa del nuovo PPTR (Piano Paesagistico Territoriale Regionale)”.

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MAMA – Relazione conclusiva

Abitare i Paduli, un esperimento di gestione di un bene agricolo.
Il Laboratorio Urbano, Bollenti Spiriti, delle “Terre di Mezzo” nato nel 20112 con il progetto
“Abitare i Paduli”3 sperimenta sul territorio forme inedite di neoruralitá, coinvolgendo i saperi
locali, quelli esperti e le istituzioni tutte, intorno a un’unica idea di Parco Agricolo
Multifunzionale dei Paduli.
Oggi, questo territorio, vive una condizione di persistente abbandono legato alla profonda
crisi del settore agricolo e a una condizione di marginalità dal fenomeno turistico tutto
concentrato sulle coste adriatiche e ioniche salentine.
L’obbiettivo è quello di ritessere, il complicato rapporto tra agricoltura, economia, storia, e
accoglienza, in una chiave culturale e eco-sostenibile.
Il laboratorio è coordinato dal LUA e condotto da 30 giovani strutturati in associazioni e
gruppi informali.
Le attività del laboratorio spaziano dall’istituzione di un albergo diffuso temporaneo e
permanente (“nidificare i paduli”), all’organizzazione di forme alternative di mobilità, dalla
individuazione di percorsi tematici a tipologie inedite di valorizzazione del paesaggio e dei
beni comuni (Raccontare i Paduli), dalla diffusione di metodi biologici di produzione agricola

2
  Il laboratorio è finanziato da un programma Regionale, dell’Assessorato alle Politiche Giovanili, che ha il duplice
scopo, di recuperare beni di proprietà pubblica da destinare ad attività e servizi (Laboratori Urbani), e di attivare,
all’interno di essi, processi di sperimentazione di buone pratiche, mediante il coinvolgimento e l’azione creativa
delle fasce giovanili nell’ottica della valorizzazione e sviluppo del territorio.
Le attività del laboratorio “Abitare i Paduli” si articolano in cinque laboratori tematici:
•          LAB.1 Ospitalità diffusa
•          LAB.2 mobilità lenta
•          LAB.3 gusto
•          LAB.4 agricoltura e ambiente
•          LAB.5 percorsi e beni culturali
3
    www.abitareipaduli.com

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MAMA – Relazione conclusiva

alla messa in pratica di nuove formule legate alla cura dell’ambiente (Lampa! e Creature dei
Paduli), all’accoglienza e alla socialità, dalla ricerca, alla documentazione, comunicazione e
promozione del territorio.
Dal 2013, Fondazione con il Sud attraverso il progetto GAP Galleria d’Arte Partecipata
finanziato nell’ambito dei ‘Progetti Speciali e Innovativi 2010’, sostiene le attività di
sperimentazione nel Parco, con un particolare riguardo al delicato rapporto tra arte,
comunità e paesaggio.

Lampa!
Attraverso l’adozione di uliveti secolari abbandonati, circa 500 piante tra celline e oglialore,
si è avviato un modello di produzione pubblica dell’olio d’oliva, il cui obbiettivo è stato quello
di costruire un processo ecosostenibile che ha reso possibile il passaggio dall'abbandono
degli alberi secolari alla produzione di un olio d'oliva di alta qualità
Lampa! si è rivelato un esperimento di pratiche orizzontali di lavoro auto-organizzato, che ha
favorito l'incontro di persone, saperi e tecniche; ritessendo le relazioni all’interno delle
comunità e con il territorio e nel contempo ha contribuito al recupero del paesaggio agricolo
favorendo la produzione di un olio extravergine.
L’olio “Terre dei Paduli” è il risultato di questa sperimentazione, da due anni, ospite di Olio
Officina Food Festival, importante kermesse milanese, ideata e curata dall’oleologo e
scrittore Luigi Caricato, quest’anno si è aggiudicato il secondo posto all’interno del concorso
“Le forme dell’olio”, indetto da Olio Officina in collaborazione con Mercacei.

Nidificare i Paduli
“Nidificare i Paduli” è un concorso di idee ed un workshop sull’abitare sostenibile. L’idea è
stata quella di sperimentare, all’interno degli uliveti, un’albergo temporaneo, e
biodegradabile, destinato ad accogliere turisti e non solo, all’interno di un parco agricolo in
cui ci si muove a piedi, in bicicletta o a cavallo, si pratica un’agricoltura sostenibile,
privilegiando il consumo di prodotti locali.

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MAMA – Relazione conclusiva

La sperimentazione di un albergo biodegradabile è stata realizzata all’interno di un uliveto di
proprietà pubblica, acquisito con il programma di rigenerazione territoriale, e che oggi,
costituisce uno dei nodi più importanti nel fitto sistema d’interconnessioni a mobilità lenta
che collega i dieci comuni del parco agricolo.
All’interno dell’uliveto, una antica caseddrha (riparo agricolo), completamente recuperata e
convertita a casa passiva con emissioni “0”, garantisce tutti i servizi ai rifugi temporanei.
La realizzazione di 3 nidi mediante il riutilizzo del materiale di risulta dell’agricoltura ha
rappresentato la sfida principale per tutti i gruppi che hanno partecipato al concorso.
Il progetto “il Nido” (secondo classificato) costruito attraverso l’intreccio della canna comune
ha rispettato il carattere della biodegradabilità totale del rifugio; il riuso delle reti, destinate
alla raccolta delle olive, ha invece costituito la peculiarità del progetto “Lovo” (primo
classificato). Facendo emergere il carattere stagionale e multifunzionale dell'agricoltura le
reti, che compongono questo suggestivo rifugio pensato per la contemplazione del parco
quando l'uliveto riposa, vengono infatti riutilizzate da ottobre a dicembre per la raccolta
pubblica di olive nell'ambito del progetto “Lampa!”. Infine “la Tana”, un rifugio, realizzato, in
continuità con il laboratorio di “Creature dei Paduli” (http://creaturedeipaduli.it/), attraverso un
coworking di “Faber Magister”* locali e non, che hanno rielaborato i bozzetti di tane e rifugi,
eredità fantastica, nata durante la residenza artistica di DEM (http://demdemonio.org/).
La sperimentazione dei tre nidi temporanei ha assunto una significato più profondo non solo
nell'ottica del turismo sostenibile, ma soprattutto nella misura in cui la pratica artistica e la
ricerca architettonica diventano strumenti a servizio del paesaggio.

Raccontare i Paduli
Storie Lampanti è il libro che raccoglie i racconti che hanno partecipato al concorso letterario
Raccontare i Paduli.
Affidare alla narrazione letteraria un luogo come i Paduli è stato un modo per aggiungere un
passo al lungo percorso di costruzione collettiva di questo parco custodito dentro il cuore del
Salento. L'antico e per certi versi mitologico bosco Belvedere, che dava a questa terra
all'apparenza brulla un'anima misteriosa, sopravvive in numerosi tratti dei Paduli,
sorprendendo chi si avventura tra gli uliveti.

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MAMA – Relazione conclusiva

Ponticelli e canali tengono in vita la vecchia palude, silenzi ancestrali e querce dal dorso
rugoso fanno da guardia a costruzioni di pietra e terrazzamenti colonizzati dal muschio e
dalla vegetazione spontanea, con funghi e ciclamini selvatici in autunno, mandorli e fichi
nella bella stagione. Tra gli ulivi si respira un’ aria densa, che invita ad una naturale
contemplazione. Questo paesaggio è strettamente collegato al carattere dei piccoli centri
che lo circondano, una corona ideale fatta di campanili e piazze, dove la vita scorre ad un
passo più svelto, dove la gente va e viene. Ogni giorno migliaia di auto lambiscono
quest'area ampia e remota, ma chi non si è mai perduto nel labirinto dei Paduli non potrà
dire di conoscere davvero il Salento.
Oggi il parco si lascia scoprire poco a poco, incuriosendo i visitatori attratti dal lavoro che le
associazioni stanno conducendo al suo interno.

Creature dei Paduli
Creature dei Paduli è una geografia fantastica del mondo del Parco Paduli, che ne
ricostruisce in chiave immaginaria la varietà e la ricchezza naturale, facendo dialogare i
segni pre esistenti con i nuovi segni del territorio, attraverso la costruzione di una mappa
geo-referenziata del parco.
Attraverso la mappa, che s’ispira alle vecchie carte del catasto settecentesco, i visitatori del
sito potranno comporre l’itinerario del proprio viaggio nei Paduli, scegliendo i luoghi da
visitare, consultando i racconti e seguendo le nature gemelle del Parco, quella reale e quella
straordinaria.
La scenografia, i personaggi e le vicende di questo singolare regno sono state costruite,con
la collaborazione dell’artista DEM, attraverso un gioco di narrazione cooperativo in cui 25
tra bambine e bambini, residenti nel territorio afferente al parco, sono stati stimolati a
costruire delle storie e nello stesso tempo ad individuare quelle buone pratiche di tutela
dell’ambiente che li potessero rendere protagonisti e custodi del parco.

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MAMA – Relazione conclusiva

Link di riferimento:
www.abitareipaduli.com
www.creaturedeipaduli.it
www.parcopaduli.it

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MAMA – Relazione conclusiva

I report della sessione laboratoriale

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MAMA – Relazione conclusiva

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MAMA – Relazione conclusiva

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MAMA – Relazione conclusiva

09.12.2017 |            IDENTITÀ           TERRITORIALE                E     NUOVE          FILIERE
PRODUTTIVE

Esperti invitati: Cristina Marras e Roberto Covolo

Il secondo appuntamento di MAMA, la Murgia abbraccia Matera da Altamura, ha avuto luogo
a Masseria Jesce, il 9 dicembre 2017. Masseria Jesce come terra di mezzo, luogo
nevralgico dove lo sguardo si apre da Murgia Catena verso i comuni limitrofi: Laterza,
Ginosa, Santeramo, Gravina e Matera, perdendosi all’orizzonte quasi a configurare un
abbraccio.
Nella prima parte è stata fatta una sintesi del primo workshop, ricapitolando i focus emersi, i
punti nodali da cui ripartire.
Successivamente è stata introdotta la figura di Cristina Marras, ricercatrice di Scienze
filosofiche umane, presso Sapienza Università di Roma, la quale ha parlato d’identità
territoriale e filiere produttive, partendo dalla visione del sapere di Gottfried Wilhelm von
Leibniz, matematico, scienziato e filosofo di cui è studiosa e sostenitrice.

Cristina Marras
Alla scoperta dell’identità territoriale. Appunti per un laboratorio partecipato

Il titolo del seminario-laboratorio tiene in equilibrio tre termini ‘scoperta’, ‘identità’, ‘territorio’.
Scoperta: nel suo significato più generale la dimensione della scoperta è una dimensione
fondamentale dello stare nel mondo, è una disposizione, uno stato di apertura, di ascolto, di
curiosità, di ricerca. In qualche modo è una delle dimensioni essenziali della filosofia. È
venire a conoscere ciò che non si sospettava. Ha anche a che fare con la lettura dei contesti
e con la capacità di tradurli, interpretarli, acquisirne la loro conoscenza, farne esperienza
inattesa. Assume poi una accezione specifica come nel linguaggio militare, marinaro e
minerario: ricognizione, servizio di avvistamento, asportazione di tratti superficiali di un
giacimento affiorante.

Identità: Assumo un concetto di indentità, multiplo, dialettico e complesso.
«Ce qui fait que je suis moi-même et pas un autre, c’est que je suis ainsi à la lisière de deux
pays, de deux ou trois langues, de plusieurs traditions culturelles. C’est précisément cela qui
définit mon identité. Serais-je plus authentique si je m’amputais d’un partie de moi-même?»
(Aamin Maalouf, Les identités meurtrières, Grasser, Paris 1998, p.7).
L’Io è stato visto come quella parte unitaria e immutabile della natura umana opposto ad un
«noi» opinabile, mutevole del «mondo». L’identità non si definisce, tuttavia, attraverso una
lista di proprietà essenziali spesso autoriflettenti, ma anche attraverso famiglie di proprietà
condivise che derivano dallo scambio, una identità dunque che si mette in contatto con l’altro
da sé, con i luoghi.
L’identità è un concetto relazionale. Si definisce non solo per affinità ma anche per
differenza.

Territorio: possessore di terra. Diverse sono le accezioni che si danno al termine. Qui
assumo una concetto di territorio che tiene insieme due dimensioni: una dimensione politico-
programmatica che ha a che fare con linee di intervento o di indirizzo nazionali e
internazionali, con la governance (da cui il concetto di valorizzazione del patrimonio

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MAMA – Relazione conclusiva

culturale, il concetto di sviluppo locale/rurale, l’idea di paesaggio), e una dimensione locale
in cui si intrecciano i vissuti, le esperienze e le pratiche quotidiane, un luogo di
“significazione collettiva”, di cura ma anche di abbandono (incuria).

Identità territoriali sono dunque definite dalla dialettica che intercorre tra gli aspetti e le
caratteristiche materiali e immateriali di un territorio e le reti di relazioni, di memorie, di
vissuti e di legami sociali e collettivi di chi li abita. Soggetti, memoria e territorio intrattengono
una relazione di mutua trasformazione, di cambiamento. Questo processo se letto all’interno
di una cornice e di un progetto che intende prendersi cura dei luoghi del presente e del
passato, immaginare nuove responsabilità e condivisioni, solidarietà sociali, politiche attive,
attenzione al lavoro e al valore dell’ozio, dimensioni di incontro e scambio, nuove
consapevolezze, mette in gioco diversi piani:
- razionalità operativa - rivitalizzare
- nuove forme di vita durevoli e di pratiche discorsive – ri-de-significare
- responsabilità di trasmissione di memorie e progetti - riabilitare

Si tratta di far emergere quella che chiameremmo la “Filiera della sapienza geofilosofica”
     • Bios: condizioni di vita e del sé
     • Logos: discorso e parola
     • Pathos: emozioni, sentire e patire
     • Ethos: comportamento, valore e norma
     • Ergon: fare, impegno e abilità

Una seria riflessione sui singoli elementi della filiera, sulle loro interconnesioni, potenzialità e
essenzialità diventa imprescindibile per attuare un ribaltamento del paradigma culturale
diffuso, che vede nelle identità territoriali muti artefatti, oggetti di un’idea di ‘sviluppo
sostenibile’ legato ad una sfida da parte di una contemporaneità priva di progettualità futura,
di consapevolezza critica del presente e di memoria del passato.
In questo quadro è evidente la necessità di assumere specifici atteggiamenti, e attivare
pratiche e azioni singole e collettive:
     § Responsabilità personale e sociale
     § Diffusione di informazioni
     § Trasferimento di conoscenze, partecipazione
     § Richiamo al ruolo delle Istituzioni intermedie
     § Rivisitazione del concetto di ragione
     § Attività seria di studio e ricerca
     § Apertura ad un confronto dialettico
     § Mediazione

Riferimenti bibliografici e link a siti/progetti di interesse
J. Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino,
1997.
Paola Atzeni, Tra il dire e il fare. Cultura materiale della gente di miniera in Sardegna. Cagliari, CUEC, 2007.
T. Banini (a cura di), Identità territoriali. Riflessioni in prospettiva interdisciplinare, geotema, Bologna, Pàtron, 37,
2009.
G. Dematteis F. Ferlaino (a cura di), Il mondo e i luoghi. Geografie delle identità e del cambiamento, Torino,
IRES-Piemonte, 2003.
A. Ferracuti, Addio. Il romanzo della fine del lavoro, Chiarelettere, 2016.
C. Geertz, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, Bologna, Il Mulino, 1999.

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MAMA – Relazione conclusiva

A. Giddens, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Bologna, Il Mulino, 1994.
P. Gregory, C. Marras: “Old and new towns: architecture, languages, discourses”, in: Migration and the Built
Environment in the Mediterranean and the Middle East, CAUMME III, ed. by P. Galante, Napoli, 2016, pp. 262-
267
Cristina Marras, Il peso delle parole. Filosofia nella comunicazione. Quaderno di teorie e pratiche metaforiche,
Roma, Lithos 2010.
----- “Linguaggi della modernità: le città di fondazione, vecchi e nuovi crocevia dialogici di transizioni culturali”. In
Il logos nella polis. F. Giuliani and M. Barni (eds.), Roma, Aracne, 2008, pp. 319-332.
----- “Dialogo-Cooperazione” e/o Conflitto-Competizione. Spunti di riflessione sulle forme di mediazione
linguistica”. In: P. Barrotta (a cura di) Pluralismo e società multietniche, Pisa, ETS, 2004, pp. 39-62.
F. Remotti, Contro l’identità, Roma-Bari, Laterza, 200l.
----- “Appunti per un’antropologia del «noi»: identità, alterità, precarietà”, in: L. Operti- L. Cometti (a cura di),
Verso un'educazione interculturale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 21-27.

Ci si limita a segnalare alcuni siti/progetti, italiani. Non di tutti è condivisa la comunicazione o
l’organizzazione dei contenuti ma, possono essere di interesse per una riflessione
comparativa.

    §    Centro Italiano della cultura del carbone: https://museodelcarbone.it/it/
    §    I granai della memoria: http://www.granaidellamemoria.it/index.php/it
    §    Museo virtuale Valtournance: http://www.museovaltournenche.org/
    §    Ecomuseo della segale: http://www.ecomuseosegale.it/che-cos-e-un-ecomuseo
    §    Archeologia industriale: http://archeologiaindustriale.net/
    §    L’ex SNIA viscosa di Roma
         http://www.ansa.it/sito/notizie/magazine/numeri/2016/04/19/a-roma-e-nato-un-lago-e-
         resiste_35361ffa-5844-422d-a3aa-7aa0a9ae93cc.html
    §    MAAM Roma: https://www.facebook.com/museoMAAM/

Laboratorio
Dopo aver definito i concetti di identità e di filiera, si è passati alla prima parte dell’esercizio
partecipato laboratoriale, partendo dalla nomenclatura del nostro nome. Lo spazio che
ospitava il workshop è stata allestita con due fili di lana, tesi da un capo all’altro della stanza,
in senso trasversale.
Ognuno dei presenti ha riportato su un cartoncino colorato il proprio nome accompagnato da
una riflessione sullo stesso, partendo dalla radice del nome o da una semplice evocazione
relativa alla fonetica. Ad esempio il nome Marras ha in sé una rete mediterranea legata alla
terra, alla cultura contadina.
Una volta scritto il proprio nome sul cartoncino assieme ad una riflessione, ognuno ha steso
con una molletta per panni il proprio foglio colorato su uno dei due fili tesi nella stanza. La
seconda parte dell’esercizio prevedeva, invece, di associare al nome un luogo a noi caro.
Con la stessa modalità i presenti hanno riportato su un altro cartoncino colorato il nome del
luogo e stendendolo sul secondo filo posizionato parallelamente al primo, lo hanno poi
legato, sempre utilizzando il filo di lana, al cartoncino con su scritto il proprio nome.
Il risultato ottenuto è stata una rete, una maglia tesa sopra la nostra testa, fatta di fili che
legavano i cartoncini dei nomi ai cartoncini dei luoghi, secondo una corrispondenza univoca.
Dal punto di vista estetico, disegnava quasi una micro architettura colorata all’interno della
stanza, piacevole alla vista. Sul piano cognitivo, era la metafora che le persone sono il
territorio e viceversa.

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MAMA – Relazione conclusiva

In seguito alla passeggiata extraurbana nell’area di Jesce, nel pomeriggio, Roberto Covolo
coordinatore di ExFadda, ha esposto la sua esperienza virtuosa a San Vito dei Normanni
dove è stato riattivato quello che era un ex stabilimento enologico, oggi sede di ExFadda, un
laboratorio urbano nato grazie al bando di Bollenti Spiriti.
È nato tutto come una scommessa, sostiene Covolo, un progetto di sviluppo locale e
sociale. Catalizzatore di sistemi di valore che garantissero una indipendenza economica
favorendo il welfare locale.
Il primo passo è stato immaginare come le persone potessero sentire proprio lo spazio. Si è
partiti intervenendo con laboratori di autocostruzione sulle parti del manufatto architettonico
maggiormente deteriorato, mettendo in sicurezza la struttura ma anche rendendola agibile e
riutilizzabile. Lo spazio musica e un parco giochi per bambini all’aperto, sono stati i primi
progetti avviati.
Gli interventi di autocostruzione via via si allargano, invadendo anche lo spazio interno. Per
diversi mesi l’ex stabilimento è stato un grande cantiere, luogo di storie e relazioni. Giunto a
termine, chiama a se persone che potessero dare valore a quei luoghi, attraverso la propria
arte e il proprio lavoro. I progetti nati nel tempo ad ExFadda sono stati, all’inizio uno studio
fotografico, ci si occupava dell’immagine di ExFadda poi evolvendosi si è passati a curare
l’immagine e la pubblicità per aziende locali; una scuola di musica sui temi della word music,
che oggi consta 220 iscritti.
Covolo introduce un ulteriore progetto: Manta, progetto di artigianato di comunità, omaggio
alla manta, vecchia coperta della nonna fatta di quadrati di lana lavorati all’uncinetto.
Si tratta di una collaborazione tra un giovane designer e un gruppo di donne di San Vito dei
Normanni e Carovigno, appassionate di lavori fatti a mano. Insieme, stanno costruendo un
percorso di ricerca e di produzione artigianale per innovare e mantenere viva la tradizione
locale del lavoro a maglia.
Secondo Covolo, “l’innovazione di ExFadda è stato guardare agli esterni non come
destinatari finali del prodotto ma come collaboratori”. Per questo motivo è nata
l’Associazione dei genitori dei ragazzi che frequentano ExFadda. Si occupa di valorizzare e
promuovere la cultura della musica locale e della pizzica nel territorio, con la possibilità di
promulgarla anche fuori i confini locali.
Oggi progettare vuol dire provare a costruire sulle identità dei luoghi, sulle dimenticanze
degli spazi abbandonati sul territorio, partendo dal loro genius loci. Non c’è un modello unico
di azione per poter generare delle realtà, occorrono semplicemente persone produttive.

Restituzione
LABORATORIO FINALE – DISCUSSIONE CON I CITTADINI
DESCRIZIONE DELL’ARGOMENTO

I partecipanti, con riferimento al risultato dei tavoli di discussione: marketing territoriale,
produzione e sistemi digitali del primo workshop, discutono sul tema identità territoriale e
filiere produttive, nonché sul metodo di connessione tra le persone che abitano il territorio,
attori della filiera.

Richiamando quanto emerso nella giornata odierna, tenendo insieme il concetto di identità,
filiere produttive e l’esperienza virtuosa raccontata da Roberto Covolo, Cristina Marras
propone una riflessione sui luoghi nodali presenti in città e quali nell’area extraurbana,

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MAMA – Relazione conclusiva

provando ad immaginare se fosse possibile tendere un filo che connetta i luoghi presenti nel
territorio che abbiano caratteristiche in comune.
Il tema dell’acqua lega Masseria Jesce al Palazzo dell’Ex Acquedotto Pugliese, sito a Piazza
Aldo Moro.

Parole chiave emerse dalla discussione

La discussione ha avuto inizio con una precisa considerazione sul tema dell’acqua. L’acqua
è l’elemento naturale che a contatto con la nostra pietra calcarea genera il fenomeno
carsico, caratteristica geomorfologica identitaria del nostro territorio.
L’acqua è alla base della produzione di tutte le filiere che insistono sul territorio: lana, lino,
lenticchia, cereali, latte, ecc. Per questo motivo, è un elemento prezioso da preservare e
risorsa naturale esauribile, senza il lavoro lungimirante e ingegnoso dell’uomo, dei sistemi di
raccolta. L’acqua piovana serbata potrebbe essere adoperata, ad esempio, nella produzione
e lavorazione delle materie prime.
Come ricorda Donato Laborante, diventa fondamentale prendersi cura dei canali delle
acque, come il canale a Jesce, dei pascoli sui quali i capi di bestiame brucano l’erba, dei
campi su cui coltiviamo le nostre materie prime, limitando il tasso di inquinamento, dovuto in
taluni casi, all’incuria e perseveranza delle cattive abitudini, dalla mancata conoscenza o
nella peggiore delle ipotesi da mera speculazione.

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MAMA – Relazione conclusiva

L’acqua è una risorsa fondamentale anche nella pastorizia. Altamura ha una vocazione
ovina ma non è possibile oggi Investire sulla produzione della lana. La sua lavorazione
necessita di troppa acqua. Il prodotto grezzo, ottenuto dai vari allevamenti è inferiore al
quantitativo necessario per far si che possa generare e reggersi un’economia competitiva
sul mercato. Nel territorio si producono due tipi di lana: lana moscia, utilizzata per i
materassi e la merinizzata, lana da gomitolo.
Occorrerebbe mettere in piedi una filiera importante che preveda varie figure che entrino a
far parte del processo per impedire che la nostra lana vada al nord per essere lavorata.
Inoltre, il settore ha subito una crisi profonda a causa della scomparsa della professione del
pastore. Oggi si vuole preservare il numero di capi ovini rimasti, nettamente inferiore rispetto
agli anni 90 in cui se ne contavano il doppio.
Un modo alternativo per far circolare sul mercato locale la lana di scarto prodotta nei nostri
allevamenti, utilizzando le energie e le risorse idriche che il territorio offre; è il progetto
Planto, una proposta in itinere di due imprenditori altamurani, che investe su un prodotto
facilmente realizzabile.
Il progetto prevede la realizzazione di materassi con la possibilità di rigenerarli ogni due
anni. Si permette alle famiglie di avere in casa un materasso concepito con lana di cui si
conosce la provenienza. La lana è captatore di radioattività, con la provenienza estera si
ignorano i metodi di allevamento dei capi ovini.
Ritornando sul tema identità, la pietra e l’acqua sono elementi del nostro territorio ad
accomunarci a Matera, grazie ai quali Matera è diventata capitale europea della cultura
2019. Occorrerebbe partire dalla tradizione e riscoprire il piacere della lentezza,
caratteristica unica di Matera. Riscoprire i luoghi, gli usi e la storia. A maggior ragione, il
territorio dovrebbe investire su chi vuole mettersi in gioco dal nulla, concedendo uno spazio
per attivare laboratori sperimentali. Puntare su formazione e conoscenza per capire su quale
filiera investire.
Infine si è condotta una riflessione sul tema del turismo, nell’ottica di Matera 2019. Appare
evidente come il turista oggi sia alla ricerca di esperienze uniche e autentiche. Adottando la
formula in cui il proprietario guida il turista lungo un percorso, si induce l’abitante a
recuperare l’identità attraverso la memoria e la tradizione, per poterla tramandare.
Ciò consente di arginare forme di turismo “predatorio”. Lo scambio tra turista e territorio
deve essere reciproco, pertanto a turisti e viaggiatori si chiede di lasciare qualcosa alla fine
della sua esperienza.

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