LE NOSTRE PENNE SONO PRONTE, E VOI?

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LE NOSTRE PENNE SONO PRONTE, E VOI?
Numero1, Novembre A.S. 2018/2019

                                        IL BURATTINO SENZA FILI

           Giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico “Mariano Buratti”

LE NOSTRE PENNE SONO PRONTE, E VOI?

Cari lettori, anche quest’anno siamo qui per porgervi i nostri più cordiali saluti e per augurarvi una
buona lettura. E’ con grande piacere che il comitato di redazione del giornale della nostra scuola ha
appreso la notizia del vostro crescente supporto nei nostri confronti! Questo ci dà la carica per
continuare il nostro “lavoro” di indagine ed approfondimento, inerente le più disparate tematiche,
nel migliore dei modi. Continueremo quindi ad informarci seguendo piste veritiere ed attendibili,
trattando le singole vicende e gli eventuali personaggi coinvolti nel massimo rispetto, fornendovi in
un ultimo momento anche un nostro spunto di riflessione. La particolarità e, a nostro modesto
parere, la bellezza di questo giornale è da ricercarsi proprio nel fatto che questi articoli vengano
scritti da ragazzi maturi per la loro età e che guardano con occhio critico il mondo che li circonda;
senza patteggiare per nessun partito o credo se non per quello che professa l’amore per la verità e
la sua libera divulgazione. Quello che ci spinge ogni anno a presentarci umilmente di fronte a voi,
con tanta voglia di sensibilizzarvi su tematiche importanti e anche con lo scopo di intrattenervi con
questioni più leggere talvolta, è la forte volontà e l’intrinseca necessità che avvertiamo nell’offrirvi
un nobile passatempo come la lettura. Crediamo infatti che quest’ultima sia un potente mezzo
capace di combattere l’ignoranza e le ingiustizie, senza però ricorrere alla violenza. Siamo altresì
convinti che allargare i propri orizzonti, essere disposti ad ascoltare le motivazioni altrui e a
rispettarle, siano condizioni indispensabili per diventare dei buoni cittadini. Se fin qui vi abbiamo
illustrato il modus operandi che seguiremo per la realizzazione dei nostri articoli, permetteteci ora
di coinvolgervi idealmente in quella che è la nostra famiglia. Dovete sapere infatti che dietro a
questa squadra agguerrita quale il nostro comitato di redazione, c’è un gruppo eterogeneo di
ragazzi per età ed interessi che nel corso di un anno scolastico riescono a creare un bellissimo
rapporto tra di loro; basato su valori sempre più importanti in un mondo come quello in cui viviamo
oggi e dove sono difficilmente reperibili: parliamo di amicizia e di rispetto per le persone e le idee
altrui. La cosa che personalmente mi commuove è vedere come ogni anno il nostro gruppo diviene
sempre più numeroso, indice del fatto che ci sono molti ragazzi che hanno idee che intendono
condividere con tutti voi e anche, mi auguro, indice del fatto che si sia sparsa la voce che nella
nostra famiglia sono tutti ben accetti! Come uno dei membri ormai più “anziani” di questo gruppo,
ci tengo a fare un grande in bocca al lupo in generale a tutto il comitato di redazione e in particolare
ai nuovi arrivati. A tal proposito invito voi lettori a non sottovalutarli … saranno pure le “giovani
promesse” del giornalismo, ma sono praticamente certo che sapranno affascinarvi e lasciarvi a
bocca aperta con i loro articoli! Già lo scorso anno vi avevamo promesso che non vi sareste liberati
facilmente di noi (non è una minaccia), adesso siamo qui per dimostrarvi che non erano solo
chiacchiere. Prego mettetevi comodi, sta cominciando lo show!

                                                                         Ilario Pasculini, V A Classico

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LE NOSTRE PENNE SONO PRONTE, E VOI?
IL SOGNO DI UN MONDO MIGLIORE

E' il 19 luglio 1992. In un caldo pomeriggio estivo siciliano, è stato messo un punto alla vita del magistrato Paolo
Borsellino. La strage di via D'Amelio, nella quale morirono, oltre a Borsellino, i cinque agenti della sua scorta è
indubbiamente una delle pagine più tragiche della storia italiana. Pochi però sanno che ci fu una settima
vittima. Rita. Rita Atria, "a picciridda" di Paolo Borsellino. Non era lì, materialmente, in via D'Amelio...era nella
sua abitazione a Roma, dove viveva in stato di protezione, "clandestinamente", senza contatti con la sua
famiglia. Quella famiglia che ormai l'aveva rinnegata e ripudiata poiché cognata di una collaboratrice di giustizia
e poi, collaboratrice di giustizia lei stessa.
Con la morte del "magistrato nemico delle mafie", Rita si sente morire interiormente. Scriverà infatti: "Ora che
è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l'unica
cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento
saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia
dentro di te, puoi combattere quella che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo
sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta."
La giovane morirà, fisicamente, una settimana dopo la strage di via D'Amelio, gettandosi dal settimo piano del
palazzo dove viveva. Quel dolore era troppo grande per una ragazza appena diciassettenne, ormai sola al
mondo, disperata, senza alcun appiglio. Il magistrato era il suo unico conforto.

                                      Rita nasce nel 1974 a Partanna, in provincia di Trapani. In quella Partanna
                                      che da centro di pastori si è trasformata in centro di traffici di droga e armi,
                                      fatta di gerarchie e infiltrazioni mafiose in politica; nella quale si
                                      commissionano estorsioni e uccisioni. E' la secondogenita di Giovanna
                                      Cannova e Don Vito Atria, rispettato capo mafioso del trapanese. La
                                      giovane fronteggerà la morte troppo presto, quando l'unico pensiero
                                      dovrebbe essere divertirsi e giocare: a undici anni infatti, nel novembre
                                      dell'85, si troverà dinnanzi al cadavere crivellato di colpi del padre, ucciso
                                      poiché non accetta il cambio generazionale che l'industria della droga
                                      impone. Tra le urla ed i pianti disperati dei famigliari, dentro di sé Rita
                                      comincia a covare vendetta. Tenta di sopperire alla mancanza del padre
                                      costruendo uno stretto rapporto con il fratello Nicola, anch'egli giovane
                                      mafioso; da lui, com'anche dal fidanzato Calogero, incaricato di riscuotere
                                      le estorsioni, la ragazza apprenderà "i segreti del mestiere", le confidenze
                                      sugli affari economici e sulle attività illecite gestite dalla famiglia. Diventa
                                      così custode di segreti più grandi di lei e, perfettamente inserita
                                      nell'ambiente mafioso, in sua presenza si possono vendere droghe e
parlare: nessuno pensa a nascondersi ai suoi occhi. Un anno prima della strage di via D'Amelio, viene ucciso
anche Nicola; così la moglie, Piera Aiello, presente all'omicidio del marito, si affida alla giustizia e inizia a
parlare: dice tutto ciò che sa circa gli affari del marito e della sua famiglia, venendo di conseguenza portata in
segreto a Roma, sotto protezione.
Gli scagnozzi del padre di Rita ai quali lei era così vicina, che avevano giurato di proteggerla, non la cercano più
per aiutarla, ora, bensì per porre fine alla sua giovane vita. Rita sceglie di seguire l’esempio della cognata Piera,
collabora con la giustizia ed è così anche lei trasferita a Roma, dove arriva avendo con sé solo un diario, colmo
dei suoi pensieri. E' solo un'adolescente alla ricerca di una piccola apertura dalla quale respirare, in un
ambiente in cui non è possibile farlo; respiro di cui è stata privata per troppo tempo. Le loro deposizioni
permettono di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un'indagine su quello che
per trent'anni era stato sindaco di Partanna , il democristiano Culicchia.

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Nella capitale, la ragazza incontrerà Borsellino. "Quando Rita comincia a collaborare con la giustizia -
raccontava Alessandra Camassa, presidente del Tribunale di Marsala - non pensa minimamente 'ora aiuto i
giudici'. C’è solo rabbia. Era venuta per vendicarli. E come può una ragazzina di 17 anni vendicare la morte del
padre e del fratello? Certamente non si poteva mettere
a sparare per strada pur conoscendo tutti i mafiosi amici
del padre. E allora collabora con la giustizia.[...] Nei
primi colloqui mi dice 'mio padre era un uomo
straordinario perché ogni volta che rubavano le pecore,
lui riusciva a farle restituire'. Io allora le faccio vedere i
rapporti giudiziari e le dico, 'guarda che tuo padre
rubava le pecore e si faceva pagare per restituirle: si
chiama estorsione'. Per Rita tutto questo è stato un vero
percorso analitico, ha rivisitato la sua vita, ha
reinterpretato le figure del padre e del fratello. In un
anno ha cambiato testa.[...] Paolo era tanto affettuoso,
così lei pensa 'e allora tutto quello in cui avevo creduto era sbagliato'. E si affida davvero in un modo personale
a Borsellino. Morti il padre e il fratello, rifiutata dalla madre e dalla sorella, Paolo per lei era la salvezza. Era la
figura maschile che le mancava". La madre di Rita si dissocia immediatamente dalle azioni della figlia,
ripudiandola e minacciandola di morte. "Rita, non t'immischiare, non fare fesserie" l'aveva avvertita
ripetutamente. Tanto che, in seguito al suicidio della giovane, il giorno della sua sepoltura, preferirà
mantenere "l'onore" negando a Rita anche l'ultimo saluto. Quella madre che, a poco tempo dalla morte della
figlia, distrusse con un martello la sua lapide marmorea, in un gesto di eterno rinnegamento.
Quella di Rita è una storia di disperazione, di solitudine e di sconforto, ma anche di amore e di speranza. La
storia di una giovane che riuscì a far tremare forze più grandi di lei, fatta di capacità di rinunciare a tutto,
anche alla madre, pur di inseguire un ideale di giustizia: un percorso di crescita che la porterà dal desiderio di
vendetta a quello di una vera giustizia. La sua lapide sarà comunque salda nei cuori e nelle menti dei giusti, "a
memoria delle sue coraggiose parole che continueranno ad essere diffuse per richiamare tutti noi ad un
impegno più convinto e consapevole nella lotta contro le mafie, ognuno per quello che è nelle sue possibilità
e capacità." Scrisse infatti nel suo tema di maturità: "L'unica speranza è non arrendersi mai. Così la giustizia e
la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare la mafia è rendere coscienti i ragazzi che
vivono tra essa che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza. Forse un mondo
onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce
la faremo."

                                                                                     Elena Azeglio, III D Classico

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PENTITI DI MAFIA

Con l’espressione “pentito di mafia” si indica la figura del “collaboratore di giustizia” quindi
sarebbe più appropriato indicarlo in questo modo.
Una cosa infatti è essere “collaboratori di giustizia” diverso è essere “pentiti”, perché il
pentimento è un’espressione interiore che può accompagnarsi o meno a dichiarazioni
esteriori su quanto accaduto o intrapreso durante la propria latitanza.
La libertà di parlare può essere anche il risultato di un pensiero di convenienza processuale
(se si collabora rivelando i nomi dei complici ai
magistrati, si possono ricevere degli sconti di pena)
tuttavia non si esclude che vi possano essere
autentiche evoluzioni dell’animo che esortano a
modificare la propria esistenza liberandosi da pesanti
fardelli.
Un esempio di ciò si trova in ex mafiosi come Vincenzo
Calcara, che ha rappresentato per Paolo Borsellino ciò
che Tommaso Buscetta è stato per Giovanni Falcone.
Sono casi molto rari ma ci inducono a conservare la
fiducia nel genere umano, anche quando questo ci
conduce verso scelte e ragionamenti inauditi.

                                 In generale però,
                                 bisogna lucidamente
                                 riconoscere che “il
                                 regime di favore” di
                                 cui si gode assumendo “lo status di pentito”giustifica le
                                 decisioni in tal senso da parte dei “picciotti” catturati
                                 (difficilmente infatti ci si pente a piede libero, più spesso
                                 accade solo dopo l’arresto).
                                 In conclusione, si può affermare che il “pentitismo” è uno
                                 strumento utilissimo (senza il quale non ci sarebbe stato ad
                                 esempio il maxi processo a Cosa Nostra a fine anni ’80) ma
                                 da usare con grande cautela per evitare che
                                 “guadagnandoci su” si possa trasformare in un enorme
                                 danno.

                                                           Benedetta Chiappini, I C Linguistico

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DISSESTO IDROGEOLOGICO

Cos'è il dissesto idrogeologico?
Con il termine "dissesto idrogeologico" si intendono tutti quei processi che hanno un'azione fortemente
distruttiva sul suolo. Alcuni si manifestano in maniera più lenta e graduale, come l'erosione superficiale; altri
possono essere repentini e catastrofici, come le frane, gli smottamenti, e le alluvioni.
Frane e alluvioni, in particolare, sono fenomeni ben noti nel nostro Paese.
Sappiamo infatti che gran parte del territorio italiano è a rischio idrogeologico, per la sua natura
prevalentemente montuosa, ma soprattutto a causa delle attività umane.

Quali sono le cause del dissesto?
Le attività umane che incidono maggiormente sono: l'abusivismo edilizio, gli interventi invasivi e non
ponderati sui corsi d'acqua e la mancanza di manutenzione degli stessi, la cementificazione e la
deforestazione.
Sappiamo infatti che la vegetazione riduce il rischio di frane; il primo beneficio della copertura vegetale è il
consolidamento del suolo, poiché con le loro radici, le piante trattengono il terreno impedendo il suo
cedimento; in secondo luogo, assorbono gran parte dell'acqua piovana. Pertanto, eliminando la vegetazione,
l'azione corrosiva del suolo da parte di piogge e venti diviene molto più rapida e al contempo l'acqua non più
assorbita dalle radici e dal terreno ingrossa torrenti e fiumi, facendoli esondare. Questo, purtroppo, è quello
che hanno sperimentato, ad esempio, gli abitanti di Sarno e Quindici. Le colline circostanti, private della
copertura vegetale, non ressero alle piogge particolarmente abbondanti e a maggio del 1998 provocarono il
distacco di un'enorme frana.
Altre cause del dissesto legate ad una
gestione sbagliata del territorio sono gli
interventi per regolare il flusso di fiumi
e torrenti.
L'intensa urbanizzazione e il consumo
del territorio hanno assediato i fiumi,
ridotto il loro spazio vitale e aumentato
la loro pericolosità tanto che, costretti
entro piccoli argini, sono diventati
spesso protagonisti di alluvioni
catastrofiche.

Che cosa si può fare per ridurre il dissesto idrogeologico?
Il modo migliore per prevenire le frane è fermare il disboscamento nelle aree a rischio e non concedere
l'edificabilità sui pendii instabili; per quanto riguarda le alluvioni, invece, la strada giusta è la rinaturalizzazione
dei corsi d'acqua deviati.
In realtà si potrebbe fare moltissimo, e le conoscenze a riguardo non mancano, tuttavia la prevenzione al
dissesto richiede una mentalità ed una cultura della sostenibilità, una volontà di salvaguardare il territorio che
spesso viene completamente annebbiata dalle opportunità economiche che si presentano sul territorio.
Per questo dovremmo sensibilizzare al rispetto per la natura, per avere un futuro migliore ed un ambiente più
sicuro nel quale abitare.

                                                                                      Chiara Conti, IV A classico

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SIETE PRONTI A MORIRE?

Sì, avete letto bene, secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate
Change delle Nazioni Unite, nell'arco di circa 12 anni il nostro pianeta raggiungerà, agli
attuali livelli di emissioni di gas serra, il limite di 1,5 gradi Celsius. Questo, come
confermano le stime di un gruppo di ricercatori svedesi, porterà alla nascita di una
‘Hothouse Earth’, termine con il quale ci si riferisce ad un incremento globale delle
temperature di 4-5 gradi. Quindi “tutti” gli sforzi che stiamo
facendo per rispettare gli accordi di Parigi, cioè ridurre
l’inquinamento e di conseguenza l’ innalzamento delle
temperature, potrebbero rivelarsi inutili. La terra diventerebbe
una vera e propria serra, dilaniata da eventi catastrofici
concatenati tra loro, tra cui: alluvioni e carestie, scioglimento
dei ghiacciai e innalzamento del livello dei mari, maggior
diffusione delle malattie. Ma qual è la causa di tutto questo?
Fin dal XX secolo la Terra è esposta fortemente ai cosiddetti gas
serra e alla loro emissione nell’atmosfera, fenomeno
conosciuto come ‘riscaldamento globale’. Per gas serra
intendiamo quei gas presenti nell’atmosfera, che sono
trasparenti alla luce solare in entrata sulla Terra, ma riescono a
trattenere la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle
nuvole. Tuttavia è opportuno, se non necessario, precisare che al di sopra di tutto c’è
l’uomo, con la sua sfrenata e matta voglia di avere il dominio su tutto e su tutti, perché è
questo che lo spinge ad evolversi, ma allo stesso tempo a distruggere quel magnifico
ecosistema in cui vive, e di conseguenza anche se stesso. Non è forse questo che ha portato
gli Stati Uniti, la Siria e il Nicaragua a non firmare gli accordi di Parigi? La paura di perdere il
loro potere, o meglio ciò che ne è la fonte, li terrorizza a tal punto da tirarsi indietro e non
guardare in faccia la minaccia imminente che sta mettendo in ginocchio il nostro pianeta.
Va detto però che non sono solo le grandi potenze la causa di tutto, perché anche noi nel
nostro piccolo contribuiamo a alla diffusione di questa “piaga”. Ma a chi interessa se tutto
va a rotoli? Se la Terra si sta autodistruggendo? A nessuno.
Una soluzione? Avviare una campagna di sensibilizzazione, rivolta soprattutto alle nuove
generazioni, per far sì che venga compresa la gravità effettiva di ciò che sta accadendo.

                                                                       Valerio Berto, III D Classico

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SCUOLA E SOCIETA’, UNA GARA PERSA IN PARTENZA

La scuola, un’istituzione che ricopre un ruolo fondamentale nella continuità di una società
progredita, un centro culturale in cui la gioventù
viene educata ed istruita, un servizio pubblico di
inestimabile valore sociale, un diritto, una certezza,
un simbolo; spesso non viene apprezzata e amata
dagli studenti, che la percepiscono come una noia, un
ostacolo per il loro tempo libero. Di certo l’età non
aiuta a comprendere la funzione della scuola nella
vita, ma d'altra parte viene spontanea una amara
domanda: "Perché la scuola, che dovrebbe essere
uno stimolo, ha un effetto contrario?"
Di certo non si può addossare tutta la colpa agli studenti, che sicuramente potrebbero fare di più,
ma che spesso con fin troppa superficialità vengono giudicati svogliati e privi di ogni interesse, nei
confronti della società o del futuro. Affermazione che, come vedremo, si dimostrerà errata. La
mancanza di interesse, infatti, non si può attribuire agli studenti, né direttamente all’istruzione
Questa fase di rigetto verso la scuola è probabilmente inscindibile dal corso della vita e dalla fase
adolescenziale. La colpa, probabilmente, è da attribuire indirettamente alla società, che plasma le
persone, cambia le mode, i costumi, gli usi, i metodi. E’ sempre quindi in continuo e veloce
mutamento, involontario ed allo stesso tempo molto profondo.
L'uomo, essendone anche indirettamente l’artefice, riesce a stare dietro a questo cambiamento,
grazie ad un’evoluzione costante; le nuove generazioni vivono la novità come un’attualità, quello
che un tempo era considerato il futuro oggi viene visto come presente.
Non si può dire lo stesso delle istituzioni e delle sovrastrutture governative, in questo caso quella
scolastica, che, pur aggiornandosi discretamente, sono radicate nel tempo ed hanno radici nel
passato; per quanto possano queste tendere ad innovarsi, hanno sempre una salda ancora che le
frena e le impedisce di mettersi al pari con le nuove usanze. Il riconoscimento che i giovani hanno
nella nuova società, non lo riscontrano nella scuola, perché oramai il mondo extrascolastico offre
opportunità di svago che sono assai più coinvolgenti dei metodi usati dagli insegnanti, e come
inevitabile conseguenza si ha un disinteresse verso un ambiente che non coinvolge o crea curiosità
più di quanto faccia il mondo esterno. Per fare degli esempi comprensibili e chiari, sarebbe come
doversi interessare di un “Pandino” quando si può avere una Ferrari, come doversi tuffare in un
noioso passato per una mattinata, quando una volta usciti si può benissimo godere di tutti i lussi
offertici dalla vita. Forse la società ci ha viziato, forse l’istruzione potrebbe innovarsi di più, forse gli
studenti dovrebbero metterci più buona volontà, però, il fatto che resta oggettivo è che il tentativo
della scuola di strappare al mondo esterno le attenzioni dei ragazzi, è una gara persa in partenza.
Non esiste soluzione, è così, bisogna accettarlo, apprezzare l'istruzione per come è proposta, far
convivere un ambiente meno interessante ma più utile, con uno meno utile ma più interessante,
studiare ma senza toglier spazio allo svago, svagarsi ma senza toglier spazio allo studio, trovare un
equilibrio per un incastro perfetto. Faticoso, ma soddisfacente, essendo consapevoli che questo
renderà possibile essere qualcuno un domani, avere un ruolo nella società, nella vita, per tenere
alto il nostro orgoglio. Tutto ciò che facciamo in gioventù ha uno scopo, un’utilità, e
indifferentemente dai metodi con cui è proposto, offre un’occasione, sta a noi decidere se coglierla
o meno.
                                                                        Riccardo Menicacci, I C classico

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IL TEMPO E’ SCADUTO

“È finito il tempo del silenzio, è finito il tempo
dell’attesa, è finito il tempo di tollerare abusi,
discriminazioni e molestie”: con queste parole si
presenta il movimento creato a difesa delle vittime di
molestie sessuali avvenute all’interno dell’industria
cinematografica, il Time’s up.
Il Time’s up, (letteralmente, il tempo è scaduto) è
formato da un gruppo di 330 donne dell’industria dello
spettacolo statunitense come attrici, agenti,
sceneggiatrici, registe, produttrici, che hanno come
scopo combattere questi comportamenti inappropriati
non solo ad Hollywood ma anche nei normali posti di
lavoro.
Attrici come Eva Longoria, America Ferrera, Ashley Judd
e Natalie Portman, Tina Tchen, che fu capo dello staff di Michelle Obama e Maria Eitel, co-
presidente di Nike Foundation e una esperta di "corporate responsability", hanno firmato
una lettera pubblicata sul New York Times e sul giornale di lingua spagnola La Opinion, che
ha dato il via al Times's Up: comincia con 'Dear Sisters' e finisce In solidariety, Care
sorelle...in solidarietà. In parte in risposta a questa lettera, la nascita di Time's Up fu
annunciata sul New York Times il 1º gennaio 2018, a seguito del caso Harvey Weinstein e
delle successive vicende di “celebrities” accusate di molestie sessuali.
Dalla fondazione dell'organizzazione, sono state annunciate diverse iniziative come un
fondo per difese legali di 13 milioni di dollari, con cui si forniranno avvocati a tutti coloro
che sono pronti ad agire ed inoltre c'è un invito a tutte le donne che saliranno sul red
carpet di vestire in nero per denunciare molestie e abusi.
"Le donne non devono più' combattere per farsi largo, salire nei ranghi o semplicemente
per essere ascoltate e riconosciute in luoghi di lavoro dominati dagli uomini. Tutto questo
deve finire. E' ora di dire basta a questo impenetrabile monopolio", ecco ciò che scrivono
le vip nella lettera citata in precedenza.

                                                         Siria Andrea Frida Latini, III D Classico

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PALAZZO DOEBBING

Oggi ho deciso di portarvi a
conoscere una vera e propria perla
dell'alto Lazio, ovvero l'antichissima
città di Sutri, e in particolare Palazzo
Doebbing.
Sutri si trova a una trentina di km
dalla capitale ed è principalmente
conosciuta per l'Anfiteatro, per
l'antico campanile della cattedrale di Santa Maria Assunta e,d a qualche tempo, anche per
questo Palazzo. Infatti era impossibile resistere al tam tam mediatico degli ultimi mesi nato
intorno all'apertura di questo museo nel cuore della Tuscia, fortemente voluto, sostenuto e
creato da un personaggio che da anni imperversa nella scena sociale, culturale e politica
italiana, ovvero l'istrionico critico d'arte e sindaco di Sutri Vittorio Sgarbi. Uno dei suoi
cavalli di battaglia che lo ha portato a diventare sindaco era stata proprio l'idea di rivalutare
Sutri, le sue bellezze, la sua arte, la sua storia e lanciarla così nel mondo, facendola
conoscere ovunque. Quindi quale miglior volantino pubblicitario per un critico d'arte se non
quello di creare in brevissimo tempo un museo degno di una grande città?
Ed ecco che l'estroso sindaco ha qui trovato il luogo più adatto, ovvero l'ex palazzo
vescovile della diocesi di Sutri, che trae il nome dal tedesco Joseph Bernard Doebbing, che
nel periodo tra il 1900 e il 1916 fu il vescovo delle diocesi di Sutri e di Nepi,
Questo maestoso palazzo, attiguo alla cattedrale citata in precedenza, basa la sua storia
sulle antichissime radici cristiane di Sutri, dato che nel corso dei secoli tra le sue mura
ospitò importanti uomini di chiesa, ma soprattutto un papa, Papa Pio V.
Fu proprio grazie al vescovo Doebbing che iniziò una prima radicale ristrutturazione di
questo palazzo, infatti fu lui che fece dare all'edificio una struttura neogotica con l'aggiunta
di merlature e dell'orologio, più altre modifiche minori. Ma il vescovo morì nel 1916 a causa
di una malattia, e il lavoro di ristrutturazione fu completato soltanto tra il 2010 e il 2018
grazie alla regione Lazio e alla volontà della diocesi di Civita Castellana.
La sua trasformazione in museo è avvenuta su un progetto dell'architetto romano Andolini
che ha permesso la creazione di un'area espositiva di circa 1000 metri quadri, e su proposta
del sindaco Vittorio Sgarbi in accordo con la diocesi civitonica il palazzo è stato intitolato al
vescovo Doebbing. Il 14 Settembre 2018, con un'inaugurazione avvenuta alla presenza del
ministro della Pubblica Istruzione e del mecenate avvocato Emmanuele Francesco Maria
Emanuele, che con la sua fondazione è divenuto finanziatore dell'attività del museo.
Il 15 Settembre è invece stato aperto ufficialmente ai visitatori e fin da subito si è capito
quale successo abbia avuto la nascita di questo museo.
All'interno vi si possono ammirare opere della Tuscia dal XV al XII secolo, come 'Passeggiata
amorosa' del famoso Pelizza da Volpedo, autore di 'Quarto stato', o opere artistiche
fotografiche di contemporanei. Già da dicembre sarà possibile ammirare opere di Tiziano.

                                                                    Christian Forti, V A Classico

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LO SQUALLORE DISGRAZIATO

"La Grande Bellezza" è il film prodotto in Italia nel 2013, scritto e diretto da Paolo
Sorrentino, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2014.
La storia ruota attorno alla vita di Jep Gambardella (Toni Servillo), noto giornalista e critico
teatrale, che alla soglia dei sessantacinque anni entra in una sorta di crisi interiore, che lo
costringe a meditare su se stesso e sulla sua vita. La Grande Bellezza non è un film che
vuole trasmetterci un significato, non è un film che trova certezze nell’esistenza. Jep
Gambardella è un uomo sospeso, un uomo che ha smesso di cercare, un uomo arresosi all’
evidente degrado del mondo.
"Sono anni che tutti mi chiedono perché non torno a scrivere un nuovo romanzo. Ma
guarda ‘sta gente, ‘sta fauna. Questa è la mia vita, non è niente. Flaubert voleva scrivere un
romanzo sul niente, non c’è riuscito. Ci posso riuscire io?"
Sorrentino ci mostra il mondo dell'altissima borghesia, una borghesia che si ritrova persa
tra le illusioni del lusso e degli eccessi. Il mondo ritratto da Jep Gambardella somiglia molto
a quello in cui vivono i personaggi de "Il Piacere" di D'Annunzio: Roma decadente, vittima di
un appiattimento culturale e sociale.
I protagonisti delle due opere sono schiavi della mondanità.
Netto è anche il richiamo a “ La Dolce Vita” a cui Sorrentino regala alcune citazioni e ne
riprende la struttura disarticolata, pur ammettendo l’improponibilità del confronto. Ma il
parallelismo con Fellini finisce per una visione completamente diversa delle cose: mentre
ieri si era coscienti di trovarsi in un momento di svolta, oggi invece si è di fronte ad uno
“squallore disgraziato”. Importanza va data sia ai dialoghi, che alle immagini e ai
personaggi. I primi studiati nel dettaglio e articolati alla perfezione, per lo più provocatori o
volti a demolire uno degli interlocutori, ma sono soprattutto i monologhi, in genere brevi e
che avvengono nella mente del protagonista, ad assumere un ruolo fondamentale
all’interno del film e ad esprimere il messaggio del regista. Le immagini sono frutto di un
lungo lavoro, nessun fotogramma è stato realizzato a caso, anche il più insignificante
particolare è stato posto nel luogo giusto al momento giusto. In quest’opera infatti spesso è
ciò che vediamo e non ciò che viene detto a suscitare emozioni, per questo non va data una
lettura superficiale, ma molto approfondita; ogni scena, anche se può sembrare
sconveniente o del tutto insensata, assume un valore ben preciso e svolge un ruolo chiave
nella comprensione generale del film.

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Naturalmente “La Grande Bellezza” non sarebbe tale senza i suoi personaggi, caratterizzati
in maniera minuziosa, primo fra tutti Jep, forse uno dei migliori protagonisti dei film degli
ultimi anni; un ruolo importante lo svolge anche Romano (Carlo Verdone), vestendo i panni
dell’uomo che non è riuscito a collocarsi nella società e che alla fine, dopo innumerevoli
fallimenti, è costretto a lasciare Roma e rifugiarsi nel suo paese d’origine. Altra figura
importante è quella di Ramona (Sabrina Ferilli), donna che nonostante si sia inserita nella
mondanità romana cerca di rimanerne distante e fedele a se stessa, pur soccombendo per
una malattia improvvisa. Troviamo anche preti corrotti, che piuttosto che parlare di credo
preferiscono fornire ricette di cucina, nobili ormai decaduti che si vendono per pochi spicci,
chirurghi plastici visti come santoni, segnali di come la società sia definitivamente in
decadenza. Tutto ciò accompagnato da una colonna sonora leggera, con la presenza di voci
liriche che riempiono quei grandi spazi della Roma di Jep. Una Roma che riesce al meglio a
farci capire come il mondo delle apparenze abbia vinto su tutto. Proprio Jep nel finale del
film ci spiega come la realtà funzioni: “Finisce sempre così, con la morte. Ma prima c’è stata
la vita, nascosta sotto il bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il
silenzio e l’emozione, il sentimento e la paura, gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza e
poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo
dello stare al mondo, bla bla bla bla. Altrove c’è l’altrove e io non mi occupo dell’altrove. E
dunque che questo romanzo abbia inizio, in fondo è solo un trucco, sì è solo un trucco”.

                                                                              Gianluca Aquilani e
                                                                            Edoardo Piacentini, V
                                                                                       A Classico

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