Nuovo ospedale a Pordenone - La scelta dell'Ordine dei Medici, Chirurghi ed Odontoiatri di Pordenone

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Nuovo ospedale a Pordenone - La scelta dell'Ordine dei Medici, Chirurghi ed Odontoiatri di Pordenone
Nuovo ospedale a Pordenone
   La scelta dell’Ordine dei Medici,
Chirurghi ed Odontoiatri di Pordenone

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Sintesi

Fin dalle conclusioni del “Documento di analisi degli aspetti strutturali, logistici e di attività
dell’Ospedale di Pordenone, finalizzato al riordino dell’attività ospedaliera” della Commissione
istituita ad hoc (2004) era evidente che la struttura ospedaliera attuale non solo non è a norma
rispetto alle indicazioni antisismiche ma ha sistemi tecnologici non integrabili ed ammodernabili ed
una topografia incongrua e che la costruzione in nuovo sito è l’unica che ha tutti i vantaggi di
costruzione, di realizzazione e di prospettive. Questa fu la scelta dell’Amministrazione Comunale.
La scelta della Giunta Regionale 2003‐2008, tuttavia, fu favorevole alla ristrutturazione in situ.
Quella soluzione aveva i seguenti limiti: inadeguata rispetto alle caratteristiche di un ospedale
moderno che guarda al futuro; non rispondente alle esigenze di vision dell’ospedale di Pordenone;
peggiorativa dell’efficienza ospedaliera; a rischio per pazienti ed operatori e per l’area urbana; non
credibile sotto il profilo della previsione di spesa;senza copertura finanziaria. Con la costruzione in
nuovo sito, scelta dall’Amministrazione Regionale 2008‐2013, non si tratta semplicemente di
edificare un nuovo ospedale ma di pensare ad un ospedale “nuovo”, che rappresenti uno dei tre
poli di eccellenza interrelati della spedalità regionale per acuti e il polo di eccellenza della spedalità
dell’Area Vasta, che operi in rapporto positivo e sinergico con il CRO e che risponda ai criteri
dell’Ospedale Modello e a quelli della “flessibilità” e della “futuribilità”. L’altra metà della
organizzazione sanitaria, quella rivolta ai pazienti cronici e ai danni di bassa intensità, troverà
risposta nella rete socio‐sanitaria che ha come punti di forza ADI, MMG, strutture intermedie,
distretti, RSA, ospedali di comunità. La Cittadella della Salute sta come perno internodale di questa
rete. Più di 200 posti letto a bassa intensità nelle realtà periferiche fanno da intermediari tra cure
territoriali e cure per acuti ad alta intensità. Il nuovo ospedale, dunque, non limita ma esalta
l’organizzazione territoriale. La proposta del nuovo ospedale è radicalmente diversa da quella della
parziale ricostruzione in sito (Tabella II). Da ciò discende che un referendum popolare su questa
materia è inammissibile, perché non si tratta di un tema urbanistico (lo è solo secondariamente)
ma è un tema di salute pubblica, che attiene all’architettura regionale della rete ospedaliera
dell’eccellenza e, come tale, non è materia decidibile solo dagli abitanti di Pordenone ma attiene al
diritto dei cittadini alla miglior cura possibile e sostenibile e perché un quesito che ponga
esclusivamente il tema della collocazione, senza chiarire che si tratta di due proposte totalmente
differenti per gli esiti sanitari e di quanti anni di ritardo comporterebbe uno stop alle procedure
(ammesso che riuscissimo a mantenere a Pordenone il finanziamento regionale), è fuorviante ed
ingannevole. L’iter complesso e tormentato dell’accordo di programma è alla sua conclusione.
Tentennamenti e meline lo possono mettere in forse. Sappiamo che il nuovo ospedale è una vittoria
bipartisan, che non sarebbe stata possibile senza la determinazione dell’Amministrazione
Comunale di Pordenone da un lato e la volontà dell’Amministrazione Regionale dall’altro.
Rivolgiamo un accorato appello alla buona politica perché chiuda rapidamente l’accordo di
programma, convinti che altrimenti il futuro di Pordenone non sarà di avere un ospedale meno
efficiente o meno moderno ma di non avere un ospedale degno di questo nome.

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Gli Ordini dei Medici, Chirurghi ed Odontoiatri hanno, tra i compiti previsti per legge, quello di
esprimere pareri e posizioni riguardanti l’organizzazione sanitaria. L’Ordine dei Medici, Chirurghi
ed Odontoiatri di Pordenone (OdM PN) ha enfatizzato questo diritto/dovere nei documenti
programmatici delle ultime tornata amministrative e, negli ultimi anni, in una serie di documenti in
relazione ai passaggi salienti della evoluzione del Sistema Sanitario Regionale (Libro Verde, PSSE
2010‐12, nascita degli “Ospedali Riuniti” di Pordenone, revisione del SSR).

Per quanto attiene il tema dell’ ospedale di Pordenone, OdM PN ha ripetutamente espresso, con
chiarezza, dal 2005 (Presidenza Magazzù) ad oggi (Presidenza Cappelletti) in dichiarazioni e
documenti la scelta per la costruzione di un nuovo ospedale in un nuovo sito, diverso dall’attuale. I
documenti a sostegno di tale scelta sono stati assunti, pur nella rotazione dei colleghi chiamati a
rappresentare l’Ordine in tre diverse tornate elettorali, tutti all’unanimità.

Le motivazioni per un nuovo ospedale
Un dibattito serio e fruttuoso dovrebbe partire da dati di fatto conosciuti e verificati. Nel caso
dell’Ospedale, una Commissione ad hoc di ingegneri e architetti (Studio Altieri Spa, Coprogetti
Scrl), medici ed igienisti (Direzione Sanitaria AOSMA, dott. A Marcolongo direttore sanitario
consulente, professionisti AOSMA), direttamente incaricata dalla AOSMA su mandato della
Regione, ha redatto nel 2004 una valutazione dello stato dell’ospedale (Documento di analisi degli
aspetti strutturali, logistici e di attività dell’Ospedale di Pordenone, finalizzato al riordino
dell’attività ospedaliera), dalla quale emerge con chiarezza, al di là della declinazione di 4
soluzioni possibili, la necessità di un nuovo ospedale.

Nella Relazione Finale, infatti, si legge:

“Nonostante i continui interventi di adeguamento, gli impianti dell’ospedale presentano notevoli
criticità, tali da rendere inadeguato l’esercizio in condizioni normali e soprattutto l’utilizzo
dell’ospedale nell’eventualità di un evento calamitoso di vasta scala. Le condizioni di criticità
possono essere così riassunte: difficile visione d’insieme dei sistemi e raccolta dati quasi inutile
stante la continua situazione di modifica … impossibilità di intervenire radicalmente a livello
strutturale … non sono applicati i concetti di modularità e di sezionamento … mancanza di
telecontrollo sui sistemi … spazio tecnici non ampliabili … inadeguata ubicazione dei volumi tecnici
… reti principali vecchie e di difficile sostituzione … verifiche periodiche di difficile esperimento …
inadeguatezza delle installazioni rispetto alle condizioni sismiche … carenza rispetto alle condizioni
di igiene ed impossibilità di attuare le operazioni di bonifica … mancanza degli accorgimenti di
risparmio energetico …”

Nelle Conclusioni della Relazione, inoltre, si legge:

“La situazione impiantistica dell’ospedale è in continua evoluzione … Tuttavia la struttura
dell’ospedale è datata e gli sforzi compiuti risolvono solo in parte i problemi esistenti e le evidenti
carenze … L’obsolescenza della struttura dell’impiantistica impone per ciascuna tipologia la
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continua rivisitazione, ampliamento ed adeguamento con il risultato di rendere sempre più
difficili le aggiunte e gli schemi più complicati, di rendere problematica qualunque tipo di
manutenzione, di comprimere sempre più sia il volume tecnico disponibile sia quello destinato
all’utenza … Tutti gli interventi aggiuntivi rispondono alle norme con artifici aggiuntivi dovuti a
scelte obbligate che di fatto riducono la qualità del servizio erogato, il rendimento e la vita degli
impianti … In questa situazione risulta impossibile avviare un programma efficace di manutenzione
preventiva … Altre criticità si aggiungono con il crescere degli interventi … Le conclusioni ci portano
a considerare che tutti gli impianti hanno necessità di interventi di adeguamento … Lo stato di
obsolescenza dell’impiantistica, nata con l’ospedale stesso, non risponde alle esigenze attuali e,
risulta, naturalmente, di difficile integrazione con l’impiantistica installata nel periodo recente. In
sostanza gli sforzi finora compiuti dovranno essere accompagnati da sforzi ancora maggiori solo
per mantenere un grado di efficienza sufficiente … Rispetto ad una soluzione razionale che può
corrispondere a soluzioni recenti, la distribuzione topografica dell’ospedale, che fa riferimento ad
edifici non omogenei, orientati in modo diverso, con percorsi di collegamento complessi che non
consentono la separazione dei percorsi sporco‐pulito, influenza in via diretta la complessità ed il
costo delle nuove installazioni e della manutenzione.”

Lo Studio propone 4 soluzioni: 2 di ristrutturazione di piccola e grande portata (giudicate dalla
Commissione irrealizzabili); 2 di nuova costruzione in situ o in nuova area. Nella descrizione dei
vantaggi e svantaggi delle due ipotesi percorribili, lo Studio sintetizzava come segue in Tabella I (la
forma in tabella è stata usata per un più immediato confronto ma i contenuti sono riportati
testualmente):

                        VANTAGGI                                        SVANTAGGI
        Gradualità intervento                          Cantierizzazione difficile per l’area urbana
        Localizzazione consolidata                     Difficile convivenza tra cantiere e
        Recupero di area verde                         funzionamento dell’ospedale
IN SITO Costi accettabili                              Incompatibilità con gli investimenti già
        Sufficiente razionalizzazione degli spazi      effettuati
        Prospettiva di funzionamento fino a 20         Mantenimento delle strutture durante il
        anni                                           periodo di costruzione
        Localizzazione urbanistica ideale              Localizzazione da consolidare (psicologia)
        Cantierabilità senza disagi                    Adeguamento delle infrastrutture alla nuova
        Costi di costruzione e di gestione             area
NUOVO ottimizzati                                      Incompatibilità con gli investimenti già
SITO    Ottima razionalizzazione degli spazi           effettuati
        Prospettiva di funzionamento oltre i 20        Mantenimento delle strutture durante il
        anni                                           periodo di costruzione
        Disponibilità di un’area strategica per
        funzioni urbane

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In buona sostanza, è evidente fin dalla Relazione del 2004 che:

1) la struttura ospedaliera attuale non solo non è a norma rispetto alle indicazioni antisismiche
emanate nel 1983 (sic!) ‐ al punto che i Padiglioni A e B non sono recuperabili se non con
interventi strutturalmente impegnativi, delicati e di dubbia resa (torri esterne, sistemi di tiraggio,
ecc …) ed economicamente costosissimi – ma, cresciuta per apposizioni, ha sistemi tecnologici
non integrabili ed ammodernabili ed una topografia incongrua rispetto a razionalizzazione di
percorsi ed attività;

2) la nuova costruzione in sito ha l’unico vantaggio reale il costo minore (il costo dell’ipotesi in sito
veniva stimato, nell’aggiornamento 2005 della Relazione, 93 milioni di euro contro i 149 milioni
dell’ipotesi in nuovo sito), contrastato dai problemi del cantiere per pazienti, operatori, ospedale
nel suo complesso e area urbana, appesantito dalla lunghezza dei lavori (la gradualità di intervento
è uno degli elementi che la determinano e che incrementano i disagi), e dalla mancanza di
prospettive, legata da un lato alla parziale rispondenza all’Ospedale Modello e dall’altra al lasso di
tempo di funzionamento incongruo rispetto alle previsioni medie di vita di un nosocomio moderno
(30‐50 anni);

3) la costruzione in nuovo sito è l’unica che ha tutti i vantaggi di costruzione (cantierabilità,
costi), di realizzazione (localizzazione, costi, caratteristiche) e di prospettive (rispondenza
all’Ospedale Modello, tempo di funzionamento congruo) contro gli svantaggi sono i costi per le
infrastrutture della nuova area e le resistenze psicologiche alla localizzazione; incompatibilità con
gli investimenti già effettuati (peraltro tra i citati vi è quello dei laboratori che ha ormai meno di 10
anni di sopravvivenza) e costi di manutenzione dell’esistente sono, infatti, presenti in ciascuna
delle due soluzioni.

In conclusione, già il Documento del 2004, se letto attentamente, indirizzava senza dubbio alla
costruzione di un nuovo ospedale in nuovo sito. E questa fu la scelta dell’Amministrazione
Comunale.

L’ipotesi della ristrutturazione in situ
La scelta della Giunta Regionale 2003‐2008, tuttavia, fu favorevole alla ristrutturazione in situ.
Oggi si parla di occasione persa. Così non è, se si analizzano attentamente le caratteristiche
operative di quella scelta come furono definite dal Progetto di massima redatto nel 2006.

Il Progetto prevedeva il recupero del Padiglione C e la costruzione di un Padiglione alfa sul sedime
dell’attuale parcheggio interno e delle ex‐caserme che lo contornano, addossato e innestato al
Padiglione C, e con ingresso verso il Parcheggio comunale. Nel nuovo Padiglione avrebbero trovato
posto circa 400 posti letto (in prima ipotesi, 334); nel Padiglione C profondamente ristrutturato,
circa 70 pl di day hospital e il Pronto Soccorso – Dipartimento di Emergenza.

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Una siffatta soluzione aveva i seguenti limiti: a) inadeguata rispetto alle caratteristiche di un
ospedale moderno che guarda al futuro; b) non rispondente alle esigenze di vision dell’ospedale
di Pordenone; c) peggiorativa dell’efficienza ospedaliera; d) a rischio per pazienti ed operatori e
per l’area urbana; e) non credibile sotto il profilo della previsione di spesa; f) senza copertura
finanziaria.

       a) inadeguata rispetto alle caratteristiche di un ospedale moderno che guarda al futuro.
Gli ospedali durano almeno 50 anni. Quello che si costruisce adesso dovrà essere funzionale oltre
la metà di questo secolo. Il metro di valutazione deve essere il “modello” di ospedale, che in Italia
va sotto il nome di Veronesi‐Piano‐Mauri e che seppur ad un decennio dalla sua proposta,
nonostante alcune limitazioni, rappresenta il riferimento accettato da tutti.

Come debba essere un ospedale che guarda avanti lo sintetizza, appunto, il cosiddetto “Decalogo
per l’Ospedale del Futuro”, conclusione del progetto di ricerca avviato dal Ministero della Sanità e
dall’ARSS: “Umanizzazione (come centralità della persona: vanno garantite privacy, comfort,
informazione, comunicazione), Urbanità (come corretta integrazione con il territorio e la città),
Socialità (come “ospedale aperto” integrato in “attività parasanitarie”), Organizzazione (come
efficacia, efficienza e benessere percepito), Interattività (come completezza e continuità
assistenziale con le strutture dell’assistenza primaria), Appropriatezza (come corretto uso di cure e
di risorse), Affidabilità (come sicurezza e tranquillità: privacy, abbattimento dei rumori, sicurezza
ambientale e tecnico‐costruttiva), Innovazione (come rinnovamento diagnostico, terapeutico,
tecnologico ed informatico), Ricerca (come apprendimento intellettuale e clinico‐scientifico: si
dovranno prevedere luoghi e attrezzature tecnologiche nonché informatiche idonee), Formazione
(come aggiornamento professionale e culturale: si dovrà dare una rilevanza sempre maggiore alle
aree destinate specificamente alla formazione e alla didattica”.

L’ospedale, inoltre, è un organismo dinamico che segue l’evoluzione della tecnologia. Il tempo di
vita di una struttura sanitaria è determinato più dalla sua capacità che ha di adattarsi nel tempo
alle nuove tecnologie (flessibilità) che non dall’invecchiamento edile impiantistico. La
ricostruzione che nasce vecchia impedisce ogni flessibilità ed ogni “futuribilità” (capacità di
adeguarsi al futuro). Non è necessario essere dei tecnici di igiene ed organizzazione sanitaria per
comprendere che la ristrutturazione in situ dell’Ospedale di Pordenone, ennesimo patchwork, lo
avrebbe condannato a rinunciare, in partenza, alla possibilità di mai raggiungere gli standard
previsti da un “normale” ospedale moderno e di essere pronto ad un qualunque futuro.

       b) non rispondente alle esigenze di vision dell’ospedale di Pordenone.La costruzione di un
nuovo ospedale a Pordenone non è la costruzione di un nuovo ospedale di Pordenone e nemmeno
(solamente) la costruzione di un nuovo ospedale della provincia di Pordenone, ma la costruzione
di una delle dotazioni basilari dello scheletro della spedalità regionale, la cui strutturazione è
impostata, come ribadito dal PSSR 2010‐12 e dalla recente Legge sul SSR, sulle tre Aziende
Ospedaliere di Trieste, Udine e Pordenone. Una eccessiva contrazione nel numero di posti letto
per acuti è il testimone di una riclassificazione dell’ospedale non tra i 3 di riferimento ma tra i tanti
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a livello di rete, minando prospetticamente la possibilità dell’eccellenza. Non è lungimirante,
infatti, pensare in prospettiva ad una diminuzione di ruolo dell’Ospedale per acuti: in Provincia,
anche sulla base dei parametri del recente Decreto Balduzzi che prevede 3,7‰ posti letto, saranno
comunque necessari 1184 posti letto per l’acuzie, e almeno 5‐600 di questi devono essere allocati
nell’ospedale di riferimento regionale. Anzi, la tempistica e l’efficacia delle emergenze di alto
livello e la progressiva sofisticazione delle cure e delle attività diagnostiche richiedono sempre più
quella flessibilità di intervento che viene dimensionata dal limite minimo della casistica necessaria
a creare e mantenere competenze ed expertise e dal limite massimo della rapidità di una risposta
appropriata, “effective” e personalizzata.

        c) peggiorativa dell’efficienza ospedaliera. L’area principale di prevista ristrutturazione, il
Padiglione C, rappresenta l’area dell’emergenza che da sempre ha mostrato limiti strutturali che si
trasformano in vincoli negativi per una organizzazione fluida di un settore così importante per la
salute, e così fortemente percepito dai cittadini. Questa resta com’è! La ri‐distribuzione di alcune
attività critiche come la Cardiologia, con una strutturazione su più piani e in padiglioni diversi,
appesantisce piuttosto che semplificare i percorsi dell’emergenza. Non ci sono sufficienti spazi per
l’ambulatorietà ed i servizi di laboratorio e di imaging. Non ci sono sufficienti sale operatorie e di
terapia intensiva e semintensiva, anche alla luce degli sviluppi futuri. Non c’è la stroke unit. Le
aree di studio, formazione e ricerca sono inesistenti. È del tutto assente la prospettiva
dell’evoluzione logistica e tecnologica che interverrà nei prossimi decenni. In sintesi è un ospedale
senza futuro.

        d) a rischio pazienti ed operatori ed area urbana.Un grave problema sarebbero state le
condizioni di sopravvivenza dei pazienti e degli operatori nell’ospedale contiguo al cantiere
(polveri, rumore, rischio di polluzione di sostanze irritanti e allergeniche e di agenti infettivi).
Non vi era nessuna dettagliata valutazione dei rischi e degli inconvenienti possibili per una
programmata preventiva definizione delle misure in grado di minimizzare i disagi. Questi rischi
esisterebbero anche per l’area urbana circostante, che sarebbe esposta per 7‐8 anni al traffico
pesante degli automezzi da cantiere, con il blocco del traffico parziale o totale in un’area già oggi
intasata e di difficile percorrenza.

        e) non credibile sotto il profilo della previsione di spesa. Il progetto definitivo del nuovo
padiglione e del parcheggio interrato è stato recepito con deliberazione n. 196 del 29 dicembre
2006, mentre il quadro economico definitivo è stato approvato con deliberazione n. 4 del 31
gennaio 2007. L’investimento complessivo per i lavori di riordino dell’Ospedale di Pordenone
ammontavano a €.110.582.153,00, così ripartiti:

Opere propedeutiche                                     €. 6.358.610,00

Padiglione “Alfa” e parcheggi interrati                 €. 92.089.591,54

Ristrutturazione edificio “C”                           €. 7.121.063,46

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Ristrutturazione padiglione “L”                           €.   660.400,00

Ristrutturazione edificio “A” (per 2.520 mq)              €. 2.784.600,00

Demolizioni finali                                        €. 1.567.888,00

                                                        €. 110.582.153,00

I costi delle ristrutturazioni (Padiglione C ecc.) erano stimati meno della metà degli importi
normalmente richiesti. Non erano previsti finanziamenti per l’attrezzaggio e per le tecnologie.
Realisticamente il costo previsto era a malapena sufficiente per portare al grezzo il solo
Padiglione alfa, per i parcheggi e alcuni interventi impiantistici.

        f) senza copertura finanziaria. Nella DGR 901 del 5 maggio 2006, “Programma degli
investimenti del SSR 2006‐2015 e modalità di finanziamento”, per l’ospedale di Pordenone erano
previsti 99 milioni di euro (disponibili 4!), di cui 23 a realizzazione aziendale (conto capitale) e 75
leasing immobiliare. La tabella al punto 3.2 della delibera “Modalità definite di finanziamento e
realizzazione” specificava: ristrutturazioni per appalto diretto; nuove edificazioni + attrezzaggio
per canoni di locazione. Come a dire che con 75 milioni di euro si sarebbe dovuto costruire un
nuovo padiglione da almeno 300 posti letto (dichiarati 400) ed attrezzarlo! È evidente anche per
un non addetto che la previsione è irrealistica. Si nota, in quella delibera, la previsione di 20 milioni
di euro per la Cittadella della Salute, tutta finanziata con leasing.

Un ospedale nuovo
“Se Pordenone non avrà in tempi certi un nuovo ospedale, davanti a noi sta solo una decadenza
senza fine, che peserebbe gravemente sull'intera città. Un ospedale dequalificato non potrebbe
che entrare in concorrenza con gli ospedali di rete della nostra provincia e portare ad una battaglia
fra poveri”. Rispetto a queste considerazioni dell’Amministrazione Comunale di Pordenone nel
2007, viviamo in una realtà sanitaria ancora mutata ed innovativa, principalmente come effetto
della costituzione degli Ospedali Riuniti, i cui effetti positivi, in una logica di ristrutturazione
aziendale, si esplicheranno nel tempo.

Bisogna pensare ad un ospedale “nuovo”, che rappresenti uno dei tre poli di eccellenza
interrelati della spedalità regionale per acuti e il polo di eccellenza della spedalità dell’Area
Vasta; che operi in rapporto positivo e sinergico con il CRO e che risponda ai criteri dell’Ospedale
Modello e a duelli della “flessibilità” e della “futuribilità”:

        a) che rappresenti uno dei tre poli di eccellenza interrelati della spedalità regionale per
acuti, così come pianificato dal PSSR 2010‐2012. Da questo punto di vista è bene ricordare quanto
la Regione ha messo in previsione e in opera per gli altri 2 pilastri della spedalità regionale: 1)
Trieste per il rifacimento dell’Ospedale Maggiore 82,664 milioni (5 lotti), per il rifacimento di
Cattinara e Burlo più di 100 milioni, appena sbloccati dallo Stato, più 59 milioni dalla Regione
(investimenti totali finali per 250‐260 milioni); 2) Udine ha appena inaugurato il lotto delle centrali
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e dei laboratori e i lotti 1 e 2 per un investimento totale di oltre 271 milioni di euro e mancano da
costruire i lotti 3 e 4 per un costo stimato non inferiore ai 100 milioni di euro (investimenti totali
finali per circa 400 milioni)

        b) che rappresenti il polo di eccellenza della spedalità dell’Area Vasta (non più l’ospedale
di Pordenone ma del Pordenonese) nella rete provinciale ripensata per intensità di cura, e che
adempia con efficacia alla sua missione attraverso l’attivazione in maniera adeguata di tutte le
realtà territoriali deputate a rispondere ai bisogni non acuti della popolazione.

        Da un punto di vista delle attività ospedaliere, il compito di AORP è particolarmente
impegnativo, dovendo conciliare le attività sanitarie di base, in una nuova e moderna visione
delle organizzazioni sanitarie basata sulle evidenze e sull’innovazione, con il ruolo di punta
avanzata delle specializzazioni riconosciute in ambito regionale. La riorganizzazione per intensità
di cura non è applicata solo nella nuova struttura di AOSMA ma nell’insieme delle strutture (fuori
dal nuovo ospedale vi saranno comunque più di 200 posti letto per acuti), dove AORP va pensata
come una “cosa unica”, non più come la sommatoria di realtà diverse e dove le soluzioni operative
devono essere prese sulla base dell’efficienza e del merito (competenze/casistica) e non sulla base
della geopolitica. L’esperienza sanitaria del mondo dimostra ampiamente che solo l’efficienza
consente l’equità.

        Da un punto di vista dell’approccio globale alla salute, l’OdM PN ha saldamente sostenuto il
principio di costruzione della realtà sanitaria provinciale espresso dallo slogan “un territorio – un
ospedale”. Ma la condizione per la realizzazione di tale principio è sempre stata quella che la
costituzione degli “ospedali riuniti” fosse accompagnata da una riorganizzazione territoriale che
offra sul territorio quel che l’ospedale per acuti non può più dare ( post‐acuzie e cronicità) e che,
altrimenti, ricade da un lato sulle famiglie e dall’altro sui MMG. Il MMG è centrale in questa
“rivoluzione”, soprattutto alla luce delle recenti innovazioni legislative (Balduzzi): lavoro medico ed
assistenziale in team; compartecipazione dei pazienti alla definizione della strategia terapeutica;
sistemi di cure integrate per superare la frammentazione dei servizi territoriali e fra questi e quelli
ospedalieri. Ciò ha importanti ricadute anche sugli scenari futuri di evoluzione delle reti di servizi
territoriali, che prevedono sviluppi in parte alternativi ed in parte integrabili: sviluppo delle cure
intermedie, sviluppo delle cure primarie, modello bilanciato. Le molte criticità della nuova
organizzazione territoriale, connessa ai “nuovi” Distretti, sono già state puntualizzate dal
Documento di OdM PN del 2011 e verranno riprese in un prossimo Documento specifico.

        c) che operi in rapporto positivo e sinergico con il CRO, secondo un opportuno mix di
divisione ed integrazione di attività, al di là delle diversità istituzionali che rimangono inalterate;
la costruzione del nuovo ospedale in Comina facilita integrazioni e interscambi logistici ed
operativi, secondo logiche di efficienza e di efficacia clinica per il singolo cittadino (effectiveness);

      d) che risponda ai criteri dell’Ospedale Modello (vedi sopra) e abbia la possibilità di
modularsi, sotto il profilo logistico, organizzativo e tecnologico, nel tempo (30‐50 anni) in relazione

                                                                                                       9
al mutamento epidemiologico, gestionale e del progresso scientifico (flessibilità e futuribilità).
Puntualizza il Documento Veronesi‐Piano‐Mauri (Ministero della Salute, 2001): “La struttura deve
essere in grado di accogliere lo sviluppo rapido delle innovazioni tecnologiche ed organizzative; i
sistemi costruttivi devono essere flessibili in modo da consentire il montaggio, smontaggio,
spostamento o aggiunta di elementi attraverso lavorazioni semplici, non polverose e non
rumorose, nonché l’espandibilità e l’adeguabilità semplice degli impianti … si dovrà prevedere aree
“polmone” per le probabili espansioni, specie nei settori ad alta potenzialità innovativa”. Prescrive
il documento Responding to future change in Investing in hospitals of future (WHO Regional
Office for Europe, 2009): “La flessibilità e la scalabilità sono caratteristiche ineludibili in un
moderno ospedale. La presenza di una qualche ridondanza di spazi interni e la disponibilità di spazi
esterni sono indispensabili”.

La costruzione di un nuovo ospedale in un nuovo sito consente l’avverarsi delle condizioni che
permettono una nuova buona sanità. Ovviamente la costruzione di un ospedale non determina di
per sé ed immediatamente il miglioramento della salute, non ne è una condizione sufficiente, ma
ne è un presupposto, una condizione necessaria: senza adeguati spazi, logistica, tecnologia e
flessibilità non si può pensare oggi di fare della buona medicina, e tutta la medicina occidentale è lì
a dimostrarlo. Ciò supera anche la sterile polemica tra i “muri” e le “teste”. Se si intende dire che
senza competenze professionali e umane le dotazioni murarie non fanno salute, si dice una cosa
talmente ovvia da essere banale, ma se si intendesse dire che competenze ed esperienze, in
particolare all’eccellenza, possono nascere e crescere o essere attratte da logistiche, tecnologie ed
organizzazioni obsolete o cadenti, allora si direbbe semplicemente una sciocchezza.

Ciò non toglie che efficienza e tecnologia debbano essere accompagnate da empatia ed
umanizzazione e che su questo fronte vi sia largo spazio di miglioramento. Ma non possiamo oggi
pensare di ovviare con la buona volontà e l’attenzione umana a carenze ed insufficienze di cura:
tutti i cittadini hanno diritto ad essere curati con il massimo dell’efficacia clinica, appropriata alla
loro condizione patologica.

Non va, d’altra parte, perpetuata una ormai superata concezione dell’ospedalità, come del luogo
del ricovero per motivazioni spesso più sociali che sanitarie. L’ospedale di oggi e di domani è e sarà
ipertecnologico, dedicato alle acuzie, ad alta efficienza, separato anche fisicamente dall’assistenza.
Le necessità sanitarie di minor impegno e la maggior parte di quelle legate alle malattie croniche e
alle loro riacutizzazioni trovano risposta sul territorio attraverso una ADI veramente operativa, le
strutture intermedie con l’apporto di professionisti diversi e MMG, i Distretti come registi e
fornitori di prestazioni dipartimentali e di salute pubblica, le strutture di ricovero quali RSA,
Ospedali di Comunità, Ospedali a bassa intensità c di cure. Questa rete assistenziale, che coinvolge
anche i Comuni, è in rapporto con l’Ospedale per acuti ma è una organizzazione diversa, perché
diverse sono le mission sanitarie. Nel caso di specie, la Cittadella della Salute, collocata in via
Monte reale, acquista significato e funzione proprio perché l’Ospedale per acuti non insiste sulla
stessa area!

                                                                                                     10
La proposta del nuovo ospedale è radicalmente diversa da quella della parziale ricostruzione in
sito.

Le principali differenze sono sintetizzate in Tabella II:

                      padiglione alfa           nuovo ospedale                       note
Area disponibile        ~108.000                   ~184.000           Scalabilità!
Dimensioni               85.000                     110.000           Flessibilità, futuribilità!
                      (nuovi 45.000)             (tutti nuovi!)
Posti letto                470                        550             Mantenuta l’attuale dotazione
Sale operatorie             14                         14
Terapia
intensiva, TIPO              12                        >30            Indispensabili per il futuro
e subintensiva
Stroke unit                 no                         si
Pronto soccorso       quello attuale!         nuovo, con il 50% di    È il punto di maggior difficoltà
                                                 spazio in più        dell’organizzazione
                                                                      dell’ospedale!
Rinnovo                                       previsto per il 50%     Tiene conto della data di
dotazioni               non previsto            dell’esistente        attivazione (7 anni)
tecnologiche                                     (≈30 mln €)
Tecnologia                  < 10                       >10
pesante
Degenze (spazi)         come attuali          circa un terzo in più   Consente camere a 2 e a 1
                                                                      letto, flessibili
Spazi                    inadeguati                 adeguati
ambulatoriali
Laboratorio ed        Inadeguati e a
imaging               sopravvivenza                 adeguati
                    limitata (
alla bassa intensità e non attrattivo; da un lato un investimento sanitario e sociale per il futuro,
dall’altro un costo minore ma in breve tempo inutile.

Figura 1. L’ospedale in sito è solo per il 50% nuovo (riquadro in rosso), in ambiente ecologicamente
inquinato e con nessuna possibilità di “flessibilità” orizzontale e verticale e scarsa disponibilità di area
per ogni evenienza di “futuribilità” nei prossimi 30‐50 anni.

Figura 2. L’ospedale in Comina è tutto nuovo, in ambiente ecologicamente sano e con possibilità di
“flessibilità” orizzontale e verticale e disponibilità di area per ogni evenienza di “futuribilità” nei prossimi
30‐50 anni. Cerchiate in rosso è le parti NON previste dall’ipotesi di ricostruzione in sito
                                                                                                             12
Da quanto sopra esposto, è evidente che un referendum popolare su tema della scelta
sull’ospedale ricostruito in sito o costruito ex novo sul nuovo sito incontra due livelli di
opposizione, che ne configurano la inammissibilità:

       1) non si tratta di un tema urbanistico (lo è solo secondariamente) ma è un tema di salute
       pubblica, che attiene all’architettura regionale della rete ospedaliera dell’eccellenza e,
       come tale, non è materia decidibile solo dagli abitanti di Pordenone ma attiene al diritto
       dei cittadini alla miglior cura possibile e sostenibile;

        2) un quesito che ponga esclusivamente il tema della collocazione, senza chiarire che si
       tratta di due proposte totalmente differenti per gli esiti sanitari, è fuorviante, ingannevole,
       tendenzioso e come tale inammissibile.

Deve essere chiaro, inoltre, che il tempo stimabile da oggi per avere attivo il nuovo ospedale con le
procedure in fase di deliberazione è di 6.3 anni (dati dell’Osservatorio). Se si deve rifare l’iter,
ammesso e non concesso che restino disponibili i 150 milioni di risorse regionali (comunque
insufficienti: ancora nel 2005 si stimavano 149 milioni, senza tecnologia!), sono preventivabili 4
anni di procedure e 7‐8 anni per la costruzione (dati Inchiesta parlamentare) con il raddoppio degli
anni di spese di manutenzione dell’esistente (circa 30 milioni a perdere), per avere forse nel 2025
un ospedale vecchio, inadeguato e già da demolire per almeno metà (padiglione H, padiglione C,
padiglione A) per obsolescenza.

Dunque la scelta vera che eventualmente va posta ai cittadini è tra fare il nuovo ospedale e non
avere ospedale.

Qualche (breve) considerazione urbanistica
Da un punto di vista medico e di edilizia ospedaliera, il tema urbanistico va affrontato alla luce
dell’evoluzione storica dell’ospedale e dei modelli oggi suggeriti dagli esperti del campo. Gli
ospedali in città si costruivano nel medioevo (hospitale), quando erano più ricoveri di viandanti ed
affamati che luoghi diagnostici e terapeutici. Così furono fino al ‘600, nonostante la lenta
evoluzione dell’arte medica. Ma dall’ottocento, data di nascita della moderna medicina
tecnologica e polispecialistica, gli ospedali si sono costruiti fuori dalle città. Anche a Pordenone,
quando agli inizi del ‘900 si decise di costruire un nuovo ospedale abbandonando il sito che aveva
visto sorgere il primo nucleo nel 1260, si scelse l’area delle Caserme. Allora l’area della città finiva
con la grande Villa Ottoboni ed il suo parco! Così è stato per il Nuovo Ospedale di Udine, così per il
Cattinara, così è stato ed è in tutto il mondo.

Per quanto attiene lo specifico di Pordenone, vale la pena di ricordare che proprio l’allora
insormontabile ostacolo della “cintura” costituita dalle Caserme e dall’Ospedale impedì nel Piano
Urbanistico del 1983 di indicare la traiettoria di crescita della città verso nord, continuando la
spinta a sud e, in tempi più recenti, causando la saturazione dei lotti interclusi e delle aree di
rispetto all’interno della zona centrale e semicentrale. Se si pensa con un orizzonte di 30‐50 anni
                                                                                                     13
(e ci si astrae dalla attuale crisi economica e quindi edilizia,) anche il nuovo Piano Urbanistico deve
affrontare il tema dello sviluppo della città. La liberazione dell’area dell’ospedale può essere il più
stimolante aspetto del ridisegno di una città sostenibile ed armonica.

D’altra parte, sotto il profilo della viabilità, il Quartiere Nord e via Montereale sono ormai al limite
del collasso, soprattutto in alcuni momenti del giorno. La ricostruzione in sito causerebbe disagi
insostenibili da traffico pesante di cantiere per tutta la durata del lavoro (7‐8 anni) e lascerebbe le
condizioni di un traffico veicolare incrementale e di una totale carenza di parcheggi. Infatti
resterebbe disponibile solo l’attuale Parcheggio a disposizione e dell’Ospedale e della Nuova
Cittadella della Salute. Si pensi solo che nel nuovo ospedale e solo per le sue necessità sono
previsti il doppio dei parcheggi oggi disponibili in via Montereale.

Il tema del finanziamento
I medici hanno discusso a lungo sulla tipologia di finanziamento, preoccupati dalla possibilità che
fossero affidati ad esterni al SSR servizi sanitari “core”. Tale ipotesi è stata fugata e quindi
l’interesse si è spostato sulla comprensione dei meccanismi finanziari più opportuni.

La “Inchiesta sulle condizioni strutturali degli ospedali collocati in zone a rischio sismico o di
diversa natura” promossa da Parlamento della Repubblica nel 2009 ha certificato che il 47% degli
ospedali italiani ha più di 50 anni e solo l’8% meno di 30, cioè è stato costruito prima della
revisione delle norme antisismiche del 1983. Il 75% di essi presenta carenze gravissime, sotto
questo profilo, e cioè crollerebbe o subirebbe lesioni distruttive se esposto a terremoti oltre il 6.3
della scala Richter (quello del Friuli 1976 fu di 6.4) mentre il 60% subirebbe danni devastanti per
terremoti di magnitudo 6.0 della scala Richter.

Lo stato di fatto degli edifici ospedalieri italiani e la loro vetustà hanno più volte nell’ultimo
quindicennio stimolato lo studio di una generalizzata riedificazione (ne parlò ampiamente
Veronesi al tempo in cui era Ministro della Sanità 2000‐2001), anche in riferimento alla revisione
dell’impostazione dell’edilizia ospedaliera ed in particolare alla specializzazione con ipertecnologia,
da un lato, e ai criteri di efficienza ed economicità del servizio che conducono ad un
ridimensionamento del numero dei nosocomi. Dai 942 ospedali del 1997 si è passati ai 638 del
2009 con una diminuzione del 32%, analoga alla diminuzione dei posti letto. Tuttavia la rete
pubblica è ancora una rete diffusa (un ospedale ogni 90.000 abitanti), molto disomogenea sul
territorio nazionale e ancora costituita da ospedali piccoli (
nonostante la caratteristica di “opera fredda” tipica dell’ospedale che non consente un ritorno
finanziario iniziale se non per circa un terzo. Secondo il “X Osservatorio sul Project Finance in
sanità – 2011”, l’Italia con 74 progetti per 5.150 milioni di euro è terza al mondo dopo UK (188
progetti per 23miliardi di euro), Canada (66; 12.5 mld) e prima dell’Australia e la Spagna (26
progetti ciascuna per 6 e 3 mld rispettivamente). L’intervento in PFI rappresenta ancora meno del
10% del totale degli interventi in edilizia ospedaliera in Italia ma ha un tasso di crescita accelerato
dalla crisi (+75% nell’arco del decennio) e nel 2010 ha rappresentato il 65% dei lavori aggiudicati.
Se si eccettuano l’Emilia‐Romagna e i Piemonte dove l’appalto tradizionale supera ancora le opere
in PFI (53% e 62% rispettivamente), nelle altre Regioni PFI predomina con il 70% in Lombardia, il
75% nelle regioni meridionali (Puglia, Sardegna) e l’88% in Toscana e Veneto. Il 60% delle opere in
appalto ha richiesto più di 4 anni e il 30% più di 8 (media 7.2), mentre i tempi di realizzazione
con PFI sono 2‐5 anni (media 3.7.) Nelle operazioni oltre i 20 milioni di euro, il contributo pubblico
rappresenta tra lo zero e il 90%, il tempo di concessione tra 19 e 33 anni (media 28). Il rimborso
finanziario avviene tramite contributo in conto lavori, con canone annuale e con corrispettivi di
gestione. Il PFI è scelto quasi obbligatoriamente nei Progetti di alto costo (media appalti 11
milioni; media PF 130 milioni).

Nei Progetti di valore superiore a 100 milioni al privato concessionario sono state affidate le
seguenti tipologie di servizi no core, rivolti all’utenza esterna, come spazi commerciali (87%), aree
ristorazione (73%), e di servizi utilizzati dall’Azienda come manutenzione fabbricati e tecnologie
(93%), lavanderia, mensa, pulizie (87%), servizi energetici e manutenzione attrezzature (73%),
smaltimento rifiuti (67%). In genere non è previsto lì affidamento di servizi sanitari (core), se non
in un paio di ospedali veneti e nell’ASL 1 Napoli.

Vantaggi e rischi possono essere così sintetizzati:

                    VANTAGGI                                               RISCHI
Reperibilità risorse finanziarie                      Effettiva convenienza
Tempi di costruzione accelerati                       Iter a carico dell’Ente pubblico
Risparmio costi manutentivi dell’esistente            Definizione puntuale delle caratteristiche e
Progetto chiavi in mano                               loro controllo
Flessibilità, scalabilità                             Corretta allocazione del rischio tra pubblico e
Separazione tra servizi sanitari e generali           privato

In condizioni di difficile reperibilità delle risorse finanziarie, l’effettiva convenienza deve essere
valutata in questo contesto e in rapporto al minor tempo di esecuzione (circa la metà, stando ai
dati sopra riportati) che determina minori costi di manutenzione dell’esistente (oltre 8 mln/anno)
e alla sicurezza dell’interesse del concessionario a finire quanto prima un’opera perfettamente
funzionante, data la struttura del ritorno finanziario (servizi pagati e canone per disponibilità ed
utilizzo).

                                                                                                    15
Come già ricordato, l’ospedale è un organismo dinamico che segue l’evoluzione della tecnologia e
il suo tempo di vita dipende dalla sua capacità di adattarsi nel tempo alle nuove tecnologie più che
dall’invecchiamento impiantistico. Maggiore il tempo di costruzione, quindi, minore è il “periodo
di adattabilità” e quindi la funzionalità nel tempo.

Nel nostro caso lo svantaggio dell’iter burocratico è annullato dal fatto che si è già ampiamente
percorso. Anche le caratteristiche del PFI sono stabilite, con esclusione di servizi core. La
futuribilità è implicita nel progetto preliminare. Resta affidata al iter di aggiudicazione, come è
inevitabile, il tema finanziario del canone e dell’allocazione del rischio.

Considerazioni finali
OdM PN intende esprimere tre considerazioni sul nuovo ospedale, rivolte ai cittadini ed ai politici.

Innanzitutto intende sottolineare che un ospedale “nuovo” con le caratteristiche dell’eccellenza
tecnologica e logistica e la flessibilità e scalabilità rispetto alle novità diagnostiche e
terapeutiche è l’unica soluzione che garantisce a Pordenone e suo territorio un polo di
eccellenza nella rete ospedaliera regionale. È cioè condizione non sufficiente ma necessaria per
guardare ad un futuro di avanguardia. L’altra metà della organizzazione sanitaria, quella rivolta ai
pazienti cronici e ai danni di bassa intensità, troverà risposta nella rete socio‐sanitaria che ha come
punti di forza ADI, MMG, strutture intermedie, distretti, RSA, ospedali di comunità. La Cittadella
della Salute sta come perno internodale di questa rete. Più di 200 posti letto a bassa intensità nelle
realtà periferiche fanno da intermediari tra cure territoriali e acuti ad alta intensità. Il nuovo
ospedale, dunque, non limita ma esalta l’organizzazione territoriale.

Il progetto del nuovo sito e la parziale ricostruzione in sito sono due progetti drammaticamente
diversi, l’uno proteso all’eccellenza e al futuro, l’altro alla gestione progressivamente declinante
dell’esistente. Non possono quindi essere comparati in quesiti referendari fuorvianti ed
ingannevoli. L’architettura del Sistema Sanitario Regionale è, inoltre, patrimonio della Regione,
non di partizioni limitate di cittadini. Sosteremmo in ogni sede il diritto generale dei cittadini ad
una salute efficace ed appropriata.

L’iter complesso e tormentato dell’accordo di programma è alla sua conclusione. Tentennamenti e
meline lo possono mettere in forse. Sappiamo che il nuovo ospedale è una vittoria bipartisan, che
non sarebbe stata possibile senza la determinazione dell’Amministrazione Comunale di
Pordenone, da un lato, e la volontà dell’Amministrazione Regionale dall’altro. È un accorato
appello che rivolgiamo alla politica perché chiuda rapidamente l’accordo, convinti che altrimenti
il futuro di Pordenone non sarà di avere un ospedale meno efficiente o moderno ma, tout‐court,
di non avere un ospedale degno di questo nome.

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