Poesia "translingue" italo-spagnola fra Cinque e Seicento: alcune prospettive di ricerca

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ELVEZIO CANONICA
                                   Università di Friburgo (Svizzera)

           Poesia «translingue» italo-spagnola fra Cinque e Seicento:
                          alcune prospettive di ricerca

         /. Premessa
               Vorrei dapprima ringraziare gli organizzatori del Congresso che hanno
         gentilmente offerto la possibilità ad un nuovo membro svizzero dell'AISPI
         di partecipare al loro incontro annuale. Colgo l'occasione per presentare il
         mio attuale progetto di ricerca, finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per
         la ricerca scientifica; visto che si tratta di una ricerca "in fieri", è ovvio che
         le considerazioni che farò hanno un carattere provvisorio. Il progetto di cui
         mi sto occupando costituisce la seconda parte di una ricerca da me intrapresa
         presso l'Università di Friburgo sul fenomeno del "translinguismo letterario"
         italo-spagnolo, con speciale attenzione al genere poetico. Nella prima parte
         mi sono interessato al versante spagnolo, studiando alcune composizioni in
         italiano di poeti spagnoli, il cui risultato è sfociato nel volume Estudios de
         poesia translingue. Versos italianos de poetas españoles, desde la Edad
         Media hasta el Siglo de Oro1. Per avere una visione d'insieme equilibrata del
         fenomeno era necessario intraprendere l'esame dell'altro versante, quello
         italiano, di cui mi sto ora occupando. La bibliografia critica sui rapporti
         letterali italo-spagnoli, nelle due direzioni, non offre di fatto che pochi studi
         dedicati all'esame delle opere scritte nell'altra lingua, ossia in italiano di
         autori spagnoli e, viceversa, in spagnolo da autori italiani. Per il versante
         italiano, si può affermare che il breve contributo di Benedetto Croce Italiani
         che scrissero in ispagnuolo tra Cinque e Seicento, del 1895, è rimasto
         ancora insuperato2. La critica successiva si è limitata ad aggiungere o a
         togliere dalla lista del Croce qualche nome, e si ha l'impressione che si tratti
         di una tematica da relegare a pie di pagina.3

               1
                 Zaragoza, Pòrtico, Hispánica Helvética 9, 1996.
                 Ora in: Aneddoti di varia letteratura, 1.1, Bari, 1953, pp. 440-451.
                 Vedasi in special modo le recensioni del Farinelli ai lavori del Croce ("Appendice"
         a: B. Croce, La lingua spagnuola in Italia, Roma, Loescher, 1895; B. Croce, La Spagna
         nella vita italiana durante la Rinascenza, in: "Giornale storico della letteratura italiana",

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         2. Problematica del plurilinguismo letterario
              Di fatto, questa indagine s'inserisce in un più ampio filone di studi sul bi-
        e plurilinguismo letterario, cioè quel fenomeno che attraversa buona parte delle
        storie letterarie e che si caratterizza per l'impiego, in un testo, o nell'opera
        complessiva di un autore, di due o più lingue4. Si tratta di una corrente che si
        può ascrivere all'espressionismo letterario, i cui esempi più remoti rimontano,
        per quanto riguarda il contesto romanzo, al bilinguismo poetico latino-volgare
        del basso Medio Evo, ben messo in luce dallo Zumthor5. Con la progressiva
        distinzione delle lingue romanze, questa peculiare modalità si afferma in alcuni
        testi trovadorici, come nel famoso "descort" plurilingüe di Raimbaut de
        Vaqueiras o nella conosciuta canzone trilingue "Ai faux ris", attribuita a Dante,
        testi ben studiati da Furio Brugnolo6. La penisola iberica ne fornisce forse
        l'esempio più remoto attraverso le "jarchas" mozarabiche, dove, com'è ben
        risaputo, alla fine di un lungo poema in arabo volgare o in ebraico, e sotto le
        mentite spoglie delle rispettive grafie, si nascondono parole e versi romanzi,
        che risalgono al decimo secolo. Limitandoci ora al contesto italo-spagnolo,
        possiamo affermare che i primi casi di bilinguismo in un testo letterario sono
        da ricercare sul versante spagnolo, in alcune "canciones" di Carvajal, alla corte
        di Alfonso il Magnanimo, contenute nel Cancionero de Estúñiga, e nella
        "Comedieta de Ponca" del Marchese di Santillana, dove, come si ricorderà,
        alcune ottave sono attribuite al Boccaccio, che si esprime nella sua lingua
        materna. Il prestigio della lingua toscana, già alto grazie alla produzione delle

         LXXI, 1918, pp. 213-302) e le osservazioni dello stesso in: Italia e Spagna. Torino,
         Bocca, 1929, pp. 293 ss. In epoca più recente, si è rapidamente soffermato su questa
         tematica Gianluigi Beccaria, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua
         italiana del Cinque e Seicento, Torino, 1968, pp. 6-9.
                4
                  L'unico studio complessivo del plurilinguismo letterario rimane ancora quello di
         Leonard Forster, The Poets Tongues. Multilingualism in Literature, London, Cambridge, UP,
         1970. Più circoscritti, ma pur sempre ricchi di suggestioni, sono i lavori dì W. Th. Elwert
         L'emploi de langues étrangères comme procède stylistique, in: "Revue de littérature
         comparée", XLIII, 1960, pp. 409-437 e di W. Giese, El empleo de las lenguas extranjeras en
         la obra literaria, in: Homenaje a Dámaso Alonso, t. 11, pp. 79-90. In ambito iberico, una
        silloge di saggi sul tema è offerta dal volume collettivo Literatura y bilingüismo: homenaje a
        Pere Ramírez, a cura di E. Canonica - E. Rudin, Kassel, Reichenberger, 1993.
                 Un problème d'esthétique medievale: l'utilisation poétique du bilinguisme, in: "Le
        Moyen Age", LXVI, 1960, pp. 300-336; 561-594, poi ripubblicato in: Langue et technique
        poétique à l'èpoque romane, Paris, 1963, pp. 82 e ss.
               6
                 Appunti in margine al discordo plurilingüe di Raimbaut de Vaqueiras, in:
        Plurilinguismo e lirica medievale. Da Raimbaut de Vaqueiras a Dante, Roma, Bulzoni,
        1983, pp. 67-105; Note sulla canzone 'Aifaux ris' attribuita a Dante, in: L. Ritter - E.
        Raimondi, Retorica e critica letteraria, Bologna, II Mulino, 1978, pp. 35-68, poi
        ripubblicato in Plurilinguismo... cit., pp. 105 sgg.

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Poesia «translingue» italo-spagnola fra Cinque e Seicento             87

         tre corone del Trecento, si accresce vieppiù con l'inoltrarsi nel secolo XVI, e
         non può stupire che sia soprattutto nel periodo del Rinascimento dove
         troviamo le più ampie e riuscite prove in italiano di poeti spagnoli. A questo
         fattore di influenza culturale bisogna aggiungere, com'è ovvio, l'aspetto
         politico, vista l'effettiva presenza fìsica degli spagnoli su suolo italiano. Un
         caso paradigmático di questa simbiosi ira ragioni culturali e politiche lo
         troviamo nella produzione italiana dei fratelli Aldana, ambedue nati e cresciuti
         in Italia. Essi hanno coltivato, seppur in gradi diversi, un bilinguismo
         perfettamente equilibrato che si riflette nell'insieme della loro produzione e in
         alcune opere singole. Ma anche chi aveva soggiornato in Italia per meno
         tempo, come Francisco de Figueroa, sentiva la necessità di esprimersi nella
         lingua che era sinonimo della Rinascenza. Addirittura vi sono casi di poeti
         spagnoli che non avevano mai messo i piedi in Italia e che composero versi in
         italiano, come Lope de Vega7. In questi casi, oltre al prestigio letterario e
         culturale dell'italiano, l'importante presenza di italiani in Spagna (pensiamo
         agli artisti che accorsero per la costruzione dell'Escoriai, o all'importante
         colonia di banchieri genovesi a Madrid e Siviglia) può spiegare questa
         situazione.

         3. Problematica del translinguismo letterario
                La problematica del "translinguismo" rappresenta di fatto una variante
         del plurilinguismo in letteratura, e fa riferimento alla composizione di un'opera
         monolingue in una lingua non materna, in questo caso lo spagnolo per autori
         italiani. Globalmente, la situazione su questo versante può essere definita a
         prima vista come paradossale. In effetti, malgrado l'assenza in campo spagnolo
         di esempi paradigmatici comparabili alla produzione toscana delle tre corone
         del Trecento italiano, si assiste, fra Cinque e Seicento, ad una produzione in
         spagnolo da parte di autori italiani di gran lunga superiore quantitativamente a
         quella constatata nella direzione opposta. Questo fatto sì può spiegare, in parte,
         con il ruolo preponderante svolto dalla lingua spagnola come lingua di
         comunicazione della prima potenza mondiale, la cui conoscenza era necessaria
         a tutti, e non solo agli italiani di quest'epoca. Il fatto poi che siano in molti ad
         osare servirsene con pretese letterarie può essere spiegato proprio dall'assenza
         di una pressione derivata dal prestigio di una tradizione letteraria, il che può
         permettere un uso più disinvolto dello strumento linguistico. Ciò spiegherebbe
         anche la scarsezza della produzione inversa: il prestigio incontestato
         dell'italiano sarebbe un motivo di grande prudenza nel suo uso letterario

               7
                  Sull'italiano lopesco vedasi il capitolo "Lope y el italiano" nel nostro studio El
         poliglotismo en el teatro de Lope de Vega, Kassel, Reichenberger, 1991, pp. 107-268, con
         ampia bibliografìa.

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        eteroglotto. Sul piano storico e politico, però, lo scrivere nella lingua
        dell'invasore e dell'odiato esattore può sembrare più contraddittorio. Anche
        qui s'impone la cautela. Innanzitutto, i più recenti studi sul versante storico
        hanno di molto scalfito il cliché, di manzoniana memoria, del dominatore
        spagnolo crudele, arrogante ed esoso e del popolo italiano, vittima innocente
        di innumerevoli soprusi8. Di fatto, se abbracciamo con uno sguardo la
        produzione spagnola di autori italiani, fra Cinque e Seicento, siamo sorpresi
        dall'ingente presenza di composizioni d'occasione generalmente di carattere
        encomiastico, spesso di brevi proporzioni (in genere sonetti), che lasciano
        però quasi sempre a desiderare in quanto a correttezza linguistica e metrico-
        retorica. Tocchiamo qui un punto centrale di questa ricerca, che sta
        nell'accresciuta importanza dell'aspetto propriamente ecdotico, in quanto la
        trasmissione testuale, già di per sé complicata in questo periodo, si fa ancora
        più problematica quando ad essere trasmessi sono testi scritti in una lingua
        che l'editore, e a volte anche lo stesso autore, conosce poco o male.

         4. Presentazione ed organizzazione del corpus
              Possiamo passare ora alla presentazione del corpus di testi finora riuniti
        e alla sua organizzazione.
              Partendo dal citato lavoro di Croce, da alcune annotazioni del Farinelli,
        e soprattutto dal repertorio di testi italiani d'interesse iberico steso dal
        Vaganay ad inizio secolo9, il primo passo è consistito nella compilazione di
        un catalogo per autori e testi translingui, che si è vieppiù allargato ed è
        ancora in fase di allestimento. Il secondo passo, imprescindibile, è quello del
        reperimento dei testi e della loro lettura critica. È evidente che questa, come
        in ogni ricerca, è la fase più ostica. Nel caso presente, inoltre, si tratta di testi
        che, per la maggior parte, non sono mai stati riediti, per cui si deve lavorare
        su materiale manoscritto o, nel migliore dei casi, su prime edizioni a stampa,
        con tutti gli inconvenienti citati. Ci si può d'altronde chiedere il motivo di
        questo disinteresse ecdotico proprio per testi di questo tipo. V'è
        probabilmente da tenere in conto il condizionamento che la critica italiana ha

                  Penso in special modo alle seguenti affermazioni di Giuseppe Galasso: "E certo,
         come è ormai superata e da respingere la tesi di una Spagna presente in Italia come cieco
         oppressore e non come potere a sui si deve [...] quel po' di struttura moderna dello Stato che
         nacque allora in molta parte d'Italia, così è pure da respingere e appare superata la tesi di una
         Spagna cieca mungitrice e rapinatrice delle risorse dei suoi territori italiani e non, invece,
         potere imperiale che applicava in Italia gli stessi criteri e le stesse misure amministrative e
         finanziarie applicate nel paese dominante", in: Storia della letteratura italiana, a cura di
         Enrico Malato, voi. V, Roma, 1997, pp. 371-411 [p. 395].
               9
                 L'Espagne en Italie, in: "Revue Hispanique', IX, 1902, pp. 489-511; X, 1903, pp. 246-
         268; XI, 1904, pp. 541-565; XII, 1905, pp. 261-273; XXIII, 1910, pp. 265-306.

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         subito dal taglio nazionalistico ad oltranza delle prime storie letterarie
         italiane (Tiraboschi, De Sanctis), dove evidentemente non v'era posto per
         testi ed autori giudicati come "collaborazionisti".
               In quanto all'allestimento del catalogo, la domanda di fondo è la
         seguente: esistono dei criteri di selezione oggettivi? La risposta non è sempre
         facile, e può variare di caso in caso. Perfino il criterio della nazionalità non è
         del tutto oggettivo: che significa "italiano" nelle diverse regioni d'Italia fra
         Cinque e Seicento? È ancora "italiano" José Camerino, nato e cresciuto a Fano
         ma che trascorse la sua esistenza a Madrid e fu brillante prosista in spagnolo?
         O l'oriundo genovese Tommaso Sivori, che giunse in gioventù a Madrid e qui
         si stabilì, sposando una nobile spagnola, e che visse in Spagna per il resto dei
         suoi giorni? Inversamente, fino a che punto si possono ancora considerare
         "spagnoli" i fratelli Aldana, che nacquero a Napoli e vissero a lungo a Firenze
         e a Milano e, come detto, scrissero anche in italiano ? Come si vede, il criterio
         della "nazionalità" può essere messo in discussione, come pure quello della
         "lingua materna". Inoltre, in molti casi è ben poco quello che sappiamo
         sull'identità degli autori selezionati. Ora, come si può immaginare, la
         conoscenza delle vicende biografiche nel caso di un autore translingue è
         fondamentale, giacché l'apprezzamento della sua produzione nell'altra lingua
         dipende in gran parte dalle condizioni nelle quali essa venne assunta (studio,
         viaggi, contatti personali, ecc). La ricerca in archivio storico diventa perciò, in
         certi casi, un complemento necessario all'indagine propriamente letteraria.
               Passando ora ai criteri di organizzazione del materiale, è sembrato che
         una ripartizione degli autori per regioni d'appartenenza fosse una buona
         scelta operativa. Anche qui, non mancano i casi anfibi, e sarà da ritenere
         soprattutto la regione dove si è svolta l'attività professionale e letteraria, più
         che la regione d'origine, visto che non sempre esse coincidono. Si è optato
         per il mantenimento delle regioni storiche che costituivano un'unità
         amministrativa: la Sicilia, il Regno di Napoli, gli Stati della Chiesa, il
         Granducato di Toscana, il Ducato di Milano, la Repubblica véneta, gli stati
         sabaudi (Savoia e Piemonte), la Repubblica ligure (Genova) e gli stati minori
         (i principati di Parma, Urbino, Mantova, Ferrara e Massa Carrara). Una
         considerazione a parte merita la Sardegna, per ovvi motivi storici.
               A prima vista si potrebbe pensare che questa ripartizione non sia
         omogenea in questo contesto translingue, in quanto vi figurano regioni che
         dipendevano dalla corona spagnola, come la Sicilia, la Sardegna, il regno di
         Napoli e il Ducato di Milano al fianco di altre che al contrario non ne
         facevano parte. Se abbiamo optato per il mantenimento di questo panorama
         storico ciò è dovuto al fatto che alcuni fra gli esempi più interessanti di
         scrittura translingue provengono proprio da regioni non sottomesse

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         direttamente alla corona            di    Spagna, e da queste               prende     inizio
         l'esemplificazione.

         5. Esemplificazione
               In Piemonte, gli stati sabaudi elevano il transíinguismo poetico al rango
         principesco, giacché a poetare in spagnolo (e anche in francese) fu lo stesso
         Carlo Emanuele I, sposo di Caterina d'Austria, figlia di Filippo II. Si tratta di
         brevi composizioni liriche di argomento amoroso e morale, inspirate per la
         maggior parte dalla giovane moglie spagnola. Sono versi che dimostrano una
         certa frequentazione della poesia "cancioneril", e che si fondano perciò su
         modelli ormai già passati di moda nella poesia spagnola a cavallo fra Cinque
         e Seicento. Anche qui la veste editoriale di queste composizioni è ancora
         assai precaria, e sarà necessario un buon lavoro di lima per ottenere delle
         versioni più affidabili10.
               Nel Granducato di Toscana, dove nel 1540 Leonora di Toledo va sposa
         al granduca Cosimo de' Medici, l'elemento iberico è presente attraverso
         attività letterarie non necessariamente di tipo translingue. Se vi sono alcuni
         casi di scrittura poetica in spagnolo di autori toscani, essenzialmente
         d'occasione, non possiamo dimenticare la figura di Lorenzo Franciosini, che
         divulgò la lingua spagnola sia nell'insegnamento a Siena sia come autore dei
         primi strumenti didattici per l'apprendimento della lingua di Cervantes.
               Negli Stati della Chiesa nacque, a Fano, Giuseppe Camerino, il cui
         nome, ispanizzato in José Camerino, fa ormai parte della storia letteraria
         spagnola. Autore delle Novelas amorosas (Madrid, 1624) e della Dama
         beata (Madrid, 1655), elogiato dallo stesso Lope de Vega per il suo dominio
         del castigliano, per questo brillante prosista in spagnolo la scelta dello
         strumento linguistico è condizionata dal contesto che circonda l'esperienza
         vitale, visto che egli approdò ancora giovinetto in Spagna al seguito del
         padre. Vi sono però altre situazioni in cui questa scelta è dettata da altri
         motivi e non è sempre condizionata dal contesto linguistico-culturale. Qui,
         spesso, vi sono ragioni di dipendenza socio-economica del letterato dal suo
         signore e committente. È il caso di Francesco Balbi, nato a Correggio,

               10
                   L'unica edizione di cui disponiamo è ancora quella diplomatica data alla luce da Pio
         uccella in tiratura limitata in occasione delle nozze Weil Weiss-Weil, Poesie spagnuole di
         Carlo Emanuele il Grande Duca di Savoia, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1878 (la
         prefazione anche in: "Gazzetta letteraria", anno IH, 1878, p. 105, Torino). Sull'attività
         letteraria di Emanuele di Savoia, vedasi i contributi di F. Gabotto, Un principe poeta. Saggio
         di un lavoro sulla corte letteraria di Carlo Emanuele 1 di Savoia, in: "Rivista storica
         italiana", Vili, 1891, fase. Ili, pp. 181-231 e di Patrizio Rossi, La corte letteraria di Carlo
         Emmanuele I duca di Savoia (1580-1630), in: " Annali dell'Istituto Universitario Orientale
         Sezione Romanza" X, 1968, pp. 399-421.

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Poesia «translingue» italo-spagnola fra Cinque e Seicento                 91

         probabilmente l'autore italiano translinguisticamente più fedele. Com'è
         risaputo, il poeta emiliano scrisse in spagnolo varie opere di notevole
         estensione, mentre la sua produzione in italiano è praticamente inesistente. I
         motivi dell'adozione dello spagnolo nel Balbi sono dovuti alla sua
         dipendenza socio-economica dallo Stato di Milano, dove serviva come
         soldato. La difesa di Malta dall'offensiva del GranTurco, sotto le insegne di
         Ottavio Gonzaga, capitano generale della cavalleria dello Stato di Milano,
         dovette scatenare in lui una reazione di identificazione politica e religiosa
         con la Spagna, cui si accompagnò l'identificazione linguistica. Scrisse infatti
         "a caldo" un'ampia cronaca di quella eroica difesa, che pubblicò solo tre
         anni dopo i fatti (Barcellona, 1568). Il resto della sua produzione poetica è
         essenzialmente di tipo encomiastico, generalmente in sonetti o in ottave. Egli
         è anche autore di un rifacimento in versi àe\YAbencerraje, che prende la
         forma di un poema epico in ottave e in dieci canti e che si inserisce nella
         tradizione della 'novela morisca'. Si tratta di un'opera che fu iniziata in
         Spagna quando il Balbi era al servizio di Muzio Sforza Colonna, il quale si
         trovava alla corte come 'menino' del futuro Filippo III, cui è dedicata. Un
         ampio spazio è consacrato nel poema a digressioni di tipo autobiografico,
         specialmente nella narrazione del viaggio di ritomo dalla Spagna in Italia al
         seguito del suo protettore. Anche nel Balbi, la lingua spagnola è trattata
         spesso con molta disinvoltura, e vi abbondano gli italianismi, come bene ha
         messo in luce Giuseppe Mazzocchi". Ciononostante, queste imperfezioni
         sono diluite nella grande mole della sua opera spagnola che comprende
         svariate migliaia di versi, senza contare le opere in prosa. La sua ingente
         produzione non è stata mai riedita, e pochi sono gli studi dedicati alla sua
         figura e alla sua opera, e quasi tutti concentrati sul rifacimento
         dell'Abencerraje12. Ci si può legittimamente interrogare sull'opportunità di
         una riedizione critica delle sue opere, vista la scarsa qualità letteraria.
         Ciononostante, crediamo che la sua figura e la sua opera meritino per lo
         meno una monografia, vista l'emblematicità della sua situazione e le non
         indifferenti dimensioni della sua produzione.
               La Serenissima Repubblica di Venezia è forse la regione che offre il
         minor numero di testi translingui. Ciò può sembrare allo stesso tempo logico

                  "Sulla Historia de los amores del valeroso moro Abindarráez di Francesco Balbi da
         Correggio" in: Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, a cura di Simone
         Albonico, Andrea Coniboni, Giorgio Panizza, Claudio Vela, Milano, Fondazione Amoldo e
         Alberto Mondadori, 1996, pp. 547-572.
                  B. Matulka, On thè European Diffusion ofthe 'Last ofthe Abencerrajes Story ' in thè
         Sixteenth Century, in "Hispania", XVI, 1933, pp. 369-88; F. López Estrada, El Abencerraje y
         la hermosa Jarifa: cuatro textos y su estudio, Madrid, Publicaciones tìe la Revista de
         Archivos, Bibliotecas y Muscos, 1957.

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         e paradossale. Logico, se si pensa al ruolo di antagonista politico svolto da
         Venezia nei confronti della Spagna; paradossale, se pensiamo all'eccezionale
         produzione editoriale in spagnolo uscita dai torchi veneziani. Sembrerebbe
         che gli sforzi di Alfonso de Ulloa e della sua cerchia per divulgare la lingua
         e la letteratura di Spagna non siano riusciti a stimolare gli autori veneti a
         cimentarsi nella lingua spagnola. Ciononostante, spicca la figura dei medico
         trevigiano Bartolomeo Burchellati, poeta essenzialmente latino, ma che nei
         suoi Tyrocinia poetica stampati a Padova nel 1577 affianca alle poesie latine
         e volgari anche un paio di sonetti in spagnolo, uno dei quali diretto ad un
         collega egli pure trevigiano, il medico Francesco Aproino. In un'altra
         composizione in volgare diretta al signor Valerio Buongioco lo incita a
         "cantar rozo, Latin, Tosco, Spagnuolo", e conclude il suo componimento con
         un paio di versi in spagnolo. Tutte queste indicazioni sembrerebbero
         insinuare la presenza di un cenacolo di letterati trevigiani che si dedicavano
         all'esercizio poetico in varie lingue, fra le quali anche lo spagnolo.
               Per la Liguria, è già stato citato il caso di Tommaso Sivori, figlio di un
         ricco finanziere e di una Spinola, che visse a Madrid, dove la famiglia si era
         stabilita. Le sue rime spagnole sono riunite in un codice della Nazionale di
         Madrid e sono state studiate da José Manuel Biecua13 e da Mario Damonte14. Si
         tratta di un corpus di 99 liriche, quasi tutte d'occasione, di cui 36 sono state
         pubblicate modernamente . Compare, qua e là, qualche verso in italiano, che si
         mescola ai versi in spagnolo: l'epitaffio a Lope de Vega, per esempio, si
         compone di undici versi dei quali gli ultimi quattro sono in italiano.
               Ciononostante, com'era prevedibile, le regioni che appartenevano alla
         Corona di Spagna, e perciò storicamente più impregnate di cultura spagnola,
         sono quelle che offrono la maggior quantità di testi e autori. Per il Ducato di
         Milano, possiamo citare l'esempio di Massimiliano Calvi, autore di un
         voluminoso trattato di filiazione neoplatonica (Menéndez Pelayo lo definì un
         plagio dei Dialoghi d'amore di Leone Ebreo) intitolato De la hermosura y
         del amor, pubblicato a Milano nel 1576, diviso in tre libri e in 68 capitoli.
         Ogni libro è preceduto da un sonetto di presentazione, e all'interno del
         trattato appaiono pure alcuni versi in spagnolo, in apparenza tradotti dalle
         Bucoliche di Virgilio. L'autore pubblica pure una nutrita "errata corrige",
         che fa precedere dal seguente commento, molto rivelatore della disinvoltura
         con cui veniva trattata la lingua spagnola dagli editori italiani:

                 José Manuel Biecua, Las Rimas de Tomás Sivori, caballero genovés, en: Homenaje a
         Francisco Ynduráin, Zaragoza, 1972, pp. 47-69.
                 Mario Damonte, Rime inedite di un 'caballero ginovés ' in: Tra Spagna e Liguria,
         Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 1996, pp. 3-22.

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Poesia «translingue» italo-spagnola fra Cinque e Seicento                 93

               Porque el hauerse imprimido este libro en Italia, y con personas que no tenian
               noticia alguna de la lengua castellana, y con mucha prissa por la que el author
               les daua, y él tenia de ir en España, y por el poco lugar y muchas absencias por
               las quales era necessario andar mudando de correptores, ha salido con infinitos
               errores, assi de palabras enteras y algunas letras que faltan, como en la
               ortografía, ha parecido notar aqui solamente como han de dezir las palabras
               erradas que pueden variar el sentido; Y, quanto a las letras y ortografía, por
               evitar la prolixidad se ruega al lector que por ello nos tenga por escusados, y
               por lo uno y lo otro no se enfade15.

               Il Regno di Napoli offre senza dubbio il contingente più numeroso di
         autori e testi translingui, anche se in generale la produzione poetica è di tipo
         occasionale. Diverso è il caso del Basile, che compone tre madrigali in
         spagnolo, trasponendo cioè in un'altra lingua una forma poetica italianissima
         come il madrigale. Egli ha inoltre sette poesie spagnole nel Canzoniere del
         duca d'Alba, viceré di Napoli, pubblicate da Benedetto Croce nella grafia
         originale". Si tratta di composizioni di dimensioni diverse, in parte
         encomiastiche e in parte d'argomento amoroso. Specialmente interessanti
         sono le prime due, che riproducono la forma della canzonetta, e sono un
         tentativo di usare lo spagnolo come lingua per la musica, seguendo il
         modello italiano. Due altre composizioni si fondano sulla tradizione della
         "glosa" e si riallacciano quindi ancora una volta alla poesia "de cancionero".
         Pure napoletano d'origine, anche se attivo in Sicilia, era quel Giovan
         Domenico Bevilacqua, di cui non si hanno notizie biografiche, autore della
         Reina Matilda, una tragedia in versi pubblicata a Napoli nel 1597, dedicata a
         Juana de Pacheco, principessa di Conca, la quale nella dedica afferma: "No
         poca maravilla me ha dado que, siendo él napolitano, haya profesado y
         ajustado tanto en esta lengua, como lo que se vé". In altre parole, benché lo
         spagnolo fosse la lingua ufficiale nel Regno di Napoli, desta stupore agli
         occhi di un personaggio della corte che un autore napoletano osi cimentarvisi
         in una prova letteraria di certa ampiezza. Altre affermazioni di tipo
         metalinguistico come questa sono assai frequenti, e tenderebbero a scalfire il
         luogo comune secondo il quale il bilinguismo letterario fosse un fenomeno

                1
                  Cito dai preliminari della prima edizione Del/ Tractado /de la Hermosvra I'y del
         Amor / compvesto / por Maximiliano I CALVI / Libro primero. / El qual tracia de la
         Hermosura, dirigido ala I S.C.R. Magestad de la Reyna / Doña Ana / nuestra / Señora /
         En Milán / Por Paulo Gotardo Pondo, el Año / MDLXXVI [Braidense, B XVI 6, 106].
                  Illustrazione di un canzoniere ms. italo-spagnuolo del secolo XVII, in: "Atti
         dell'Accademia Pontaniana", voi. XXX, 1900, pp. 1-32. È in corso di stampa presso l'Università
         de La Coruña il mio intervento al Congresso Intemazionale sui "Canzonieri iberici" (Padova, 27-
         30 maggio 2000): "Le poesie spagnole del Basile presenti nel Canzoniere del Duca d'Alba".

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          naturale e spontaneo nelle regioni italiane fortemente ispanizzate fra Cinque
          e Seicento.
                 In Sicilia, come nel Regno di Napoli, il bilinguismo (o meglio, la
          diglossia) istituzionale trova il suo riflesso nell'esercizio letterario, offrendo un
          campo d'esplorazione abbastanza vasto. Questa regione presenta infatti uno
          degli esempi più significativi di poesia translingue per la sua organicità, cioè
          quella Sacra ghirlanda di celesti fiori ove si descrive la vita del Santo, che
          giornalmente celebra la Santa Chiesa. Compilata in un Sonetto Italiano, et in
          un altro Spagnuolo, composta da Pietro Venerasi e stampata a Venezia nel
          1642 con dedica al Gran Duca di Toscana Ferdinando II, e che si compone di
          una serie di 366 sonetti in italiano e di altrettanti in spagnolo, ognuno dei quali
          celebra il santo del giorno, sul modello dei divulgatissimi Flores sanctorum. Si
          tratta senza dubbio di un caso eccezionale di scrittura poetica translingue dove
          restano presenti ì due registri a modo di confronto e stimolo reciproco. In
          effetti, la versione spagnola non è mai una traduzione letterale dei sonetto
          italiano, bensì da luogo ad un nuovo sonetto originale e indipendente. Del
          Venerasi sappiamo solo che era un letterato d'origine pisana la cui famiglia,
          dei conti di Strido, si era trasferita a Palermo. L'autore d'altronde non era
          nuovo a questo tipo di esercizio, poiché già nel 1635 dava alle stampe a Napoli
          un volume di Lettere italiane e spagnole, che conteneva 425 lettere non datate,
          ordinate per argomento e tutte con la traduzione spagnola a seguito. Fra i
          destinatan figurano il re di Spagna, il Papa, parecchi grandi di Spagna, oltre a
          prelati e nobili italiani. È evidente l'indirizzo pratico di questa raccolta, un
          genere molto in voga in quest'epoca e che è un indice della necessità che aveva
          il pubblico italiano di una conoscenza utilitaria della lingua spagnola.
                 Ho lasciato per ultima, "last but not least", la Sardegna poiché in questa
          regione l'aggettivo "italiano", fra Cinque e Seicento, non corrisponde ad una
          realtà politica e non rappresenta neppure un'aspirazione della società sarda. Per
          questi motivi, faccio mie le parole con le quali Benedetto Croce apre il suo
          citato articolo sugli "Italiani che scrissero in spagnuolo nel Cinque e Seicento",
          quando afferma: "Lascio stare la Sardegna che letterariamente appartiene, fino
          al settecento, alla penisola iberica"17. La situazione della Sardegna, a confronto
          con quella delle altre regioni italiane qui considerate, è effettivamente molto
          diversa, come lo prova la scarsezza di testimonianze letterarie in lingua
          italiana. Le lingue di cultura in Sardegna, fino all'inizio del Settecento, sono lo
          spagnolo e il catalano, rispetto alle quali il sardo si trova in una relazione
          diglossica. Questa situazione si riflette in maniera sintomatica nell'opera dei
          principali autori sardi fra Cinque e Seicento: le Rimas espirituales (Cagliari,
           1597) di Jerónimo Araolla, in cui la maggior parte delle composizioni sono in

                l7
                     Cfr.art.cit.p.44O.

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Poesia «translingue» italo-spagnola ira Cinque e Seicento      95

         sardo, ma vi figurano pure altri componimenti in toscano e in spagnolo; dei
         due Buragna, il padre Giovan Battista, che visse nell'isola, scrisse in spagnolo
         la sua Batalla prodigiosa entre amor y fidelidad (Madrid, 1651) mentre il
         figlio, Carlo, che si formò a Napoli, scrisse solo in italiano; Antonio Lo Frasso
         scrìsse in spagnolo e fu lodato dal Cervantes per i suoi Diez libros de la
         Fortuna de amor (Barcelona, 1574) nei quali sono contenute anche tre
         composizioni poetiche in sardo e due in catalano; finalmente, il Delitala che
         con la sua Cima del monte Parnaso (Cagliari, 1672) si inserisce appieno nella
         storia della letteratura spagnola, fra gli epigoni di Quevedo.

         6. Metodologia
               In quanto alla metodologia adottata in questa ricerca, essa segue le
         tracce della prima parte, quella sul translinguismo poetico dal versante
         spagnolo, dove si era privilegiato l'approccio storico-ecdotico-filologico. Gli
         strumenti della metrica si sono rivelati a volte essenziali nell'allestimento di
         un testo con buone garanzie di fedeltà all'originale, il che permetteva poi il
         passaggio alla fase propriamente ermeneutica, con speciale attenzione alla
         critica stilistica. Come si vede, l'assunzione di questa linea metodologica
         implica la presenza di un corpus relativamente ridotto ed omogeneo, ciò che
         era il caso nella precedente ricerca, dove i testi analizzati erano assai brevi.
         La notevole estensione di alcuni testi sul versante italiano ha delle
         conseguenze sul piano metodologico. È evidente l'impossibilità di analizzare
         con la stessa profondità un sonetto ed un poema epico di svariate migliaia di
         versi, come il rifacimento dell' Abencerraje dei Balbi, la Sacra ghirlanda del
         Venerasi o la tragedia del Bevilacqua. S'impongono perciò delle scelte, che
         dovranno decidere la distribuzione dei testi nel corpus principale e in quello
         secondario (in appendice). Nel repertorio principale verranno esaminate le
         prove maggiori, e si procederà per sondaggi, cercando di mantenere un certo
         equilibrio fra le diverse regioni. Il repertorio in appendice sarà costituito da
         una scelta di testi più brevi, che verranno offerti al lettore in un'edizione
         critica, con dei cappelli introduttivi, preceduti da uno studio generale.
               In conclusione, mi auguro che il risultato complessivo dell'indagine sul
         translinguismo italo-spagnolo possa offrire un panorama abbastanza fedele
         di un aspetto finora poco studiato dei rapporti letterari fra le due penisole.

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