Pisciotta, l'uscente Liguori cerca la riconferma - Cronache Salerno

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Pisciotta, l’uscente Liguori
cerca la riconferma
Cerca la riconferma il sindaco uscente Ettore
Liguori che sfiderà il suo avversario politico
Aniello Marsicano.

Liguori è in campo con la lista “Il Ramoscello”:
Fedullo Natalina, Di Blasi Sergio, Greco Antonio,
Giaquinto Assunta, Saullo Luigi, Coppola Alessandra,
Marsicano Giovanni, Puglia Francesca, Ruggieri Elio,
Cutrì Michele.

Marsicano con la lista “Una Mano per Pisciotta”:
Valiante Anna, Manzione Maria, Tambasco Fedele,
Abignano Aniello, Gatto Toni, Di Blasi Angelo,
Mautone Claudio, Mautone Antonio Carmelo, Fedullo
Antonio, Iannuzzi Vincenzo.

Montecorice, sfida a due.
L’uscente   Piccirilli    ha
scelto di non ricandidarsi
Ha scelto di non ricandidarsi il sindaco uscente
Pierpaolo Piccirilli. A Montecorice, la sfida è tra
Flavio Meola e Ivan Chiariello.

Flavio Meola è in campo con la lista “Insieme per
Montecorice”:
Amedeo Malzone, Filomena Lamanna, Domenico Lembo,
Sabato Monzo, Pasquale Tarallo, Luigi Margarucci,
Ciro Cozzolino, Alfonsina Sevo, Costabile Cardullo e
Antonio Maffia.

Ivan Chiariello con “L’alternativa”: Funiciello
Gianni, Ciongoli Mauro, Malzone Simone, Guercio
Vincenzo, Pollaro Caterina, Lembo Anna, Meola
Tony, Manciero Luciana.

A Giffoni Sei Casali sfida
tra “ex” sindaci
L’uscente Francesco Munno e l’ex sindaco Luigi
Vitolo: sono i due aspiranti cittadini che, questa
mattina, hanno consegnato le liste per le prossime
elezioni amministrative.

Munno è in campo con la civica Insieme per i Casali.
I candidati al consiglio comunale sono:

Giuseppe Alfano
Angelina Di Muro
Antonio Di Muro
Isabella Manfredelli
Orsola Mele
Massimiliano Naddeo
Mario Russo
Rosaria Schettini
Giovanni Scorzelli
Carmine Sica
Giuseppe Sica
Pasquale Vetromile

Vitolo invece prova a conquistare la fascia
tricolore conSei Casali in Comune e i candidati
sono:

Barone Maria Teresa
Barra Alfonso
Di Maio Ilenia
Di Muro Lucia
Di Napoli Francesco
Dragone Massimiliano
Ferrara Vincenzo
Gallo Teresa
Grimaldi Ernesto
Maddalo Marco

Cicerale torna al voto dopo
il commissariamento
Cicereale    torna    al   voto   dopo   mesi    di
commissariamento. L’ex sindaco Gerardo Antelmo sarà
protagonista indiretto di questa campagna
elettorale, sostenendo la candidatura di Giorgio
Ruggero che dovrà solo battere il quorum con la
lista Noi. I candidati al consiglio comunale sono:
Angelo Torrusio, Carmela Aulisio, Gerardo Antelmo,
Nicola Rizzo, Giorgio Tedone, Daniele Verdevalle,
Franco Valente, Giorgio Cafasso, Marco Vittorio
Scorza, Walter Antonio Errico.
A Centola due in corsa per la
fascia tricolore
Due i candidati sindaci al comune di Centola. A
sfidarsi per la fascia tricolore sono Andrea Lungo
con la civica “Dalla tua parte” e Rosario Pirrone
con “Nuova era”.

Dalla tua parte: Del Duca Franca; Zavaglia Nico;
D’Angelo Silverio; Di Vivo Andrea; Mariella
Veneroso; Stanziola Carmelo; Di Masi Maria; Imriaco
Giovanni; Cuomo Anna, Cammarano Rosetta; Messinero
Maio; Merola Filomena.

Nuova Era: Vigorito Nicola; Luongo Anella; Saturno
Alessio; Aprea Davide; Profice Giuseppe; Marrazzo
Lucia; Stanziona Marta; Quattromani Vincenzo;
Cerullo Pietro; Stanziola Giovanni; Esposito Angelo;
Di Luca Maria.

Camerota, l’uscente Scarpitta
sfida la new entry Guzzo
Corsa a due a Camerota, per   il rinnovo della classe
amministrativa. Il sindaco    uscente Mario Salvatore
Scarpitta, con la lista        Terradamare, sfiderà
Pierpaolo Guzzo e la sua      Uniti per cambiare.
Terradamare: Cammarano Giuseppina; D’Onofrio
Gerardo; Teresa Esposito; Mazzeo Valentino; Perazzo
Debora; Perazzo Vincenza, Petrillo Giangaetano; Reda
Mariateresa; Santurno Giovanni; Saturno Francesco;
Saturno Lello; Scarano Maria

Uniti per Cambiare: Bagnato Maria; Cavaliere Anna;
Cusati Giada detta Giardina; D’Angelo Federica; Del
Gaudio Vincenzo Antonio detto Enzo; Dell’Olmo
Pasquale; Marsicano Andrea; Molfese Giuseppe detto
Peppe; Prati Vito; Saturno Regina; Scarano Adolfo
Domingo detto Adolfo; Spiniello Domenico detto Mimmo

Buonabitacolo, il sindaco
uscente “sfida” il quorum
Il sindaco uscente Giancarlo Guercio ha un solo
“sfidante” alle prossime amministrative: il quorum.
Il primo cittadino è infatti l’unico in corsa con la
lista civica “Patto per Buonabitacolo – La
Ginestra”. I candidati al consiglio comunale sono:
Ernesto Alfano, Franco Antonucci, Enza Basile,
Gerardina Ceglia, Michele Grillo, Francesco Pio
Ignoto, Antonio Lapenta, Enrico Marchesano, Giuseppe
Pinto, Antonio Lapenta, Enrico Marchesano, Giuseppe
Pinto, Emanuel Tordo.
Corsa a tre a Bracigliano, il
sindaco uscente candidato al
consiglio comunale
di Erika Noschese

Corsa a tre a Bracigliano, in occasione delle
prossime elezioni regionali in programma il prossimo
12 giugno. A sfidarsi per conquistare la fascia
tricolore saranno Franco Angrisani (sostenuto
dall’uscente Antonio Rescigno, l’ex primo cittadino
Gianni Iulano e Antonio Siniscalchi.

Angrisani è in campo con la lista “Radici”. I
candidati al consiglio comunale sono: Amabile Rosa;
Campanella Anna; Cardaropoli Claudio; Cardaropoli
Giovanni (Gianni); Corvino Linda (Pisana); De Caro
Roberto; De Nardo Giuseppe (Peppe); Izzo Lella;
Moccia Domenico (Mimì); Rescigno Antonio; Rossi
Paola; Siniscalchi Angela.

“ Semplicemente cittadini” è la lista guidata da
Iuliano e in corsa per il consiglio ci sono: Albano
Ferdinando, Albano Giuseppe, Botta Patrizia, D’Amato
Raffaele, Daniele Enrico, De Maio Giuseppe, De Nardo
Rosa, Moccia Domenico, Nasti Antonio, Santaniello
Carmela, Sarno Marisa, Siniscalchi Maria

Siniscalchi è candidato con Liberamente. In lista ci
sono: Aurora Siniscalchi; Gennaro Bisogno; Monica
Rescigno; Elena De Siena; Elena Del Regno; Albina
Costabile; Carmen Santaniello; Nicola Grimaldi;
Marzio Cardaropoli; Francesco Bertelli; Antonio
Ferrentino; Agostino Romano.
Petina  al  voto: due                                   i
candidati alla carica                                  di
sindaco
Petina si prepara a tornare al voto. Due i candidati sindaci
pronti a conquistare la fascia tricolore.

Giovanni Zito è in campo con “Uniti per Petina”, i candidati
al consiglio comunale sono:

Lucia Martone

Francesco D’Antonio

Raffaella Di Nuco

Loris D’Auria

Giuseppe D’Elia

Pasquale Marchese

Nicola Esposito

Anna Maria Del Corvo

Paola Carleo

Michele Zito

Domenico D’Amato è invece in campo con la civica “Petina che
vogliamo” e i candidati sono:
Umberto Di Benedetto
Adriano Matera
Francesco Monaco
Davide Di Cubellis
Amelio Avallone
Virginia Russo in Sapienza
Vincenzo Suldovieri
Lucia D’Elia
Vincenzo Di lorio
Domenico Rufrano

Nicola Scarsi, cultura (e)
politica
di Matteo Gallo

La legna della passione politica gli brucia dentro fin dal
principio. E’ come una fiamma del destino. Arde e riscalda la
casa di via Tasso sessantuno, nel cuore del centro storico
alto, dove da bambino ha abitato con gli amati genitori e dove
aveva avuto la residenza lo zio Nicola Fiore, figura nobile
dell’antifascismo meridionale dal quale erediterà con tutta
evidenza della storia non solo il nome. Nicola Scarsi, classe
millenovecentoquarantaquattro, assessore e vicesindaco al
Comune di Salerno alla fine degli anni Ottanta, già segretario
provinciale del partito repubblicano, è soprattutto z xzxun
uomo di grande cultura. Entrambe -cultura e politica-
attraversano per intero la sua formazione personale e
accademica tenendosi insieme nel segno di quella «humanitas»
di tradizione antica e retaggio classico, tra latino e greco,
che sono allo stesso tempo preciso tratto identitario nello
spirito e prezioso patrimonio (im)materiale frutto di studi al
liceo Torquato Tasso e all’Università di Napoli. A soli
ventiquattro anni è già in aula ad insegnare, a trentotto
abilitato a esercitare la funzione di preside dopo il
superamento della prova concorsuale. Proprio nella veste di
dirigente scolastico, agli inizi degli anni duemila, scriverà
una pagina indimenticabile del liceo scientifico Da Procida.
Indimenticabile e da record con gli studenti che saranno il
doppio di mille unità e si dovrà procedere attraverso
sorteggio con le nuove iscrizioni. Un dato storico riportato
dai principali giornali dell’epoca, molti dei quali fanno
ancora da cornice, in cornici rettangolari di legno, al
corridoio che dall’aula dei professori va alla presidenza al
primo piano del plesso di via Gaetano de Falco, al quartiere
Carmine.

Preside Scarsi, quando e come ha inizio la sua storia con la
politica?
«La mia passione politica nasce all’interno dell’atmosfera
familiare, grazie in particolare alla presenza di mio zio
Nicola Fiore, personaggio illustre che ha combattuto in nome
di principi e ideali di difesa e valorizzazione della classe
operaia, una nobile figura dell’antifascismo meridionale. Con
la mia famiglia abitavo nel cuore del centro storico di
Salerno, in via Tasso 61. In casa ho sempre respirato un clima
democratico. Da studente liceale ho poi sentito il bisogno di
capire e approfondire la realtà amministrativa politica, a
livello salernitano e a livello più generale, affrontando
appassionati discussioni anche di carattere ideologico».

Perché il partito repubblicano?
«In questa stagione della mia vita ho incontrato Ugo La Malfa,
che nel panorama nazionale mi apparve come l’unico politico
dalle idee chiare, convergenti verso una politica dei fatti e
delle cose da fare, delle previsioni concrete. La mia vera
scelta di campo fu quella di recarmi nella sede del partito
repubblicano di Salerno, allora a via Cuomo. Avevo sedici anni
e frequentavo il liceo classico Tasso. Illuminante, per me, fu
in particolare la lettura delle note aggiuntive al bilancio di
La Malfa, allora      ministro della Repubblica, in cui
prospettava una economia di mercato corretta da interventi
sociali. Ugo La Malfa, siciliano, era figura autorevole,
importante e riconosciuta per competenza e per attaccamento
alla base sociale. Da quel momento sono stato legato al
partito repubblicano con intervalli di intensità differente a
seconda delle situazioni, svolgendo fin da subito a livello
interno un ruolo di orientamento culturale, sancito da
congressi cittadini e nazionali».
Come viveva un giovane repubblicano, da una posizione
minoritaria rispetto al rapporto di forze all’interno
dell’arco costituzionale, il confronto con i suoi coetanei?

«Era duro per un repubblicano confrontarsi da minoranza con
maggioranze che traboccavano in termini di percentuali alle
elezioni. Un ricordo personale di giovinezza mi richiama alla
mente numerose e appassionate dispute con compagni di classe e
di liceo, sulle basi ideologiche delle forze politiche di
riferimento. Per me il partito repubblicano aveva una visione
più moderna rispetto, ad esempio, al partito socialista,
legato ancora a schemi superati. Era impegnato per i diritti
umani e civili e ricoprì un ruolo senza dubbio importante
nelle battaglie laiche»

Quando il primo impegno elettorale?
«Nel 1980 mi sono presentato come consigliere comunale
risultando il primo dei non eletti. Presi circa cinquecento
voti. Nei cinque anni successivi ho svolto funzioni importanti
nel partito attendendo il 1985, data in cui mi sono
ripresentato alle elezioni amministrative per il comune
capoluogo. In quella competizione fui eletto raddoppiando le
preferenze: presi 1200 voti».
Che ricordo ha di quella esperienza?
«Una esperienza politica importante e sul piano amministrativo
abbastanza efficace. Molti progetti per la città di Salerno
nacquero, in termini di riflessione e di prima elaborazione,
proprio in questo periodo. Penso in particolare a settori
strategici come il comparto scuola e i piani urbanistici».

Lei è stato assessore alla Cultura e alla Pubblica istruzione.
Da uomo della scuola, come visse quell’incarico?
«La scuola era sofferente e in difficoltà per vari motivi, in
particolare per le criticità legate all’edilizia. Dovetti
affrontare immediatamente un intervento speciale finalizzato a
ridurre eventuali danni e pericoli sul terreno della
sicurezza. Mi concentrai sui punti più deboli e poco protetti,
cercando i finanziamenti necessari e attivando alcune leggi
nazionali. Esistevano criticità relative anche a un diritto
allo studio carente e disorganico, per cui fu necessario
aprire e riaprire le mense scolastiche in modo da assicurare
il tempo pieno».
Storica la sua battaglia a favore della     scuola elementare
Vicinanza   che la vide, anche mediaticamente, contrapposto
all’allora prefetto Catenacci.
«La scuola Vicinanza avrebbe dovuto spostarsi dal proprio
plesso per “motivi di sicurezza” come da determina dell’allora
prefetto Catenacci. Io mi opposi a questa decisione difendendo
la scuola e invocando il primato della cultura su quello
giudiziario. Minacciai anche le dimissioni da assessore.
Naturalmente portati in Consiglio comunale una relazione
programmatica studiata analiticamente e corredata da una serie
di proposte con ragionevoli motivazioni di fondo, in
riferimento al piano strategico di collocazione delle scuole.
Avevamo individuato il plesso di Via Prudente per accogliere
le richieste del comparto giudiziario. Alla fine il Vicinanza
restò al suo posto ed io ebbi così la possibilità di riaprire
le scuole al cento per cento, così come era stato indicato dai
tecnici del comune e in maniera coerente con la programmazione
generale del ministero».
Con chi altri, in quegli anni, ebbe particolari ragioni di
scontro politico e amministrativo?
«A livello personale non ci furono rapporti segnati da
particolari scontri e disistima, che si evidenziavano
attraverso una visione diretta e di controllo delle delibere
da adottare. Ci furono certamente degli scontri su alcune
materie, in particolare, per quanto mi riguardava, sulle
scuole occupate ancora dai terremotati e, in generale, su
 qualsiasi tipo di spreco di denaro. Quando entravo in giunta
mi chiamavano scherzosamente “Coreco”, per indicare una
persona impiegata presso l’organo con funzioni di controllo
rigoroso sugli atti degli enti locali».

Lei ha vissuto da protagonista la “seconda svolta di Salerno”,
 la giunta laica e di sinistra guidata dal socialista Vincenzo
Giordano, nella quale è stato anche vicesindaco.
«Con tutti i limiti dei processi amministrativi, la giunta
laica e di sinistra segnò una svolta di rinnovamento e di
impegno più organico e coerente. Dal 1987 al 1990 mise le basi
di una produzione amministrativa in tutti i settori nevralgici
della città. Giordano fu un un buon sindaco. Un sindaco
perbene e gentile, un galantuomo».
Quella esperienza di governo si concluse a causa delle
inchieste giudiziarie del 1992 che travolsero per intero la
Prima Repubblica
«C’era una atmosfera di precariato e di preoccupazione per le
vicende legate al rapporto tra politica e giustizia. Questo
produsse confusione, danni e frustrazioni. In nome di una
analisi culturale più dettagliata,   sarebbe opportuno
approfondire   la genesi delle singole questioni, per
verificare se vi furono alterazioni di qualche potere sugli
altri. Certo, il clima su questo punto era di confusione se
non di paura. A livello generale si evidenziò una debolezza
della politica che, al di là del merito delle questioni, ebbe
totalmente un atteggiamento di sudditanza e di assenza».
La politica, tutta, da destra a sinistra si mostrò
eccessivamente debole?
«La politica non reagì con la dovuta forza e decisione e finì
per danneggiare se stessa preparando la stagione dei singoli,
 di quegli aggregati non di partito ancorati a leadership
personali. Questo ha creato nuovi squilibri tra i due poteri:
politico e giudiziario».

Come visse quelle fasi concitate immediatamente successive al
terremoto giudiziario che colpì il Comune di Salerno ?
«Ventiquattro consiglieri fecero il mio nome. Mi chiesero di
verificare, con un mandato cosiddetto esplorativo, la
possibilità di una maggioranza politica. Avevo appoggi nella
Dc, di qualche socialdemocratico, naturalmente del mio
partito. Non era una maggioranza granitica sul piano politico
e questo mi rendeva perplesso. In campo c’era naturalmente
anche Vincenzo De Luca. Ma       pure lui non aveva    numeri
sufficienti.   Eravamo giunti al punto massimo e limite della
responsabilità di far fallire quella esperienza di governo. In
quel momento, allora, mi fermai a riflettere. Ragionai da
semplice cittadino e dissi a me stesso: “Una buona
amministrazione vale più di un commissario”. Mancavano pochi
minuti alla mezzanotte. Feci un passo indietro e fu varata la
giunta De Luca».
E arriviamo al 1993. Amministrative a Salerno, elezione
diretta del sindaco per la prima volta: De Luca vince.
«Alle elezioni del 1993 sostenni il professore Pino Acocella,
candidato sindaco di centro sconfitto al ballottaggio da De
Luca. Dopo di allora continuai        a fare il segretario
provinciale del partito repubblicano ma non mi candidai più. A
tutti quelli che mi chiedevano un ritorno in campo rispondevo
sempre la stessa cosa: “Ho già dato”.»
Qual è il suo giudizio sulle stagioni di De Luca sindaco di
Salerno?
«Nonostante una critica sugli atteggiamenti e sui metodi di
conduzione, De Luca è stato per la città di Salerno un ottimo
amministratore. Lo dico da cittadino che ha lasciato gli
interessi della politica e ha seguito con occhio critico
l’operato delle sue giunte. Su molte cose realizzare sono
d’accordo. Non su tutte. Penso alla Cittadella giudiziaria.
Alla fine degli anni Ottanta avevamo deliberato la sua
collocazione in un’area vicino alla Centrale del Latte.
L’obiettivo era quello di evitare di congestionare il traffico
cittadino».

Negli anni duemila è stato preside del liceo scientifico Da
Procida. La scuola raggiungerà duemila studenti e per le nuove
iscrizioni si procederà per sorteggio. Un record.
«Ciò che prevalse nella crescita del liceo fu il clima di
cooperazione interna anche nella scelta di obiettivi
strategici da raggiungere.     La cultura al centro, come la
formazione non retorica. Lavorammo per un rinnovamento
tecnologico e digitale. La presenza della politica fu intesa
come promozione della cultura. La matematica veniva vissuta
anche come momento di aggregazione. La valutazione delle
intelligenze avveniva con la valorizzazione e non attraverso
penalizzazioni. Gli studenti si sentivano partecipi e
protagonisti della scuola, che vivevano con un orgoglioso
senso di appartenenza pur non rinunciando alle battaglie che
ritenevano importanti per se stessi. Da questo punto di vista
dimostrarono sempre di saper scegliere tra una protesta
convinta, umana e sociale, e il vagabondaggio dell’iniziativa
studentesca. Il fine era sempre la formazione. C’era una
severità molto tenue ma perforante».
Cultura e politica appartengono per intero alla sua vita.
«La scuola è stata mio riferimento da quando sono nato, e per
un periodo di circa e oltre cinquant’anni. Prima come docente,
poi come preside e anche nel ruolo di assessore. La politica è
stata impegno, servizio, cultura, passione. Mi ha anche dato
delle amarezze, come d’altronde capita un po’ con tutte le
cose della vita, ma quel capitolo è stato complessivamente
positivo. Ho vissuto entrambe come fatto tecnico e produttivo
ma anche con la primaria esigenza di formazione delle
coscienze e delle responsabilità. I due momenti sono integrati
tanto da rendere difficile una netta separazione. Oggi, dopo
un periodo intenso di attività politica, riscopro il filo del
mio impegno nella scuola dalle elementari al liceo, dal liceo
all’università, fino alla professione docente e di preside.
Perché un solo pensiero mi ha guidato: quello della cultura e
della scuola, continui e costanti della mia vita, anche in
politica. Non si può fare politica senza humanitas. Non si
può essere docenti né presidi senza cultura politica nel senso
più elevato del termine».
I suoi maestri nella vita.
«Il mio maestro, la mia guida spirituale, è stato Giuseppe
Mazzini. Avevo quindici anni quando fui colpito in modo
particolare dal suo libro sui doveri dell’uomo che debbono
precedere o convivere con la richiesta dei diritti. Giovanni
Spadolini, con cui ho avuto l’onore di una collaborazione
culturale. Un maestro di storia, politica ed etica.   Giuseppe
Galasso, amico personale e uomo di eccezionale sensibilità
storica. La mia cultura nasce nel mondo del retaggio classico
tra latino e greco, come docente e uomo politico».
Da osservatore esterno ma attento, come giudica la politica
italiana?
«Spadolini sottolineava con insistenza    che non esiste
politica senza cultura né cultura senza politica. Bisogna
ahimè sottolineare che il livello generale della politica è
scaduto a livelli molto deboli. Non ci sono programmazione,
visione, entusiasmo, moralità».
Di chi la colpa?
«Tutto ciò è stato determinato, a mio parere, non tanto dai
singoli comportamenti politici quanto dal progressivo
disfacimento  dei partiti che costituivano un momento di
elaborazione politica e capacità protettiva delle singole
realtà. Sia amministrative che ideologiche. Questo ha prodotto
 un progressivo rafforzamento dell’uomo solo al comando.
Importante è risultata la riforma riguardante l’elezione
diretta del sindaco, unica legge elettorale che ha migliorato
la stabilità dei governi cittadini e la realizzazione dei
processi di crescita indebolendo però il rapporto di
cooperazione democratica. La figura del sindaco è stata
rafforzata a danno della potenzialità di aiuto e coordinamento
dei singoli membri del Consiglio. Certamente da ciò è derivato
una riduzione delle potenzialità democratiche di
collaborazione. Oggi, anche nel quadro della città di Salerno,
si rileva un indebolimento del processo democratico».
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