Piero Gobetti: "giurista", "costituzionalista", "comparatista" - di Alessandro Monfredini

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ISSN 1826-3534

              10 FEBBRAIO 2021

    Piero Gobetti: “giurista”,
“costituzionalista”, “comparatista”

           di Alessandro Monfredini
   Laureando nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali
        Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Piero Gobetti: “giurista”, “costituzionalista”,
                    “comparatista”*
                                        di Alessandro Monfredini
                        Laureando nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali
                             Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

Abstract [It]: Lo scritto risalta alcuni elementi del pensiero costituzionale e comparatistico presenti nell’opera di
Piero Gobetti. L’analisi si basa sulle pagine del saggio La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia e sugli
scritti raccolti da Paolo Spriano in Opere complete di Piero Gobetti, vol. 1, Scritti Politici (Einaudi, Torino, 1960).
L’obiettivo dello studio è valorizzare il contributo di Gobetti nel dibattito costituzionale, volgendo una particolare
attenzione agli aspetti di diritto costituzionale comparato. Il testo pone al centro, infatti, la figura di Gobetti non
solo negli abiti di “costituzionalista” (il che già è stato fatto da qualche autore), ma nella sua inedita veste di
“comparatista”; si sofferma perciò sui suoi giudizi sulle esperienze costituzionali straniere e rintraccia nel suo
pensiero elementi di diritto costituzionale importati dall’estero.

Abstract [En]: This writing higlights some aspects of the constitutional and comparative thought identifiable in
Piero Gobetti’s work. The analysis is based on the writings contained in La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta
politica in Italia and on the articles collected by Paolo Spriano in Opere complete di Piero Gobetti, vol. 1, Scritti Politici
(Einaudi, Torino, 1960). The objective of this study is to enhance Gobetti’s contribution to the constitutional
debate, with particular attention to the comparative constitutional law aspects. In fact, the text focuses on the
figure of Gobetti, not only in the clothes of a constitutionalist (which has already been done by some other
authors), but also in his unusual role of “comparatist”; it thus dwells on Gobetti’s judgement on foreign
constitutional experiences and identifies, in his thought, the elements of constitutional law imported from abroad.

Sommario: Premessa 1. Introduzione. 2. Le categorie comparatistiche della forma di Stato: Stato, nazione e patria.
3. L’organizzazione territoriale dello Stato: decentramento e autonomie locali. 4. I diritti: una visione prognostica.
4.1. Il diritto di voto (e il voto femminile). 4.2. Diritti all’educazione e alla cultura. 4.3. L’ambiente. 4.4. Laicità.
4.5. I diritti associativi. 4.6. Considerazioni interlocutorie. 5. Gobetti “comparatista”: l’influenza delle esperienze
straniere nel suo pensiero “costituzionalistico”.

                                                                                       «Cristallizzarsi al solo pensiero nostro
                                                                                                     è sciocchezza delittuosa»
                                                                                                                   P. Gobetti,
                                                                                               in Energie Nove, serie I, n. 4,
                                                                                                       15-31 dicembre 1918

Premessa
Il 15 febbraio 2021 sono passati 95 anni dalla morte di Piero Gobetti; il 19 giugno si celebreranno invece
120 anni dalla sua nascita. Due anniversari che rappresentano un invito a tornare, ancora una volta, sui

*   Articolo sottoposto a referaggio.

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suoi scritti: apprezzando la purezza di un pensiero che, privo di utopie e facili slogan, ci giunge ancora
vivo e carico d’ispirazione.
Piero Gobetti è stato un punto di riferimento politico sin da quando, nel 1918, diciassettenne, faceva
uscire i primi numeri di Energie Nove. Il suo contributo si distingue, soprattutto, per la ricchezza e
l’estensione degli argomenti trattati: il suo percorso individuale ha fatto da modello, indicando la via per
un impegno politico autentico, rinvigorito dalla serietà e dalla disciplina dello studio. Egli ha gettato delle
basi per un progetto di rinnovamento, alle quali è ancora oggi possibile appellarsi.
Tra le sue opere principali ricordiamo in particolare gli articoli pubblicati sulle riviste Energie Nove, La
Rivoluzione Liberale e Il Baretti, oggi consultabili nei tre volumi editi da Einaudi che raccolgono l’opera
completa1, e il famoso libro La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia2. A questi si aggiungono
gli scritti di critica teatrale, letteraria e artistica, come La filosofia politica di Vittorio Alfieri3, La frusta teatrale4,
il Paradosso dello spirito russo5 e il saggio sul pittore Felice Casorati6.
Nonostante la breve vita, l’ampiezza della sua opera è ammirevole. Ed è proprio per la varietà e
l’articolazione dei temi da lui trattati che la figura di Piero Gobetti è stata approfondita da molteplici punti
di vista.
Gobetti è già stato studiato come politico e uomo di cultura da diversi autori, tra i quali Manlio Brosio7,
Paolo Spriano8, Paolo Bagnoli9 e Alberto Cabella10. Il suo contributo come “costituzionalista” già è stato
messo in luce in passato da Giorgio Lombardi11, e più recentemente nel libro Antifascismo, resistenza,
costituzione. Piero Gobetti “costituente”, a cura di Francesco Pallante e Pietro Polito12. Tuttavia, nessuno ancora
si è soffermato sulle sue interessanti riflessioni nell’ambito del diritto comparato. Piero Gobetti
“comparatista” è una nuova prospettiva di studio che si propone di arricchire di un nuovo elemento le
ricerche sul suo impegno di studioso e di militante.

1 Opere complete di Piero Gobetti, vol. I, Scritti politici, a cura di P. SPRIANO, Torino, Einaudi, 1960; vol. II, Scritti storici, letterari
e filosofici, a cura di P. SPRIANO, Einaudi, Torino, 1969; vol. III, Scritti di critica teatrale, a cura di G. GUAZZOTTI e C.
GOBETTI, Einaudi, Torino, 1974.
2 Einaudi, Torino, 2008.
3 Gobetti, Torino, 1923, rist. Ed. Gobettiane, Roma, 2012.
4 Corbaccio, Milano, 1923.
5 Ed. del Baretti, Torino, 1926, rist. Ed. Gobettiane, Roma, 2016.
6 Felice Casorati. Pittore, Torino, Gobetti, 1923, rist. Ed. Gobettiane, Roma, 2018.
7 M. BROSIO, Riflessioni su Piero Gobetti, Quaderni della Gioventù liberale italiana di Torino, n. 6, 1974, rist. Aragno,

Torino, 2020.
8 P. SPRIANO, Gramsci e Gobetti, Einaudi, Torino, 1977.
9 P. BAGNOLI, Il futuro di Piero Gobetti. Scritti storico-critici, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2019.
10 A. CABELLA, Elogio della libertà. Biografia di Piero Gobetti, Il Punto, Torino, 1998.
11 G. LOMBARDI, Costituzione e diritto costituzionale nel pensiero di Piero Gobetti, in Dir. soc., n. 2, 1984, pp. 191-219.
12 F. PALLANTE, P. POLITO (a cura di), Antifascismo, resistenza, costituzione. Piero Gobetti “costituente”, Aras, Fano, 2020.

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In questo scritto analizzerò quegli elementi che vanno a costituire una sorta di costituzione ideale
ricavabile dall’opera di Gobetti. Tratterò i suoi riferimenti alla forma di Stato, analizzando i concetti di
Stato, nazione e patria, e le sue conclusioni relative al tipo di Stato, con particolare riferimento al
decentramento e alle autonomie locali. In secondo luogo, passerò in rassegna quegli elementi di
costituzionalismo ascrivibili a una visione prognostica dei diritti, sottolineando le previsioni che più si
avvicinano ai risultati delle costituzioni post-belliche europee. Infine, mi soffermerò più in dettaglio su
Gobetti “comparatista”, mettendo in luce gli sviluppi del suo pensiero che più risentono dell’influenza
straniera e delle categorie comparatistiche.

1. Introduzione
Nell’opera di Piero Gobetti non è sempre facile individuare espressi riferimenti giuridici; inoltre, pur
trattando egli, spesso, di temi “costituzionalistici”, veri e propri richiami “costituzionali” sono alquanto
sporadici13. Tuttavia, il contributo del suo prezioso lavoro di storico e di lucido analista della sua
contemporaneità non esclude e, anzi, incentiva la collocazione di Gobetti nel dibattito costituzionale
dell’epoca (e anche in quello attuale). Dall’analisi dei suoi tanti scritti si evince che, nel panorama del
dibattito italiano che ha poi portato alla Costituente, non è difficile vedere Piero Gobetti nelle vesti di
“giurista” e di “costituzionalista”, ma anche di “comparatista”.
Come si integra l’opera gobettiana negli studi di diritto costituzionale e, a suo modo, di diritto comparato?
Ricordiamo che «“Costituzione” nel senso comune vuole dire “il modo in cui una cosa è costituita”, ma
questo senso largo corrisponde solo a uno dei sensi di “costituzione” nel linguaggio giuridico. A parte il
significato di “constitutio” nel diritto romano, normalmente si intende, come significato originario di questa
espressione nel linguaggio giuridico moderno, una organizzazione politica di tipo liberale e garantista,
come quella consacrata dal celeberrimo e già più volte evocato art.16 della Déclaration des droits de l’homme
et du citoyen del 1789 (ogni società che non assicuri la garanzia dei diritti, né stabilisca la separazione dei
poteri, “non ha costituzione”). Non solo forma, dunque, ma anche sostanza: un mero documento, che
però consacra la garanzia dei diritti e la divisione dei poteri» 14. C’è però anche un senso “sostanziale” di
“costituzione” che si riferisce all’«insieme degli atti normativi a cui la dottrina di un ordinamento
riconosce rilevanza costituzionale, includendovi oltre alla costituzione formale anche fonti che non hanno
tale rango, ma che contribuiscono a definire la “materia costituzionale”, ossia l’assetto fondamentale di
una comunità statale»15.

13 Da ricordare che, all’epoca in cui scrive, il Regno d’Italia non aveva una vera e propria costituzione.
14 L. PEGORARO, A. RINELLA, Sistemi costituzionali comparati, Giappichelli, Torino, 2017, p. 111.
15 Ibid., p. 112.

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A partire da queste definizioni, che descrivono la struttura corale e i vincoli di un testo costituzionale, il
legislatore traspone negli enunciati una visione della società. Assunto che a ogni organizzazione sociale
corrisponde un’organizzazione giuridica, la costituzione si riflette, in ogni epoca e in ogni luogo, nella
prospettiva del legislatore, che a sua volta condiziona il contenuto della legge fondamentale dello Stato,
determinandone le strutture e le finalità.
È per questa ragione che l’esegesi dell’opera di Gobetti è ricca di elementi di costituzionalismo: tutti i
suoi scritti, da Energie Nove a La Rivoluzione Liberale, delineano una chiara e definita visione della società.
Gobetti ha il merito di aver elaborato un pensiero sostenuto da una preparazione teorica vasta e articolata,
ma che si nutre con concretezza della realtà dei fatti, sviscerando ogni questione e proponendo soluzioni
e alternative per il futuro. La sua non è esclusivamente una partecipazione al dibattito politico, ma è la
delineazione, articolo per articolo, di un’idea di società.
È difficile quantificare il contributo di Piero Gobetti alla nascita della Costituzione italiana del 1948;
tuttavia, la sua intransigenza e il suo antifascismo irreprensibile attestano un legame evidente con essa: «la
vicenda umana e intellettuale di G. – scrive G. Bascherini – ha esercitato un forte ascendente sulla lotta
antifascista e sul dibattito costituente, offrendo importanti sollecitazioni al percorso di
istituzionalizzazione che segnò quella stagione. La forza di quella testimonianza può comprendersi,
innanzitutto, tenendo conto dell’immediatezza e della radicalità della sua opposizione al regime, e con il
significato che retrospettivamente assunse quella scelta di ‘parte’: per il valore insieme etico, politico e
culturale del suo antifascismo – rifiuto di una dittatura e, prima ancora, di un modo d’essere, di un
carattere nazionale in cui quella dittatura affondava le radici – e per il significato che quella opzione di
campo assumeva nel passaggio tra fascismo e repubblica e nella stagione costituente. La scelta di G., per
molti versi, anticipa la Resistenza e riflette il senso profondo del “paradigma antifascista” che la lotta
partigiana consegnò a una Costituzione che si voleva “nata dalla Resistenza”»16.
È opportuno contestualizzare la figura di Gobetti all’interno del percorso che ha portato alla Costituente
italiana e alla nascita della Costituzione. È chiaro che Gobetti, alla luce della sua attività politica e
pubblicistica e delle sue numerose collaborazioni con il meglio del panorama intellettuale italiano, ha
influenzato le direzioni prese da tutte le forze politiche antifasciste di quegli anni.
Tuttavia, la storia del Partito d’Azione è probabilmente quella che raccoglie maggiormente l’eredità
gobettiana. Essa è attestata dalla vicinanza a Gobetti di diversi militanti del partito (Ada Prospero Gobetti
in primis) e da ciò che traspare dal giudizio che Augusto Monti dà di lui. Il suo saggio, dal titolo Realtà del

16G. BASCHERINI, A proposito di storia e cultura costituzionale in Italia. Piero Gobetti critico dello Statuto, in Riv. it. sc. giur., n. 10,
2019, pp. 279-280.

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Partito d’Azione17, è un’attestazione storiografica che offre un’idea del peso culturale di Gobetti e
suggerisce quanto il Partito d’Azione sia stato un tramite ideologico tra il pensiero gobettiano e i risultati
ottenuti dall’Assemblea Costituente, nella quale tale partito occupava sette seggi. Nel capitolo VII di
questo saggio, intitolato “Fede e programmi del P. d’A.: Piero Gobetti”, si legge: «Ma più lume e più
materia – noi presumiamo – troveranno perciò domani i codificatori del Partito d’Azione quando
vorranno rileggere con tale intenzione la raccolta delle cinque annate della “Rivoluzione Liberale” di Piero
Gobetti. Piero Gobetti, il mirabile ragazzo!»18.
E ancora: «Così Piero Gobetti con i suoi scritti, con la sua vita, gettava le fondamenta del Partito d’Azione:
gli dava una fede. E gli dava quindi un programma. Rileggere, chi non lo sapesse o non ci credesse, la
raccolta di “Rivoluzione Liberale”; al lume di quella fede tutti i problemi della vita italiana sono
riesaminati, di tutti posta o suggerita la nuova soluzione, quella liberale, e rivoluzionaria. Problema
sindacale, problema della burocrazia, problema della cultura e della scuola, problema doganale, problema
del Mezzodì e delle regioni, dei rapporti tra i partiti politici, della politica internazionale: chi li vorrà
risolvere domani – e prima d’ogni altro gli uomini del Partito d’Azione – dovrà rifarsi perciò a quanto ne
scriveva con Piero Gobetti “La Rivoluzione Liberale”, ieri»19.
I due decenni che passano tra la morte di Gobetti e l’elezione dell’Assemblea Costituente, tuttavia,
tendono a disperdere quello slancio riformista che era fortemente radicato in Gobetti; la manifesta
necessità di superare lo Statuto albertino è dichiarata in questo passo tratto dal saggio La Rivoluzione
Liberale: «Ma è indice di insufficienza politica e legislativa il fatto che in nessuna circostanza si sia osato
mettere in discussione il nostro Statuto, caratterizzato per i casi stessi che lo produssero, da uno spirito
anacronistico trasgredito ogni giorno; tanto più se si riflette che le vicende della pratica quotidiana dopo
l’unità facevano sentire come un peso continuo agli italiani l’umiliazione della mancanza di libertà e di
sicurezza»20. Ferma intenzione di sostituire lo Statuto, che, detto con le parole di G. Bascherini, «si era
reso disponibile, agli occhi del giovane intellettuale torinese, a coprire una trasformazione autoritaria dello
Stato che sanciva una crisi irreversibile dello stesso testo costituzionale quale tavola di prìncipi e di
indirizzi della convivenza, rivelando l’inadeguatezza dei suoi dispositivi di garanzia a reggere l’urto
fascista; di qui, le aspre critiche che G. mosse anche a chi, come ad es. I. Bonomi, insisteva a difendere
gli istituti rappresentativi e le libertà statutarie»21.

17 Einaudi, Torino, 1945.
18 P. 28. Già docente al Liceo Classico Massimo D’Azeglio di Torino, professore di personalità del calibro di Leone
Ginzburg, Massimo Mila e Cesare Pavese, Augusto Monti collaborò con La Rivoluzione Liberale e fu amico personale di
Piero Gobetti.
19 A. MONTI, op. cit., p. 31.
20 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 78.
21 G. BASCHERINI, op. cit., p. 276.

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Piero Gobetti dichiara infatti un’espressa volontà di “creare”, ribaltando le regole del gioco; sviscera le
manchevolezze dello Statuto albertino, evocando, qui sì, apertamente, la palingenesi dell’ordinamento
statuario: «Oggi I. Bonomi, democratico, vuol tornare alle antiche concezioni della sana democrazia. Il
sovversivo, il redattore-capo dell’“Avanti!”, lancia la parola d’ordine: difendere lo Statuto! Noi faremo notare
senza malignità una piccola dimenticanza: il nostro Statuto non è democratico, è albertino. È del ‘48. Si
dà proprio il caso che la questione non sia di difendere, ma di creare»22; oppure ancora: «Perché sorga
un’opposizione costituzionale bisogna che una Costituzione vi sia. In Italia ritornare allo Statuto
significherebbe soffocare e impedire la formazione dei partiti. […] in Italia tutte le opposizioni hanno
dovuto ignorare lo Statuto: anzi governo e monarchia per primi non sono stati costituzionali»23.
Cosa opporre allora alla degenerazione fascista e all’insipienza di coloro che si ostinano a difendere uno
Statuto illiberale? A cosa ci si deve appellare per dar voce a quell’intenzione di “creare”? Un piano di
lavoro è delineato nelle pagine introduttive de La Rivoluzione Liberale: «La nuova generazione sta
assolvendo dei doveri che le attribuiscono alcuni inesorabili diritti. Questo libro, mentre vorrebbe esserne
un sintomo, indica un luogo di richiamo e un programma di lavoro»24. Esse non sono solo manifesto
politico, ma vero è proprio preambolo, con duplice funzione dichiarativa e interpretativa della
“costituzione ideale” che emerge dal pensiero gobettiano. Questo precisamente perché «Il preambolo
unisce la politica al diritto»25 e Gobetti, durante la crisi politica e sociale coincidente con l’ascesa del
fascismo, vide convergere la propria attività politica con il ruolo di “costituzionalista della crisi”. Difatti,
come spiega brillantemente Giorgio Lombardi «Vi è, anzitutto, un costituzionalismo “rivoluzionario”
(quello che vede affermarsi nuovi ordinamenti sullo sfacelo di antiche esperienze travolte); vi è un
costituzionalismo “della restaurazione” (quello che vede effimeri assestamenti nel quadro di proiezioni
dell’avvenire secondo le nostalgie del passato) e vi è un costituzionalismo “della crisi”, il quale può
storicamente (e idealmente) precedere il primo come seguire il secondo dei due “modelli” prima
menzionati. È a quest’ultimo che si rivolge l’attenzione di Piero Gobetti»26.
In merito a ciò, in un articolo pubblicato su Energie Nove, Gobetti dice appunto: «Invocare la Costituente,
credere alla Costituente, vuol dire essere convinti che ci sia oggi un’inevitabile crisi di governo. Nessuno
lo può negare o affermare a priori. La crisi è permanente e permanente è la soluzione. Perché essa deriva

22 La filosofia di un fascista mancato, in La Rivoluzione Liberale, anno III, n. 4, 22 gennaio 1924, p. 14, ora in P. SPRIANO (a
cura di), Opere complete di Piero Gobetti, vol. I, Scritti politici, Einaudi, Torino, 1969 (1a ed. 1960), p. 574.
23 Congiure e opposizione (Postilla), in La Rivoluzione Liberale, anno II, n. 15, 22 maggio 1923, p. 61, ora in P. SPRIANO (a cura

di), op. cit., p. 500.
24 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 3.
25 L. PEGORARO, A. RINELLA, op. cit., p. 146.
26 G. LOMBARDI, op. cit., p. 203.

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dalla volontà esplicita di ciascuno di noi, dall’azione nostra»27. L’azione politica di Gobetti è tesa alla
“resistenza”, alla difesa ed alla sopravvivenza, ed infine al superamento della crisi e al valico dei confini
imposti dalla situazione politica: «Non diremmo certo di aver rinunciato a fabbricare nuovi mondi, ma
sappiamo di doverli costruire con disperata rassegnazione, con entusiasmo piuttosto cinico che espansivo,
quasi con freddezza, perché ci giudichiamo inesorabilmente lavorando e conosciamo i nostri errori prima
di compierli, anzi li facciamo deliberatamente, sapendone la fatale necessità. Disprezzando i facili
ottimismi e i facili scetticismi sapremmo distaccarci da noi stessi e interessarci all’autobiografia come a
un problema. L’azione ci prende per una necessità di armonia, garantita dalla responsabilità, col fanatismo
della coerenza. Se ci richiedono dei simboli: Cattaneo invece di Gioberti, Marx invece di Mazzini»28.
Questo è l’ideale preambolo: l’azione politica proiettata nel futuro, con la propria storia e i propri simboli,
è la reale chiave interpretativa di tutti i temi costituzionalistici presenti nell’opera di Gobetti. «Con le
proprie formule di sintesi il preambolo esprime le idee e le finalità fondamentali che i padri fondatori
hanno voluto scolpire nel testo costituzionale»29 e anche Gobetti – che Gramsci definì un “formidabile
organizzatore di cultura” – non si esime dal proposito di chiarire le proprie intenzioni: «Il fine più chiaro
è di inserirci nella vita politica del nostro paese, di migliorarvi i costumi e le idee, intendendone i segreti:
ma non pensiamo di raggiungerlo con un’opera di pedagogisti e di predicatori: la nostra capacità di
educare si esperimenta realisticamente in noi stessi; educando noi, avremo educato gli altri. Abbiamo più
fiducia negli uomini che nella cultura, per cui, discutendo di idee, la riserva costante, se non dichiarata, è
nella nostra convinzione di fare per questa via delle esperienze, senza compromettere il futuro» 30.

2. Le categorie comparatistiche della forma di Stato: Stato, nazione e patria
Nell’opera di Gobetti è difficile considerare il concetto di Stato senza rapportarlo al concetto di libertà.
Considerazioni di tipo tecnico, come quelle riguardo alla forma di Stato e, soprattutto, alla forma di
governo, sono sì presenti, ma in maniera marginale. Interessante, però, è il giudizio che Gobetti spende
a proposito della monarchia, giudizio che esprime un certo pragmatismo politico: «Dunque, noi crediamo
alla monarchia. Ma stimiamo inutile affermarlo. Noi vi crediamo, ma non ne possiamo essere entusiasti.
Sentiamo, noi unitari, oggi, l’esigenza della forma monarchica come coefficiente all’unità. Ma sentiamo
che la nostra monarchia è degenerata, come la nostra unità. Che dobbiamo migliorarci per migliorarla. La

27 Frammenti di estetismo politico (Postilla), in Energie Nove, serie II, n. 10, 30 novembre 1919, pp. 206-213, ora in P. SPRIANO
(a cura di), op. cit., p. 171.
28 La Rivoluzione Liberale, cit., pp. 3-4.
29 L. PEGORARO, A. RINELLA, op. cit., p. 147.
30 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 5.

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accettiamo adesso come il minore dei mali. E ad ogni modo, come un vantaggio transitorio» 31.
Pragmatismo che sconfina un po’ in quella laïcité di importazione francese a cui Gobetti guarda con
interesse: lo Stato quasi come oggetto di culto, “eterno”, che trascende le “sue forme storiche”.
Così, sempre nello stesso articolo, Gobetti prosegue: «Ma se si afferma teoricamente la monarchia come
nostro massimo ideale, qui protestiamo. Di eterno noi conosciamo solo lo Stato, non le sue forme
storiche. Le forme di Stato sono il prodotto del nostro spirito e si svolgono con esso. Domani le nostre
condizioni sociali possono essere più favorevoli ad una repubblica parlamentare o presidenziale. E tutte
queste sono parole, schemi, vuote generalità. Reale è l’anima che in questi schemi si infonde, la coscienza
nazionale. Che non è né monarchica, né repubblicana, ma volta per volta accetta la monarchia e la
repubblica come base della sua azione. E siccome l’azione non si svolge arbitrariamente, ma necessaria e
libera, nella storia, uno degli elementi del problema contingente è certo la tradizione che influisce per la
sua parte in favore della monarchia»32.
Gobetti esamina la forma di Stato non tanto per le varianti con la quale esso si può configurare, ma
piuttosto approfondendo il suo significato precipuo, cioè «l’insieme dei princìpi e delle regole
fondamentali che, all’interno dell’ordinamento statale, disciplinano i rapporti tra lo Stato-autorità (vale a
dire l’apparato di organi e soggetti pubblici cui l’ordinamento assegna il legittimo uso del potere di
coercizione) e la comunità dei cittadini, intesi singolarmente o nelle diverse forme in cui si esprime la
società civile»33.
In merito a questa definizione Gobetti scrive che «per il fatto stesso che è garante della libertà individuale
lo Stato crea un’armonia sociale e determina una disciplina, che è poi la sostanza stessa della socialità
come ampliamento e superamento dell’individuo, come negazione degli impulsi egoistici. Ciò nasce dallo
Stato per il fatto stesso che esiste. La sua eticità è un impulso iniziale e un risultato che s’alimenta di libera
iniziativa. In questo senso lo si può anche definire semplicisticamente amministrazione pubblica ma a patto
che si intenda bene tutta la idealità e la religiosità che sono implicite nel coordinare volontà e nel
consacrare libere iniziative»34. Il superamento dell’individuo e la negazione degli impulsi egoistici vogliono
essere, però, solo quegli aspetti di ridimensionamento del singolo necessari per edificare una costruttiva

31  Frammenti di estetismo politico (Postilla), cit., rispett. pp. 206-213 e p. 172. D’ora in avanti, nelle ripetizioni, si farà
riferimento prima alle pagine in cui è presente l’articolo nell’edizione originale di Energie Nove, de La Rivoluzione Liberale
o delle altre riviste citate e a seguire alle pagine del volume a cura di Paolo Spriano.
32 Ivi, pp. 172-173.
33 L. PEGORARO, A. RINELLA, op. cit., p. 50.
34 Esperienza liberale [I], in La Rivoluzione Liberale, anno I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 27-28, firmato: «Antiguelfo», ora in P.

SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 301.

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intesa sociale, intendendo «lo Stato come organizzazione di cittadini, in cui nessuna casta deve avere la
prevalenza, e la libertà come un fatto generale che non deve servire a pochi per giungere al predominio»35.
In realtà, nella visione gobettiana, lo Stato è il promotore della libertà dell’individuo e di questa libertà
esso stesso si nutre: «la vitalità dello Stato, presupponendo l’adesione – in qualunque forma – dei cittadini,
si fonda precisamente sulla capacità di ognuno di agire liberamente e di realizzare proprio per questa via
la necessaria opera di partecipazione, controllo, opposizione»36. Oppure, ancora più apertamente,
demarcando i confini reciproci tra i cittadini e lo Stato: «Invero il trionfo dello Stato non può essere che
trionfo degli individui. La funzione politica non è propria di entità concettuali, ma di persone, le quali per
il fatto stesso che operano nella società non dipendono mai dalla grettezza degli egoismi. Se la vita è
trionfo di attività e di iniziativa, lo Stato opera come limite ideale, tende a diventare un risultato
immanente e necessario nel momento delle affermazioni individuali»37. Individuo che è protagonista del
gioco democratico: è l’attore di quel check and balance (normalmente garantito dalla separazione dei poteri),
che Gobetti non può ancora – per via dei tempi ancora poco maturi – affidare alle istituzioni e che
riconduce perciò alla lotta politica.
Il conflitto viene considerato come il catalizzatore di quei processi di confronto democratico che
sostengono la sua visione dello Stato. Un continuo rinnovamento, che si perfeziona progressivamente
nella lotta, trovando infine il suo baricentro: «Il nostro liberalismo, che chiamammo rivoluzionario per
evitare ogni equivoco, s’inspira a una inesorabile passione libertaria, vede nella realtà un contrasto di
forze, capace di produrre sempre nuove aristocrazie dirigenti a patto che nuove classi popolari ravvivino
la lotta con la loro disperata volontà di elevazione, intende l’equilibrio degli ordinamenti politici in
funzione delle autonomie economiche, accetta la Costituzione solo come una garanzia da ricreare e da
rinnovare. Lo Stato è l’equilibrio in cui ogni giorno si compongono questi liberi contrasti: il compito della
classe politica consiste nel tradurre le esigenze e gli istinti in armonie storiche e giuridiche. Lo Stato non
è se non è lotta»38.
Lo Stato si istituisce nella doppia identità di prodotto della lotta e di garante della lotta; la sua fondazione
è un processo in divenire che ricerca il suo punto di equilibrio. Nella visione di Gobetti il problema della
democrazia non si risolve «con una manifestazione elettorale»39: si tratta di una questione «non di

35 Verso una realtà politica concreta, in Energie Nove, serie II, n. 2, 20 maggio 1919, pp. 33-37, ora in P. SPRIANO (a cura di),
op. cit., p. 112.
36 Manifesto, in La Rivoluzione Liberale, anno I, n. 1, 12 febbraio 1922, pp. 1-2, ora in P. SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 229.
37 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 121.
38 Revisione liberale (Postilla), in La Rivoluzione Liberale, anno II, n. 19, 19 giugno 1923, p. 78, ora in P. SPRIANO (a cura di),

op. cit., p. 515.
39 Esperienza liberale [IV], in La Rivoluzione Liberale, anno I, n. 10, 23 aprile 1922, p. 40, firmato: «Antiguelfo», ora in P.

SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 341.

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rappresentanza, non di rapporto statico, ma di rapporto creativo»40. Per questa ragione «nessun partito
può sostituire lo Stato, a nessun movimento sociale può spettare la funzione del coordinamento delle
volontà e del rafforzamento della coesione degli spiriti, perché queste sono funzioni che non hanno
organo, e si realizzano per impulsi di lotta e di consenso in un processo tutto immanente»41. Questa sua
visione dello Stato si costituisce a partire dalla lotta politica, tanto che anche i diritti ed i principi
fondamentali non possono assumere significato prescindendo da essa («chi sa combattere è degno di
libertà»42): una prospettiva che «scopre nel conflitto sociale la prevalenza degli elementi autonomi e delle
energie reali rinunciando all’inerzia di quelle ideologie che si accontentano di avere fiducia in una serie di
entità metafisiche come la giustizia, il diritto naturale, la fratellanza dei popoli»43.
Ma cos’è in definitiva lo Stato per Piero Gobetti? In un articolo pubblicato su Energie Nove ne dà una
definizione precisa: «Credo che lo Stato sia la organizzazione dei rapporti sociali tra individui. Non
superstruttura o sovrapposizione, ma intima connaturazione. Già nell’individuo c’è, insieme al principio
sociale (una cosa sola con l’autocoscienza), la realtà dello Stato. Non crediamo ai contratti e alle
artificiosità illuministiche. Lo Stato è per noi l’estrinsecazione e il prodotto obbiettivo delle attività
individuali (che costituiscono la nazione). Dal grado di coscienza e di organizzazione della nazione
dipende la forma dello Stato»44.
Fondamentale è la distinzione che Gobetti fa del concetto di Stato, rispetto ai concetti di nazione e di
patria. Il momento storico in cui scrive è quello dei grandi ribaltamenti geopolitici che hanno seguito la
prima guerra mondiale; il clima storico-politico dei “Quattordici punti” del presidente americano
Woodrow Wilson (la dichiarazione del “principio di autodeterminazione dei popoli”), della vivacità di
quel nazionalismo prima dannunziano e poi fascista, delle spinte internazionaliste provenienti dalla
nascita della Società delle Nazioni e, soprattutto, dalla Terza Internazionale, non possono esimere Gobetti
dal confrontarsi con il tema della nazione.
Nella sua opera il concetto di nazione, di per sé, è inteso soprattutto in senso storico, spirituale e culturale:
«Dobbiamo creare una cultura nazionale. Oltre la generica aspirazione ed affermazione talvolta rettorica
della patria il contenuto reale della nostra coscienza nazionale deve essere soprattutto culturale. Nella
conoscenza del passato comune c’è la base della comune azione attuale. Solo sentendo fortemente le

40 Ibid.
41 Esperienza liberale [V], in La Rivoluzione Liberale, anno I, n. 15, 28 maggio 1922, p. 56, firmato: «Antiguelfo», ora in P.
SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 357.
42 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 138.
43 Ivi, p. 46.
44 Frammenti di estetismo politico (Postilla), cit., rispett. pp. 206-213 e p. 170.

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tradizioni possiamo realizzare il nostro bisogno di rinnovamento della vita italiana. Per noi cultura è
coscienza storica. Ritroviamo in essa la responsabilità dell’individuo che è anche cittadino»45.
In realtà, la nazione non può essere considerata a prescindere dalla sua compenetrazione con il concetto
di Stato: «Eredità della storia è la nazione che la democrazia prende come punto di partenza, non per
costruirvi miti imperialistici, ma per farne la base del suo Stato. Il quale da entità astratta diventa vita e
verità in ogni individuo e viene inteso anzi come coordinazione delle attività individuali»46. Lo Stato resta
quindi il punto di arrivo, il fine ultimo dell’organizzazione sociale. Gobetti si chiede e si risponde: «Ma
che valore ha per noi lo Stato? Stato è organismo: non l’indeterminatezza meramente potenziale della
nazione, non la piccolezza egoistica della patria, ma una vita nuova per cui l’individuo rifà la vita sua.
Nello Stato affermo l’umanità non più come affetto, ma come razionalità, annullo il mio egoismo per
affermarmi uomo sociale, organo di un organismo: questo è un valore nuovo»47.
Gobetti è animato da una grande fiducia nelle possibilità dello Stato. La crescita dello Stato – come lui la
intende – non può però avvenire senza ridimensionare il ruolo della patria.
Inizialmente, quando Gobetti comincia a scrivere, verso la fine della prima guerra mondiale, l’idea del
sacrificio per la società e per la patria condiziona anche la sua prospettiva: «Noi vorremmo portare una
fresca onda di spiritualità nella gretta cultura d’oggi, suscitare movimenti nuovi d’idee, recare alla società,
alla patria le aspirazioni e il pensiero nostro di giovani, mentre altri offre il sangue e mentre ci apprestiamo
ad offrirlo anche noi. A chi ci ricordi difficoltà e momento inopportuno, rispondiamo che non c’è mai
momento inopportuno per lavorare seriamente»48.
Tuttavia, con l’emergere in Italia dell’esaltazione del mito della patria vittoriosa e dell’utopia imperialista,
Gobetti assume immediatamente posizioni scettiche e critiche, interpretando come sintomo di decadenza
sociale e culturale l’esasperazione nazionalista: «Il tono della vita italiana veniva dato da nuovi elementi e
la volontà reazionaria dei gruppi più esperti si valse della disoccupazione degli spiriti e della
disoccupazione delle braccia per tentare un’offensiva in grande stile, che si nascose, come accade, sotto
la retorica del patriottismo»49. Una vana retorica che, dietro il mito della patria, infervora gli animi più
nazionalisti, allontanandoli dal processo di costruzione di un moderno Stato europeo: «Così il
nazionalismo fu una filosofia della storia ottimistica che parlò enfaticamente di Stato forte dimenticando

45 Per il 1920, in Energie Nove, serie II, n. 11, 20 dicembre 1919, pp. 225-226, non firmato, ora in P. SPRIANO (a cura di),
op. cit., p. 179.
46 Verso una realtà politica concreta, cit., rispett. pp. 33-37 e p.109.
47 La Rivoluzione Italiana. Discorso ai collaboratori di «Energie Nove», in L’educazione Nazionale, 30 novembre 1920, ora in P.

SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 188.
48 Rinnovamento (Nota), in Energie Nove, serie I, n. 1, 1-15 novembre 1918, p. 2, ora in P. SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 5.
49 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 91.

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l’elaborazione pratica della lotta politica da cui lo Stato scaturisce e teorizzò astrattamente un termine del
processo storico senza vederne la natura meccanica e naturalistica»50.
È sempre allo Stato che Gobetti guarda; ed è in questa sua prospettiva di costruzione di uno Stato
moderno che egli vuole abbattere i residui infantili del mito della Patria: solo abbandonando certi idealismi
ingenui e avviando un serio dibattito tra le forze politiche, si potrà seriamente anelare allo Stato come
reale punto di arrivo di una nuova maturità politica italiana. Perciò, in conclusione, scrive Gobetti:
«Constatiamo. Oggi è morta l’idea di patria. Ce ne dobbiamo rallegrare. Abbiamo negato il mito
sentimentale di un’Italia, madre di tutti, venerabile per le sue glorie, dolorante per le sue ferite. Fuori della
puerilità della cara terra natia, sostituiamo alla patria lo Stato»51.
Ciò è quel che fece, un quarto di secolo dopo, la Costituzione italiana, che avrebbe usato il vocabolo
“patria”, solo due volte52, così marcando però una frattura tra il linguaggio comune usato nei giorni della
lotta di liberazione e quello tradotto nei testi di diritto, poiché viceversa i partigiani europei e italiani –
come attestano le Lettere di condannati a morte della Resistenza europea53 – vi fecero riferimento ovunque e in
continuazione54.

3. L’organizzazione territoriale dello Stato: decentramento e autonomie locali
I rapporti tra centro e periferia interessano molto Piero Gobetti. Egli nutre la convinzione che la qualità
dell’attività di uno Stato si possa dedurre da come è distribuito il potere. Non si parla più, però, solo del
rapporto tra Stato e cittadini: non è più un discorso sui confini che delimitano la libertà del singolo “dallo
Stato” e “nello Stato”; la riflessione si sposta sul piano empirico, dell’efficienza: quale è l’organizzazione
territoriale che consente il miglior funzionamento dello Stato? Gobetti, nella sua prospettiva, ribadisce
l’importanza del confronto: l’ideale equilibrio che dà vita allo Stato si ottiene ancora una volta per mezzo
del conflitto tra le singole parti che lo compongono.
In termini di amministrazione il decentramento è la soluzione che dà voce alle diverse componenti statali
e che, stemperando il ruolo dominante dello Stato centrale, consente una maggiore eterogeneità
nell’espressione della prassi democratica; la divisione del potere assume un significato a livello di
separazione tra centro e periferia.

50 Ivi, p. 115.
51 La Rivoluzione Italiana. Discorso ai collaboratori di «Energie Nove», cit., ora in P. SPRIANO (a cura di), op. cit., p. 188.
52 … all’art. 52, c. 1: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», e all’art. 59, c. 2: «Il Presidente della Repubblica

può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale,
scientifico, artistico e letterario».
53 A cura di P. Malvezzi e G. Pirelli, Einaudi, Torino, 1963.
54 Cfr. L. PEGORARO, Diritto costituzionale e Resistenza. Una breve rilettura attraverso le lettere dei condannati a morte (e le canzoni

partigiane), in Ann. dir. comp. st. leg. 2015, Esi, Napoli, 2015, pp. 521-534, in Quad. sulla Resistenza e la RSI (1943-1945), n.
1, 2014, pp. 1-8, e in F. CORTESE (a cura di), Resistenza e diritto pubblico, Firenze Un. Press, 2016, pp. 241-252.

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Questi concetti hanno in Gobetti una connotazione ovviamente geografica; tuttavia, non esulano dal
presentare sotto una nuova prospettiva anche i già trattati concetti di Stato e di nazione. Il termine
“nazione”, infatti, viene spesso a coincidere con il concetto di “popolo”, aggregando tra di loro gruppi di
individui che condividono un’appartenenza etnica, una lingua, una storia, una tradizione e una cultura
comune; Gobetti si esprime su questo tema con un’affermazione che sostiene la non necessaria
sovrapposizione tra i confini geografici e quelli culturali di una nazione: «L’unità etnica è indipendente da
tutte la geografie di questo mondo: essa dipende solo dalla volontà e dalla potenza spirituale dei popoli»55.
Interessante è il suo giudizio sullo Stato multinazionale in merito alla nascita dello Stato jugoslavo sorto
dal disgregamento dell’Impero austro-ungarico; la coesione di uno Stato multietnico è proporzionale, in
questo caso, alla capacità di “imperio” del potere centrale: «Fondamento dello Stato naturale secondo
diritto è nella concezione moderna il popolo, il fattore etnico. Lo Stato artificiale, unione di gruppi etnici
diversi, nasce in ragione di determinate condizioni politiche e sociali straordinarie: scompare col cessare
di dette condizioni se non è avvenuta nel frattempo la fusione, l’unità etnica»56. L’omogeneità etnica
all’interno dello Stato non è ovviamente da intendersi come espressione di un angusto nazionalismo,
quanto piuttosto come un richiamo al “principio di autodeterminazione dei popoli”. Gobetti stesso
attaccò coloro che, dopo la vittoria italiana nella Grande Guerra, volevano annettere all’Italia territori
dell’Istria e della Dalmazia abitati in prevalenza da slavi.
Tuttavia, a prescindere dalla composizione etnica di uno Stato, il decentramento è soprattutto per Gobetti
una soluzione di carattere amministrativo: egli è un grande ammiratore del federalismo di Carlo Cattaneo
(«Il motivo vitale del federalismo si ebbe nella critica di Carlo Cattaneo, il solo realista tra tanti romantici
e teorici»57), e auspica un’opera di semplificazione della pubblica amministrazione e un potenziamento
delle autonomie locali. Gobetti riconosce nell’apparato burocratico un organismo che spesso ostacola il
naturale rapportarsi dei cittadini con lo Stato: la riforma della pubblica amministrazione viene avvertita
come una necessità inevitabile.
«Ci sono per il nostro proposito – egli scrive – […] tre ordini di semplificazioni: l’abolizione degli organi
inutili, delle funzioni inutili, la semplificazione della struttura interna degli organi, considerati nella loro
estrinsecazione»58. Semplificazione della pubblica amministrazione attuata e corroborata per mezzo di un

55 La questione jugoslava, in Energie Nove, serie I, n. I, 1-15 novembre 1918, pp. 2-5, ora in P. SPRIANO (a cura di), op. cit.,
p. 7.
56 Ivi, rispett. pp. 2-5 e p. 6. Per una distinzione tra federalismi di assimilazione e federalismi di riconoscimento v. L.

PEGORARO, Para una teoría integradora del federalismo y la plurinación, in Federalismi.it, n. 19, 2016, pp. 1-38, e in ID., Teoría y
modelos de la comparación. Ensayos de Derecho constitucional comparado, Olejnik, Santiago-Chile, 2016, pp. 325- 375.
57 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 21.
58 La riforma dell’amministrazione, in Energie Nove, serie II, n. 1, 5 maggio 1919, pp. 8-11, non firmato, ora in P. SPRIANO (a

cura di), op. cit., p. 91.

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processo di decentramento: «E due serie di provvedimenti politici ci sono proprio da prendere subito in
esame per risolvere la questione. Voglio dire: da un lato, selezione degli impiegati con l’abolizione di quelli
inutili, dall’altro, un sano decentramento, che non conduca allo smembramento, ma solo ad autonomie
locali ben fissate con responsabilità propria. Sono provvedimenti che si dovranno applicare
contemporaneamente, ma che è bene studiare partitamente»59.
Il    decentramento          amministrativo,         nella     prospettiva    di   miglioramento   dell’organizzazione
dell’amministrazione pubblica, «dovrebbe significare trasferimento di autorità, di poteri pubblici, alle
autorità locali. Maggior contatto di governati e di governanti, ecco un risultato che si presenta subito con
una chiarezza immediata. Il governo che oggi per effetto dell’accentramento è lontano, in molti paesi
addirittura assente, viene ad essere una realtà per tutti»60.
Nell’epoca dell’ordinamento estremamente accentrato dello Stato fascista, Gobetti, sempre pensando a
Cattaneo, ricorda che «Il federalismo per spiriti non negati alla cultura conserva le suggestioni dell’eresia
più accreditata che sia sorta nella nostra storia politica. Il vessillo dell’autonomia e del decentramento
nasconde sfumature e risorse complesse ed impreviste: del regionalismo è facile rinnovare di fronte alle
esigenze ricorrenti i sensi e le suggestioni»61. Un auspicio per «una riforma di carattere generale, che
partendo dalla sana reazione contro l’impero della casta burocratica accentrata a Roma giunga a mettere
sempre più in valore le autonomie locali»62.
Gobetti studia a fondo le possibilità e i limiti di un’eventuale riforma dell’ordinamento dello Stato.
Innanzitutto, si interroga su quale tipo di decentramento adottare: «decentramento regionale? o
provinciale? o comunale? decentramento amministrativo, o anche politico? decentramento burocratico,
o creazione di veri e proprio organi elettivi? e quali delle funzioni amministrative e politiche andranno
decentrate? quali conservate al potere centrale? Esigenze complesse a cui non si può pretendere di dare
una risposta definitiva perché il problema da noi, abbiamo già avvertito, è, in fatto di ricostruzione, ancora
alla sua fase preliminare e mancano elementi di giudizio considerevoli»63.
Nonostante la difficoltà nel dare una risposta univoca a queste domande, egli continua la sua analisi
tracciando due linee guida: «Distinguiamo le due forme di decentramento: il burocratico, che è puro atto
amministrativo e che continuerà a dipendere al centro dai supremi organi di controllo; l’autarchico, che
deve sorgere dalle elezioni locali con responsabilità e competenza per la funzione che gli viene affidata.
Dobbiamo ridurre la prima autorità burocratica a poche funzioni politiche addirittura indispensabili per

59 Ivi, rispett. pp. 8-11 e pp. 89-90.
60 Ivi, rispett. pp. 8-11 e p. 93.
61 La Rivoluzione Liberale, cit., p. 129.
62 La riforma dell’amministrazione, cit., rispett. pp. 8-11 e p. 93.
63 Ivi, rispett. pp. 8-11. e pp. 93-94.

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mantenere l’unità dello Stato. Rafforzata l’autarchia, dobbiamo esaminare quali funzioni le vanno subito
attribuite, quali altre possono utilmente essere affidate ad associazioni private col controllo dello Stato.
Nella prima categoria di funzioni sottratte all’autorità centrale potrebbero entrare la maggior parte dei
lavori pubblici (strade, opere idrauliche, bonifiche, ecc.), le scuole elementari e le medie: al potere
autarchico bisognerà subito trasferire una parte adeguata di imposte perché non vengano rese impossibili
le sue funzioni. Ad associazioni private potrebbero essere affidate le ferrovie, i telefoni, i telegrafi, ecc.»64.
Gobetti ha una visione del decentramento ben precisa; innanzitutto, esclude le regioni da qualsiasi ruolo
da protagonista: «La base per il decentramento non deve essere la regione, poiché, indipendentemente
dal pericolo del regionalismo antiunitario, è evidente che la regione non rappresenta da noi una
differenziazione chiara e sicura. Come si può distinguere il Piemonte dalla Lombardia? Novara è
Piemonte o Lombardia? Gli interessi delle parti meridionali delle province di Cuneo e di Alessandria sono
con Torino o con la Liguria? Se non si pensa a questa difficoltà si corre il pericolo di creare un
decentramento che conserva gli svantaggi e gli ingombri dell’accentramento»65.
Le autonomie locali “minori” sono invece invocate con molto più favore: «Si parta dunque dalle unità
politiche più piccole: la provincia e il comune; si rafforzi e si consolidi l’autonomia di cui godono già
adesso nel campo dell’amministrazione; si lasci a questi organi locali facoltà di unirsi e di fondersi secondo
gli interessi che nasceranno: ecco la base per il nuovo ordinamento»66. La sua prospettiva sembra
anticipare l’art. 5 della Costituzione della Repubblica Italiana: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce
e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento
amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento». A suo avviso, la valorizzazione delle autonomie locali creerebbe una distribuzione del
potere equilibrata, evitando quelle concentrazioni di autorità che impediscono il fluido svolgersi del
processo amministrativo, soprattutto considerando che «In questo modo non si infrange l’organicità dello
Stato, perché il potere centrale permane come supremo controllo e ad esso solo resta affidata la
rappresentanza del paese all’estero, la difesa dei confini, il potere legislativo, l’unificazione del bilancio, le
imprese di carattere nazionale»67.

64 Ivi, rispett. pp. 8-11 e p. 94.
65 Ibid.
66 Ibid.
67 Ivi, rispett. pp. 8-11 e 94-95. Sulla centralità delle autonomie locali e il loro ruolo “politico” v. ad es., tra i tanti, M.

VOLPI, La distribuzione territoriale dei poteri: tipi di Stato e Unione Europea, in G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA,
M. VOLPI, Diritto pubblico comparato, 5a ed., Giappichelli, Torino, 2016, p. 378; L. PEGORARO, Federalismo territorial,
federalismo identitario y federalismo intercultural. Introducción crítica, § 13, in G. RUIZ RICO RUIZ (a cura di), Lecciones constitucionales
en tiempos de crísis, in corso di pubblicazione.

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Le riflessioni di Gobetti sul “tipo di Stato” non perdono di vista il rapporto che lo Stato mantiene con
l’individuo. L’autonomia locale non ha una mera funzione amministrativa; essa tutela la libertà negativa
del singolo e allo stesso tempo assume il ruolo di propaggine dello Stato che ascrive il cittadino a
partecipante effettivo alle scelte politiche: «coordinazione presuppone forze libere da coordinare,
presuppone responsabilità e attività di cittadini autocoscienti il cui intervento attraverso il regime
rappresentativo e le autonomie locali investa la vita pubblica di tutta la concretezza necessaria»68.
Gobetti crede molto nell’efficacia del ruolo mediatore delle autonomie locali: «E non dimentichiamo che
il dualismo tra Stato ed individuo – che è il punto morto della democrazia attuale – si vincerà solo
tornando, secondo il concetto del Minghetti, alle autonomie locali»69. Interessante, riguardo a ciò, è anche
il giudizio che egli dà rispetto all’organizzazione dello Stato belga, dove il rapporto tra autonomia e libertà
viene analizzato nei suoi significati storici: «Il regionalismo non sarà neppure separatismo. Bisogna
rendersi conto che in Belgio c’è una naturale atmosfera di municipalismo, di affetti locali. La rivoluzione
del 1830 è nata anche da questo sentimentalismo casalingo, che per maggior dignità si chiamò difesa dei
diritti comunali. Era un attaccamento quasi filisteo a le libertà individuali non accompagnato da una grande
passione per la libertà»70.
In definitiva, l’autonomia locale si configura dunque nella duplice funzione organizzativa e di tutela del
singolo: «L’autonomia locale, dall’altra parte, spodestando l’eccessiva ingerenza dello Stato e con essa
eliminando i soprusi dell’alta burocrazia, deve preparare la via ad un ordinamento delle funzioni di
interesse pubblico più razionale, più vicino ai bisogni dell’individuo, più perfetto tecnicamente»71.
Con la sua proposta di decentramento, Piero Gobetti sottolinea un elemento fondamentale della sua
visione costituzionale. Come la lotta politica, il decentramento permette il raggiungimento dell’equilibrio
tra le varie posizioni all’interno del dibattito democratico: al di là della funzione amministrativa, esso
costituisce un ulteriore elemento di tutela e di rappresentanza del singolo. Per Gobetti il decentramento
è il fondamentale veicolo che porta l’individuo a un corretto confronto con lo Stato, iniziando un
processo metabolico che si finalizza nella sintesi delle istanze politiche di tutti i cittadini. Attuando ciò –
nella drammatica necessità del confronto con la vittoria della lista nazionale del fascio littorio alle elezioni
del 1924 – Gobetti presenta, ancora una volta, un progetto politico: «L’opposizione non ha il dovere di
pensare in Parlamento all’ordine e alla ricostruzione. Per la ricostruzione la via rettilinea è un’altra: la

68 Verso una realtà politica concreta, cit., rispett. pp. 33-37 e p. 110.
69 Ivi, rispett. pp. 33-37 e p. 107.
70 Fiamminghi e valloni, in La Rivoluzione Liberale, anno IV, n. 30, 30 agosto 1925, pp. 121-122, ora in P. SPRIANO (a cura

di), op. cit., p. 875.
71 Verso una realtà politica concreta, cit., rispett. p. 33-37 e p. 111.

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