Paper Il contrasto dell'antimicrobico resistenza: il valore dell'innovazione nella diagnostica - The ...

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Milano, 13 Luglio 2021

                                          Con il contributo incondizionato di bioMérieux

                         Il contrasto dell’antimicrobico resistenza:
                         il valore dell’innovazione nella diagnostica

                         Paper
Paper Il contrasto dell'antimicrobico resistenza: il valore dell'innovazione nella diagnostica - The ...
Paper “Il contrasto dell’antimicrobico resistenza: il valore dell’innovazione nella diagnostica”.

Luglio 2021.

Il documento è stato realizzato da The European House – Ambrosetti nell’ambito dell’iniziativa “Il
contrasto dell’antimicrobico resistenza: il valore dell’innovazione nella diagnostica” realizzata con
il contributo incondizionato di bioMérieux.

I contenuti di questo documento sono di responsabilità degli autori: Daniela Bianco, Elisa Milani e
Giovanni Brusaporco di The European House - Ambrosetti.

© 2021 The European House - Ambrosetti S.p.A. TUTTI I DIRITTI RISERVATI. Questo
documento è stato ideato e preparato da The European House - Ambrosetti; nessuna parte di esso
può essere in alcun modo riprodotta per terze parti o da queste utilizzata, senza l’autorizzazione di
The European House - Ambrosetti. (www.ambrosetti.eu).

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Indice

  1. Il ruolo chiave della diagnostica nel sistema sanitario………………………………….4
  2. Il valore dell’innovazione nella diagnostica…………………………………………………4
  3. L’Antimicrobico resistenza (AMR) in Italia…………………………………………………6
  4. L’AMR e le infezioni correlate all’assistenza (ICA)……………………………………….7
  5. La diagnostica nel contrasto dell’AMR……………………………………………………….9
  6. Diagnostica e AMR nei documenti programmatici nazionali……………………….13
  7. AMR, Covid-19 e diagnostica……………………………………………………………………15
  8. Bibliografia……………………………………………………………………………………………20

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1. Il ruolo chiave della diagnostica nel sistema sanitario
La diagnostica è una parte fondamentale di un sistema sanitario, essenziale non solo nella fase di
diagnosi in senso stretto di una malattia, ma lungo tutto il percorso: dallo screening e diagnosi al
monitoraggio e gestione del paziente. Mentre la diagnostica in vivo si riferisce a imaging e test
condotti direttamente sul paziente (ad esempio risonanza magnetica, tomografia, ecografia), la
diagnostica in vitro (IVD), viene eseguita su sangue, tessuti o altre tipologie di campione del paziente,
con test condotti in una provetta o in altro recipiente.
La diagnostica in vitro non solo svolge un ruolo determinante nella diagnosi di diverse patologie, ma
è sempre più importante nell’indirizzare gli interventi e i trattamenti disponibili, massimizzando
l’efficacia dei risultati e dando un rilevante contributo all’efficienza delle strutture.
In un quadro nazionale, ma comune alla gran parte dei Paesi ad alto reddito, caratterizzato
dall’allungamento della vita media e dall’aumento della prevalenza delle condizioni croniche, l’IVD
consente di avere una diagnosi precoce ed una migliore gestione e monitoraggio della malattia. In
aggiunta, se si considera il fenomeno dell’antimicrobico-resistenza, gli interventi di diagnostic
stewardship oltre a quelli di antimicrobial stewardship, rappresentano misure urgenti e
indispensabili per i sistemi sanitari.
In Italia, l’utilizzo eccessivo e inappropriato degli antibiotici in ambito umano e non, insieme
all’aumento delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), legate anche alla maggiore complessità
delle procedure chirurgiche e alla fragilità dei pazienti, sono i due fattori che hanno un maggiore
impatto sull’AMR. L’Italia mostra tuttavia un ritardo nell’attuazione di adeguati programmi di
antimicrobial stewardship e diagnostic stewardship.

2. Il valore dell’innovazione nella diagnostica
Nel contesto europeo, l’Italia continua ad essere tra i Paesi dove si registra un maggior consumo di
antibiotici, seppure con un trend in calo degli ultimi anni. Tuttavia, secondo alcuni dati, circa 1
paziente su 3 con affezioni virali delle prime vie respiratorie assume una terapia antibiotica e più di
un quarto delle Infezioni Correlate all’Assistenza è generato da batteri resistenti. In questo scenario,
la diagnostica microbiologica e i test di sensibilità assumono un ruolo cruciale nell’individuare in
modo tempestivo l’agente patogeno e l’eventuale profilo di resistenza, indirizzare le scelte
terapeutiche più appropriate e monitorare i risultati della risposta clinica.
Negli ultimi anni, l’industria della Diagnostica In Vitro ha sviluppato una serie di innovazioni, a
partire dai test molecolari rapidi sindromici, che hanno semplificato il workflow diagnostico e reso
più rapido ed efficiente il processo di identificazione della infezione/resistenza, garantendo una
performance migliore rispetto a quella delle metodiche tradizionali.
Le innovazioni introdotte nel campo della diagnostica in vitro hanno apportato benefici a tutti i
player coinvolti nell’assistenza: dai pazienti, che ricevono cure sempre più appropriate e
personalizzate, ai clinici, che anticipano la decisione terapeutica ottimale, riducendo il ricorso a
terapie empiriche ad ampio spettro. In aggiunta, anche il management ospedaliero ottiene un
risparmio complessivo di risorse, grazie all’ottimizzazione stessa della gestione del paziente, e il
personale di laboratorio, in virtù della semplificazione e della velocizzazione del lavoro, può rendere
il servizio più efficiente.

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«Promuovere metodi diagnostici nuovi e rapidi, per ridurre l’uso non necessario di antibiotici» è una
delle 10 raccomandazioni per il contrasto all’antimicrobico resistenza stilate dal Rapporto O’Neill del
20161. Secondo lo studio, in particolare, l’implementazione delle tecnologie diagnostiche rapide è
importante per testare (con un dettaglio informativo sempre maggiore):
      −   Se un paziente è affetto da un’infezione virale o batterica;
      −   Quale tipo di batteri causano l’infezione;
      −   Se questi batteri sono resistenti a uno specifico antibiotico;
      −   A quali antibiotici sono sensibili.

     Figura 1. Informazioni ricavabili grazie ai test diagnostici rapidi – Fonte: The European House –
                                     Ambrosetti su fonti varie, 2021

Nell’ambito del controllo delle infezioni, l’introduzione della diagnostica molecolare rapida
sindromica (a maggior ragione se associata a interventi di stewardship antimicrobica, ma anche ad
altre misure, come l’automazione dei laboratori di batteriologia) conduce a un miglioramento
nell’individuazione della terapia antimicrobica ottimale, una riduzione del tasso di infezioni
ricorrenti e di mortalità per infezioni, oltre a una diminuzione della durata della degenza e dei costi
di ospedalizzazione2. Uno studio sulla costo-efficacia delle politiche per limitare la resistenza
antimicrobica nel sistema sanitario olandese3 ha dimostrato che attraverso l’utilizzo di dispositivi
diagnostici Point-of-Care (PoC), accompagnato da una campagna di formazione e sensibilizzazione
dei MMG, è possibile ridurre la somministrazione di antibiotici (il tasso di prescrizione nel gruppo
trattato era pari al 23% rispetto al 68% del gruppo di controllo), con un risparmio di costi (22 euro
per paziente). Tale risparmio ad un mese dall’avvio del programma risultava già superiore
all’investimento iniziale (15 euro per paziente).
L’utilizzo della diagnostica in vitro apporta quindi valore non solo ai pazienti ma anche al sistema
sanitario ed economico-produttivo: oltre a garantire la diagnosi e migliorare il trattamento di una

1O’Neill, J. et al., “Tackling Drug-resistant Infections Globally: Final Report and Recommendations. Review
on antimicrobial resistance”, 2016.
2Zeitler K. et al., “The Present and Future State of Antimicrobial Stewardship and Rapid Diagnostic Testing:
Can One Ideally Succeed Without the Other?”, 2019.
3Celsus Academie voor Betaalbare zorg, “Cost-effectiveness of policies to limit antimicrobial resistance in
Dutch healthcare organisations”. Research report, 2016.

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specifica patologia, gli IVD aiutano il management sanitario ad ottimizzare gli interventi sui pazienti,
dal ricovero ospedaliero agli interventi di assistenza sanitaria al di fuori dell’ospedale, liberando
quindi risorse da poter investire altrove nel SSN. Risultato è avere una popolazione più sana e una
crescita economica più forte.
Secondo alcune stime, circa il 70% delle decisioni cliniche vengono effettuate attraverso l’utilizzo
degli IVD, pur pesando «solo» per l’1% sulla spesa sanitaria dei principali Paesi Europei, ma,
nonostante chiare evidenze in termini di efficacia ed efficienza supportino l’adozione dei dispositivi
diagnostici in vitro, si rilevano ancora una serie di ostacoli che impediscono una piena diffusione di
questi strumenti, soprattutto quelli più innovativi, premium-priced.
Nella pandemia attuale di COVID-19, la diagnostica in vitro ha rilevato ancora di più il valore
strategico che ha avuto e che continua ad avere per il sistema sanitario e socio-economico del Paese.

3. L’Antimicrobico Resistenza (AMR) in Italia
Il fenomeno dell’antimicrobico resistenza, intesa come la capacità dei batteri (ma anche di virus,
parassiti e funghi) di contrastare l’azione di uno o più farmaci antimicrobici, è cresciuto negli anni,
comportando una serie di costi economici, oltre che sanitari, in termini di perdita di produttività e
di ricchezza.
L’AMR continua a essere una delle principali minacce alla salute a livello globale, responsabile ogni
anno di circa 700.000 decessi (33.000 nell’Unione Europea, di cui poco meno di un terzo in Italia,
la prima a livello europeo), che potrebbero arrivare, in assenza di azioni efficaci di contrasto, a 10
milioni nel 2050, vale a dire più dei decessi dovuti a cancro, diabete e incidenti stradali. Oltre che
per decessi, l’Italia, tra i Paesi OCSE, detiene anche il primato negativo in termini di DALYs4 (si stima
che nel 2050 fino a 1 persona su 205 potrebbe perdere un anno di vita in buona salute a causa
dell’AMR) e di costi associati all’AMR.

         Figura 2. Burden dell’AMR, Italia vs. media dei Paesi OCSE, 2018 - Fonte: The European House – Ambrosetti,
                                       Rapporto Meridiano Sanità su dati OCSE, 2021

Nonostante negli ultimi anni in Italia si sia registrata una significativa diminuzione dei livelli di
antimicrobico resistenza relativi a specifiche combinazioni, nella generalità dei casi, il divario
rispetto alla media europea resta ancora elevato. In particolare in Italia, dal confronto delle
percentuali di resistenza delle principali combinazioni patogeno/antibiotico sotto sorveglianza nel
2019 rispetto al 2018, che si aggirano intorno al 30%, si osserva una sostanziale stabilità, dato che il
lieve aumento nella percentuale di isolati Escherichia coli resistente alle cefalosporine di terza
generazione (CREC), di Klebsiella Pneumoniae resistente ai carbapenemici (CRKP) e di
Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) è imputabile all’aumento dei laboratori che

4   DALY = Disability-Adjusted-Life-Years.

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hanno partecipato alla sorveglianza nazionale (130, rispetto ai 98 dell’anno precedente), concentrato
in regioni con dati di resistenza elevati agli antibiotici in questione.
Molti studi evidenziano una stretta relazione tra il consumo di antibiotici e la frequenza di
antimicrobico-resistenza. Nel contesto europeo, l’Italia continua ad essere tra i Paesi con il maggior
consumo di antibiotici (nel 2019, il 40% della popolazione ha ricevuto almeno una prescrizione di
antibiotici), anche se negli ultimi anni è stata registrata una flessione del consumo relativo alle dosi
erogate dal SSN.
Se da un lato la percentuale di soggetti affetti da patologie infettive sotto cura antibiotica è in calo
rispetto al 2018, dall’altro le attitudini prescrittive dei medici, le specificità socio-demografiche e
culturali delle diverse aree geografiche (i consumi sono maggiori al centro-sud) e l’elemento
stagionale (vi è una chiara correlazione tra l’aumento dell’incidenza di sindromi influenzali e quello
del consumo di antibiotici) incidono sulla prevalenza d’uso inappropriato di antibiotici, che nelle
prescrizioni ambulatoriali del 2019 era superiore al 25% per quasi tutte le condizioni cliniche
studiate (influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non
complicata), con il 31,3% delle persone con affezioni virali delle prime vie respiratorie (influenza,
raffreddore, laringotracheite acuta) che assumono antibiotici.
All’interno del territorio italiano, gli ultimi dati disponibili mostrano come i livelli di antibiotico-
resistenza e di multi-resistenza nelle specie batteriche sotto sorveglianza siano ancora elevati in
molte Regioni italiane, evidenziando un importante problema di sanità pubblica e un forte gradiente
Nord-Sud. Le difformità regionali sono determinate da una serie di fattori e disomogeneità
nell’applicazione di politiche di contrasto dell’AMR, nel differente livello di consumo di antibiotici e
nei sistemi di sorveglianza e monitoraggio delle infezioni antibiotico-resistenti.

4. L’AMR e le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA)
Il progressivo aumento delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) è un altro dei fattori impattanti
sull’AMR. In Italia, ogni anno, si verificano circa 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in
strutture di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, che interessano prevalentemente individui di età
superiore ai 65 anni (63,7% del totale), più fragili e più esposti al fenomeno delle resistenze, e che
sono causa diretta del decesso del paziente nell’1% dei casi5. Le ICA hanno un impatto clinico ed
economico rilevante: sono responsabili di un prolungamento della durata di degenza, di un aumento
della resistenza dei microrganismi agli antibiotici e di una significativa mortalità, e provocano
disabilità a lungo termine, con un impatto economico diretto e indiretto significativo sia per il
sistema che per i pazienti e le loro famiglie.
Oltre un quarto delle ICA è generato da batteri resistenti (i microrganismi più frequentemente isolati
nelle ICA sono i batteri gram-negativi, tra cui Klebsiella pneumoniae - 13,4% - ed Escherichia coli -
12,8%); le infezioni più frequenti sono le infezioni respiratorie, che da sole rappresentano il 24% di
tutte le infezioni ospedaliere, seguite da quelle del tratto urinario (21%), del sito chirurgico (6%) e
del sangue (6%): oltre 3 ICA su 4 si trovano in queste sedi.
La prevalenza delle ICA negli ospedali per acuti è pari all’8%, con elevata variabilità per reparto
ospedaliero (dal 22,9% in terapia intensiva all’1,3% della psichiatria). In queste strutture, il 63,7%
delle ICA colpisce le fasce d’età sopra i 65 anni e più del 65% dei pazienti con degenza superiore alla

5   Università degli Studi di Torino, «Report italiano PPS2 - 2016/2017».

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settimana, ragione per cui i pazienti COVID-19, prevalentemente anziani e spesso ricoverati in TI,
sono potenzialmente molto esposti al rischio di infezione. Nelle strutture di assistenza socio-
sanitaria extra-ospedaliera, la prevalenza delle ICA è del 3,9%: studi mostrano come l’80,9% delle
ICA sia associato alla struttura assistenziale in cui si è riscontrata l’infezione, l’11,9% ad un ospedale
e l’1% a un’altra struttura di assistenza socio-sanitaria (il 6,2% resta di origine sconosciuta)6.

 Figura 3. A sinistra: Infezioni correlate all’assistenza (ICA) per sedi più frequenti in Italia (percentuale),
2018. A destra: Distribuzione delle ICA negli ospedali per acuti per fasce d’età (percentuale sul totale), 2016-
            2017 - Fonte: The European House – Ambrosetti su dati Università di Torino, 2021

Secondo alcuni studi, il 50% delle ICA potrebbe essere potenzialmente prevenibile grazie
all’adozione di adeguati sistemi di sorveglianza e di programmi di prevenzione. Per questa ragione è
necessario intervenire tempestivamente e adottare un approccio organico e strutturato coinvolgendo
tutti i professionisti che intervengono nel percorso di cura.
Secondo uno studio dell’OCSE7, misure semplici, come la promozione dell’igiene delle mani e il
miglioramento dell’igiene ambientale delle strutture di assistenza sanitaria e sociosanitaria, in Italia
possono prevenire 10 morti per AMR ogni 100.000 persone; l’igiene delle mani è l’intervento di
antimicrobial stewardship più costo-efficace, che permette di risparmiare molte vite umane e risorse
economiche, sia nelle strutture ospedaliere (1.000 giorni di degenza evitati all’anno ogni 100.000
persone) che sul territorio.
Si tratta di un’azione raccomandata da anni che con l’emergenza COVID-19 è stata riconosciuta come
gesto semplice ed efficace: la speranza è che questa emergenza aiuti a sensibilizzare il cittadino e i
professionisti sanitari, e nel lungo termine possa portare alla riduzione delle ICA a partire da quelle
antibiotico-resistenti, tenendo però presente che l’uso indiscriminato dei biocidi per la
disinfettazione degli ambienti e la stessa igiene personale può avere un ruolo chiave nella selezione
e nella diffusione di batteri resistenti agli antibiotici e ai biocidi stessi.

6   Università degli Studi di Torino, «Report italiano PPS2 - 2016/2017».
7   OCSE, “Stemming the Superbug Tide”, 2018.

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Figura 4. Costo-efficacia dei programmi di prevenzione delle infezioni in Italia, 2018 - Fonte: The European
                    House – Ambrosetti, Rapporto Meridiano Sanità su dati OCSE, 2021

5. La diagnostica nel contrasto dell’AMR
Essendo noto che molte infezioni virali sono clinicamente indistinguibili da quelle batteriche, e lo
stesso vale per altre aree terapeutiche, i dispositivi IVD giocano un ruolo di primo piano nella lotta
all’AMR e alle ICA. Essi, infatti, essendo in grado di discriminare le infezioni virali da quelle
batteriche e, in secondo luogo, identificare i batteri resistenti agli antibiotici, possono circoscrivere
il rischio di diffusione del patogeno e limitare gli effetti collaterali dell’antibiotico ai casi in cui la sua
assunzione può effettivamente migliorare lo stato di salute del paziente.
In altri termini, mentre l’uso diffuso degli antibiotici ad ampio spettro, nell’attesa di trovare una
terapia empirica ottimale, concorre a generare ceppi di batteri multi-resistenti, un maggior ricorso
ai dispositivi IVD contribuisce a ridurre la prescrizione inappropriata di antibiotici, grazie a tempi di
individuazione del ceppo patogeno/profilo di resistenza, e quindi della terapia mirata, ridotti.
Il comparto della diagnostica in vitro, che a livello europeo investe circa il 10% del fatturato in R&S
e dove si concentra il 60% delle attività di sviluppo dell’intero settore dei dispositivi medici, ha
apportato un contributo determinante nel contrasto all’AMR. Negli ultimi anni, infatti, l’industria
IVD ha sviluppato una serie di tecnologie diagnostiche innovative, a partire dai test rapidi molecolari,
che hanno semplificato l’uso delle strumentazioni IVD e reso più rapido il processo di identificazione
della potenziale infezione, garantendo una sensibilità analitica equivalente se non superiore a quella
della diagnostica tradizionale.
Un ulteriore elemento di innovazione è rappresentato dall’approccio sindromico di alcuni test
diagnostici molecolari, consistente nella loro capacità di testare simultaneamente un ampio spettro
di patogeni, massimizzando la possibilità di produrre risultati completi e accurati in un tempo che
abbia rilevanza clinica rispetto all’infezione da curare.
Una risposta rapida ed accurata è essenziale per il trattamento delle infezioni tempo-dipendenti.
Nelle forme di sepsi più aggressive, ad esempio, si stima un aumento del 7,5% del rischio di mortalità
per ciascuna ora di ritardo rispetto alla sottomissione dell’antibiotico appropriato8; in tale contesto,

 8 Ferrer, R. et al., “Empiric antibiotic treatment reduces mortality in severe sepsis and septic shock from the
 first hour: results from a guideline-based performance improvement program”, Crit Care Med;42:1749–
 175, 2014.

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l’utilizzo di metodiche di diagnostica rapida, che consentono l’ottimizzazione della terapia antibiotica
entro le prime 1-4 ore, a partire da emocultura positiva, risulta più conveniente delle tecniche
tradizionali, che hanno il vantaggio di poter predire sia la resistenza che la suscettibilità ma lo
svantaggio di avere tempi di risposta relativamente lunghi (36-72 ore)9, con le informazioni che
rischiano dunque di avere un impatto clinico limitato.
Oltre a consentire la prescrizione di antimicrobici a spettro limitato, e quindi più mirati, i test rapidi
possono facilitare il campionamento mirato di pazienti che mostrano specifici profili di resistenza,
rendendo i trial clinici più efficienti; in aggiunta, essi sono funzionali alla sorveglianza
epidemiologica e alla stewardship antimicrobica.
Al fine di assicurare l’accesso più ampio possibile ai dispositivi IVD innovativi, che dispongono di
una diagnosi in poche ore (contro i 2-3 giorni delle strumentazioni tradizionali) e possono ridurre
gli eventi avversi degli antibiotici e le resistenze, ma anche la mortalità, e migliorare gli outcome di
salute, è indispensabile promuovere uno scambio continuo tra reparto e laboratorio, attraverso lo
sviluppo di percorsi che prevedano la completa integrazione tra stewardship diagnostica e
antimicrobica.
A fronte di una domanda crescente da parte dei clinici, sempre più frequentemente, all’interno dei
programmi ospedalieri integrati di antimicrobial e diagnostic stewardship, sono inserite strategie di
companion testing, che mirano al corretto inserimento in terapia di nuove molecole antimicrobiche.
In particolare, i companion test sono dispositivi di diagnostica molecolare rapida, il cui uso consente
l’applicazione sicura di una terapia antimicrobica: attraverso questa azione preventiva, che
subordinando la scelta di una nuova molecola al risultato di un test consente di sfruttare tutto il
potenziale della stessa in termini di efficacia, si evitano gli effetti indesiderati o la totale inefficacia a
seguito dell’insorgenza di fenomeni di resistenza e/o infezioni.
Le metodiche colturali standard presentano numerose limitazioni relative ai livelli di sensibilità,
potenzialmente affetti dalla raccolta del campione dopo l'esposizione ad antibiotici, e ai tempi lunghi
per l’acquisizione della risposta, spesso peggiorati dagli orari di apertura del laboratorio. Sarebbe
necessario rivedere l’assetto organizzativo dei laboratori, in direzione di una estensione degli orari
degli stessi, che siano almeno pari a quelli dell’attività clinica, in modo tale da ridurre il tempo
necessario per la diagnosi e massimizzare la costo-efficacia delle nuove tecnologie.
A tal proposito, per assicurare un servizio di testing diagnostico realmente efficace, non si può
prescindere dall’attivazione di un sistema informativo laboratoriale e ospedaliero adeguati e delle
cartelle cliniche elettroniche.
Peraltro, a partire dagli anni Novanta, contestualmente all’accorpamento delle ASL e alla
conseguente riduzione del numero di aziende sanitarie pubbliche, si è osservata una tendenza alla
concentrazione tra i laboratori di analisi pubblici, soprattutto quelli ospedalieri, motivata da logiche
di contenimento dei costi e garanzia di qualità (correlazione volumi-esiti) e sicurezza; ad oggi le unità
operative autonome di microbiologia sono meno di 50 e negli ultimi 10 anni, come conseguenza dei
suddetti accorpamenti, il personale dei laboratori pubblici si è ridotto del 25-30% e la loro attività

9 De Angelis, G., Grossi, A., Sanguinetti, M. et al., “Rapid molecular tests for detection of antimicrobial
resistance determinants in Gram-negative organisms from positive blood cultures: a systematic review and
meta-analysis”, Clinical Microbiology and Infection 26, 271-280, 2020.

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non è stata finanziata adeguatamente10. Questo fenomeno ha riguardato anche le strutture private:
secondo uno studio del 2003 dell’Università di Napoli (progetto strategico CNR sulla domanda
sanitaria) il numero dei laboratori privati in Italia sarebbe diminuito del 35% tra il 1991 ed il 199811.
La difformità nella distribuzione dei laboratori clinici a livello regionale e locale che ne deriva può
provocare iniquità nelle modalità e nei tempi di accesso ai servizi diagnostici e impedire un’attività
di sorveglianza antimicrobica e controllo delle infezioni omogenea sul territorio nazionale; in
relazione all’ultimo punto, se da un lato dal 2018 al 2019 si è osservato un consistente aumento del
numero di laboratori che partecipano al Programma AR-ISS (da 98 a 130), dall’altro la copertura
regionale varia dal 97,5% del Friuli Venezia Giulia all’11,7% della Calabria.
Dai dati 2018 dell’EU Laboratory Capability Monitoring System, un sondaggio biennale promosso
dall’ECDC, emerge che l’Italia, se da un lato, in linea con la gran parte dei Paesi europei, dimostra
un’alta capacità di caratterizzazione e monitoraggio dell’antimicrobico resistenza e di
implementazione di test di suscettibilità antimicrobica rispondenti agli standard comunitari,
dall’altro sembra avere una limitata disponibilità di linee guida nazionali per test diagnostici primari,
oltre a fare scarso ricorso ai test diagnostici, almeno se confrontato con gli altri Stati Membri.

Figura 5. A sinistra: Disponibilità di linee guida nazionali sui test diagnostici nei Paesi europei (scala 1-10),
  2018. A destra: Utilizzo dei test diagnostici nei Paesi europei (scala 1-10), 2018 – Fonte: The European
                                   House – Ambrosetti su dati ECDC, 2021

Il Decalogo per il Corretto Uso degli Antibiotici e per il contenimento delle resistenze batteriche in
Italia, pubblicato dal GISA (Gruppo Italiano per la Stewardship Antimicrobica) nel 2018, fornisce 4
raccomandazioni per ottimizzare il lavoro dei laboratori di microbiologia clinica che, al netto del
potenziamento e della valorizzazione degli stessi durante l’emergenza COVID-19, sono ancora
attuali:
       − Ridurre i tempi di identificazione e di esecuzione dell’antibiogramma;

 10Dall’intervista al Prof. Sanguinetti, Presidente di Escmid e Direttore della UOC di Microbiologia del
 Policlinico Gemelli, Roma nell’ambito dell’iniziativa «Il contrasto dell’antimicrobico resistenza: il valore
 dell’innovazione nella diagnostica», luglio 2021.
 11   Centro Studi Assobiomedica, Scenari per il settore della diagnostica in vitro; Temi di discussione, 2003.

                                                                 Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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−   Disegnare flussi di lavoro personalizzati e razionalizzare l’uso di nuove tecnologie,
          adottando criteri di stratificazione dei pazienti (gravità di malattia e/o rischio di rapido
          deterioramento clinico);
      −   Supportare attivamente i clinici nei Programmi di Stewardship antimicrobica
          nell’interpretazione dei risultati;
      −   Produrre ad intervalli regolari (almeno semestrali) dati cumulativi sulla resistenza
          antimicrobica, stratificati a livello ospedaliero, per supportare linee-guida locali di terapia
          antibiotica empirica.
In termini più generali, vi sono diverse ragioni che impediscono di sfruttare appieno i vantaggi della
diagnostica innovativa per la lotta all’AMR:
      − Gran parte dei medici non sono incentivati ad usare le strumentazioni diagnostiche, in
         quanto trattare una potenziale infezione batterica con un antibiotico ad ampio spettro
         risulta più semplice e, nel breve periodo, più economico (antibiotici generici), che utilizzare
         tecnologie diagnostiche che invece, potrebbero rivelarsi un investimento conveniente nel
         medio-lungo periodo;
      − Molti sanitari non si rendono conto che una prescrizione inappropriata di antibiotici può
         indurne un uso improprio o comunque eccessivo, mentre diversi pazienti non hanno
         consapevolezza del fatto che gli antibiotici sono totalmente inefficaci contro la maggior
         parte dei virus che causano raffreddore ed influenza. Probabilmente, anche il fatto che, a
         differenza di quanto accade con altri dispositivi medici, molti pazienti non entrano mai in
         contatto con gli IVD, incide sulla bassa percezione del valore delle nuove tecnologie
         diagnostiche;
      − I benefici legati all’utilizzo di test diagnostici, che hanno dimostrato un impatto efficace
         sulla gestione e l’outcome dei pazienti, non ricadono sul laboratorio in cui è stato sostenuto
         il costo di acquisto (logica dei budget a silos negli ospedali);
      − L’introduzione e l’adozione di nuove apparecchiature diagnostiche dipende anche dalla
         capacità di dimostrarne il valore clinico e la convenienza in termini di costi, ma ad oggi
         mancano analisi e modelli in grado di supportare le evidenze cliniche, che sono limitate.

Nel 2017, sulla base dei limiti descritti in precedenza, Health First Europe, un’associazione no profit
che riunisce pazienti, operatori sanitari ed esperti del settore per fornire soluzioni innovative per
trasformare la sanità, aveva formulato una serie di proposte operative alla Commissione Europea e
all’ECDC per favorire la diffusione dei test diagnostici rapidi, alcune delle quali sono state prese in
considerazione, almeno parzialmente.

    Figura 6. Gli ostacoli al pieno utilizzo della diagnostica innovativa per la lotta all’AMR – Fonte: The
                             European House – Ambrosetti su fonti varie, 2021

                                                              Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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6. Diagnostica e AMR nei documenti programmatici Nazionali
Nella consapevolezza che l’AMR costituisce una grave minaccia per la salute pubblica, e che gli
obiettivi chiave della stewardship antimicrobica possono essere raggiunti solo attraverso una
diagnostica più rapida e accurata, lo sviluppo di test diagnostici innovativi è un tema centrale nei
documenti di indirizzo delle Istituzioni Nazionali in tema di AMR e programmazione sanitaria.
Il Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico Resistenza (PNCAR) del 2017, scaduto nel 2020
ma prorogato per un altro anno, tra le azioni da implementare a livello centrale per promuovere
l’utilizzo appropriato degli antibiotici, richiede di «favorire la disponibilità di supporto
microbiologico adeguato attraverso un potenziamento dei servizi di diagnostica microbiologica e la
promozione dell’uso di test per la diagnosi rapida dei patogeni responsabili e del loro profilo di
antibiotico-resistenza nel luogo di assistenza». Notabilmente, queste indicazioni sono in linea con
quelle contenute nel Decalogo per il Corretto Uso degli Antibiotici redatto dal GISA nel 2018, che
individua nell’adozione della diagnostica molecolare rapida un elemento fondamentale di ogni
strategia di antimicrobial stewardship, la quale persegue il contenimento delle resistenze attraverso
la graduale riduzione del ricorso alle terapie empiriche ad ampio spettro a favore di trattamenti
antimicrobici mirati («a spettro ristretto») e la prevenzione della diffusione di micro-organismi
resistenti.
Anche il Piano Nazionale Prevenzione (PNP) 2020-2025 prevede di rafforzare e migliorare le attività
di sorveglianza delle malattie infettive prioritarie, con particolare attenzione alle Infezioni Correlate
all’Assistenza (ICA), attraverso l’implementazione delle attività di diagnostica molecolare.
L’Atto di indirizzo per l’anno 2021 del Ministero della Salute, se da un lato sottolinea i progressi, in
buona parte ascrivibili all’emergenza COVID-19, nel campo della diagnostica in generale e di quella
molecolare in particolare, dall’altro, proprio per il fabbisogno crescente, acuito dalla pandemia, di
dispostivi medici e medico-diagnostici in vitro, mette in guardia sulla necessità di ammodernare il
patrimonio tecnologico «per ottenere prestazioni adeguate all’evolversi delle conoscenze» e dei
progressi tecnici e legislativi (nel maggio 2022 entrerà in vigore il nuovo Regolamento europeo sugli
IVD) e di favorire le produzioni nazionali ed europee di tali dispositivi «per i quali dipendiamo quasi
completamente dai Paesi terzi». Inoltre, nel Documento si richiama la Strategia Nazionale di
Specializzazione Intelligente che, tra le «traiettorie tecnologiche» per l’area tematica salute, inserisce
la diagnostica avanzata; specificamente, «si ritiene di fondamentale importanza l’attivazione di un
percorso di diffusione dell’utilizzo della tecnologia nell’ambito dei servizi sanitari basato […] sulla
diagnostica point-of-care».

Europei e internazionali
A conferma che, a livello globale ed europeo, sia consolidata la convinzione che la lotta
all’antimicrobico resistenza non può essere combattuta con sforzi isolati e settoriali, ma necessita di
un approccio unico e condiviso, si sottolinea come anche gli organismi internazionali (ONU) e
sovranazionali (Commissione Europea) ritengano che la disponibilità di apparecchi diagnostici
efficaci e innovativi sia indispensabile per ogni strategia di stewardship antimicrobica.
Il Piano di Azione Globale Unitario di OMS, OIE e FAO sulla resistenza antimicrobica fissa 5 obiettivi
strategici, tra cui l’incremento degli investimenti per lo sviluppo di nuovi medicinali, vaccini e,
appunto, dispositivi diagnostici; nel documento si specifica che gli strumenti diagnostici, che devono
essere economicamente accessibili, rapidi e Point-of-Care, devono supportare il personale sanitario
nel verificare l’eventuale suscettibilità antimicrobica dei patogeni agli antibiotici disponibili.

                                                            Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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Il secondo Piano d‘Azione Europeo «One Health» contro la resistenza antimicrobica, redatto sulla
base del già citato Piano di Azione Globale del 2015 e adottato nel 2017, nella sezione dedicata
all’incremento dell’attività di ricerca e innovazione, richiama l’importanza di sviluppare nuovi test
diagnostici rapidi, on-site e affidabili, «cruciali per distinguere tra le infezioni batteriche e virali e
identificare l’AMR», anche sfruttando le soluzioni IT, specificando che, se da un lato già all’epoca
questi nuovi dispositivi erano in procinto di entrare sul mercato, dall’altro «sono necessari più test
per promuovere un uso più efficiente degli antimicrobici esistenti».
Tra i molteplici progetti di ricerca in tema di AMR, per i quali l’UE dal 2004 a oggi ha investito 1,5
miliardi di euro circa (oltre il 99 % dei fondi destinati dal bilancio UE alla resistenza antimicrobica)
si ricorda il lancio, nel 2015, di un Premio Horizon da 1 milione di Euro per promuovere l’uso
appropriato degli antibiotici attraverso la messa a punto di test diagnostici rapidi che consentano ai
prescrittori di distinguere i pazienti con infezione delle alte vie respiratorie che necessitano di
antibiotici rispetto a quelli che non ne hanno bisogno. Sempre grazie ai finanziamenti di
Horizon2020 inoltre, nel 2016 era stato avviato il progetto ND4ID, conclusosi nel 2020, che ha
permesso di formare 15 giovani ricercatori nel campo della IVD al fine di colmare alcune delle lacune
esistenti nella diagnostica in vitro attraverso la ricerca innovativa; i progetti sviluppati hanno
riguardato le infezioni del tratto urinario e respiratorio e la resistenza antimicrobica (con riferimento
a quest’ultima, è stato sviluppato in particolare un test di sequenziamento di ultima generazione per
la suscettibilità antimicrobica).

BOX. L’antibiotico resistenza in Toscana ai tempi del COVID-19
L’Agenzia Regionale di Sanità Toscana ha confrontato i dati delle resistenze dei primi 8 mesi del
2020 con quelli relativi allo stesso periodo del 2019.
L’analisi, tra le prime in Italia a indagare la correlazione tra AMR e COVID-19 su scala regionale,
condotta isolando i batteri dal sangue mediante emocoltura, riporta un incremento dell’incidenza di
tutte le infezioni batteriche sotto sorveglianza, e soprattutto dei microrganismi «opportunisti».
L’Escherichia Coli, che pur restando ai livelli dell’anno precedente si conferma il patogeno isolato
con maggior frequenza, e gli pneumococchi, che dimezzano la propria presenza (da 16,2 a 8 per
100.000 giornate di degenza), rappresentano due eccezioni.
Per quanto riguarda le percentuali di resistenza delle principali combinazioni patogeno-antibiotico
monitorate dalla rete SMART, il sistema regionale di sorveglianza dell’AMR introdotto nel 2013, ad
agosto 2020 risultano generalmente in diminuzione rispetto al 2019, anche se solo in due casi
(Klebsiella pneumoniae, resistente a fluorochinoloni e carbapenemi) si tratta di riduzioni
statisticamente significative. Viceversa, si registra un aumento rilevante dell’Acinetobacter resistente
ai carbapenemi, il meccanismo di resistenza più forte in Toscana come in Italia, e dell’Escherichia
Coli resistente alle cefalosporine di III generazione.

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Figura 7. A sinistra: Infezioni batteriche isolate nei reparti medici e intensivi della Toscana
(numero per 100.000 giornate di degenza), Gennaio-Agosto 2019 e 2020. A destra: Percentuali di
resistenza delle principali combinazioni patogeno/antibiotico sotto sorveglianza nei reparti medici
   e intensivi della Toscana (percentuale), Gennaio-Agosto 2019 e 2020 – Fonte: The European
                          House – Ambrosetti su dati ARS Toscana, 2021

7. AMR, COVID-19 e diagnostica
L’emergenza sanitaria del COVID-19 ha reso ancor più esplicite alcune criticità esistenti nell’ambito
del sistema di sorveglianza, diagnosi tempestiva e gestione efficace delle infezioni sul territorio, ma
soprattutto all’interno delle strutture ospedaliere e di lungodegenza.
Alcune evidenze preliminari, a livello nazionale e regionale (BOX L’antibiotico resistenza in Toscana
ai tempi del COVID-19), suggeriscono un aumento dell’incidenza di infezioni multi-resistenti
durante la pandemia, soprattutto nei pazienti ricoverati nelle terapie intensive, ma i primi studi sulla
relazione tra COVID-19 e AMR non sono sempre concordi. Infatti, secondo una revisione pubblicata
sugli Annali dell’ISS12, le sovra-infezioni da batteri resistenti agli antibiotici hanno riguardato solo
l’1,3% dei 522 pazienti con COVID-19 ricoverati in terapia intensiva, e apparentemente nessun
paziente COVID-19 degente in altri reparti; coerentemente, un’altra meta-analisi internazionale13
riporta che il 70% dei pazienti positivi al SARS-CoV-2 veniva trattato con antibiotici, ma solo il 7%
di essi presentava una infezione batterica.
In ogni caso, il maggior carico di lavoro all’interno delle strutture di assistenza dovuto al COVID-19
non ha permesso di mettere in atto tutte le procedure di controllo e gestione delle infezioni
antibiotico-resistenti; inoltre, altri fattori, tra cui il sovraffollamento dei reparti, possono aver
facilitato la circolazione dei batteri e la sospensione di determinati trattamenti, come quelli per l’HIV
e la tubercolosi, possono aver provocato la comparsa di batteri resistenti agli antibiotici. In alcuni
casi i programmi di stewardship sono stati interrotti e si non si può escludere che parte dei relativi
finanziamenti siano stati destinati all’emergenza pandemica; non da ultimo, i laboratori di
microbiologia, che hanno dovuto dare priorità all’analisi dei tamponi COVID-19, talvolta non sono
stati in grado di processare alcune tipologie di test, richiamando l’attenzione sull’annosa questione
della accessibilità ai laboratori.
A livello italiano, la terapia antibiotica è stata preferita a quella antivirale, ed è stata utilizzata
nell’86% dei casi. L’utilizzo diffuso di antibiotici nei pazienti COVID-19 potrebbe spiegarsi con la

12Fattorini et al., «Bacterial coinfections in COVID-19: an underestimated adversary», Ann Ist Super Sanità,
2020.
13Langford et al., «Bacterial co-infection and secondary infection in patients with COVID-19: a living rapid
review and meta-analysis», Clin Microbiol Infect, 2020.

                                                              Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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somministrazione di terapie empiriche a pazienti con polmonite ai quali non era ancora stato
diagnosticato il COVID-19, oppure con la paura di comparsa di sovra-infezioni batteriche: in questo
senso si evidenzia il contributo della diagnostica, che non si è limitato alla ricerca di SARS-COV-2,
nella de-escalation degli antibiotici empirici in favore di un trattamento mirato al patogeno e
nell’interruzione del trattamento antibiotico empirico laddove l’eziologia batterica potesse essere
esclusa sulla base delle informazioni disponibili. D’altra parte, si ritiene che l’impossibilità di
effettuare gli esami radiologici sui pazienti COVID-19 in isolamento possa aver reso più complesso
garantire un approccio diagnostico-terapeutico ottimale ai pazienti con sovra-infezioni batteriche.
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità sui pazienti deceduti mostrano che le sovra-infezioni erano
presenti nel 19,4% dei casi (su un campione di 7.199 cartelle cliniche analizzate), valore che supera il
43% nel periodo giugno-settembre 2020, quando i ricoverati erano di meno, ma erano caratterizzati
da una età media più avanzata, un maggior numero di comorbidità e, probabilmente, una degenza
più lunga.
Dall’analisi ISS, inoltre, emerge che dalla prima (marzo-maggio 2020) alla seconda ondata (ottobre
2020-marzo 2021) si è ridotto il tempo che intercorre tra l’insorgenza dei sintomi e l’esecuzione del
tampone, così come il numero di giorni dal ricovero in ospedale al decesso: questi elementi
testimoniano l’accresciuta reattività del Sistema Sanitario, favorita dalla maggior affidabilità,
disponibilità e rapidità di risposta degli esami diagnostici.
Confrontando i dati dei primi sei mesi del 2020 con quelli relativi allo stesso periodo del 2019,
emerge una riduzione nel consumo di antibiotici (acquisti diretti e convenzionata) a livello nazionale,
anche se vi è una forte differenziazione in base alla categoria e alla regione/area geografica
considerate. Mentre nell’assistenza farmaceutica convenzionata, la contrazione è stata importante (-
26,3%) e piuttosto uniforme tra le Regioni, per gli acquisti di antibiotici da parte delle strutture
sanitarie pubbliche, invece, la riduzione è molto contenuta (-1,3%) e caratterizzata da marcate
differenze regionali.

 Figura 8. Consumo di antibiotici – convenzionata e strutture sanitarie pubbliche nelle Regioni
 italiane (variazione percentuale DDD/1000 abitanti die), Gennaio-Giugno 2019 e 2020 - Fonte:
                       The European House – Ambrosetti su dati ISS, 2021

                                                          Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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Tali differenze riflettono l’andamento della pandemia durante i primi mesi del 2020: i valori più alti
si registrano in Emilia Romagna (+22,2%) e Lombardia (+13,8%), due delle regioni epicentro del
contagio durante la prima ondata, mentre quelli più bassi nelle Regioni del Centro-Sud (con
l’eccezione del Friuli Venezia Giulia).
Con riferimento al consumo delle singole classi di antibiotici in ambito ospedaliero, rispetto al
periodo pre-COVID-19, le variazioni più significative in termini assoluti hanno riguardato
l’azitromicina, appartenente alla classe dei macrolidi. In particolare, a Marzo 2020, gli acquisti di
azitromicina, una delle terapie sperimentali adottate a inizio pandemia in virtù della sua azione nel
modulare la risposta infiammatoria nei pazienti con malattie polmonari infiammatorie, sono stati di
ben 9 nove volte superiori rispetto a Marzo 2019 (0,89 vs. 0,10 DDD/1000 abitanti die), salvo
scendere sotto il livello del 2019 già a maggio, dato che tale terapia non aveva apportato chiari
benefici ai malati di Covid.
In questo contesto, si ribadisce che durante la prima fase emergenziale c’è stato un sovrautilizzo delle
terapie antibiotiche empiriche, spesso con molecole di vecchia generazione, mentre raramente si è
fatto ricorso ai nuovi antibiotici, e ciò può aver influito negativamente sugli outcome clinici dei
pazienti.

Figura 9. Andamento del consumo di azitromicina nelle strutture sanitarie pubbliche (DDD/1000
 abitanti die), Gennaio-Giugno 2019 e 2020 – Fonte: The European House – Ambrosetti su dati
                                         AIFA, 2021

I test diagnostici per la conferma dell’infezione COVID-19
Come accennato in precedenza, il progresso tecnologico nei dispositivi medico-diagnostici in vitro
(IVD) è stato un argine importante alla diffusione del COVID-19, in particolare grazie allo sviluppo
dei test diagnostici (cosiddetti tamponi).
La strategia delle 3 T (Testare, Tracciare e Trattare), sostenuta dall’OMS, vede la diagnostica come
pilastro della lotta al virus. Inizialmente era disponibile solo il tampone molecolare, l’unico
strumento per rilevare la presenza del virus. Questo, per quanto affidabile, richiede però la presenza
di un operatore sanitario, e ha tempi di risposta che variano dalle 24 alle 48 ore.
Oltre ai test molecolari, sono stati introdotti anche i test sierologici, i test salivari e i test antigenici.
I test sierologici permettono di rilevare la presenza di anticorpi in risposta all’infezione naturale o
alla vaccinazione. I test salivari, invece, permettono di rilevare, come i test molecolari, la presenza
del virus al momento del tampone. Rispetto ai test molecolari tradizionali, danno esiti più veloci,
anche a distanza di pochi minuti, e possono non essere effettuati da personale sanitario. Questo

                                                              Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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permette una grande diffusione di questi test, che, però, sono meno affidabili rispetto ai tamponi
molecolari.
I test antigenici, infine, ricercano la presenza di proteine virali in grado di legarsi agli anticorpi. Come
i test salivari, anche questi hanno costi contenuti e danno responso rapido, ma sono meno affidabili
rispetto ai test molecolari, per quanto i test di ultima generazione presentino una sensibilità e una
specificità significativamente migliori rispetto a quelli di prima e seconda generazione. A tal
proposito si ricorda che, con una circolare di gennaio 2021, il Ministero della Salute ha riconosciuto
la validità dei test antigenici rapidi più nuovi, che «sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai
saggi» dei molecolari classici, e che da allora incidono ai fini del calcolo del tasso di positività.
La ricerca e lo sviluppo dei kit diagnostici, grazie soprattutto al contributo significativo delle
industrie delle tecnologie diagnostiche in vitro presenti sul territorio italiano, ha permesso non solo
di aumentare esponenzialmente il numero di tamponi e test sierologici, ma anche di rispondere in
modo tempestivo alla necessità di diagnosi sempre più veloci e accurate. Si tratta solo di alcuni dei
successi ottenuti dal settore, che ha supportato il Servizio Sanitario Nazionale, investendo risorse in
ricerca e sviluppo, produzione, distribuzione e supporto specialistico per fare fronte alla sfida della
crescita dei del numero di contagi. Il risultato si evince dal seguente grafico, in cui emerge che il
numero di tamponi effettuati in Italia è passato da una media mobile di 7 giorni pari a circa 4.000
tamponi nel mese di febbraio 2020 a oltre 300.000 nel mese di marzo 2021 (circa 75 volte tanto),
per poi cominciare una riduzione costante, che si spiega con la diminuzione del tasso di positività, e
quindi della diffusione del virus.

Figura 10. Numero tamponi giornalieri (media mobile 7 giorni) e tasso positivi COVID-19 (%), 24/2/2020 -
          8/6/2021 - Fonte: The European House – Ambrosetti su dati Protezione Civile, 2021

Infine, a riprova dell’importanza dei test diagnostici per il COVID-19, si sottolinea che l’OMS ha
aggiunto i test antigenici e molecolari nell’ultima edizione della Model List of Essential In Vitro
Diagnostics (EDL), un elenco di 175 test necessari per diagnosticare le malattie trasmissibili e non
trasmissibili a maggiore prevalenza e rilevanza per la salute pubblica.

                                                             Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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BOX. La diagnostica in vitro in Italia
A livello nazionale, il numero di codici di Banca Dati/Repertorio registrati dei dispositivi medici
direttamente acquistati dalle strutture pubbliche del SSN è aumentato negli anni, arrivando nel 2019
a 151.130 unità (+34,3% rispetto al 2015). Dal momento che i fabbricanti che non hanno la propria
sede nel Paese in cui il dispositivo medico a marchio CE viene commercializzato non sono soggetti
all’obbligo di registrazione di determinate classi di prodotti, probabilmente si tratta di una
sottostima. Il consumo di dispositivi medico-diagnostici in vitro, che nel 2019 rappresentavano la
seconda categoria CND per numero di codici (8,60% del totale), è cresciuto costantemente negli
anni: nel 2015 erano la 14° categoria, al 2%.

Figura 11. A sinistra: Codici di Banca Dati/Repertorio per i dispositivi medico-diagnostici in vitro (%), 2015
 - 2019. A destra: Distribuzione dei codici di Banca Dati/Repertorio per categoria CND (%), 2019 – Fonte:
                  The European House – Ambrosetti su dati Ministero della Salute, 2021

Parallelamente all’aumento dei codici, la spesa per dispositivi medico-diagnostici in vitro delle
strutture sanitarie pubbliche, che nel 2019 era pari a oltre 388,4 milioni di euro (su una spesa totale
per dispositivi medici superiore ai 5 miliardi di euro) è cresciuta di quasi 7 volte rispetto al 2015,
quando ammontava a 50,2 milioni di euro. Oggi rappresenta la quinta categoria per entità della
spesa. Dal confronto dei dati relativi alla spesa ospedaliera per dispositivi medici nei primi 9 mesi
del 2020 con quelli dello stesso periodo del 2019, emerge una contrazione della spesa da 4,1 a 3,7
miliardi di euro (-10% circa).
La flessione è stata particolarmente marcata per i dispositivi collegati agli interventi chirurgici
programmati (protesi oculistiche -35%; protesi ortopediche impiantabili -23%), che sono stati
sospesi nella prima ondata della pandemia COVID-19; viceversa, è aumentato il consumo (e la spesa)
di strumenti per la diagnosi del virus: il consumo relativo alla categoria dispositivi medico-
diagnostici in vitro è cresciuto del 65%, col picco dei reagenti usati nei test immunologici per malattie
infettive (+264%).

 Figura 12. A sinistra: Spesa per l'acquisto di dispositivi medico-diagnostici in vitro rilevata dalle strutture
 sanitarie pubbliche (%), 2015-2019. A destra: Distribuzione della spesa per l'acquisto di dispositivi medici
  rilevata dalle strutture sanitarie pubbliche (%), 2019 – Fonte: The European House – Ambrosetti su dati
                                          Ministero della Salute, 2021

                                                                Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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                                                         Con il contributo incondizionato di bioMérieux

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