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INDAGINE CONOSCITIVA DIRETTA A VERIFICARE L’ESISTENZA DI FENOMENI DISCRIMINATORI VERSO GLI IMMIGRATI ALL’INTERNO DEL CONTESTO LAVORATIVO (LAVORATORI IN AGRICOLTURA) DELLA REGIONE CAMPANIA RAPPORTO CONCLUSIVO – EDIZIONE BREVE A CURA DELL’ISTITUTO DI RICERCA SU INNOVAZIONE E SERVIZI PER LO SVILUPPO DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE (CNR-IRISS) MARZO 2018 1
Introduzione 1. La presenza e le condizioni di vita dei lavoratori stranieri in Italia e in Campania 2. Il quadro normativo per i lavoratori agricoli stranieri 2.1.Le norme anti-discriminazione 2.2. La tutela dei lavoratori stranieri nel settore agricolo contro lo sfruttamento ed il caporalato 2.3. Regolarizzazione e tutela dei lavoratori agricoli stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano 2.4.Il riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di immigrazione: le norme adottate dalla regione Campania 3. Il Progetto Net.Work – Rete antidiscriminazione: l’indagine conoscitiva sui lavoratori migranti che operano in agricoltura nella regione Campania 3.1.L’ipotesi di ricerca 3.2.Il campionamento e la somministrazione 4. Le evidenze statistiche che emergono dall’indagine conoscitiva 4.1.Le caratteristiche socio-demografiche 4.2.L’esperienza migratoria 4.3.La condizione lavorativa 4.4.La percezione della discriminazione 5. La discriminazione nei confronti dei lavoratori agricoli immigrati in Campania: un primo tentativo di lettura 2
Introduzione In Campania, i residenti stranieri costituiscono il 4,8% degli immigrati regolarmente soggiornati sul territorio nazionale. Il lavoro agricolo rappresenta il terzo settore di maggior concentrazione di lavoratori stranieri nella Regione, dopo il settore terziario e l’industria. Le numerose indagini che riguardano la presenza di lavoratori stranieri nel settore agricolo non offrono dati specifici sul problema delle discriminazioni, soprattutto a livello regionale (par. 1 del rapporto). La ricerca realizzata nel contesto del Progetto Net.Work-Rete antidiscriminazione ha anche lo scopo di ovviare a questa lacuna, e tenta di offrire uno spaccato delle esperienze di discriminazione vissute dai lavoratori agricoli immigrati in Campania. Le modalità di realizzazione dell’indagine e i suoi risultati sono preceduti da una presentazione generale del quadro normativo applicabile ai lavoratori stranieri (par. 2). Più di mille questionari sono stati somministrati a lavoratrici/lavoratori (ed ex-lavoratrici/lavoratori) in agricoltura, senza differenza riguardo allo status giuridico e alla condizione lavorativa, cittadine/cittadini di 32 Paesi dell’Africa del Nord, dell’Africa subsahariana, dell’Asia e dell’Europa dell’Est. L’alto numero di questionari somministrati costituisce un importante risultato raggiunto dall’indagine. Le interviste, effettuate al di fuori dei luoghi di lavoro, sono state realizzate nelle province di Napoli, Salerno e Caserta nella seconda parte del 2017, da un gruppo di somministratrici e somministratori, con esperienze specifiche di mediazione culturale. Essi hanno avuto il compito, nell’avvicinare le persone, di permettere la realizzazione di interviste – rapide ma puntuali – su un tema molto sensibile, come la discriminazione sul luogo di lavoro. Il par. 3 del rapporto illustra l’ipotesi di ricerca e la ideazione del piano di campionamento dell’indagine. Le evidenze statistiche emerse dall’indagine conoscitiva sono riportate al par. 4. Tra gli oltre mille lavoratori immigrati intervistati, circa due su tre hanno dichiarato di essersi sentiti in qualche modo discriminati. Il dato non cambia se lo differenzia per genere, mentre i valori sono molto diversi se si 4
guarda alla nazionalità degli intervistati, alla loro condizione giuridica e, infine, all’esistenza o meno di un contratto di lavoro, oltre che al tipo di contratto. Un’analisi approfondita dei risultati dell’indagine sarà resa pubblica nei prossimi mesi. Le considerazioni che sono riportate nel par. 5 del rapporto vogliono aprire un dibattito che continuerà, sperabilmente, non solo con chi ha partecipato al Progetto Net.Work-Rete antidiscriminazione, ma anche con quanti, a vario titolo, contribuiscono a tenere viva l’attenzione sui problemi legati alla discriminazione dei lavoratori e degli immigrati lavoratori. Il progetto Net.Work – Rete antidiscriminazione, con CIDIS Onlus (capofila) ed i Partner, ha permesso di affiancare, alle azioni di sensibilizzazione e di disseminazione per combattere i fenomeni di discriminazione, un’azione di ricerca ‘sul campo’. La realizzazione dell’indagine conoscitiva ha offerto all’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRISS) la possibilità di restituire al territorio della Regione Campania la propria expertise nel campo delle ricerche che vengono condotte su ‘Migrazioni e sviluppo’. Il gruppo di ricerca, composto da Giovanni Carlo Bruno, Cristina Davino, Marco Gherghi e Fulvia Staiano, intende rivolgere uno speciale ringraziamento a quanti hanno collaborato alla realizzazione di questa indagine conoscitiva: le Colleghe ed i Colleghi delle Università campane, degli Enti pubblici, privati e del Terzo settore che si occupano di lavoro e di immigrazione, le Somministratrici ed i Somministratori, il Personale tecnico-amministrativo del CNR-IRISS. 5
1 LA PRESENZA E LE CONDIZIONI DI VITA DEI LAVORATORI STRANIERI IN ITALIA E IN CAMPANIA In Campania, i residenti stranieri rappresentano il 4,8% degli immigrati regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.1 Tra questi, circa la metà sono donne. Poco più della metà degli stranieri residenti in Campania vive in provincia di Napoli. A seguire, le province con la più alta presenza di stranieri sono quella di Salerno e quella di Caserta, con percentuali nettamente più basse per quelle di Avellino e Benevento. La popolazione immigrata residente in Campania presenta un’età media piuttosto bassa, poiché la grande maggioranza (82%) ha un’età compresa tra i 18 ed i 64 anni (37,6% tra i 30 ed i 44 anni). Per quanto riguarda le aree di provenienza geografica, gli stranieri in Campania sono principalmente cittadini di Stati appartenenti al continente europeo; su un totale di 122.037 stranieri provenienti dall’Europa, circa 64.000 sono cittadini comunitari. Sono in ogni caso fortemente rappresentate anche le comunità di stranieri non provenienti da Stati Membri dell’Unione Europea. In particolare, solo tre dei dieci gruppi nazionali maggiormente rappresentati in Campania provengono da Stati Membri, mentre al primo posto si attestano gli ucraini con quasi 43.000 residenti. Gli altri Stati di provenienza più diffusi in Campania sono (nell’ordine) Romania, Marocco, Sri Lanka, Cina, Polonia, Bangladesh, India, Bulgaria e Albania. Con l’eccezione della provincia di Napoli (dove è più alta la concentrazione di stranieri provenienti da Paesi dell’Asia), nel resto della Campania la presenza più significativa è rappresentata da stranieri europei ed africani. I dati a disposizione dell’Inail relativi alle assunzioni di lavoratori nati all’estero (non necessariamente dunque cittadini stranieri) hanno riguardato innanzitutto persone nate in Romania, e a seguire Marocco, Ucraina, Bangladesh e India. Come è evidente, il dato relativo alle assunzioni appare coerente con le statistiche relative alle nazionalità più diffuse in Campania. Il lavoro agricolo rappresenta il terzo settore di maggior concentrazione di lavoratori stranieri in Campania (11,5% degli occupati immigrati), dopo il settore terziario e l’industria. La percentuale di occupati in agricoltura, tuttavia, è sensibilmente più alta in zone agricole della regione come le 1 Salvo diversa indicazione, i dati relativi illustrati in questo paragrafo sono tratti dal Dossier Statistico Immigrazione 2017 (Centro Studi e Ricerche Idos, 2017). 6
province di Salerno e di Caserta (21%). Tale dato è coerente con quanto rilevato per tutte le regioni meridionali, caratterizzate dalla prevalenza tra gli stranieri di impieghi a bassa specializzazione e da una forte presenza nel settore agricolo (15,9% nel Mezzogiorno contro 3,5% al Nord). Per i lavoratori cittadini di Stati terzi, la presenza in agricoltura nel Mezzogiorno è ancora più significativa. Nel 2016, il Sud Italia raccoglieva il 23,5% dei lavoratori agricoli non comunitari, ammontando al 40% del totale degli operai agricoli dipendenti (l’incidenza più alta tra le diverse zone d’Italia).2 A livello nazionale, nel 2016 l’incidenza di lavoratori stranieri (cittadini UE o di Stati terzi) sul totale per il settore agricolo ammontava al 16,6%. Il settore dell’agricoltura raccoglie l’8% dei lavoratori stranieri in Italia e domina tra quelli di impiego per l’anno 2016 per assunti e nuovi assunti nati all’estero (rispettivamente 16,1 e 16,8%). In Campania, queste ultime percentuali sono ancora più elevate, attestandosi entrambe intorno al 20%. Per quanto riguarda i lavoratori stagionali, a livello nazionale è stato rilevato un calo dei nuovi rapporti di lavoro instaurati da cittadini di Stati terzi, imputabile sia a una diminuzione delle quote di ingresso sia a conversioni del permesso per lavoro stagionale in altro tipo di permesso di soggiorno. Nessuno degli Stati di nascita più diffusi tra i lavoratori stagionali stranieri nel settore agricolo (Albania, India, Marocco e Serbia) è membro dell’Unione Europea. Nel 2016, il settore agricolo è stato interessato dal minor numero di verifiche condotte da ispettori del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell’Inps e dell’Inail (circa 8000 contro 41.654 nel settore dell’edilizia e 14.625 in quello dell’industria). Di conseguenza, nonostante l’alta incidenza delle irregolarità riscontrate (illeciti in materia di lavoro, di legislazione sociale, salute o sicurezza sul lavoro), il numero totale di situazioni irregolari risulta più basso rispetto ad altri settori. Il settore dell’agricoltura è stato tuttavia identificato come quello maggiormente a rischio di sfruttamento a danno di lavoratori immigrati.3 Allo stesso tempo, è rilevabile una scarsa fiducia degli immigrati 2 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, Settimo Rapporto Annuale: gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, luglio 2017, pp. 83 - 84, consultabile all’indirizzo http://www.lavoro.gov.it/notizie/Pagine/Presentato-il-settimo-rapporto-annuale-Stranieri-in-mercato-lavoro-Italia.aspx [ultimo accesso: 14 gennaio 2014]. 3 European Union Agency for Fundamental Rights, Severe labour exploitation: workers moving within or into the European Union States’ obligations and victims’ rights, giugno 2015, p. 48, consultabile all’indirizzo http://fra.europa.eu/en/publication/2015/severe-labour-exploitation-workers-moving-within-or-european-union [ultimo accesso: 14 gennaio 2017]. 7
stessi nei confronti delle istituzioni nazionali e degli organi di polizia.4 In Italia, il livello medio di fiducia dichiarato da gruppi di intervistati provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana e del Nord Africa corrisponde (in una scala da 1 a 10) ad un valore tra 5.4 e 5.6 per gli organi di polizia ed a 4.9 per il sistema giuridico nel suo complesso. Questi valori sono solo leggermente superiori per gli immigrati provenienti dal continente asiatico (rispettivamente 6 e 5.2). Ciò si traduce, con tutta probabilità, in una scarsa propensione a denunciare comportamenti illeciti dei datori di lavoro. Per quanto riguarda le diverse forme di discriminazione sperimentate dagli immigrati in Italia, il colore della pelle è il motivo di discriminazione maggiormente riportato (37%), seguito dall’origine etnica (34%), la religione (10%) e l’età (5%).5 Questi dati riguardano aree della vita quotidiana come la ricerca di lavoro, il rapporto di lavoro, l’istruzione e l’alloggio. Tuttavia, per gli immigrati provenienti dall’Africa subsahariana e dall’Asia, l’origine etnica è il principale motivo di discriminazione sperimentato (rispettivamente 40% e 32%, seguito per i primi dalla religione e solo in terza battuta dal colore della pelle, e per i secondi dal colore della pelle ed in terzo luogo dalla religione). A livello nazionale, nel 2016 il 23% degli immigrati intervistati dall’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali provenienti dall’Africa subsahariana, il 34% di quelli provenienti dal Nord Africa ed il 21% di quelli provenienti dall’Asia dichiaravano di aver subito discriminazioni in ragione del loro status di immigrato.6 In tutta Europa, l’area del lavoro (inclusiva sia della ricerca di occupazione che dell’occupazione stessa) risulta particolarmente coinvolta da fenomeni di discriminazione su tale base. Nell’arco dei cinque anni precedenti alla ricerca in esame, il 29% degli intervistati dichiarava di aver subito discriminazioni in ragione dello status di immigrato nella ricerca di un lavoro, ed il 22% sul posto di lavoro (contro il 22% nel settore dei servizi pubblici e privati, il 23% in relazione all’alloggio ed il 12% all’istruzione). 4 European Union Agency for Fundamental Rights, Second European Union Minorities and Discrimination Survey: Main results, dicembre 2017, pp. 99 – 103, consultabile all’indirizzo http://fra.europa.eu/en/publication/2017/eumidis-ii-main- results [ultimo accesso: 14 gennaio 2017]. I dati riportati riguardano immigrati di prima e seconda generazione. 5 Ibid., p. 21 ss. 6 Ibid., p. 31. Tale status (“ethnic or immigrant background”) è definito dal rapporto citato come inclusivo sia dell’origine etnica e del background di migrante, della religione e del colore della pelle. 8
Come appare evidente già da questa trattazione, i dati disponibili a livello regionale riguardano esclusivamente la presenza di lavoratori stranieri nel settore agricolo ma non offrono alcun quadro relativo alla percezione delle discriminazioni da parte di tali soggetti, né delle specifiche forme di sfruttamento da essi sperimentate. Evidenze statistiche su questi punti, ove disponibili, non si spingono oltre il livello nazionale. Il quadro risultante in relazione al contesto regionale italiano, pertanto, restituisce dati relativi alla presenza di stranieri in agricoltura (come il loro numero o la loro incidenza sul totale dei lavoratori agricoli, l’età, il sesso, ecc.) ma nulla comunica in relazione al diversificato e ricco ventaglio di esperienze e difficoltà da questi vissute. 2. IL QUADRO NORMATIVO PER I LAVORATORI AGRICOLI STRANIERI La normativa italiana relativa all’ingresso ed al soggiorno di lavoratori stranieri varia sensibilmente a seconda che si tratti di cittadini dell’Unione Europea o di cittadini di Stati terzi. Alla prima categoria si applica infatti il d.lgs. n. 30 del 6 febbraio 2007 (attuazione della Direttiva 2004/38/CE sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare liberamente sul territorio degli Stati membri). Per i lavoratori cittadini di Stati terzi, invece, la principale fonte normativa è costituita dal cosiddetto Testo Unico Immigrazione (d.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, da ora Testo Unico). I lavoratori cittadini UE in Italia godono di parità di trattamento rispetto ai lavoratori italiani in relazione a diversi settori di sicurezza sociale (incluse ad esempio le prestazioni familiari, di malattia, maternità e paternità, invalidità, infortunio sul lavoro e malattie professionali, vecchiaia e disoccupazione).7 Per i cittadini di Stati terzi titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno o di carta di soggiorno, il Testo Unico prevede un’equiparazione con i cittadini italiani “ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale” . Questa previsione non si applica dunque ai lavoratori stagionali, per cui l’Art. 25 del Testo Unico prevede l’applicazione solo di alcune forme di previdenza e assistenza obbligatoria, compresa 7 Si veda in proposito il Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. 9
l’assicurazione per invalidità e vecchiaia nonché l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, le malattie (comprese quelle professionali) e l’assicurazione di maternità. 2.1 Le norme anti-discriminazione L’Art. 43 del Testo Unico sancisce un principio di uguaglianza e non discriminazione, vietando: “ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”. Questa norma identifica inoltre una serie di ipotesi che costituiscono in ogni caso discriminazione. Tre queste, è incluso anche il comportamento di chiunque imponga illegittimamente condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire (tra l’altro) l’accesso all’occupazione e all’alloggio a stranieri regolarmente soggiornanti solo in ragione della loro condizione di stranieri o per motivi di appartenenza etnica, religione o nazionalità. Un altro comportamento - proibito dall’Art. 43(2)(e) in quanto discriminatorio - riguarda il datore di lavoro o i suoi preposti qualora questi compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando i lavoratori in ragione della loro appartenenza etnica, lingua, religione o cittadinanza. È opportuno sottolineare che questa norma vieta anche le cosiddette discriminazioni indirette, definite come: “ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa”. Qualora sia vittima di discriminazione, il lavoratore straniero può rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria al fine di ottenere la cessazione della discriminazione stessa e la rimozione dei suoi effetti. 10
In questa ipotesi, l’Art. 28(4) del D.lgs. 150 del 1 settembre 2011 prevede un’inversione dell’onere della prova. Pertanto, quando il lavoratore (o qualsiasi soggetto vittima di discriminazione) abbia fornito elementi di fatto dai quali si può presumere l’esistenza di una discriminazione, sarà il datore di lavoro (o qualsiasi altro soggetto privato o della pubblica amministrazione) a dover provare la sua insussistenza. Tali elementi di fatto possono consistere anche in dati statistici relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione di carriera ed ai licenziamenti all’interno di un’azienda. Se riconosce l’esistenza di una discriminazione, il giudice ordinario potrà ordinare non solo la cessazione del comportamento discriminatorio ma anche il risarcimento del danno (anche non patrimoniale) da esso causato. Oltre alla specifica disciplina dettata dal Testo Unico, un più ampio principio di non discriminazione è sancito dai d.lgs. n. 215 e 216 del 9 luglio 2003, rispettivamente emanati in attuazione della Direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Queste fonti hanno recepito nel diritto interno la fondamentale distinzione tra discriminazioni dirette e indirette, entrambe vietate dal diritto dell’Unione Europea. Da un lato, la discriminazione diretta si verifica “quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga”. Dall’altro, la discriminazione indiretta si realizza “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.8 Entrambi i decreti legislativi considerano inoltre discriminazioni “le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati (…) aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”, quando siano posti in essere per uno dei motivi da essi vietati.9 8 Si vedano in proposito gli Artt. 2 dei d.lgs. 215/2003 e 216/2003. 9 Id. 11
I due decreti legislativi in esame sono applicabili a diversi motivi ed ambiti di discriminazione. Il d.lgs. 215/2003 vieta infatti forme di discriminazione diretta e indiretta sulla base dell’origine etnica con specifico riferimento ad una serie di aree, che ricomprendono (tra le altre) l’accesso al lavoro, l’occupazione e le condizioni di lavoro, l’affiliazione e le attività nel contesto di organizzazioni di lavoratori, la protezione e la sicurezza sociale, l’assistenza sanitaria e le prestazioni sociali nonché l’accesso all’alloggio. Il d.lgs. 216/2003, invece, prevede un ventaglio più ampio di motivi di discriminazione ma ha un ambito di applicazione più ristretto rispetto alle aree di discriminazione. Se infatti questa fonte si rivolge alle discriminazioni per ragioni di religione, convinzioni personali, handicap, età ed orientamento sessuale, la sua area di riferimento è limitata a quella dell’occupazione e del lavoro – riguardando esclusivamente l’accesso al lavoro, le condizioni di lavoro, l’accesso all’orientamento ed alla formazione professionale nonché l’affiliazione e le attività nell’ambito di organizzazioni professionali. Ai titolari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria si applica infine la disciplina di cui all’Art. 25(1) del d.lgs. del 19 novembre 2007, n. 251,10 affermante un principio di parità di trattamento con i cittadini italiani in materia di lavoro autonomo e subordinato, iscrizione agli albi professionali, formazione professionale, tirocini sul luogo di lavoro e servizi resi dai centri per l’impiego. Per quanto riguarda i rapporti tra la normativa generale in tema di discriminazione e quella specificamente dettata dal Testo Unico, è utile sottolineare che l’Art. 2(2) del d.lgs. 215/2003 in tema di discriminazioni razziali fa espressamente salvo quanto disposto dall’Art. 43(1) e (2) del Testo Unico. Il d.lgs. 215/2003, inoltre, esclude esplicitamente dal proprio ambito di applicazione le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e “le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato”, nonché “qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti”.11 10 Il d.lgs. è stato adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché' norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. 11 Art. 3(2) del d.lgs. 21572003. 12
A completamento del quadro normativo italiano sulle discriminazioni, il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna12 sancisce un generale principio di non discriminazione sulla base del sesso e di pari trattamento e opportunità tra uomini e donne in tutti i campi, incluso quello del lavoro. In tale contesto, la discriminazione diretta è definita come: “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché' l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga” La discriminazione indiretta si verifica invece quando: “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”. Ai fini delle disposizioni dettate dal Codice, costituiscono discriminazione anche ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o paternità (anche adottive), nonché le molestie o i comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni legate al sesso e le molestie sessuali (in forma fisica o verbale) realizzati allo scopo o producenti l’effetto “di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.13 12 Adottato con d.lgs. dell’11 aprile 2006, n. 198, in parte riformato dal d.lgs. del 25 gennaio 2010, n. 5 (a sua volta adottato in attuazione della Direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego). 13 Art. 26(1) e (2) del d.lgs. 198/2006 13
2.2 La tutela dei lavoratori stranieri nel settore agricolo contro lo sfruttamento ed il caporalato La necessità di conservare il posto di lavoro per non pregiudicare il proprio diritto di soggiorno sul territorio nazionale può costituire una specifica fonte di vulnerabilità per il lavoratore straniero (specialmente se cittadino di Stato terzo), generando significativi squilibri nel rapporto con il proprio datore di lavoro. In caso di perdita del posto di lavoro, le condizioni poste dalla legge italiana per preservare il proprio diritto di soggiorno variano in modo significativo a seconda che si tratti di cittadini UE o di cittadini di Stati terzi. Il cittadino UE, infatti, conserva il diritto di soggiorno in caso di disoccupazione involontaria a condizione che sia iscritto presso il Centro per l’Impiego o che dichiari di essere immediatamente disponibile a svolgere attività lavorativa. In caso di contratto di lavoro di durata inferiore ad un anno, il cittadino UE conserva comunque la qualità di lavoratore subordinato per un anno. Il diritto di soggiorno è parimenti preservato quando il lavoratore è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di malattia o infortunio o se è iscritto ad un corso di formazione professionale inerente al lavoro precedentemente svolto. Anche per il lavoratore cittadino di uno Stato terzo l’interruzione del rapporto di lavoro non causa automaticamente la revoca del permesso di soggiorno, anche in caso di dimissioni. Tuttavia, il Testo Unico (art. 22, comma 11) prevede minori possibilità rispetto alla normativa applicabile ai cittadini UE (v. ad esempio, le condizioni di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione). Per quanto riguarda specificamente il settore agricolo, alla generale situazione di precarietà legata allo status di migrante del lavoratore si uniscono situazioni più estreme di sfruttamento legate al fenomeno del caporalato. Il contrasto al lavoro nero ed allo sfruttamento del lavoro in agricoltura sono stati recentemente oggetto di attenzione da parte del legislatore italiano con riferimento a tutti i lavoratori in questo settore, a prescindere dalla loro cittadinanza. La legge n. 199 del 29 ottobre 2016, in particolare, ha riformato il codice penale intervenendo sul reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” ex Art. 603-bis del codice penale. Nella sua attuale formulazione, questa norma vieta il reclutamento di manodopera “allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in 14
condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori” nonché l’uso, l’assunzione o l’impiego di manodopera (anche mediante intermediazione) in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori. Ai fini dell’identificazione dello sfruttamento, l’Art. 603-bis prevede una serie di condizioni che (da sole o in cumulo) ne sono indice. Queste consistono nella reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali o comunque in modo sproporzionato rispetto alla qualità e quantità del lavoro svolto, la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo ed al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria e alle ferie, la violazione di norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, nonché la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni abitative degradanti. La pena stabilita dall’Art. 603-bis c.p. per queste condotte consiste nella reclusione da uno a sei anni o la multa da 500 a 1000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Tale pena è aumentata in presenza di circostanze aggravanti come il fatto di aver reclutato più di tre lavoratori, o minori in età non lavorativa, o l’aver esposto i lavoratori a situazioni di grave pericolo in considerazione delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro. La legge 199/2016 ha inoltre introdotto un’attenuante per chi “si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori” o chi aiuta le autorità a raccogliere prove per l’individuazione o la cattura dei concorrenti nel reato (Art. 603-bis, comma 1). Per il reato di caporalato, è previsto l’arresto in flagranza, ed in caso di condanna la confisca di tutti i beni serviti o destinati a commettere il reato nonché di quelli che ne costituiscono il prodotto o profitto. I proventi della confisca finanzieranno il Fondo per le misure anti-tratta, destinato a programmi di assistenza e integrazione in favore delle vittime di tale fenomeno. Una rilevante novità apportata dalla legge 199/2016 riguarda infatti l’estensione del Fondo per le misure anti-tratta anche alle vittime di caporalato. Qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa produrre effetti negativi sui livelli occupazionali, il giudice potrà disporre il controllo giudiziario dell’azienda invece che il sequestro. La legge 199/2016 include anche norme rivolte alla prevenzione dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Con specifico riferimento ai lavoratori stagionali, il suo Art. 9 prevede l’adozione da 15
parte di tre Ministeri (del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell’Interno e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) di un piano di interventi relativo all’adozione di misure “per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori”. Questa norma prevede un coinvolgimento eventuale e non obbligatorio delle regioni, delle province autonome e delle amministrazioni locali. È inoltre prevista l’esclusione dalla Rete del lavoro agricolo di qualità di tutte le imprese agricole che hanno riportato condanne penali o sanzioni amministrative per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ex Art. 603-bis c.p. o per altri reati connessi a situazioni di sfruttamento estremo come la riduzione in schiavitù e la tratta di esseri umani (Artt. 600 e 601 c.p.). La Rete del lavoro agricolo è stata istituita nel 2014 presso l’INPS14 con l’obiettivo di raccogliere le imprese che si distinguono per il rispetto delle norme relative alla tutela dei lavoratori e della legislazione sociale, ma anche a fini di monitoraggio di situazioni di violazione di tali norme. La legge istitutiva della Rete, infatti, prevede che (oltre agli ordinari controlli relativi alla sicurezza sul lavoro rivolti a tutte le aziende e fatte salve le richieste specifiche di intervento anche da parte dei lavoratori stessi) l’attività di vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nonché dell’INPS debba orientarsi nei confronti delle imprese non appartenenti alla Rete stessa. 2.3 Regolarizzazione e tutela dei lavoratori agricoli stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano In via preliminare, è utile chiarire che l’Art. 2(1) del Testo Unico riconosce a tutti i cittadini di Stati terzi presenti a qualsiasi titolo sul territorio nazionale (e dunque anche a quelli irregolarmente presenti) “i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. 14 D.l. del 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. dell’11 agosto 2014, n. 116 (G.U. n. 192 del 20 agosto 2014). 16
Attualmente la legge italiana non offre ai cittadini di Stati terzi alcuna possibilità stabile di emersione da una situazione di residenza e lavoro irregolare. Al contrario, sono state previste nel corso degli anni una serie di “sanatorie” generali o per specifiche categorie di lavoratori, attraverso le quali gli stranieri irregolarmente presenti in Italia potevano presentare per un periodo limitato di tempo domanda di regolarizzazione ai fini dell’ottenimento di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. L’ultima tra queste, nel 2012,15 era rivolta sia agli stranieri irregolarmente residenti sia a quelli titolari di un permesso di soggiorno che non consentiva lo svolgimento di attività lavorativa. La sanatoria prevedeva una procedura attivabile esclusivamente dal datore di lavoro e stabiliva come prerequisito essenziale che questi disponesse di un reddito minimo (almeno 30.000 Euro annui).16 Nel caso degli imprenditori agricoli, tale reddito poteva essere integrato da altri indici di ricchezza (come i dati risultanti dalla dichiarazione IVA).17 La procedura era inoltre riservata esclusivamente ai lavoratori in grado di provare una presenza ininterrotta sul territorio nazionale a partire dal 31 dicembre dell’anno precedente. Oltre alle limitate possibilità sporadicamente offerte dalle sanatorie, non esistono meccanismi alternativi di regolarizzazione nell’ordinamento italiano per i lavoratori stranieri irregolarmente presenti in Italia (a meno che non sussistano condizioni particolari come quelle previste dalla legge 199/2016 sul caporalato). Alla luce di questo dato, è opportuno ricordare che la presenza irregolare sul territorio nazionale costituisce un reato. Il cittadino di Stato terzo che entri o si trattenga in Italia in violazione delle norme in materia di immigrazione è punito con ammenda da 5000 a 10000 Euro, e sarà destinatario di un provvedimento giudiziario di espulsione.18 Allo stesso modo, il datore di lavoro che impieghi lavoratori stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale commette un reato punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 Euro per ciascun lavoratore impiegato.19 Impiegare più di tre lavoratori, o minori in età non lavorativa o sottoporre lavoratori irregolarmente 15 Si veda l. del 16 luglio 2012, n. 109. 16 Decreto del Ministero dell’Interno del 29 agosto 2012. 17 Circolare del Ministero dell’Interno del 1 aprile 2011, n. 3080. 18 Art. 10-bis del Testo Unico. 19 Ibid., Art. 22(12). 17
residenti a condizioni di particolare sfruttamento (in riferimento a quando sancito dall’Art. 603-bis c.p., terzo comma) costituiscono circostanze aggravanti. Solo in presenza di quest’ultima circostanza, e se presenta denuncia e collabora con le autorità durante il procedimento penale a carico del datore di lavoro, il lavoratore può ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il permesso ha una durata di sei mesi ed è rinnovabile per un anno o comunque per tutta la durata del procedimento penale, mentre è revocato in caso di “condotta incompatibile con le [sue] finalità”.20 In presenza dei requisiti richiesti dalla legge, il permesso per motivi umanitari può essere convertito in un permesso per motivi di studio, lavoro o per motivi familiari. 2.4 Il riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di immigrazione: le norme adottate dalla regione Campania L’art. 117(2)(b) della Costituzione italiana prevede una competenza statale esclusiva in materia di immigrazione. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità di leggi regionali volte a disciplinare materie di competenza concorrente tra Stato e Regione (incluse dunque la tutela della salute, l’abitazione e la tutela e sicurezza del lavoro) nella stessa area. In questi ambiti, infatti, il Testo Unico prevede uno stretto coordinamento tra Stato e regioni.21 Innanzitutto, alle regioni e ad altri enti locali è affidata una funzione consultiva in relazione alla formulazione del documento programmatico triennale in materia di politica dell’immigrazione che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha il compito di redigere ex Art. 3(1) del Testo Unico. L’art. 3(5), inoltre, dispone che: “Nell'ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana”. 20 Ibid., Art. 22(12-quinquies). 21 Corte Costituzionale, sentenza del 7 luglio 2005, n. 300. 18
In questo quadro normativo di riferimento, la regione Campania ha adottato la legge regionale n. 6 dell’8 febbraio 2010 dettante “norme per l’inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania”. La legge include nel proprio ambito di applicazione sia i cittadini di Stati terzi sia gli apolidi, i richiedenti asilo ed i rifugiati residenti in Campania, nonché (ove non siano destinatari di norme più favorevoli) i cittadini dell’Unione Europea. Tutti gli obiettivi della legge regionale sono di rilievo per la tutela dei lavoratori stranieri. Come chiarito dall’Art. 1 della legge, questi consistono nella collaborazione con le autorità statali a fini di coordinamento degli interventi in materia di immigrazione, nella garanzia e tutela dei diritti umani e fondamentali degli stranieri residenti in Campania, nella promozione di iniziative volte a garantire il godimento da parte degli stranieri regolarmente soggiornanti dei propri diritti civili e sociali in condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani ed a “rimuovere le cause che ne ostacolano l’inserimento nel tessuto sociale, culturale ed economico”, nonché nella prevenzione e la lotta al razzismo ed alla xenofobia. 3 IL PROGETTO NET.WORK – RETE ANTIDISCRIMINAZIONE: L’INDAGINE CONOSCITIVA SUI LAVORATORI MIGRANTI CHE OPERANO IN AGRICOLTURA NELLA REGIONE CAMPANIA 3.1 L’ipotesi di ricerca L’indagine ha provato ad analizzare i diversi ambiti di discriminazione nei confronti dei lavoratori stranieri nel settore agricolo. Tra questi vanno inclusi anche gli aspetti relativi ai diritti socio- economici come l’alloggio, l’accesso ai servizi sanitari ed ospedalieri, l’accesso ad assistenza sociale ed a prestazioni di previdenza sociale, ecc. In particolare, l’indagine ha tenuto conto soprattutto delle questioni relative a: a) Settorializzazione come forma di discriminazione; b) Legame tra discriminazione, status di irregolarità (in relazione al permesso di soggiorno e/o al rapporto di lavoro) e sfruttamento lavorativo; c) Dimensione di genere; d) Discriminazioni indirette e multiple (religione e nazionalità, nazionalità e sesso, ecc.). 19
3.2 Il campionamento e la somministrazione Il piano di campionamento è stato redatto tenendo conto della difficoltà di realizzare un campione statistico basato sulle nazionalità degli stranieri presenti in Campania, operanti nel settore agricolo. La presenza di persone che, in ragione dello status di irregolarità, non sono inserite nei dati ufficiali ma che vivono e lavorano sul territorio regionale, ha indotto l’équipe di ricerca a valutare la possibilità di realizzare un piano di campionamento basato sulla distinzione tra lavoratori continuativi e/o temporanei. La somministrazione è stata affidata a specialisti della mediazione culturale (anche di madrelingua degli intervistati) per permettere di realizzare interviste complete, superando le difficoltà legate alla natura ‘sensibile’ del tema trattato. 4 LE EVIDENZE STATISTICHE CHE EMERGONO DALL’INDAGINE CONOSCITIVA 4.1 Le caratteristiche socio-demografiche Il Questionario è stato somministrato a 1.006 lavoratori immigrati provenienti da 32 Paesi, riconducibili a quattro Macroaree: Africa del Nord, Africa subsahariana, Asia ed Europa dell’Est, secondo la ripartizione riportata in tabella 1: Tabella 1: Area geografica di provenienza: 20
I maschi sono risultati in netta maggioranza (77%) mentre l’età media è risultata pari a 33,7 anni, in linea con il dato derivante da precedenti indagini della Coldiretti nella stessa area. Grafico 1: Genere Tabella 2: Età Femmine Maschi Le interviste sono state effettuate al di fuori del luogo di lavoro, per evitare condizionamenti, in diversi Comuni delle Province di Napoli, Salerno e Caserta. Tabelle 3 e 4: Provincia e Luogo dell’intervista: Nell’ambito delle tre Province considerate (Napoli, Salerno e Caserta), i Comuni in cui sono state effettuate più interviste sono stati Battipaglia (144), Eboli (120), Aversa (99), Mondragone (88) Capaccio (68) e Pontecagnano (63), mentre i Comuni in cui la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di lavorare, o di aver lavorato, sono Eboli (149), Battipaglia (111), Capaccio (87), Pontecagnano (49), Villa Literno (48) e Mondragone (45). 21
Circa la metà degli intervistati dichiara di essere coniugata/o, e circa il 54% dichiara di avere figli che, però, in molti casi vivono altrove. Tabella 5: Stato civile Tabelle 6 e 7: Numero di figli e Figli conviventi Il livello di istruzione è, come prevedibile, basso, anche se non mancano eccezioni, in particolare tra gli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est: Tabella 8: Livello di istruzione 22
Allo stesso modo, il grado di conoscenza della lingua italiana è abbastanza limitato: Tabelle 9 e 10: Grado di conoscenza della lingua italiana: 4.2 L’esperienza migratoria Circa tre immigrati su quattro, tra quelli intervistati, sono arrivati in Italia negli ultimi dieci anni, uno su tre negli ultimi tre anni. La provenienza sembra essere cambiata: fino al 2010, la maggioranza degli immigrati proveniva dal Nord Africa oppure dall’Europa dell’Est mentre dal 2010 il flusso migratorio più rilevante (sempre riferito all’oggetto e alla zona considerati nella nostra indagine) è quello dai Paesi dell’Africa subsahariana. Tabelle 11: Anno di arrivo in Italia per Nazionalità: 23
Oltre la metà degli immigrati intervistati (56%) risulta “regolare”, o perché cittadino UE o perché in possesso di un visto o di un permesso valido; circa il 9% è senza titolo o in possesso di un titolo non valido mentre tutti gli altri (35%) sono in una condizione di potenziale regolarizzazione (“Visto scaduto ma in rinnovo”, “Richiedente asilo”, “In attesa di regolarizzazione”). Tabelle 12 e 12bis: Condizione giuridica: 24
Quasi tutti gli irregolari sono cittadini di Paesi africani, alcuni in Italia da prima del 2001, mentre la popolazione degli immigrati provenienti da Paesi asiatici risulta prevalentemente regolare o in attesa di regolarizzazione. In generale, a parte un gruppo di immigrati irregolari che dichiarano di essere in Italia da prima del 2001, la condizione di irregolarità è legata al numero di anni di presenza nel nostro Paese, risultando più diffusa tra gli immigrati arrivati da poco. Da notare anche che le donne risultano in gran maggioranza regolari. Tabella 13: Condizione giuridica per Genere Il tipo di “Visto/Permesso” sembra essere legato alla provenienza. Gli immigrati provenienti da Paesi del Nord Africa, ad esempio, sono quelli che fanno più ricorso a permessi ‘per ricongiungimento familiare’, oltre che per ‘lavoro subordinato’, mentre gli immigrati provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana hanno, in maggioranza, un permesso di ‘protezione temporanea’ o di ‘richiedente asilo’. Gli immigrati provenienti da Paesi dell’Asia hanno, invece, prevalentemente permessi per ‘lavoro subordinato’. 25
Tabella 14: Tipo di Visto/Permesso 4.3 La condizione lavorativa L’indagine prevedeva che le interviste fossero fatte a soggetti immigrati che lavorassero in agricoltura, o che lo avessero fatto in passato. Al primo gruppo sono risultati appartenere quasi l’80% degli intervistati. La percentuale è, in realtà, abbastanza diversa se si distingue per genere: mentre l’84% dei maschi intervistati è, al momento dell’intervista, occupato in agricoltura, questa percentuale scende al 60% tra le donne. Tra coloro che hanno dichiarato di stare attualmente lavorando in agricoltura, oltre un terzo ha dichiarato di lavorare nel settore da meno di due anni, mentre oltre il 10% da più di dieci. Anche in questo caso è possibile ricostruire la storia dei flussi migratori rispetto alla provenienza geografica, con gli immigrati nordafricani che risultano maggioritari tra quelli presenti da più anni (prima del 2006), sostituiti poi prima dagli asiatici (periodo 2006-2010) e quindi dagli immigrati provenienti dall’Africa subsahariana (periodo 2011-2015 e, soprattutto, 2016-2017). Considerando tutti i soggetti intervistati (sia quelli che hanno dichiarato di lavorare attualmente in agricoltura, sia quelli che hanno dichiarato di aver lavorato nel settore in passato) i Comuni in cui la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di lavorare, o di aver lavorato, sono Eboli (149), Battipaglia (111), Capaccio (87), Pontecagnano (49), Villa Literno (48) e Mondragone (45). 26
Comune in cui lavori/hai lavorato Comune Frequenza Percentuale EBOLI 149 15,1 BATTIPAGLIA 111 11,2 CAPACCIO 87 8,8 PONTECAGNANO 49 5,0 VILLA LITERNO 48 4,9 MONDRAGONE 45 4,6 BELLIZZI 34 3,4 SESSA AURUNCA 33 3,3 POMPEI 25 2,5 Tabella 15: Comune in cui lavora/ha lavoratoQUARTO 23 2,3 SAN TAMMARO 19 1,9 Comune in cui lavori/hai lavorato GIUGLIANO Comune in cui lavori/hai lavorato 18 1,8 TORRE DEL GRECO 18 1,8 Comune Frequenza Percentuale Comune Frequenza Percentuale ERCOLANO 17 1,7 EBOLI 149 15,1 EBOLI GIFFONI 149 16 15,1 1,6 BATTIPAGLIA 111 11,2 BATTIPAGLIA AVERSA 111 15 11,2 1,5 CAPACCIO 87 8,8 CAPACCIO PARETE 87 15 8,8 1,5 PONTECAGNANO 49 5,0 PONTECAGNANO ACERRA 49 14 5,0 1,4 VILLA LITERNO 48 4,9 VILLA LITERNO CAMPAGNA 48 13 4,9 1,3 MONDRAGONE 45 4,6 MONDRAGONE MADDALONI 45 13 4,6 1,3 BELLIZZI 34 3,4 BELLIZZI NOLA 34 12 3,4 1,2 SESSA AURUNCA 33 3,3 SESSA AURUNCA CAIVANO 33 11 3,3 1,1 POMPEI 25 2,5 POMPEI CASTELVOLTURNO 25 11 2,5 1,1 QUARTO 23 2,3 QUARTO POGGIOMARINO 23 10 2,3 1,0 SAN TAMMARO 19 1,9 SAN TAMMARO ALTRI 19 182 1,9 18,4 GIUGLIANO 18 1,8 GIUGLIANO 18 1,8 TORRE DEL GRECO 18 1,8 TORRE DEL GRECO 18 1,8 ERCOLANO 17 1,7 ERCOLANO 17 1,7 GIFFONI 16 1,6 GIFFONI 16 1,6 AVERSA 15 1,5 AVERSA 15 1,5 PARETE 15 1,5 PARETE 15 1,5 ACERRA 14 1,4 ACERRA 14 1,4 Nella grande maggioranza dei 13 CAMPAGNA casi, il lavoro 1,3 è stato trovato grazie all’aiuto di connazionali, CAMPAGNA 1,3 ed è (o 13 MADDALONI 13 1,3 MADDALONI 13 1,3 era) NOLAdi tipo saltuario, con un 12 contratto che, 1,2 quando NOLA esiste (50% dei casi) è12quasi sempre 1,2 di tipo CAIVANO 11 1,1 CAIVANO 11 1,1 stagionale. CASTELVOLTURNO 11 1,1 CASTELVOLTURNO 11 1,1 POGGIOMARINO 10 1,0 POGGIOMARINO 10 1,0 ALTRI 182 18,4 ALTRI 182 18,4 Tabella 16: Come hai trovato il lavoro? 27
Tabelle 17 e 17bis: Tipo di lavoro e Tipo di contratto I lavoratori continuativi sembrano maggiormente ‘garantiti’, potendo contare su un contratto (stagionale, part-time o a tempo indeterminato) nell’82% dei casi, percentuale che scende al 47% dei casi per i lavoratori saltuari. Come è facile immaginare, il tipo di contratto, ma soprattutto il fatto di averlo o non averlo, è fortemente condizionato dalla posizione giuridica dell’immigrato. Mentre il 72% degli immigrati ‘regolari’, infatti, può contare su una qualsivoglia forma contrattuale, sia essa stagionale, part-time o a tempo indeterminato, tale percentuale cala drasticamente al 28% per gli immigrati ‘in attesa di regolarizzazione’ e al 14% per gli ‘Irregolari’. È anche possibile rilevare una differenza di genere: le donne, infatti, risultano avere un contratto, in particolare di tipo stagionale, in percentuale molto superiore agli uomini. È questa, probabilmente una relazione di tipo indiretto: infatti, come abbiamo già detto, tra le donne la percentuale di 28
immigrate ‘regolari’ è molto più alta che tra gli uomini, e, pertanto, le stesse possono più facilmente contare su un contratto di lavoro La mancanza di un contratto regolare è anche caratteristica degli immigrati più recenti (l’84% degli immigrati giunti in Italia negli ultimi tre anni non ha un contratto) e di quelli presenti in Italia da molto tempo (circa un terzo degli immigrati giunti in Italia prima del 2001 non ha un contratto), mentre è meno frequente tra gli immigrati giunti nel nostro Paese nel periodo 2001-2009. Ricordando la correlazione tra anno di arrivo in Italia e nazionalità, è possibile cogliere un altro aspetto interessante, e cioè che la mancanza di un contratto regolare è molto diffusa tra gli immigrati nordafricani, presenti in Italia da molti anni, e subsahariani, il cui arrivo è, invece, più recente, mentre lo è molto meno tra gli asiatici. Tabella 18: Tipo di contratto per Nazionalità Il numero medio di giorni lavorati per settimana è di poco inferiore a 6 (5,9) mentre il numero medio di ore lavorate al giorno è 8,3, valori che non presentano differenze significative tra i diversi gruppi, anche se i lavoratori asiatici hanno dichiarato valori leggermente superiori per entrambe le domande. 29
La retribuzione media giornaliera è risultata, complessivamente, pari a 29,1 euro, con un range che va da un minimo di 6 euro ad un massimo di 60, e importanti differenze sia rispetto alla nazionalità (i lavoratori asiatici sono quelli che dichiarano gli importi più alti, i lavoratori dell’Africa subsahariana gli importi più bassi) sia rispetto al tipo di contratto (i contratti stagionali e a tempo indeterminato garantiscono retribuzioni medie giornaliere superiori). Come esempio, i lavoratori che hanno dichiarato una paga media giornaliera superiore o uguale a 50 euro sono 15, tutti asiatici, 9 con contratto stagionale e 6 con contratto a tempo indeterminato; i lavoratori che hanno dichiarato una paga media giornaliera inferiore o uguale a 15 euro sono ancora 15, 10 provenienti dall’Africa subsahariana, 3 dall’Europa dell’Est, 1 dal Nord Africa e 1 dall’India, tutti senza contratto. Tabelle 19 e 19bis: Retribuzione giornaliera ripartita per Nazionalità e Tipo di contratto 4.4 La percezione della discriminazione Tra gli oltre 1.000 lavoratori immigrati intervistati, circa due su tre hanno dichiarato di essersi sentiti in qualche modo discriminati. Tabella 20: La percezione della discriminazione 30
Il dato non cambia se lo si differenzia per il genere (anche se, come vedremo, la grande maggioranza delle donne che si è sentita discriminata ha associato questa percezione proprio al fatto di essere donna), mentre i valori sono anche molto diversi se la differenziazione viene fatta per nazionalità, condizione giuridica e tipo di contratto. In particolare, i soggetti che più si sentono discriminati sono gli immigrati sub-sahariani e quelli nordafricani, mentre il problema è meno avvertito tra gli immigrati asiatici e i lavoratori dell’Est Europa. Inoltre, la discriminazione sembra essere particolarmente avvertita tra coloro che, da un punto di vista giuridico e lavorativo, risultano ‘precari’, dunque tra coloro in attesa di regolarizzare la propria condizione giuridica e tra i lavoratori part-time, paradossalmente, forse, ancor più che tra coloro che risultano irregolari o senza contratto. Tabella 21: La percezione della discriminazione per Genere Tabella 21bis: La percezione della discriminazione per Nazionalità 31
Tabella 21ter: La percezione della discriminazione per Condizione giuridica I motivi che coloro che si sono sentiti discriminati attribuiscono a questa percezione sono diversi. Ad esempio, la grande maggioranza delle donne che hanno dichiarato di essere state discriminate ha attribuito questa percezione proprio al fatto di ‘Essere donna’, e solo in seconda battuta all’‘Essere straniera’ o alla ‘Religione’. D’altra parte, l’‘Essere straniero’, il ‘Colore della pelle’ ma anche la ‘Mancanza di permesso valido’ sono, invece, i principali motivi di discriminazione denunciati dagli immigrati maschi. È chiaro che la percezione della discriminazione può essere molto legata ad una condizione culturale generale ma anche a situazioni contingenti. Ad esempio, tra gli uomini il motivo di discriminazione più segnalato è l’‘Essere straniero’ e, per gli immigrati provenienti dai Paesi dell’Africa 32
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