N. 28_2018 - Università per Stranieri di Siena

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N. 28_2018 - Università per Stranieri di Siena
n. 28_2018

  GIO, presente sulla scena accademica e culturale dal 2009, ha iniziato con una NEWSLETTER
   quindicinale una nuova forma di dialogo con le iscritte e gli iscritti e quanti sono interessati a
  queste tematiche; saremo presenti nel dibattito contemporaneo, che richiede sempre una presenza
                 vigile, a 360 gradi, e chiediamo altresì una interlocuzione con voi.

             Scrivete, proponete incontri, segnalate notizie e fatti che “diano da pensare”.

                                     Il Comitato scientifico di GIO

Gessica Notaro, la miss sfregiata con l’acido, un anno dopo
Sono rimasti tutti di stucco gli spettatori di Cartabianca, la trasmissione televisiva condotta
da Bianca Berlinguer, quando nella puntata di metà gennaio è entrata in studio Jessica
Notaro, la splendida ragazza eletta Miss Italia e aggredita un anno fa dal suo fidanzato
capoverdiano, Edson Tavares, che le ha gettato addosso dell’acido sfigurandola per sempre.
La sorpresa non era causata tanto dalla benda nera sull’occhio sinistro che la donna portava
con grande disinvoltura, quanto dalla naturalezza con cui raccontava il tragico evento,
ancora bellissima nonostante l’orrendo misfatto. L’ex fidanzato non voleva accettare la fine
della loro relazione e con il suo gesto ha pensato di vendicarsi. Da allora ad oggi Jessica ha
dovuto affrontare un calvario di operazioni chirurgiche, mentre Edson è stato condannato
a dieci anni di carcere con rito abbreviato. Nonostante la prova spaventosa, la reginetta di
bellezza ha riferito con serenità la sua esperienza in ospedale, dove le premure straordinarie
dei medici e degli infermieri lentamente le hanno ridato fiducia nella vita. Nell’intervista ha
detto che le sue cicatrici sono un monito e certamente lo sono, un monito a lottare in tutti i
modi possibili perché questi atti di violenza cessino e questi uomini inqualificabili ritornino
ad avere una capacità di comprendere che sembra perduta.

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L’impresa titanica di Simonetta Puccini
Chiunque abbia visitato la villa a Torre del Lago, affacciata sulle Alpi Apuane, che è stata la
dimora di Giacomo Puccini, sa che Simonetta Puccini, l’ultima erede del Maestro, era solita
ricevere personalmente gli ospiti al cancello, tanto teneva al suo ruolo di curatrice del luogo.
La impeccabile signora è venuta a mancare poco prima di Natale e pochi conoscono la sua
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storia e la sue notevoli imprese, ma, se entrando nella villa si possono vedere il pianoforte
su cui il grande artista aveva composto La Boheme, Tosca e Madame Butterfly, riempiendo con
le sue sigarette i portacenere ancora lì appoggiati, si deve solo a lei, sua nipote. Condizione
di cui era estremamente orgogliosa e per la quale aveva condotto interminabili battaglie in
tribunale, tanto feroci che si era guadagnata il soprannome di “tosta”. Il problema di base
era stato rappresentato dalla selvaggia vita amorosa di suo nonno, che adorava intrattenersi
con le fantesche di casa Puccini, producendo a latere una serie nutrita di figli illegittimi con
cui, al momento della spartizione della grossa eredità, la nipote dovette forzatamente
confrontarsi. Tuttavia, poiché suo padre, Antonio, era stato l’unico figlio legittimo del
grande Giacomo, alla fine la spuntò. Buon sangue non mente, dato che anche Antonio ebbe
turbolente vicende amorose: infatti, Simonetta era figlia di Giuseppina Giurumello, una
ragazza di paese di cui Antonio si era invaghito prima di sposare Rita, la sua consorte
ufficiale. Simonetta, quindi, era cresciuta senza padre, anche se Antonio pagò i suoi studi
fino all’università e si tenne in contatto epistolare con lei tutta la vita, firmandosi “il tuo caro
babbo”. Giacomo Puccini è morto cinque anni prima della nascita di sua nipote, quindi non
si conobbero, ma Antonio la tenne al corrente di tutte le prodezze artistiche del Maestro.
Alla morte della moglie di Puccini Rita, Simonetta si appellò alla legge che aveva cancellato
la condizione di figli illegittimi e lentamente entrò in possesso del denaro e delle case di
Puccini a Torre del Lago e Lucca. Nel 1979 fondò l’Istituto di Studi Pucciniani, divenuto poi
la Fondazione Puccini, nell’abito della quale editò le lettere del nonno. Finché Simonetta è
stata in vita, la cappella di famiglia ha sempre avuto fiori freschi, ora anche lei riposa in pace
al suo interno.

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La lirica contro il femminicidio
Ha suscitato grande scalpore l’esecuzione della Carmen di Georges Bizet al Maggio Musicale
Fiorentino, (stagione del Teatro, non Festival), tenutasi questo gennaio. Il regista Leo
Musicato, infatti, ha capovolto il finale della celebre opera, dato che alla fine Escamillo mena
a bastonate la povera Carmen e lei cadendo estrae a lui la pistola e gli spara, quindi muore
lui invece di lei, come accade nel libretto originale. Il regista Musicato è stato preso a dir
poco a male parole, dato che i melomani hanno sentenziato che il melodramma va lasciato
com’è, altrimenti Bizet si rigira nella tomba. Tuttavia, il regista con la sua impresa ha dato
risalto all’orrore dei femminicidi e, poiché l’opera nel complesso era buona ed
applauditissimi gli interpreti, noi che lottiamo armate solo di word processors la piaga
moderna delle donne vittime di violenza, non possiamo non riconoscere che il messaggio è
arrivato forte e chiaro.

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n. 28_2018
Il più grande furto della storia: disparità salariale
L’argomento ricorre ormai con una certa frequenza e ultima si è alzata una voce ufficiale: la
consigliera Onu per le donne, Anuradha Seth, in un'intervista all'agenzia spagnola Efe,
commentando uno studio pubblicato dall'UNDP, conferma che le donne guadagnano in
media il 23% meno degli uomini, un dato che non conosce “frontiere, settori, età o
qualifiche”. In nessun paese le donne percepiscono lo stesso salario degli uomini, anche se
nella piccola Islanda è stata recentemente approvata una legge che obbliga la parità salariale.
Seth afferma che “si tratta del più grande furto della storia”. Le cause del divario salariale
sono tante: la sottovalutazione del lavoro delle donne, la non retribuzione del lavoro in casa,
la minore partecipazione femminile al mondo del lavoro, la discriminazione. Così le donne
finiscono per lavorare meno o in settori meno retribuiti. Nel rapporto intitolato Lo stato della
popolazione nel 2017, l’Onu ha calcolato per ogni dollaro guadagnato da un uomo una donna
prende 77 centesimi. Tuttavia, ci sono differenze importanti: tra i membri
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) alcuni paesi
attestano una disparità inferiore al 5% come il Costa Rica o il Lussemburgo e altri presentano
un divario fino al 36% come la Corea del Sud. L'Italia è il paese dell’Unione europea in cui
il gap di stipendio è più basso: secondo i dati Istat di qualche mese fa le donne guadagnano
il 5,5% in meno degli uomini. In Germania il divario è del 15,7%, nel Regno Unito arriva
fino al 17,1%.

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Effetto noir sul Golden Globe: il nero muove e vince
Molto si è parlato del movimento #metoo. Qui rileviamo con Ida Dominijanni come nella
cerimonia dell’assegnazione dei Golden Globe, l’effetto noir con tutte le attrici in abito
rigorosamente nero in segno di lutto per i trascorsi di Hollywood scoperchiati dallo
scandalo Weinstein, si sia trasformato in effetto black. Black/women power – insieme e tutt’e
due incarnati nel corpo e nelle parole di Oprah Winfrey – diventa la sigla della serata.
Quando Oprah sale sul palco per ritirare il suo premio alla carriera, il messaggio, tutt’altro
che funereo, si trasforma nel nuovo slogan Time’s up, “il tempo è finito”: è finito il tempo dei
ricatti, delle molestie, dei silenzi ed è già l’alba di un nuovo giorno, dichiara Oprah. Per una
volta un rito, talvolta stanco, si trasforma in un evento simbolico di prima grandezza. Si è
verificata una di quelle miracolose congiunture in cui il passato e il presente di una storia di
lotte si toccano, aprendo il presente a nuove circostanze: dalla morte nel 1944 di una giovane
donna nera, Recy Taylor, stuprata, bendata e abbandonata sul ciglio della strada, all’uscita
dalla messa, da sei uomini bianchi armati ad Aberville, in Alabama, al Premio Oscar a
Sidney Poitier nel 1982, a oggi. La storia avanza, storia che attraversa i confini culturali,
razziali, geografici, politici e che dimostra una cosa sola: che “dire la nostra verità è il mezzo
più potente che abbiamo per non chiudere gli occhi davanti a corruzione e ingiustizia,
carnefici e vittime, segreti e bugie”. Non perdiamoci di vista, avevano detto altre attrici,
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mettendo madri, sorelle e compagne di lotta al primo posto dei loro ringraziamenti per le
statuette ricevute: da sole si soccombe, insieme si può. Non è una storia di lamentele
vittimiste, ma di coraggiose prese di parola. Il nero muove e vince.

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Usciamo da Hollywood, le norme che aiutano le donne che denunciano
molestie
Se giustamente ancora si discute sulle denunce di molestie e ricatti sessuali subiti nel mondo
dello spettacolo, se siamo dalla parte di chi denuncia, subito o dopo, è sorprendente che si
taccia sulle novità di casa nostra: non si è sufficientemente sottolineata una novità
dell’ultima legge di bilancio, contenuta nel comma 218, che aiuta l’immediata denuncia delle
molestie subite sul posto di lavoro grazie all’annullamento dei comportamenti ritorsivi
possibili nei confronti di chi ha denunciato, sia che si tratti di licenziamento, trasferimento
o demansionamento. Ogni ricatto, molestia, violenza di natura sessuale ha dietro di sé uno
squilibrio tra l'autore del reato e chi lo subisce, che la Convenzione di Istanbul ha definito
“violazione dei diritti umani”. Bisogna, quindi, agire lì, colmare quello squilibrio. Già la
legge contro le dimissioni in bianco contenuta nel Jobs act è andata in quella direzione: di
fronte ai dati Istat sulle molestie sessuali nei luoghi di lavoro (9 donne su 100 nel corso della
propria vita lavorativa sono state oggetto di molestie o di ricatti a sfondo sessuale, 1 milione
e 403 mila, solo il 20% ne parla con qualcuno e solo lo 0,7% denuncia), nella legge di bilancio
si fa una scelta netta. Poiché è evidente che la mancanza di denunce nasce dalla paura di
ritorsioni, il comma 218 dice che sono nulli i licenziamenti, i trasferimenti e i
demansionamenti delle donne che hanno denunciato violenze. Grazie al comma 218 della
legge di bilancio, si può parlare di un passo avanti.

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Iran, una rivolta (anche) delle donne, ma non contro il velo
Le proteste di piazza in Iran avvenute alla fine di dicembre apparentemente placate
(represse) richiedono una riflessione ulteriore: se una ragazza a capo scoperto che
sventolava il suo hijab bianco ne è sembrata l’involontario simbolo, giustamente si rileva che
quella a cui abbiamo assistito nelle strade dell’Iran non è stata una rivolta di genere. Non
una protesta contro il velo o il patriarcato: è vero, le donne, molto numerose, sono scese in
piazza, ma bastava ascoltarle per capire. Chiedevano stipendi più alti, salari pagati con
regolarità, lo stop all’inflazione e al finanziamento senza fine delle iniziative iraniane in
Siria, Yemen, Libano. Il dato interessante di queste rivolte è che le stesse richieste erano
formulate da donne e uomini, da cittadine e cittadini iraniani. Insieme. E si deve ricordare
come in Iran, prima della rivoluzione khomeinista del 1979, le donne erano magistrate,
avvocate, giornaliste, politiche, dirigenti. Non meraviglia, dunque, che le donne fossero
nelle strade in questi giorni. Né tantomeno che chiedessero di vedere rispettati i loro diritti
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di cittadine. Tale protesta si è giustapposta con quella contro il chador obbligatorio che da
anni un gruppo di donne – per lo più provenienti da Teheran, per lo più appartenenti alla
media-alta borghesia, per lo più molto esposte ai modelli occidentali – promuove. “My
stealthy freedom” è il nome del movimento fondato dalla giornalista Masih Alinejad. Ogni
mercoledì vede le sostenitrici portare avanti manifestazioni simboliche a capo scoperto,
come mercoledì 27 dicembre ha fatto la ragazza nel centro di Teheran con il suo hijab bianco
su un bastone ed è stata arrestata per questo. Alinejad afferma che l’obiettivo delle proteste
è lo stesso, un regime che controlla tutto, dall’economia alle libertà personali. Non si devono
confondere le acque, tuttavia: il velo, il chador e l’abbigliamento non sono la preoccupazione
numero uno delle iraniane oggi. Lo sono il lavoro, la possibilità di dare una vita migliore ai
figli, i diritti umani in senso allargato. Leggere questa storia solo in termini di veli, come più
di un osservatore ha fatto, sfruttando l’immagine della ragazza con l’hijab bianco, è riduttivo
e patriarcale. Non stupisce che sia accaduto sui media italiani e non su quelli di lingua
inglese.

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Siamo libere solo nei consumi
La studiosa giapponese Ueno Chizuko, considerata la più importante femminista del
Giappone, offre una interessante prospettiva da un mondo “altro”: Ueno Chizuko ha
partecipato al movimento studentesco all’Università Kyoto, dove nel 1976 presso la Società
di studi di genere del Giappone ha iniziato il suo impegno di ricerca e attivismo –
inscindibili – a favore delle donne. È oggi a capo della Wan – Woman Action Network ed è
professoressa emerita dell’Università di Tokyo, che forma larga parte della classe dirigente
del paese. Secondo Ueno Chizuko, se da un lato in Giappone molti traguardi sono stati
raggiunti da tempo (il diritto al divorzio subito dopo la Guerra mondiale e anche l’aborto è
da tempo acquisito), dall’altra il neoliberismo economico colpisce soprattutto le donne, la
maggioranza delle quali lavora come irregolare, cioè con uno status molto inferiore rispetto
a una élite che è impegnata come gli uomini. Il Partito Liberaldemocratico (LDP) ha imposto
la narrativa del jikosekinin, la parola chiave del neoliberalismo, che significa responsabilità
personale. E questo per le donne implica non ricevere nessun aiuto o coinvolgimento della
comunità o dello stato. Pertanto, a suo parere, quella che viene data alle donne è una scelta
apparente, o meglio solo la scelta di consumare. Paradossalmente, la studiosa ha invitato
l’uomo a liberarsi dal patriarcato, cioè affrancarsi da obblighi lavorativi molto impegnativi
e dalla responsabilità illimitata verso il datore di lavoro. Impiegati a tempo pieno e
indeterminato, gli uomini giapponesi dimenticano la loro libertà e dedicano totalmente la
vita alla loro impresa. Le donne, invece, hanno (come in Occidente) il doppio peso,
professionale e di cura.

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n. 28_2018
Artemisia protagonista dei suoi quadri
Interessante analisi di Vittorio Sgarbi, che di narcisismo se ne intende: Artemisia
Gentileschi, poco tempo dopo essere stata violata, con il coraggio di denunciare il suo
aggressore, il pittore Agostino Tassi, determinata, compie una operazione di
autoaffermazione che la critica non ha sufficientemente considerato: tra 1612 e 1615 si fa
protagonista assoluta dei suoi dipinti, in un continuo ammiccamento. Sono autoritratti
indiretti attraverso vari travestimenti, di significato psicoanalitico o concettuale, di
sorprendente modernità. Artemisia anticipa De Chirico. Ed eccola in sequenza, negli anni
della sua fertile giovinezza, guardarci e farsi guardare: l’articolo è corredato dalle
riproduzioni degli splendidi quadri e vi scorgiamo la pittrice sotto le vesti di “Santa
Caterina” o della “Donna con liuto”, di “Maddalena” e di “Cleopatra” così come
nell’“Autoritratto come martire” (con la palma del martirio). Sempre ci volge uno sguardo
complice, pungente, vivo, come per svelarci il suo narcisistico trucco. È lei, sempre lei, che
evade dal suo travestimento e ci parla, mai più vera. La violenza patita è solo un ricordo
umiliante, più per lui che per lei. Artemisia ha reagito, si è fatta rispettare, adesso è l’ora
della riscossa, sembra dire, fissandoci negli occhi. Guardate cosa sono capace di fare. E sono
sempre io. “Madame Bovary sono io”.

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Miles Davis non è Mozart
Roberta Bianco, 31 anni, diplomata al Conservatorio e neurobiologa, ha unito le sue due
passioni e le comunica in uno studio pubblicato su NeuroImage, insieme con un team di
colleghi e colleghe come la neuroscienziata, Daniela Sammler, da cui emergono le differenze
mentali dei jazzisti e dei musicisti classici, grazie a vari esperimenti condotti con 30 pianisti
professionisti. I loro segnali cerebrali venivano registrati con l’elettroencefalogramma
mentre suonavano: il cervello dei musicisti è come una scatola nera su cui far luce, afferma
la scienziata, ma esso procede secondo il genere musicale che si trova a praticare. Gli
scienziati hanno così osservato che una distinzione cruciale è nel modo in cui vengono
regolati i movimenti: nei pianisti jazz si riscontrano prove neurali di una certa flessibilità
nella pianificazione delle armonie; essi sono più capaci di reagire alla novità, improvvisare
e continuare le loro esibizioni. Mentre pianisti classici si concentrano sul come suonare, alla
perfezione, da un punto di vista tecnico, con l’aggiunta di espressione personale. La
ricercatrice conclude che l’esperimento ha mostrato due processi cognitivi diversi e, forse,
questo non vale solo per la musica.

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Una bambola astronauta
Luciana Vega è la nuova bambola lanciata sul mercato da una nota azienda americana, con
la collaborazione scientifica della Nasa, con l'obiettivo di incoraggiare bambine e ragazze a
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studiare le materie scientifiche e diventare le ricercatrici e le astronaute del futuro. Luciana,
bambina di 11 anni di origine cilena, che ha vinto una borsa di studio per partecipare ad
uno Space camp, sogna di essere la prima persona a volare su Marte. Attraverso la sua storia
si vuole insegnare l'importanza di imparare dagli errori, lavorare in squadra e verso un
obiettivo comune, anche nei momenti più difficili. Un'esperienza “familiare” per le donne
che lavorano nella Nasa, tra cui l'astronauta Megan McArthur, una delle esperte che ha
collaborato come consulente scientifico per la realizzazione della bambola e dei suoi gadget.
Non solo, ma sempre in collaborazione con la Nasa, verranno realizzati un'app e un sito
web per far vivere l'emozione di una simulazione spaziale, cimentarsi in quiz educativi,
oltre ad una serie di libri con protagonista Luciana. Si devono incoraggiare le future
generazioni all'esplorazione spaziale, a sognare le stelle e mostrare che quei sogni possono
diventare realtà, conclude McArthur.

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La legge Merlin a sessant’anni dalla sua promulgazione torna a far parlare
di sé
In campagna elettorale tutto è possibile, critiche, accuse, “fake news”, perfino rimettere in
discussione leggi e provvedimenti presi da quasi tre quarti di secolo. È il caso, per l’appunto,
della famosa Legge Merlin, che prende il nome dalla senatrice che se ne fece portatrice,
insieme a molte altre sue colleghe, e che fu promulgata nel 1958 dopo accesi dibattiti
parlamentari e polemiche dei vari partiti. La Legge Merlin affrontava il tema della
regolamentazione della prostituzione che, per effetto della legge in questione, è libera ma
non regolamentata. Ed ora eccola tornare alla ribalta sull’onda della campagna elettorale e
diventare, anzi, uno dei cavalli di battaglia della Lega di Matteo Salvini che chiede non solo
la regolamentazione, ma, anche e soprattutto, la tassazione della prostituzione “come nei
paesi civili”. Le reazioni di alcune parlamentari sono state durissime, come pure dura è stata
la critica alle sue parole dette con la massima disinvoltura. Né sono mancate reazioni e
proteste della società civile, specie da parte delle donne all’idea di “riaprire le case chiuse”.
Ma guardiamo un momento alla situazione dei “paesi civili” menzionati da Salvini. In
Olanda, Germania, Austria, Svizzera e Grecia la prostituzione è consentita e regolamentata.
Nei Paesi Nordici Svezia, Norvegia, Islanda, e in Francia è illegale e la legge punisce i clienti
e non le prostitute. In altri paesi dell’Est, come Polonia e Slovacchia, la prostituzione è legale,
ma i bordelli sono fuori legge e così via. Fa eccezione la Germania, dove i bordelli sono legali
e le attività subiscono una tassazione. Sembra evidente che il panorama europeo è assai
variegato e che, se da un lato la legge ha fatto delle prostitute delle lavoratrici autonome,
non ha, comunque, potuto provvedere a sgominare la piaga dello sfruttamento sessuale che
coinvolge in grandissima parte ragazze provenienti dai paesi dell’Est europeo.

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n. 28_2018
La 37enne Premier della Nuova Zelanda è incinta. Il neo papà starà a casa
Jacinda Ardern, nuova Premier laburista della Nuova Zelanda (che succede alla Premier
Helen Clark) ha annunciato la sua gravidanza e che prenderà le sue 6 settimane di congedo.
Ma non teme per il suo ruolo, scrive Ilaria Betti sull’Huffington Post: “Non sono la prima
donna a dover fare più cose”. Ha annunciato di essere incinta, ma l'ha fatto nel suo modo
particolare, battendosi come al solito contro gli stereotipi di genere. La Prima Ministra della
Nuova Zelanda ha affidato a Twitter e a Facebook il suo messaggio: "Quest'anno faremo
parte di tutti quei genitori che ricoprono due ruoli. Io sarò Prime Minister e una mamma,
mentre Clarke (il marito) sarà ‘il primo uomo della pesca' (conduce un programma di pesca
e cucina, ndr) e un papà a casa". La Ardern che, a 37 anni è la più giovane premier che il suo
Paese abbia mai conosciuto, partorirà a giugno. Si può, quindi, essere donna, premier,
mamma, avere un compagno, condividere serenamente i compiti di cura. Una pura e
semplice questione di cultura: non è un caso che in Nuova Zelanda le donne abbiano avuto
il diritto di voto nel 1893...

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Donne e sport: Coppa del mondo di sci 13 podi per le “ragazze”, 3 per i
“ragazzi”
Cortina. A meno di tre settimane dalle Olimpiadi a PyeongChang, cinque donne sono salite
sul podio tredici volte contro le tre riuscite a due soli uomini. Il pink power d’Italia dura
dall’anno scorso, quando cinque atlete diverse hanno prodotto più risultati dei sei colleghi
maschi (25 podi contro 18) sbriciolando dopo vent’anni un primato che apparteneva a una
generazione d’oro, quella del 1996/97 dei vari Alberto Tomba, Kristian Ghedina, Deborah
Compagnoni, Isolde Kostner. Le ragazze si presero anche la classifica per nazioni
schiaffeggiando corazzate come quelle di Austria e Svizzera. Ora, coi Giochi dietro l’angolo
(9- 25 febbraio), e poche gare prima in calendario, la supremazia femminile sembra essere
più di una tendenza.

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Aggressività, violenza, bullismo poteri forti, competitività a tutti i costi.
L’alternativa “gentile”
Aggressività, violenza, bullismo, poteri forti, guerra, competitività…ma è proprio questo
l'unico modello di società possibile? A partire dal film Wonder, Antonella Bonavoglia (Il Sole
24 ore), ci fa riflettere sull’esistenza di un modello di società diverso basato sulla gentilezza
Ma cosa è la gentilezza? E a cosa serve? Secondo il dizionario Treccani la gentilezza è un
insieme di atti, espressioni, gesti di amabilità, garbo e cortesia ed è l’opposto dell’insolenza,
della prepotenza, dell’impertinenza. Chi è gentile, insomma, mette in atto una serie di
comportamenti, nei confronti degli altri che hanno alla base dei sentimenti importanti come
l’altruismo, l’onestà, la generosità e l’empatia. Si parla, oggi, moltissimo di bullismo, di
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cyber-bullismo e di violenza verbale, oltre che fisica, messi in atto da ragazzini anche di
scuola primaria (quindi davvero molto piccoli) nei confronti di coetanei definiti ‘deboli’ o
‘diversi’, che diventano vittime, spesso silenziose di questo meccanismo pericoloso. Il web
rappresenta un mezzo affascinante, e allo stesso tempo subdolo, perché l’insulto, la
diffamazione, la calunnia, la ‘presa in giro’ assumono un aspetto più ampio e difficile da
arginare”. Se le scuole sono il luogo d’elezione per un’educazione basata sui valori della
convivenza civile, quindi ‘gentile’, tuttavia è fondamentale che sia il personale docente, fin
dalla primissima infanzia, sia i genitori siano informati ed educati sul modello da
trasmettere. In sintesi, occorrerebbero politiche educative serie e determinate, quindi anche
finanziate, per indurre il cambiamento culturale necessario. Educare alla gentilezza sì, ma
nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile

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La crisi romena sul tema della corruzione nelle mani di una donna
A sanare il conflitto apertosi tra società civile e magistratura in Romania, il più importante
Paese balcanico del sud esteuropeo dell’Unione europea e della Nato, con un recente buon
livello di benessere economico, è stata chiamata una ex europarlamentare che si è distinta
per le sue numerose attività ed iniziative a favore della gender equality e di tutte le altre
discriminazioni sociali. É la prima donna eletta premier in questo paese, una donna, Dancila
Viorica, che ha il non facile compito di disinnescare i conflitti politici della Romania e porre
fine alla crisi in un paese in cui la protesta contro il varo di leggi che minimizzano la gravità
del reato di corruzione dura ormai da un anno. Nel frattempo, in attesa dei risultati,
continua il boom economico con una crescita ben oltre l’8 per cento.

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Uno sguardo al passato ed uno al presente dell’emancipazione femminile
In un libro La ragazza che ero, la riconosco, curato da Silvia Neonato e altre otto donne , ragazze
e femministe di un tempo, vengono rievocate le varie lotte che portarono poi alle conquiste
femminili e a cambiamenti epocali attraverso “schegge autobiografiche” che permettono
raffronti. Tra queste, le lotte combattute, anche allora per le molestie sessuali di cui oggi
tanto si parla. Ma le donne subivano, in massima parte, violenze che avvenivano
principalmente in famiglia, aborti clandestini subiti come mezzi contraccettivi, tutto ciò
senza alcun interesse da parte della società. Le cose sono ora cambiate. Le donne protestano
liberamente, spesso coinvolgendo anche i loro compagni; i diversi femminismi sono vivaci
in ogni zona del pianeta, anche se con diversi linguaggi, storie e caratteristiche. Tutte lottano
per l’autodeterminazione e le libertà femminili, perfino le bengalesi o le messicane più
povere lottano contro la violenza sulle donne e le donne africane si battono strenuamente
contro le mutilazioni sessuali. É una bella fotografia di un tempo che dovrebbe insegnare
alle ragazze di oggi che le battaglie degli anni ’70 e le conquiste ottenute ci permettono oggi
di contrastare e denunciare le molestie sessuali.
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BIL, donne, impresa, Sud, famiglia: dalla Murgia Valley un buon esempio
da seguire
Per Manuela Perrone (Il Sole 24 ore) la Macnil di Gravina di Puglia è un’azienda che sfata
tutti i pregiudizi: è nata, cresciuta e rimasta al Sud, ha il 70% di dipendenti laureati e il 50%
di donne. Cinque team leader, tutte donne. Fondata da due coniugi – direttore tecnico lei,
Ceo lui. “Si può fare”, ripete come un mantra la cofondatrice, Mariarita Costanza, classe
1971. Si può partire da un piccolo finanziamento e scommettere sulla diversity come valore
aggiunto. Si può puntare sui giovani del territorio e aprirsi al mercato, nazionale e
internazionale. Si può condividere lavoro e famiglia, crescendo due figli e condividendo
oneri e onori. Si può guardare alla maternità come una gioia e non come un costo da
abbattere o da scansare. Si può sognare di realizzare un polo hi-tech nel cuore della Puglia
rurale. Si può fare. La Macnil è nata nel 2000 per lo sviluppo di soluzioni Ict. Oggi è leader
nel settore. “Io non sono mai stata sola”, precisa subito Costanza, "in Macnil ci siamo
suddivisi i compiti: a me lo sviluppo e la ricerca, a lui il business e il mercato. Ma da subito
la metà dei nostri dipendenti è stata donna (…). Noi siamo la dimostrazione concreta che
con spirito di organizzazione è possibile mandare avanti un’impresa e seguire la famiglia”.
Macnil compensa la carenza di servizi a supporto delle famiglie: nella nuova sede in via di
ultimazione nella zona industriale di Gravina ci saranno un nido aziendale, una ludoteca e
una palestra. Il 90% delle dipendenti si è sposata dopo essere entrata in azienda e ha avuto
un figlio in corso d’opera (…). “Ma conta il Bil, il benessere interno lordo, dei nostri
collaboratori. La classe imprenditoriale deve compiere un salto di qualità culturale”,
possibile anche attraverso la scelta dei profili: Macnil annovera anche laureati in lingue,
filosofia e scienze politiche. “Non serve progettare software – sorride Costanza – se poi non
c’è nessuno che sa venderlo e comunicarlo, nessuno che sa curare i clienti che acquisiscono
servizi e prodotti”.

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Fashion is Great: la diversità va in passerella
La moda come strumento per esprimere la diversità e diffondere il concetto di inclusione. É
questa la filosofia dietro il progetto Reimagined Perception che la stilista Sadie Clayton ha
presentato a Villa Wolkonsky, residenza dell'ambasciatrice britannica a Roma, Jill Morris.
Per la prima volta in Italia sedici modelle disabili e diverse per abilità, etnia, taglia ed età
(tra cui la modella italo-brasiliana Bruna che ha perso l’uso delle gambe dopo un grave
incidente), hanno sfilato indossando le creazioni della designer britannica. Ventisei pezzi
che confermano il suo stile forte e scultoreo, caratterizzato dai pantaloni a vita alta, dalle
gonne ampie e dai top neoromantici che esaltano le forme femminili e creano potenti
silhouette. Il progetto è nato dalla collaborazione tra gli uffici del Department for
International Trade in Italia e AltaRoma con l'obiettivo di presentare le potenzialità del
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Regno Unito quale piattaforma di creatività e innovazione nel settore della moda e come
fonte di ispirazione per la promozione di messaggi di inclusione sociale sul mercato italiano.
L'iniziativa è parte della campagna Great voluta dal governo britannico per promuovere
l'eccellenza del Regno Unito nel mondo.

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APPUNTAMENTI
13 febbraio 2018: Teatro Argentina, Sala Squarzina, ore 17. Incontro dibattito su Lo spazio
femminile nel teatro della democrazia, progetto e organizzazione di Maria Inversi (Alfabeti
Comuni). Dalle leggi di Atene a oggi, lo spazio femminile del pensare, agire e le sue
rappresentazioni è stato condizionato dalle scritture ove il genere è stato confinato,
imprigionato o ingabbiato. Strettoie da cui piano piano il soggetto, grazie al tantissimo
impegno di scrittrici (quasi assenti le drammaturghe) e saggiste dimostrano altre
riconoscibilità. La parola a teatro è parola politica, spazio e forma di democrazia, spazio che
fu negato alle donne come l’istruzione pubblica, il voto fino a tempi recentissimi e molto
altro anche in piena rivoluzione femminista. Ma il teatro è luogo di riflessione politica, da
qui varie domande per individuare una “riscrittura” come ha proposto tra gli altri A.
Artaud: come deve essere la scrittura e come il pubblico nell’accadimento-evento. Come si
potrà partecipare alla costruzione di una società diversa? I cambiamenti politici e sociali
dovrebbero sempre essere in atto nel luogo che più rappresenta il farsi, disfarsi e il divenire
del soggetto, nell’altro/a e con l’altro/a. Nel pensare dunque, dirsi, rappresentarsi.
Rinominare il femminile per reinterrogarci sull’identità: soggetto, suo azzeramento, e
riscritture. Come rispettare o amare la soggettività se la escludiamo? Perché la diversità
costruisce società? Perché il genere, le sue differenze e le diverse visioni potrebbero divenire
possibilità di cambiamento? Si devono rileggere le filosofe contemporanee, ma anche
Morante, Zambrano, Kane, così come Camus. Il teatro come spazio politico e spazio di
rappresentazione della drammaturgia dalle “porte aperte” o chiuse o decisamente ostinate.
Intervengono filosofe, letterate, scrittori e scrittrici).

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13 febbraio 2018: Camera dei Deputati Sala del Mappamondo, Piazza Montecitorio, Roma,
ore 17,30. Nasce l’Archivio storico on line di NOIDONNE, testata storica che dal 1944 ad
oggi, con diverse formule editoriali, svolge un ruolo essenziale nel campo dell’informazione
e della cultura. In un sito completamente rinnovato (www.noidonne.org), l’avvio di questa
nuova piattaforma avviene con una documentazione eccezionale. Per la prima volta sono
messe a disposizione nella rete l’insieme delle edizioni clandestine pubblicate nel 1944 e
1945 nelle regioni e città dove si combatteva la Lotta di Liberazione dal nazifascismo.
Attraverso un lavoro di ricerca, riordino e digitalizzazione di documentazioni contenute
nell’Archivio di NOIDONNE e in altri Fondi archivistici (come la Fondazione Gramsci) si è
n. 28_2018
potuto comporre un quadro completo della presenza di questa testata in una fase molto
difficile del nostro paese, dando conto in modo tangibile dell’apporto rilevante dei Gruppi
di Difesa delle Donne e in generale delle donne nella Resistenza. La presentazione coincide
con il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della nostra Costituzione. Questo
significativo traguardo culturale è stato possibile grazie al supporto della Presidenza del
Consiglio dei Ministri (Struttura per gli anniversari di interesse nazionale) che ha sostenuto
il progetto di digitalizzazione e realizzazione della piattaforma, e ad un contributo della
Fondazione Unipolis. L’ingresso è possibile solo con prenotazione da segnalare a
redazione@noidonne.org entro il 9 febbraio 2018. Per gli uomini è obbligatorio indossare
giacca e cravatta. Info cell. 339 5364627.

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6 marzo 2018: Università di Roma Tor Vergata, Auditorio “Ennio Morricone, Via
Columbia, 2 - ore 14,30. Prendendo lo spunto dalle tensioni e divisioni crescenti negli Stati
Uniti e dalla ventata di orgoglio emersa tra le donne americane che hanno rialzato la testa
chiedendo parità e difesa dei loro diritti, considerati a rischio, l’evento “Aspettando l’8
Marzo…” vuole descrivere, mediante una serie mirata di interventi, l’effetto di questo
fermento anche nel nostro paese, dove le donne, vittime di omicidi, discriminazioni,
stereotipi e pregiudizi, potrebbero contare di più se fossero consapevoli del ruolo subalterno
a cui sono spesso costrette. Il perno su cui gira l’incontro è il libro scritto dalla giornalista
Rai, Tiziana Ferrario, “Orgoglio e pregiudizi”, e le relatrici previste coprono vari settori della
società di oggi, dalla politica allo sport, dall’università al mondo letterario e all’economia.
L’appuntamento è organizzato dal Comitato Unico di Garanzia di Ateneo, presieduto dalla
co-fondatrice del GIO Elisabetta Strickland.

Per iscriversi all’Osservatorio Interuniversitario di genere visita il nostro sito
http://www.giobs.it/contatti.html
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