Mons. Giovanni Battista Scalabrini e l'emigrazione italiana in Brasile
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Mons. Giovanni Battista Scalabrini e l’emigrazione italiana in Brasile: pastoralità, educazione e identità nazionale (1888-1905) Roberto Sani Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata (Italy) roberto.sani@unimc.it Premessa Al principio degli anni Novanta, nel tentare una prima organica lettura del ruolo esercitato dalla Chiesa italiana di fronte all’imponente fenomeno dell’emigrazione di massa registratosi nella penisola a partire dalla seconda metà del secolo XIX, lo storico dell’emigrazione Gianfausto Rosoli rilevava come quello degli «istituti religiosi di tipo nuovo, cioè di ‘vita attiva’ e a prevalente indirizzo missionario», fosse ancora «un capitolo pressoché inesplorato della storia della Chiesa contemporanea», e come «ancora meno esplorato» risultasse «il rapporto tra espansione missionaria ed assistenza agli emigranti»1. La vera e propria lacuna storiografica segnalata dallo studioso appariva senza dubbio sorprendente sia per il progresso fatto registrare in Italia, nei decenni precedenti, dalle numerose e documentate ricerche sul rinnovamento della vita religiosa maschile e femminile a cavallo tra Ottocento e Novecento; sia, in particolare, per la vera e propria centralità rivestita dal fenomeno dell’emigrazione nella storia europea ed extraeuropea del medesimo periodo2. Gli studi condotti in questo stesso periodo, infatti, con riferimento ai secoli XIX e XX hanno evidenziato una sorprendente fioritura di nuovi istituti religiosi, soprattutto femminili. I dati di cui disponiamo attestano, al riguardo, la straordinaria ampiezza del fenomeno: a fronte dei circa 43 istituti religiosi maschili e femminili che, complessivamente, avevano visto la luce nei tre secoli precedenti (secoli XVI-XVIII), tra il 1801 e il 1973 sorsero nella penisola oltre 400 nuove fondazioni religiose femminili e poco meno di un centinaio maschili3. 1 G. Rosoli, Ordini e congregazioni religiose per l’emigrazione italiana, in L’emigrazione italiana 1870-1970. Atti dei colloqui di Roma 19-20 settembre 1989; 29-31 ottobre 1990; 28-30 ottobre 1991; 28-30 ottobre 1993, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione generale per gli archivi, 2002, 2 voll., II, pp. 1347-1348. 2 Gli studi e le ricerche sull’emigrazione italiana all’estero hanno conosciuto, negli ultimi decenni, un significativo sviluppo. Per un quadro d’insieme, si vedano: E. Franzina, Emigrazione transoceanica e ricerca storica in Italia: gli ultimi dieci anni (1978-1988), in «Altreitalie. Rivista internazionale di studi sulle migrazioni italiane nel mondo», I (1989), 1, pp. 6-57; M. Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 2002; e Id., Emigrazione italiana: il dibattito storiografico nel nuovo millennio, in «Studi Emigrazione», XL (2003), n. 150, pp. 376-396. Un’interessante riflessione di carattere epistemologico e culturale è offerta dal recente intervento di M. Colucci, Storia o memoria? L’emigrazione italiana tra ricerca storica, uso pubblico e valorizzazione culturale, in «Studi Emigrazione», XLIV (2007), n. 167, pp. 721-728. Tra i lavori più recenti: P. Corti, Emigranti, esuli, profughi. Origini e sviluppi dei movimenti migratori nel Novecento, Torino, Paravia-Bruno Mondadori, 2001; P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (eds.), Storia dell’emigrazione italiana. I. Partenze, Roma, Donzelli Editore, 2001; P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (eds.), Storia dell’emigrazione italiana. II. Arrivi, Roma, Donzelli Editore, 2002; M. Sanfilippo (ed.), Emigrazione e storia d’Italia, Cosenza, Pellegrini, 2003; L. Incisa di Camerana, Il grande esodo. Storia delle migrazioni italiane nel mondo, Milano, Corbaccio 2003; M. Colucci, S. Gallo, L’emigrazione italiana. Storia e documenti, Brescia, Morcelliana, 2015; M. Sanfilippo, M. Colucci, Guida allo studio dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 2010. 3 Cfr. G. Rocca, Donne religiose. Contributo ad una storia della condizione femminile in Italia nel sec. XIX e XX, Roma, Paoline, 1993. Sulla dimensione non solo italiana ma europea del fenomeno, si vedano: Cl. Langlois, Le catholicisme au féminin. Les congrégations françaises à supérieure générale au XIX siècle, cit.; P. Wjnants, Religieuses 1801-1975, t. I: Belgique-Luxembourg, Namur, Maastricht/Vaals, 1981; A.J. Alkemande, Vrouwen XIX, Geschiedenis van negentien religieuze congregaties, 1800-1850, Utrech, 1966 ; V. Faubell, Las Ordenes y Congregaciones religiosas 1
La maggior parte di questi nuovi istituti religiosi elesse come ambiti privilegiati – e talora esclusivi – del proprio apostolato, accanto all’impegno missionario (e più tardi, come vedremo, alla cura religiosa dei migranti), l’assistenza agli infermi e alla gioventù povera e diseredata, il recupero dei minori pericolanti e maggiormente a rischio dal punto di vista morale, la cura degli orfani e dell’infanzia abbandonata, la catechesi e l’animazione cristiana della gioventù nelle parrocchie e, soprattutto, l’istruzione ed educazione civile e religiosa dei fanciulli e ragazzi d’ambo i sessi e delle diverse classi sociali, per i quali istituirono scuole, convitti, collegi, educandati, corsi di formazione professionale e di avviamento ai mestieri artigiani e al lavoro agricolo4. All’origine di questa straordinaria fioritura di nuove fondazioni religiose di vita attiva e caritativa già a partire dall’età della Restaurazione (1815) si collocavano, indubbiamente, le nuove sfide poste alla Chiesa da una società in rapida e profonda evoluzione, nella quale le esigenze di riconquista cristiana, dopo le lacerazioni e i drammatici mutamenti prodotti dalla Rivoluzione francese e dalla legislazione napoleonica si saldavano alla secolarizzazione della mentalità e dei costumi suscitata in Italia e nel resto d’Europa dalle trasformazioni socio-economiche e culturali caratteristiche dell’età borghese5. Non sorprende, a questo riguardo, il delinearsi di una sorta di primato della formazione religiosa e della cura pastorale (cura animarum) nella Chiesa post-rivoluzionaria, il quale traeva alimento dall’accresciuta consapevolezza della scarsa efficacia della catechesi tradizionale, incentrata in larga misura sulla trasmissione mnemonica dei principi della fede (il catechismo): la catechesi di stampo tridentino, caratteristica dei secoli XVI-XVIII, rispondeva efficacemente alle esigenze di una società ancora saldamente cristiana, sebbene ormai rigidamente separata su base confessionale (cattolica, luterana, calvinista ecc.), ma appariva scarsamente incisiva di fronte all’atteggiamento di indifferenza e di estraneità al fenomeno religioso che doveva caratterizzare i secoli XIX e XX6. Al contempo, di fronte ai grandi rivolgimenti politici, economici e sociali crebbe la percezione che non bastava più l’assistenza intesa come mera elemosina, come esercizio episodico della carità, come occasionale intervento volto ad alleviare la fame e le sofferenze materiali dei poveri. La duplice esigenza di sovvenire alle necessità dei poveri e dei sofferenti e di riconquistare a Cristo una società che sembrava avere ormai smarrito ogni autentico riferimento alla fede e ai principi cristiani sfociò nella presa di coscienza che il nuovo orizzonte della carità fosse ormai un altro7. Le nuove fondazioni religiose che videro la luce già a partire dai primi decenni dell’Ottocento, a questo riguardo. furono portatrici di una forte esigenza di carità: di una carità, però, com’è stato osservato, intesa «non solo come assistenza (ad esempio, ospedaliera), ma anche (e soprattutto) come educazione, nella consapevolezza che una forma eminente della carità è appunto l’educazione»8. La scuola, sotto questo profilo, fu da esse concepita come lo strumento più efficace per la formazione cristiana delle nuove generazioni e tale formazione, a sua volta, venne considerata il modo più idoneo per riformare la società, per rinnovare i costumi, per ricostruire il tessuto sociale e y la educación en la España contemporánea, in J.M. Prellezo (a cura di), L’impegno dell’educare. Studi in onore di Pietro Braido, Roma, Las, 1991, pp. 113-184. 4 Cfr. R. Sani, «Ad Maiorem Dei Gloriam». Istituti religiosi, educazione e scuola nell'Italia moderna e contemporanea, Macerata, EUM, 2009. 5 Cfr. R. Sani, Spiritualità e ideali di vita religiosa in Francia e in Italia tra Rivoluzione e Restaurazione, in «Annali della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Macerata», I (2004), n. 1, pp. 337-355. 6 Cfr. R. Sani (ed.), Chiesa, educazione e società nella Lombardia del primo Ottocento. Gli Istituti religiosi tra impegno educativo e nuove forme di apostolato, Milano, Edizioni Centro Ambrosiano, 1996. 7 Cfr. R. Sani, Istruzione, educazione e carità, in L. Vaccaro (ed.), Storia religiosa dell’Italia, Milano, Centro Ambrosiano, 2 voll., II, 2016, pp. 517-539. 8 Cfr. M. Marcocchi, Indirizzi di spiritualità ed esigenze educative nella società post-rivoluzionaria dell’Italia settentrionale, in L. Pazzaglia (ed.), Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione, Brescia, La Scuola, 1994, p. 83. 2
civile cristiano che lo sviluppo del razionalismo illuministico prima e le vicende rivoluzionarie e napoleoniche in seguito, avevano lacerato. 1. – La Chiesa e l’assistenza religiosa agli emigrati italiani nel continente americano. I difficili esordi: dai primi decenni del secolo XIX alla metà degli anni Ottanta È in questo scenario, com’è noto, che a partire dagli anni Trenta e per tutto il corso del secolo XIX prende corpo il processo migratorio, destinato abbastanza presto ad assumere dimensioni di massa9 e a suscitare, in Italia come in altri paesi del Vecchio Continente, l’interesse e le sempre maggiori preoccupazioni della Chiesa cattolica per la grave minaccia costituita da tale fenomeno per la fede e l’identità religiosa delle popolazioni. Le cifre – ha sottolineato Gianfausto Rosoli – parlano di circa 60 milioni di europei recatisi oltre Atlantico, specie in America e in Oceania, tra 1830 e 1930. Non tutti i paesi cattolici sono stati ugualmente interessati, né tutti i gruppi hanno sperimentato i medesimi problemi dal punto di vista religioso, almeno non allo stesso livello. Tra le nazioni emigratorie primeggiano Irlanda, Germania, Italia e Polonia. […] Le difficoltà maggiori per l’assistenza religiosa sembrano essere esistite proprio per quei gruppi che, come gli italiani, si trovavano ad attraversare un momento particolarmente difficile della vita istituzionale, sociale e religiosa. […] La questione che si poneva, in sostanza, era la stessa sopravvivenza della fede in masse ormai incontrollabili e che si temeva diventassero preda dell’irreligione e dell’apostasia collettiva, come ben preso si incominciò a dire anche nel linguaggio ufficiale della Chiesa 10. A differenza di altri paesi europei caratterizzati da elevati livelli migratori, come l’Irlanda, la Germania, la Spagna e la Polonia, i quali assicurarono fin da principio la presenza, accanto ai fedeli emigranti, di un clero secolare e regolare numericamente sufficiente e adeguatamente preparato sotto il profilo religioso e pastorale11, l’emigrazione italiana, inizialmente, poté contare nei paesi di approdo sull’assistenza spirituale di un numero di sacerdoti e religiosi decisamente esiguo e, soprattutto, scarsamente preparati ad affrontare le nuove sfide poste dal fenomeno migratorio12. Casualità, improvvisazione, disorganizzazione, scarsa progettualità e assenza di competenze pastorali specifiche furono i tratti caratteristici dell’assistenza religiosa offerta in questa prima fase agli emigranti italiani da diversi sacerdoti secolari già presenti nei paesi di approdo, taluni dei quali con un passato burrascoso in patria e senza alcuna disciplina ecclesiastica13. Significative, a questo riguardo, sono le riflessioni retrospettive formulate dallo scalabriniano padre Pietro Maldotti in una relazione inviata nel 1898 a mons. Giovanni Battista Scalabrini: E noi – egli scriveva – che preti secolari abbiamo mandato in regalo ai nostri coloni? […] I due terzi dei nostri preti al Brasile, sono il vero flagello di quella povera chiesa e delle anime. Scappati dalle loro diocesi, dopo aver messo in croce il loro Vescovo, pieni di vizi e di delitti, trovarono laggiù una vera cuccagna, un campo vastissimo da scorazzare e da 9 Cfr. J.D. Gould, European Inter-continental Emigration, 1815-1914: Patterns and Causes, in «The Journal of European Economic History», VIII (1979), 3, pp. 593-679; Id., European Inter-continental Emigration. The Road Home: Return Migration from the USA, in «The Journal of European Economic History», IX (1980), 1, pp. 41-112; G. Rosoli, Un quadro globale della diaspora italiana nelle Americhe, in «Altreitalie. Rivista internazionale di studi sulle migrazioni italiane nel mondo», IV (1992), 8, pp. 8-24. 10 G. Rosoli, Ordini e congregazioni religiose per l’emigrazione italiana, cit., pp. 1348-1349. 11 Cfr. R. Azzi, A Igreja e os Migrantes. I: A migração italiana e os primórdios da obra escalabriniana no Brasil (1884-1904), São Paulo, Edições Paulinas, 1987, pp. 74-75. 12 Cfr. G. Rosoli, I movimenti di migrazione e i cattolici, in E. Guerriero, A. Zambarbieri (eds.), Storia della Chiesa. XXXII/1. La Chiesa e la società industriale (1878-1922), Milano, Paoline, 1990, pp. 497-526; e Id., Movimenti migratori e nuove forme di carità e di assistenza, in M. Guasco, E. Guerriero, F. Traniello (eds.), Storia della Chiesa. XXXIII. I cattolici nel mondo contemporaneo (1922-1958), Milano, Paoline, 1990, pp. 454-471. 13 Con specifico riferimento al sud del Brasile, si veda l’importante studio di A. Rubert, Clero secular italiano no Rio Grande do Sul: 1815-1930, Santa Maria, Ed. Pallotti, 1977. 3
sfruttare. La loro audacia e le distanze sterminate dai Vescovi locali li rese impuniti e impunibili quasi sempre. Vero branco di lupi rapaci14. Ciò spiega perché, tanto in Europa, quanto in particolare nel continente americano e negli altri territori d’oltreoceano, la S. Congregazione di Propaganda Fide abbia sollecitato a più riprese, e fin dagli anni Quaranta del secolo XIX, taluni istituti religiosi missionari di antica fondazione, già presenti sul territorio, ad affiancare ed integrare l’operato del clero secolare e a destinare alcuni membri di origine italiana all’assistenza e alla cura pastorale dei loro connazionali immigrati 15. È il caso, ad esempio dei Frati Minori Cappuccini, dei Lazzaristi, dei Passionisti, dei Gesuiti, dei Francescani Conventuali e dei Servi di Maria, per citare solo quelli maggiormente coinvolti, ai quali si affiancarono ben presto anche alcune comunità monastiche di Benedettini e Camaldolesi16. L’apporto offerto dagli istituti missionari di antica fondazione e dalle comunità monastiche all’assistenza religiosa degli immigrati italiani fu assai rilevante sotto il profilo quantitativo17, specie nel continente americano, anche se il loro impegno pastorale, di stampo molto tradizionale e scarsamente specializzato, contribuì solo parzialmente a migliorare la situazione18. In realtà, a rendere decisamente molto difficile, e a tratti quasi impossibile, l’attività pastorale e l’assistenza religiosa dei sacerdoti e religiosi italiani nei riguardi dei loro connazionali immigrati contribuirono senza dubbio, specie nel continente americano, anche le difficoltà legate alla mancanza di collegamenti e alla vera e propria dispersione degli emigrati in territori immensi, come pure, specie nelle grandi città, alla carenza di collaborazione tra il clero indigeno e i missionari italiani e alle vere e proprie resistenze frapposte talora, per diverse ragioni, dalle chiese locali. Particolarmente grave, sotto questo profilo, si presentava la situazione in Brasile, dove, ancora negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, il quadro dell’assistenza religiosa e della cura pastorale alle popolazioni italiane immigrate presentava notevoli lacune. Al riguardo, nella sua già ricordata Relazione sull’operato della missione del porto di Genova dal 1894 al 1898 e sui due viaggi al Brasile (1898), il padre Pietro Maldotti lamentava: Ecclesiasticamente il Brasile è diviso in diciassette Diocesi, due delle quali, Amazonas e Parà, con una superficie di quasi 3.000.000 di Kmq. […] Troppo pochi pastori per un gregge di 18 milioni di anime disperse in un territorio enorme, con una quasi assoluta deficienza di mezzi di comunicazione. […] Il Clero indigeno è scarsissimo. Ho trovato delle Diocesi di un milione di Km di superficie con una quindicina di sacerdoti, compresi alcuni missionari19. 14 P. Maldotti, Relazione sull’operato della missione del porto di Genova dal 1894 al 1898 e sui due viaggi al Brasile, Genova, Tipografia della Gioventù, 1898; ora riedito in La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, «Studi Emigrazione», V (1968), n. 11-12, pp. 419-480 (la citazione riportata nel testo è a p. 445). 15 Cfr. S.M. Di Giovanni, The Propaganda Fide and the «italian problem», in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), Roma, Centro Studi Emigrazione, 1989, pp. 443-452. 16 Tra i non molti studi sull’attività pastorale e sull’assistenza religiosa fornita agli immigrati italiani dagli istituti missionari di antica fondazione, si veda in particolare: Metodio da Nembro, Storia dell’attività missionaria dei Minori Cappuccini nel Brasile (1538? – 1889), Roma, Istituto Storico dei Frati Minori Cappuccini, 1958 ; J.O. Beozzo, O clero italiano no Brasil, in L.A. De Boni (ed.), A presença italiana no Brasil, Porto Alegre, EST, 1987, pp. 34-62; R. Costa, Il contributo del clero italiano alla colonizzazione rio-grandense, in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit., pp. 411-429. 17 Cfr. R. Gonzáles, Iglesia e inmigración en la Argentina, 1810-1914, in La immigración en la Argentina, Tucumán, Universidad Nacional de Tucumán, 1979; e soprattutto i numerosi riferimenti contenuti in W. Henkel, La Chiesa in America Latina, in J. Metzler (ed.), Storia della Chiesa. Vol. XXIV. Dalle missioni alle chiese locali (1846-1965), Milano, Paoline, 1990. 18 Cfr. J.O. Beozzo, O clero italiano no Brasil, in L.A. De Boni (ed.), A presença italiana no Brasil, Porto Alegre, EST, 1987, pp. 34-62; J. Hennesey, Italian immigration and the Church in the United States, in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit., pp. 431-442. 19 P. Maldotti, Relazione sull’operato della missione del porto di Genova dal 1894 al 1898 e sui due viaggi al Brasile, cit., p. 433. 4
Ma non era solo un fatto di distanze immense, scarsi scollegamenti e forti carenze del clero indigeno destinato alla cura animarum. In una relazione fatta pervenire alla S. Congregazione di Propaganda Fide già il 4 settembre 1889, a questo proposito, mons. Giovanni Battista Scalabrini aveva offerto un quadro decisamente più ricco e articolato delle ragioni che avevano impedito, fino a quel momento, l’implementazione di una solida e funzionale opera di assistenza religiosa e di cura spirituale per gli italiani emigrati in Brasile: Eminenza Rev.ma – scriveva il vescovo di Piacenza al card. Giovanni Simeoni, prefetto della S. Congregazione di Propaganda Fide –, in omaggio al desiderio espressomi dall’Eminenza Vostra, eccomi a darle relazione più particolareggiata delle tristi condizioni in cui versano i nostri Missionari e connazionali nel Brasile. La immigrazione italiana colà, che secondo i calcoli più recenti, tocca approssimativamente i 350 mila, ed è distribuita nei territori delle varie provincie dell’impero, vale a dire sopra un’estensione vasta quanto l’Europa, dove le distanze sono immense, dove i fiumi, le foreste vergini e il piano spopolato sono spesso difficoltà insuperabile, sempre difficile a vincersi. E aggiungeva: Ora, data una tale condizione di cose, l’opera del Missionario, già per sé stessa difficile e faticosa, diventa affatto impossibile e infruttuosa ove non abbia piena libertà di azione, ove non possa a suo arbitrio fare da parroco ai nostri connazionali ogni qualvolta ne sia richiesto da essi e ovunque si trovi. […] Ma, ohimè! Il povero Missionario non ha le facoltà per quella parrocchia; il parroco le facoltà non volle concederle, poiché fra due o tre anni, quando gli tornerà comodo o gli parranno abbastanza agiati i coloni, passerà lui non per mietere la messe santa delle anime, ma per fare turpe mercato delle cose di Dio. […] È necessario vi si ponga riparo e presto, perché simili vergogne non solo rendono odiosa la religione e forniscono un pretesto agli spiriti spregiudicati o malevoli per combatterla e deriderla, ma gettano il dubbio e la miscredenza in quelle povere anime semplici dei coloni20. Mons. Scalabrini si riferiva, naturalmente, all’ostruzionismo dei parroci locali, che non intendevano lasciarsi sfuggire alcun ‘diritto di stola’ (per matrimoni, battesimi, funerali) che a loro spettava e, dunque, pur non facendosi carico della cura pastorale delle comunità di immigrati italiani presenti nel territorio della parrocchia non concedevano l’autorizzazione ad esercitare tale opera di assistenza religiosa ai sacerdoti e missionari italiani nella loro giurisdizione parrocchiale. Una questione, quest’ultima, che si aggiungeva alle difficoltà frapposte nelle aree rurali, e soprattutto nelle piantagioni di caffè, dai grandi proprietari terrieri nei riguardi di ogni forma di assistenza ai lavoratori italiani da parte dei missionari: La colonia italiana di S. Paulo – è stato giustamente sottolineato –, la maggiore del Brasile, che veniva valutata all’inizio del secolo attorno al mezzo milione di italiani, poneva dei problemi pastorali non indifferenti, specie per gli italiani disseminati all’interno dello stato, e che risultavano i più abbandonati. […] Infatti, se molti emigranti si fermavano in città, la maggior parte di loro si recava inizialmente nelle circa 2.500 fazendas sparse all’interno con l’intento di conseguire in breve dei risparmi. Nelle fazendas gli emigranti lavoravano in condizioni durissime, come braccianti salariati, in genere a cottimo, alle dipendenze di fazendeiros in gran parte dispotici e sfruttatori, con conseguenze negative sia sul piano morale che religioso. La stessa pratica religiosa veniva molte volte ostacolata, così come la visita del missionario necessitava del nulla osta del proprietario21. 2. – La Chiesa e l’emigrazione italiana in America: il ruolo delle nuove fondazioni religiose tra Otto e Novecento 20 Relazione di G.B. Scalabrini a Propaganda Fide (card. Giovanni Simeoni) sullo stato della Congregazione, Piacenza 4 settembre 1889, in Archivio Generale Scalabriniano presso Istituto Storico G.B. Scalabrini – Roma (in seguito: AGS), BA 02-01-01a; ora edito in G. Terragni, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli Emigrati. Aspetti istituzionali 1887-1905, Napoli, Autorinediti, 2014, pp. 216-218 (il passo citato nel testo è a p. 217). 21 G. Rosoli, Chiesa ed emigrati italiani in Brasile: 1880-1940, in Chiesa ed emigrazione italiana tra '800 e '900, «Studi Emigrazione», XIX (1982), n. 66, pp. 228-229. Ma si veda anche G. Rosoli, Le organizzazioni cattoliche e gli emigrati italiani in Brasile, in R. De Felice (ed.), L’emigrazione italiana in Brasile 1800-1978, Torino, Fondazione G. Agnelli, 1980, pp. 191-233. 5
Gli studi sull’emigrazione italiana nel continente americano documentano la sempre maggiore presenza, a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, degli istituti religiosi maschili e femminili di nuova fondazione. Mary Ewens, ad esempio, ha rilevato che 91 delle 119 congregazioni religiose attive negli Stati Uniti nel XIX secolo erano di origine europea22. Secondo Rubén Gonzáles, tra il 1854 e il 1914 si sono stabiliti in Argentina 28 istituti religiosi maschili e 38 femminili di origine europea, tra cui spiccano le fondazioni di origine italiana 23. Werner Henkel, infine, ha ricordato come, all’inizio del secolo XX, fossero presenti in Brasile solo 5 congregazioni religiose femminili con 2.462 suore; nel corso dei settant’anni successivi il loro numero è salito a 325, con 41.309 religiose24. Una presenza e un impegno, quelli delle nuove fondazioni religiose, che scaturivano in larga misura da casualità, da motivi occasionali e non da un piano preordinato: il servizio agli emigrati italiani nel continente americano, infatti, non appartiene al carisma originario di questi istituti. In molti casi, anzi, esso costituisce un’esperienza destinata ad esaurirsi nell’arco di qualche anno, o, al massimo, di qualche decennio. E, tuttavia, una presenza e un impegno destinati a colmare un vuoto, ad incidere significativamente sulla crescita religiosa dei singoli e delle comunità italiane all’estero. A titolo puramente esemplificativo, e senza alcuna pretesa di esaustività, tra i nuovi istituti religiosi maschili e femminili maggiormente coinvolti, specie nel corso della seconda metà del secolo XIX, nell’assistenza religiosa e nella cura pastorale delle popolazioni italiane emigrate in America debbono essere ricordati i Maristi di Marcellino Champagnat (Lyon 1816), i Pallottini (Società dell’Apostolato Cattolico) fondati da don Vincenzo Pallotti (Roma 1839), i Salesiani (Società Salesiana) di don Giovanni Bosco (Torino 1859); e ancora: i Giuseppini (Congregazione di San Giuseppe) di don Leonardo Murialdo (Torino 1873), i Dehoniani (Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù) del padre Léon Gustave Dehon (Soissons 1877) e, infine, i Figli della Divina Provvidenza (Piccola Opera della Divina Provvidenza) fondati da don Luigi Orione (Tortona 1903)25. Ancora più nutrita è la schiera delle fondazioni femminili, tra le quali ricordiamo: le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea di Antonia Maria Verna (Rivarolo Canavese 1806), le Suore di S. Giuseppe di Chambéry di Jean Marcoux (Chambéry 1817), le Figlie di Nostra Signora dell’Orto istituite da mons. Antonio Maria Gianelli (Chiavari 1829), le Suore Giuseppine (Suore di San Giuseppe di Cuneo) fondate da don Bartolomeo Manassero (Cuneo 1831), le Suore di Santa Dorotea di Paola Frassinetti (Genova 1836), le Figlie di Nostra Signora della Misericordia di Maria Rossello (Albissola 1837), le Sorelle della Misericordia istituite da don Carlo Steeb (Verona 1840); e inoltre: le Figlie di Sant’Anna fondate da Rosa Gattorno (Piacenza 1865), le Figlie di Maria Ausiliatrice istituite da don Giovanni Bosco e Maria Domenica Mazzarello (Torino 1872), le Suore Cappuccine di Francesca Maria Rubatto (Loano 1885), le Oblate del S. Cuore di Gesù di 22 M. Ewens, The leadership of nuns in immigrant Catholicism, in R.R. Ruether, R.S. Keller, (eds.), Women and religion in America, I: The Nineteenth Century, San Francisco, Harper & Row, 1981, p. 103. 23 R. Gonzáles, Iglesia e inmigración en la Argentina, 1810-1914, in La immigración en la Argentina, Tucumán, Universidad Nacional de Tucumán, 1979, pp. 89-121. 24 W. Henkel, La Chiesa in America Latina, in J. Metzler (ed.), Storia della Chiesa. Vol. XXIV. Dalle missioni alle chiese locali (1846-1965), Milano, Paoline, 1990, p. 630. 25 Tra i non molti studi dedicati all’operato di tali fondazioni religiose maschili nell’ambito dell’assistenza religiosa e della cura pastorale degli italiani emigrati oltreoceano segnaliamo: G.M. Balen, Opera di sacerdoti e congregazioni italiane nel progresso religioso, nello sviluppo dell’arte, dell’istruzione e dell’assistenza nello Stato, in La cooperazione degli italiani al progresso civile ed economico del Rio Grande do Sul, Porto Alegre, Globo, 1925, pp. 151-192; F. Amoroso, S. Vincenzo Pallotti romano, Roma, Società Apostolato Cattolico, 1962; E. Scarzanella, Italiani d’Argentina. Storie di contadini, industriali e missionari italiani in Argentina, 1850-1912, Venezia, Marsilio, 1983; G. Rosoli, Impegno missionario e assistenza religiosa agli emigranti nella visione e nell’opera di don Bosco e dei Salesiani, in F. Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, SEI, 1987, pp. 289-329; F. Motto, Vita e azione della parrocchia nazionale salesiana dei Santi Pietro e Paolo a San Francisco (1897-1930). Da colonia di paesani a comunità di italiani, Roma, LAS, 2010. 6
Teresa Casini (Roma 1881), le Minime del Sacro Cuore di Maria Margherita Caiani (Poggio a Caiano 1896), e le Piccole Suore Missionarie della Carità (Piccola Opera della Divina Provvidenza) fondate da don Luigi Orione (Tortona 1915)26. Una presenza massiccia, quella offerta dai nuovi istituti religiosi maschili e femminili sorti nel corso dell’Ottocento, e uno straordinario impegno esercitato, tanto sul versante del sostegno alla vita religiosa e della cura pastorale, quanto su quello assistenziale ed educativo, a favore delle comunità degli immigrati italiani nel continente americano. Una presenza e un impegno – deve essere rilevato – ancora troppo poco approfonditi in sede storiografica. Ma accanto a quelle sopra ricordate, non sono mancate neppure le fondazioni religiose direttamente legate all’esperienza migratoria. Nel caso del Brasile, ad esempio, deve essere ricordata l’attività delle Piccole Suore dell’Immacolata Concezione, l’istituto femminile fondato a Nova Trento (Santa Catarina) nel 1890 da Paulina do Coração Agonizante de Jesus, al secolo Amabile Lucia Wisintainer, un’emigrata trentina trasferitasi in Brasile con i suoi paesani negli anni della grande emigrazione (1875)27. Nel caso dell’Argentina, assai significativi sono i casi delle Suore di S. Antonio Padova, l’istituto femminile fondato a Buenos Aires nel 1889 dall’italiana Antonia Luisa Cerini, emigrata da bambina dalla natia Castellanza in America nel 1839, e quelli delle Francescane Missionarie e dei Missionari Catechisti di Cristo Re, istituiti rispettivamente nel 1878 e nel 1895, il primo dal frate francescano Quirico Porreca e il secondo dal religioso domenicano Davide Ghiringhelli28. Le esperienze maggiormente significative su questo versante, tuttavia, furono senza dubbio quelle relative agli istituti religiosi maschili e femminili specializzati, ovvero quelli che fin dalle origini ebbero come obiettivo unico ed esclusivo del proprio apostolato – come carisma specifico – quello della cura pastorale degli emigrati italiani all’estero. È il caso, innanzi tutto, dei Missionari di S. Carlo Borromeo per gli emigrati, meglio noti con l’appellativo di Scalabriniani, istituiti a Piacenza nel 1887 da mons. Giovanni Battista Scalabrini29, sui quali torneremo più diffusamente fra poco, in virtù della vera e propria centralità da essi rivestita nel quadro dell’assistenza e della cura religiosa all’emigrazione italiana; delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, fondate a Codogno nel 1880 da madre Francesca Saverio Cabrini, le quali, a partire dal 1889 furono il primo istituto religioso femminile ad occuparsi degli emigranti italiani nel continente americano30; delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, istituite a 26 Cenni sul servizio prestato da tali istituti religiosi femminili in favore delle popolazioni italiane emigrate nel continente americano si ritrovano in: N.T. Auza, L.V. Favero, Iglesia e inmigración, Buenos Aires, CEMLA, 1991; D. Ruocco, L’Uruguay e gli italiani, Roma, Società Geografica Italiana, 1991, pp. 304-313; G. Rosoli, Ordini e congregazioni religiose per l’emigrazione italiana, cit., pp. 1346-1365; M.S. Garroni (ed.), Sorelle d’oltreoceano. Religiose italiane ed emigrazione negli Stati Uniti: una storia da scoprire, Roma, Carocci, 2008; M. Sanfilippo, Chiesa, ordini religiosi ed emigrazione, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (eds.), Storia dell’emigrazione italiana. I. Partenze, Roma, Donzelli Editore, (2001) 2009², pp. 128-129; G. Loparco, Missionarie tra gli emigranti, in «Consacrazione e Servizio», 58 (2009), n. 7, pp. 20-26. 27 Cfr. G. Lorenzi, La Beata Madre Paolina fra carisma e obbedienza, Milano, Àncora, 1991. 28 Cfr. R. Gonzáles, Iglesia e inmigración en la Argentina, 1810-1914, in La immigración en la Argentina, cit., pp. 114- 116. 29 Cfr. M. Francesconi, Storia della Congregazione Scalabriniana, Roma, Centro Studi Emigrazione, 6 voll., 1969- 1982; A. Perotti, La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, numero speciale di «Studi Emigrazione», V (1968), 11-12, pp. 1- 198; C. Bellò, Scalabrini, Bonomelli e l’emigrazione italiana, in «Studi Emigrazione», XII (1975), pp. 3-46; G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit.; G. Terragni, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli Emigrati. Aspetti istituzionali 1887-1905, Napoli, Autorinediti, 2014. 30 Cfr. N. Vian, Madre Cabrini, Brescia, Morcelliana, 1938; G. Dall’Ongaro, Francesca Cabrini. La Santa che conquistò l’America, Milano, Rusconi, 1982; M.L. Sullivan, Scalabrini and Mother Cabrini, in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit., pp. 371-388; Ead., Madre Cabrini e le sue missionarie negli Stati Uniti: fonti esistenti presso il Cabrini College di Radnor, Pennsylvania, in L’emigrazione italiana 1870-1970. Atti dei colloqui di Roma 19-20 settembre 1989; 29-31 ottobre 1990; 28-30 ottobre 1991; 28-30 ottobre 1993, cit., II, pp. 1170-1190; 7
Viareggio nel 1894 dalla madre Clelia Merloni31; e, infine, delle Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli emigrati (originariamente denominate Ancelle degli orfani e dei derelitti all’estero), più note con l’appellativo di Suore Scalabriniane, fondate nel 1895 a Piacenza dallo stesso mons. Giovanni Battista Scalabrini32. Proprio la nascita e lo sviluppo di tanti istituti religiosi operanti nel campo sociale e della carità – ha ricordato ancora Gianfausto Rosoli –, secondo forme assistenziali sia tradizionali che più moderne, rappresenta uno dei segni della vitalità della Chiesa da Pio IX in poi. […] L’assistenza religiosa ai connazionali è stato uno dei canali privilegiati della diffusione dei nuovi istituti religiosi all’estero, non solo per rispondere ai bisogni impellenti e disattesi, ma anche per ragioni di solidarietà ai «più prossimi»33. 3. – Mons. Giovanni Battista Scalabrini e i due rami, maschile e femminile, della Congregazione Scalabriniana All’origine della fondazione dell’Istituto dei Missionari di S. Carlo Borromeo per gli emigrati (1887) si colloca la consapevolezza del vescovo di Piacenza, mons. Giovanni Battista Scalabrini, che il fenomeno dell’emigrazione all’estero non era episodico, ma strutturale e destinato ad assumere dimensioni massicce e che costituisse una ‘valvola di sfogo’ necessaria per un paese economicamente arretrato e privo di una struttura produttiva moderna. L’emigrazione – egli scriveva nel 1887 – è un fatto naturale, provvidenziale. È una valvola di sicurezza data da Dio a questa travagliata società. […] L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità ineluttabile. Senza dubbio fra gli emigranti vi sono anche cattivi soggetti, vagabondi e viziosi: ma costoro sono il minor numero. La immensa maggioranza, per non dire la totalità di coloro che espatriano, per recarsi nella lontana America, non sono di questa tempra; non fuggono l’Italia per aborrimento del lavoro, ma perché questo loro manca e non sanno come vivere e mantenere la propria famiglia34. Il presule lombardo era altresì persuaso che il nuovo Stato unitario sorto nel 1861 non fosse realmente in grado di garantire assistenza e protezione agli italiani emigrati all’estero, sia per le gravi lacune della legislazione in materia, sia per la scarsa e poco efficiente rete dei consolati italiani presenti e operanti nei paesi d’immigrazione, sia infine per la carente e superficiale attenzione manifestata dalla classe dirigente liberale e dall’opinione pubblica nei riguardi del problema. Di qui la piena convinzione del presule lombardo che fosse compito della Chiesa sopperire alle carenze dell’intervento pubblico e farsi carico delle necessità materiali e spirituali degli italiani emigrati all’estero. Ma nel sanare le piaghe che affliggono l’emigrazione italiana – affermava ancora mons. Scalabrini –, le leggi, o Signori, non bastano, perché talune di queste piaghe sono alla natura stessa della emigrazione inerenti, altre derivano da cause remote che sfuggono al controllo delle leggi, e anche alle migliori leggi del mondo e cogli agenti di essa numerosi e perfetti, non si arriverebbe ad estirpare quei mali. […] È qui, o Signori, che deve incominciare l’opera delle classi dirigenti, qui dove quella delle leggi e del governo finisce 35. 31 Cfr. Una vita e un’opera. Nel centenario della nascita di madre Clelia Merloni, fondatrice della congregazione delle Suore Missionarie Zelatrici del S. Cuore di Gesù (1861-1961), Roma, Edizioni Casa Generalizia, 1961. 32 Cfr. L.M. Signor, Il progetto pastorale di Scalabrini e la fondazione delle Suore Missionarie Scalabriniane, in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit., pp. 349-370 33 G. Rosoli, Ordini e congregazioni religiose per l’emigrazione italiana, cit., pp. 1349-1351. 34 L’emigrazione italiana in America. Osservazioni di Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, Piacenza, Tipografia dell’Amico del Popolo, 1887; riedito in La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, cit., pp. 201-230 (da cui citiamo), p. 203. 35 G.B. Scalabrini, L’emigrazione degli operai italiani, in Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici in Italia, Atti e Documenti del XVI Congresso Cattolico Italiano tenutosi in Ferrara nei giorni 18-21 aprile 1899, Venezia, Tip. 8
Per il vescovo di Piacenza, d’altra parte, l’emigrazione di massa costituiva non solamente una drammatica sfida sociale ed economica per il nuovo Stato unitario, ma anche, e soprattutto, una sfida sul piano religioso, una minaccia gravissima per la fede cristiana delle popolazioni e per il futuro della religione cattolica. A questo riguardo, nel sottoporre alla S. Congregazione di Propaganda Fide il progetto del suo istituto religioso maschile, il 16 febbraio 1887, mons. Scalabrini sottolineava: È necessario provvedere ai bisogni spirituali di tante centinaia di migliaia di nostri connazionali, ed è urgente di provvedere al più presto. Qualora si differisse più oltre, irreparabili ne sarebbero i danni. L’incredulità, l’eresia, e soprattutto la framassoneria, che in America è potentissima, si adopra attivamente per impadronirsi della mente e del cuore degli emigranti36. E ancora, in altra sede: Ma ciò che più rattrista in tutto questo, è il pensiero che la maggior parte dei mali religiosi, morali, economici, ai quali si espone la nostra emigrazione potrebbero evitarsi o impicciolirsi d’assai, qualora le classi dirigenti in Italia fossero consce dei doveri che li lega ai fratelli espatriati37. Per il presule lombardo esisteva uno strettissimo legame tra l’identità nazionale e comunitaria e l’appartenenza religiosa delle popolazioni, specie di quelle più povere e neglette (contadini e operai)38. Sotto questo profilo, l’abbandono del proprio paese e della comunità d’origine (sradicamento geografico), l’indebolirsi dei legami parentali e comunitari (sradicamento affettivo), il vero e proprio ‘spaesamento’, infine, e la perdita dei punti di riferimento tradizionali che l’emigrazione all’estero comporta (disgregazione culturale e smarrimento dell’identità) costituivano, a suo avviso, le drammatiche premesse della disaffezione dai valori morali e religiosi tradizionali, dell’abbandono della fede cristiana: Ma chi potrebbe descrivere, o signori – egli affermava –, i pericoli ai quali vanno incontro i nostri poveri emigrati in ordine alla vita religiosa? […] Smarriscono il sentimento di nazionalità, e con esso, cosa che stringe il cuore, a pensarvi, il sentimento della Cattolica Fede. […] La privazione di quel pane spirituale che è la parola di Dio, l’impossibilità di riconciliarsi con Lui, la mancanza del culto e di ogni eccitamento al bene, esercita, o signori, un’influenza mortifera sul morale del popolo39. Patriarcale già Cordella, 1899; riedito in La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, cit., p. 300. 36 Progetto di un’Associazione allo scopo di provvedere ai bisogni spirituali degli italiani emigrati nelle Americhe, Piacenza 16 febbraio 1887, in AGS / BA 01-02-04 a,b,c.; ora edito in G. Terragni, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli Emigrati. Aspetti istituzionali 1887-1905, cit., p. 195. 37 G.B. Scalabrini, L’emigrazione degli operai italiani, cit., p. 298. 38 «È da riflettere inoltre – scriveva nel 1887 mons. Scalabrini – che l’indole de’ nostri connazionali è di natura sua eminentemente pieghevole, sicché facilmente si adagiano alle condizioni dei luoghi e de’ popoli fra cui la Provvidenza li guida. L’avvenire pertanto religioso e morale delle nostre colonie in America dipenderà da quel tanto di religione e di moralità, che conserveranno codesti primi nuclei di popolazioni. Saranno essi informati a sentimenti civili e cristiani? […] La tendenza poi a stabilirsi in colonie dei nostri emigranti è un fatto che non va trascurato, e che renderà meno difficile il compito di chi dovrà indirizzarli. Il trascurarla ora che si tratta di scegliere bene la situazione delle future città e d’imprimer loro quel carattere di religiosità e d’italianità, dal quale devono dipendere la loro prosperità e la loro importanza avvenire, sarebbe errore imperdonabile. Quel carattere si deve imprimere subito. Ogni ritardo io credo fatale. Quel carattere sarà, a tacer d’altro, come il vincolo che li unirà indissolubilmente alla patria lontana, poiché più assai degli interessi materiali, è la comunione dei sentimenti religiosi e patriottici che vale a cementare in un modo infrangibile l’unità di un popolo» (L’emigrazione italiana in America. Osservazioni di Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, cit., pp. 226-227). 39 G.B. Scalabrini, L’emigrazione degli operai italiani, cit., pp. 295-296. 9
Un convincimento forte in mons. Giovanni Battista Scalabrini, destinato ad esercitare un notevole peso sulla sua visione della cura religiosa e pastorale degli emigrati italiani all’estero era quello in virtù del quale la conservazione dei caratteri etnico-culturali (inclusa la lingua materna) costituiva necessariamente la più incisiva e necessaria forma di difesa e di mantenimento di quella fede ‘popolare’ così tenacemente legata alle tradizioni e ai valori d’origine e così grandemente minacciata, se non addirittura compromessa nei nuovi contesti di arrivo dei migranti. Una fede, quella dei contadini e degli operai italiani che emigravano all’estero, che necessitava di una presenza concreta della Chiesa e degli ‘apparati’ della religione: Anche l’uomo istruito – scriveva il vescovo di Piacenza – è soggetto al pericolo di perdere la Fede, ma in minor grado poiché la sua educazione, la sua cultura, la conoscenza teorica della Religione, valgono in qualche modo a salvarlo dal gelo dell’indifferenza, potendo egli, se non altro, associarsi col pensiero ai Divini Misteri, che si celebrano altrove, e nutrire la mente di letture morali. Ma il povero figlio della gleba, come potrebbe assurgere a pensieri così elevati? Per lui, più che per altri, il concetto della religione è inseparabilmente unito a quello del Tempio e del Prete. Dove taccia ogni sensibile apparato religioso, egli a poco a poco dimentica i suoi doveri verso Dio, e la vita cristiana nel suo spirito illanguidisce e muore40. Sulla scorta di tali convincimenti, mons. Scalabrini, maturava una sua originale idea di istituto religioso dedito precipuamente alla cura pastorale delle popolazioni italiane emigrate all’estero, in particolare di quelle approdate sul continente americano: un’emigrazione non temporanea, dunque, ma in larga misura definitiva. Un istituto religioso, quello vagheggiato dal presule lombardo, in grado di riproporre nei luoghi di approdo dell’emigrazione italiana le caratteristiche della comunità ecclesiale d’origine, la quale, con particolare riferimento alla tradizione religiosa veneta e lombarda, era incentrata sul parroco e sulla parrocchia e caratterizzata da una pastorale comunitaria che aveva le sue dimensioni basilari nella liturgia e nella dispensa dei sacramenti, oltre che nella catechesi e nell’esercizio delle più diffuse pratiche devozionali. Una pastorale in grado di promuovere una fede capace di alimentare l’identità individuale e comunitaria e di ispirare ed animare le opere sociali e di supporto alla vita delle comunità locali: le casse di risparmio, le cooperative di lavoro, le scuole etniche e tutte quelle forme di solidarietà e di sostegno ai soggetti più deboli che si rendevano indispensabili nei nuovi e difficili contesti dell’emigrazione italiana oltreoceano. Di grande interesse, a questo riguardo, è l’originario Regolamento della Congregazione dei Missionari di San Carlo messo a punto da mons. Giovanni Battista Scalabrini il 19 settembre 1888, il quale, al capitolo primo, precisava: Scopo di tale Congregazione si è quello di mantenere viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica e di procurare per quanto è possibile il loro benessere morale, civile ed economico. Questo scopo la Congregazione lo raggiunge: 1. – Collo spedire Missionari e Maestri ovunque il bisogno degli emigrati lo richiegga; 2. – Coll’erigere nei varii centri delle Colonie italiane Chiese ed Oratorii e fondare Case di Missionari, donde possa diffondersi, mediante escursioni temporanee, l’azione loro civilizzatrice; 3. – Collo stabilire scuole, ove coi primi rudimenti della Fede s’impartiscano ai bambini dei coloni gli elementi della nostra lingua, del calcolo e della storia patria; […] 4. – Col favorire e promuovere quelle associazioni e quelle opere che si giudicheranno più adatte a conservare nelle Colonie stesse la Religione cattolica e la coltura italiana41. Altrettanto significativi risultano essere i successivi capitoli del Regolamento originario, laddove, in particolare, si parla della necessità di istituire scuole italiane per i figli degli immigrati nel continente americano e di affidarne la direzione preferibilmente ai coadiutori laici della congregazione: 40 Ibidem, pp. 296-297. 41 Regolamento della Congregazione dei Missionari di San Carlo, [19 settembre] 1888, in AGS / DE 22-04-07 b; ora edito in G. Terragni, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli Emigrati. Aspetti istituzionali 1887-1905, cit., pp. 201-202. 10
Capitolo IV: Disciplina interna –Ufficio dei laici sarà […] di assistere e coadiuvare i Missionari nell’esercizio delle loro funzioni. 6. Quelli tra i laici che avranno la patente di Maestro o una sufficiente cultura saranno impiegati nell’insegnamento del leggere e dello scrivere, del conteggio, della storia patria, e soprattutto del Catechismo. […] Capitolo XI: Impianto di scuole – 1) Oltre la diffusione e l’incremento della Religione dovrà pure il Missionario promuovere l’istruzione nelle Colonie. Quindi si darà premura di fare intendere l’importanza e l’utilità delle scuole, nelle quali si dovrà mantenere viva la lingua e la coltura italiana. 2) I maestri si dovranno scegliere possibilmente e preferibilmente tra i coadiutori laici dell’Istituto. 3) Per l’impianto di codeste scuole e per l’orario che concerne le medesime si prenderanno i debiti concerti coi capi delle Colonie42. Nella successiva Regola della Congregazione dei Missionari di S. Carlo per gl’Italiani emigrati, approvata nel 1895, la parte relativa alle scuole appariva meglio definita: Capitolo XIII – Impianto di scuole 1. Oltre la diffusione e l’incremento della Religione, dovrà pure il Missionario promuovere nelle colonie la istruzione. Quindi si darà premura di fare intendere l’importanza e l’utilità delle scuole, nelle quali insegnerà preferibilmente, cogli elementi del conteggio e dello scrivere, la lingua italiana e quella del paese [di accoglienza]. 2. I maestri si dovranno scegliere possibilmente e preferibilmente tra i fratelli laici della Congregazione. 3. Per l’impianto di coteste scuole, e per l’orario che riguarda le medesime, si prenderanno i debiti concerti coll’Ordinario locale e coi capi delle colonia 43. Per quel che concerne l’impianto spirituale conferito da mons. Giovanni Battista Scalabrini al nuovo istituto religioso dei Missionari di S. Carlo Borromeo per gli emigrati, sembra di poter dire che siamo di fronte ad una spiritualità sacerdotale ad hoc, nella quale si registra il recupero della grande tradizione ascetica del cattolicesimo post-tridentino: da Vincent Depaul a François de Sales e ad Alfonso Maria de’ Liguori44. Il capitolo XII del già ricordato Regolamento della Congregazione del 1888, a questo proposito, riflette appieno quella spiritualità ‘benignista’ tanto cara al santo vescovo di Ginevra e largamente presente nei documenti pastorali dello Scalabrini45: Capitolo XII: Vita del Missionario nelle Missioni – Il Missionario come operaio evangelico deve ricordarsi di essere obbligato a diffondere con la sua vita il buon odore di Gesù Cristo, e a predicare il Vangelo più coll’esempio che colle parole. Avrà cura pertanto […] di predicare le virtù proprie soprattutto del suo ministero, la carità, la dolcezza, la purità, la sobrietà, la modestia, la semplicità46. Soprattutto François de Sales (1567-1622), infatti, torna costantemente come modello e fonte d’ispirazione negli scritti sul sacerdozio e sulla vita religiosa di mons. Giovanni Battista Scalabrini: il santo Vescovo di Ginevra, com’è noto, suggerisce una prospettiva spirituale 42 Ibidem, pp. 204 e 210. 43 Regola della Congregazione dei Missionari di S. Carlo per gl’Italiani emigrati, Piacenza, Tip. Vescovile G. Tedeschi, 1895; ora riedito in G. Terragni, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli Emigrati. Aspetti istituzionali 1887-1905, cit., pp. 237-238. 44 Cfr. A. Prandi, Correnti e figure della spiritualità cattolica nei secc. XIX e XX, in La Chiesa cattolica nella storia dell’umanità, Fossano, Esperienze, 1966, 7 voll., V, pp. 91-97; M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, a cura di P. Borzomati, Torino, SEI, 1996; Ma si veda anche l’ampio e documentato affresco tracciato da M. Marcocchi, Scritti di spiritualità e vita religiosa tra Cinquecento e Novecento, Brescia, Morcelliana, 2006. 45 Cfr. M. Francesconi, La spiritualità di mons. Scalabrini, in G. Rosoli (ed.), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), cit., pp. 203-221. Ma si vedano anche i contributi raccolti in G. Parolin, A. Lovatin (eds.), L’ecclesiologia di Scalabrini. Atti del II Convegno Storico Internazionale (Piacenza, 9-12 novembre 2005), Roma, Urbaniana University Press, 2007. Un prezioso documento degli indirizzi ascetici del vescovo di Piacenza è costituito dal complesso delle sue lettere pastorali, ora raccolte e annotate in G.B. Scalabrini, Lettere Pastorali 1876-1905, edizione integrale a cura di Ottaviano Sartori, Torino, Società Editrice Internazionale, 1994. Ricco di riferimenti in materia è anche il ricco carteggio tra mons. Scalabrini e il vescovo di Cremona Geremia Bonomelli: C. Marcora (ed.), Carteggio Scalabrini Bonomelli (1868-1905), Roma, Studium, 1983. 46 Regolamento della Congregazione dei Missionari di San Carlo, [19 settembre] 1888, cit., pp. 209-210. 11
caratterizzata da grande concretezza, ricca di sapienza psicologica, aliena da complicazioni, nutrita di quotidianità e di senso della misura. Egli propone un ideale sacerdotale incentrato sull’esercizio di una pietà calda, affettuosa, ispirata da un forte ottimismo cristiano: carità e dolcezza rappresentano i mezzi più adeguati per guadagnare anime a Dio; l’amorevolezza è proposta come stile di vita, ma anche come stile pastorale ed educativo, come modalità più efficace per educare il popolo alla fede. Il punto centrale dell’insegnamento di François de Sales è che la perfezione cristiana – ovvero la santità – non è uno stato privilegiato, appannaggio di una minoranza di eletti; la perfezione cristiana è raggiungibile da tutti i fedeli a prescindere dalla condizione di vita in cui essi si trovano; essa si conquista non in virtù di gesti eroici o di pratiche religiose particolari, ma attraverso l’assolvimento da parte del cristiano dei doveri derivanti del proprio stato di vita e l’esercizio delle virtù ordinarie47. Alla luce di una simile prospettiva, si comprende bene che il mondo diviene il luogo dove il cristiano è chiamato a realizzare la propria perfezione; la vita quotidiana è il contesto ‘normale’ nel quale ciascun credente può realizzare la sua vocazione alla perfezione cristiana. In sostanza, una pastorale (e una spiritualità) calibrata sulla fragilità umana, quella proposta da François de Sales e fatta propria dal presule lombardo, capace di restituire significato alla fede dei tanti soggetti ‘sradicati’ e ‘spaesati’ per il forzato abbandono del luogo d’origine; di ricostituire l’unità fra l’identità civile e l’appartenenza religiosa dell’immigrato. Deve anche essere segnalato che lo stesso François de Sales e Vincent Depaul costituiscono i punti di riferimento di mons. Giovanni Battista Scalabrini per la fondazione, nel 1895, del ramo femminile delle Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli emigrati (Suore Missionarie Scalabriniane). In una relazione trasmessa nell’agosto del 1900 alla S. Congregazione di Propaganda Fide, ad esempio, il presule lombardo sottolineava come, per la creazione del suo istituto religioso femminile, egli avesse preso a modello proprio la Compagnia delle Figlie della Carità di Vincent Depaul, «le quali si adattano a vivere anche in quattro sole, e senza pretese fanno le prime scuole; insegnano il catechismo, e, dov’è possibile, assistono gli ammalati con tutte quelle cautele che la prudenza e l’esperienza suggeriscono»48. È altrettanto noto, del resto, che per la stesura delle Costituzioni e Regole da osservarsi da parte delle Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli emigrati, il vescovo di Piacenza si sia direttamente e largamente ispirato «alle Costituzioni delle Suore della Visitazione, fondate da S. Francesco di Sales»49. 4. – Una «pastorale etnica» per le comunità di italiani emigrate nel continente americano: mons. Giovanni Battista Scalabrini e i primi sviluppi della Congregazione Scalabriniana in Brasile (1888-1905) Mons. Giovanni Battista Scalabrini e i suoi Missionari di S. Carlo Borromeo sono stati, fin dalle origini, i fautori di una pastorale per gli emigrati italiani nel continente americano che puntava 47 Cfr. R. Sani Indirizzi spirituali e proposte educative dei nuovi istituti religiosi dell’Ottocento, in Id. (ed.), Chiesa, educazione e società nella Lombardia del primo Ottocento. Gli Istituti religiosi tra impegno educativo e nuove forme di apostolato (1815-1860), cit., pp. 124-138. 48 G.B. Scalabrini, Relazione dell’opera dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati italiani, 10 agosto 1900, in Scritti di mons. G.B. Scalabrini (ad uso interno), in AGS, 103/8, (a p. 182 del secondo tomo della raccolta di scritti scalabriniani). 49 Cfr. Brevi cenni sulla fondazione e sviluppo della Congregazione delle Suore Missionarie di S. Carlo anteriormente denominate Ancelle degli orfani e dei derelitti all’estero, in AGS, 103/7, p. 3. Ulteriori conferme si ritrovano in E. Martini, Memorie sulla fondazione della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo – Scalabriniane, in AGS, 103/8. 12
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