Master of Science Course in Materials Engineering - Webthesis
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POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Master of Science Course in Materials Engineering Master of Science Thesis Microplastics removal from discharge water: mitigation actions, overview and research perspectives Tutors Candidate Prof. Giancarlo Cicero Romina Arena Dott. Marco Laurenti December 2020
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali “You are the light of the world. […] Nor do people light a lamp and put it under a basket, but on a stand, and it gives light to all in the house.” Mt 5: 14-16 Dedicata a chi nella mia vita è Luce: è grazie a voi che il buio fa meno paura. Con immensa gratitudine.
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali Riassunto della Tesi di Laurea Magistrale (Sessione: Dicembre 2020) "Microplastics removal from discharge water: mitigation actions, overview and research perspectives" Candidato: Romina Arena Relatore: prof. Giancarlo Cicero Correlatore: dott. Marco Laurenti 1. Scopo, Metodo e Obiettivi raggiunti Questo lavoro di tesi si propone come prosecuzione ed estensione del lavoro svolto in occasione della Challenge proposta dal Politecnico di Torino in collaborazione con Rold, azienda italiana che si occupa della produzione di componentistica per elettrodomestici. Tale iniziativa, il cui titolo era “CLEAR - miCro pLastic freE wAteR”, aveva come obiettivo la costituzione di un team multidisciplinare per la progettazione di un dispositivo impiantabile nelle lavatrici di uso domestico per provare a mitigare l’emissione di microplastiche, nello specifico originate dagli abiti di origine sintetica durante i lavaggi. Scopo di questo elaborato è provare a fornire una visione quanto più completa e accurata dei metodi di rimozione dalle acque di scarico attualmente disponibili. Si presentano sia le tecnologie sviluppate su scala di laboratorio che quelle proposte su scala industriale. Vengono, inoltre, presentati metodi di prevenzione che possono essere applicati ai materiali per prevenire la produzione di microplastiche di origine tessile. Al fine di raggiungere tale obiettivo, si ricorre ad un’attenta ricerca bibliografica ed alla lettura di articoli selezionati e atti di convegno. In particolare, per ciascuno dei processi selezionati, sono state riportate le peculiarità e sono stati evidenziati i principali limiti, in maniera tale da fornire un quadro quanto più possibile oggettivo. Si propone, inoltre, un breve progetto di ricerca che estenda il quadro di analisi dalle microplastiche alle nanoplastiche. Il quadro emerso da tale ricerca evidenzia come, allo stato dell’arte, nessuna tecnica possa garantire tassi di rimozione del 100%. L’idea che ne deriva è quella di provare a creare dei sistemi che possano applicare simultaneamente due o più dei processi selezionati. Inoltre, considerando che in generale tutti i metodi di rimozione hanno evidenziato nelle limitazioni nella rimozione delle frazioni di microplastiche di più piccola dimensione, si dimostra necessario intervenire a monte sia sui materiali, applicando e creando dei trattamenti che limitino il deterioramento delle fibre e degli oggetti massivi a base polimerica, sia a livello legislativo con azioni concrete che I
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali limitino la produzione di prodotti contenenti microplastiche, come ad esempio prodotti per la cura personale. 2. Introduzione alla tematica L’utilizzo di materiali plastici è in costante aumento. Questo perché si tratta di materiali in grado di garantire eccellenti performance con un costo di produzione assolutamente contenuto. Alcune delle proprietà che più si apprezzano in questi materiali sono, ad esempio, la bassa densità, le basse conducibilità elettriche e termiche, la resistenza a corrosione, le proprietà barriera garantite da molti di essi contro acqua e ossigeno. Tuttavia, i materiali plastici subiscono facilmente degradazione, ovvero le macromolecole risultano progressivamente alterate a livello strutturale e chimico ed il materiale non può più, pertanto, garantire le condizioni di esercizio previste in fase di progetto. Tra i vari fattori che possono determinare questi processi di degradazione si trovano raggi UV, calore, acqua, azioni meccaniche, fuoco. Molto spesso, queste alterazioni chimiche e strutturali portano, a loro volta, ad avere dei fenomeni di frammentazione dei materiali plastici. Tali frammenti risultano particolarmente pericolosi, in quanto possono facilmente essere ingeriti dagli organismi marini e conseguentemente entrano nella catena alimentare. Di recente, questo fenomeno ha iniziato ad attirare le attenzioni della comunità scientifica. Tale fermento si è tradotto in un elevato numero di pubblicazioni scientifiche nell’ultimo triennio (2017-2020) e contestualmente anche in potenziali interventi legislativi volti a sancire un livello massimo di emissione e l’abolizione di prodotti di consumo, soprattutto del settore cosmetico, contenenti per formulazione microplastiche. A tal proposito, si segnalano due iniziative: nel 2019, l’ECHA, l’Agenzia Chimica Europea, ha proposto il banno delle Microplastiche dalla formulazione di prodotti per la cura del corpo e tale iniziativa dovrebbe divenire effettiva a partire dal 2030 e contestualmente l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, ha iniziato a studiare con grande attenzione le possibili conseguenze dell’ingestione di microplastiche sulla salute umana. Lo studio di questo fenomeno è risultato storicamente ostacolato dalla mancanza di una definizione chiara e disambigua di microplastiche. Allo stato attuale, si riconosce internazionalmente come definizione quella proposta dal GESAMP (Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection) per cui, con la parola microplastiche, si vanno a definire i frammenti plastici di dimensione inferiore a 5 mm, incluse le particelle in range nanometrico. Tuttavia, le microplastiche possono essere caratterizzate da forme (fibrosa, aciculare, sferica, cluster, …) e colori diversi e proprio in funzione di queste caratteristiche possono cambiare i meccanismi di ingestione da parte degli organismi marini. II
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali Mentre le prime osservazioni di isole di plastica nei giacimenti acquiferi (laghi, mari, oceani) risalgono ai primi anni Settanta, l’individuazione di microplastiche è solo più recente. In merito alla loro natura chimica, analisi spettroscopiche condotte sui campioni raccolti, evidenziano come queste siano perlopiù composte da materiali termoplastici ed in particolare da Polietilene (PE), Polipropilene (PP), Polivinilcloruro (PVC), Polistirene (PS) e Polietilentereftalato (PET). Inoltre, molto spesso sono state campionate fibre di Poliammide (PA). Meno frequente è la campionatura e l’individuazione di materiali termoindurenti. Tra questi, i più comuni sono schiume di poliuretano, adesivi e vernici perossidiche, compositi e gomme. Invece, in relazione alla loro origine, queste vengono classificate in: • Primarie, quando vengono emesse direttamente in acqua. È il caso delle microplastiche contenute nei cosmetici, delle fibre prodotte dal lavaggio di capi sintetici, dagli scarti dei processi di lavorazione e riciclo delle materie plastiche. • Secondarie, quando derivano dalla degradazione di oggetti massivi in plastica. I meccanismi di degradazione dei polimeri sono essenzialmente quattro: fotodegradazione, degradazione termo-ossidativa, degradazione idrolitica e biodegradazione da parte di microrganismi. I processi di degradazione riducono il peso molecolare medio del polimero, alterandone le proprietà strutturali, e modificano la sua struttura chimica, influenzandone le caratteristiche funzionali. La degradazione di polimeri come LDPE (polietilene a bassa densità), HDPE (polietilene ad alta densità), PP e PA esposti all'ambiente marino, è generalmente guidata dalla loro interazione con la componente ultravioletta (UV) della radiazione solare. La radiazione UV fornisce l'energia di attivazione necessaria per avviare l'ossidazione dei polimeri (degradazione foto-ossidativa), che diventano fragili e iniziano a frammentarsi in parti più piccole. Una volta avviato, il processo di degradazione può anche procedere termo-ossidativamente per qualche tempo senza ulteriore esposizione alla radiazione UV. Dopo diversi passaggi di frammentazione, le catene polimeriche raggiungono un peso molecolare e una dimensione nettamente minori e in tal modo le materie plastiche riescono ad essere metabolizzate da microrganismi, che convertono il carbonio presente nelle catene polimeriche in anidride carbonica o lo incorporano in biomolecole. Questo processo viene chiamato biodegradazione. Tuttavia, in ambiente marino, quest'ultimo processo è di diversi ordini di grandezza più lento rispetto alla degradazione ossidativa indotta dalla radiazione UV. Questo ritardo è principalmente il risultato delle temperature relativamente più basse e della minore concentrazione di ossigeno nell'acqua di mare. Un altro fattore che influenza la velocità della biodegradazione è il cosiddetto fouling, ovvero la formazione di un biofilm sulla superficie degli oggetti in plastica. L'idrolisi, invece, di solito non è un meccanismo di degradazione significativo in acqua marina. Anche l’azione meccanica può originare fenomeni di degradazione sui materiali plastici. Questo è quanto accade, ad esempio, nelle lavatrici domestiche ed industriali III
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali dove, a causa dei fenomeni di attrito, si liberano dalle fibre tessili numerose microplastiche. Come riportato da Julien Boucher e Damien Friot nel loro rapporto per la IUCN (International Union for Conservation of Nature) [1], il consumo annuale globale di fibre per il settore moda è aumentato negli ultimi due decenni (+ 79,3% tra il 1992 e il 2010). Questa crescita è quasi esclusivamente dovuta all'aumento del consumo di fibre sintetiche con un incremento vicino al 300% (da 16 a 42 milioni di tonnellate) rispetto allo stesso periodo. Di conseguenza, il 35% delle microplastiche primarie scaricate in acqua proviene da tessuti sintetici che originano piccoli frammenti all'interno della lavatrice. I dati sulle principali sorgenti di Microplastiche sono riportati in Figura I. Figura I- Fonti delle microplastiche globalmente rilasciate negli oceani [1] Recentissimi studi [2, 3], risalenti a luglio 2020, dimostrano come le mascherine chirurgiche, utilizzate come dispositivi di protezione individuale in fase di pandemia da CoVid-19, siano sorgenti di microplastiche. Queste sono infatti composte di polipropilene, poliestere e poliammide sotto forma di fibre facilmente degradabili con l’utilizzo e il conseguente attrito meccanico che ne deriva, fino a formare dei frammenti fibrosi di lunghezza critica inferiore ai 5 mm. 3. Quadro generale degli interventi La Figura II riporta il quadro generale degli interventi mirati alla riduzione dell’emissione di microplastiche in acqua. È possibile ricorrere a un duplice approccio: intervenire a monte, con azioni di mitigazione che evitino che queste vengano prodotte e intervenire simultaneamente a valle, con azioni di rimozione che vadano a evitare che queste siano emesse in acqua. Le azioni di rimozione possono essere basate su diversi principi di funzionamento: chimico, fisico e biologico e molte sperimentazioni sono state finora condotte solo a livello di laboratorio. Tuttavia, le tecniche basate su IV
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali un principio di funzionamento fisico, sono in parte già utilizzate per altri inquinanti, sotto forma di particolato solido, negli impianti di trattamento acque. Figura II- Quadro generale degli interventi proposti nell'elaborato Le varie tipologie di intervento verranno adesso introdotte singolarmente. 4. Azioni preventive e mitigative Lo scopo di questa prima indagine è descrivere le idee più recenti per prevenire l'emissione di microplastiche primarie in acqua. Questo tipo di inquinante proviene principalmente da fonti antropiche, sia industriali che domestiche e quindi da beni di consumo. Purtroppo, considerando che solo di recente si è sviluppata una sensibilità verso questa tematica, le ricerche scientifiche sulle azioni preventive sono riservate a pochi settori di interesse. Tra questi, il settore della produzione di fibre tessili per l’abbigliamento. De Falco et al. [4, 5] hanno proposto in merito lo sviluppo di trattamenti di superficie, compatibili con i processi già esistenti dell’industria tessile, che vadano a sigillare le fibre e contestualmente ad agire da lubrificante per limitare l’azione dell’attrito meccanico. Le sostanze scelte per sviluppare questi trattamenti sono, rispettivamente, la pectina, un polisaccaride naturale presente nelle pareti delle piante, l’acido polilattico (PLA) ed infine un copolimero di polibutilene succinato e butilene adipato (PBSA) e sono stati testati sulla superficie di una poliammide. Tutti queste sostanze sono ecocompatibili e sostenibili ed i risultati raggiunti evidenziano una riduzione del tasso di produzione di microplastiche rispettivamente del 90%, 80% e 80%. Questi risultati sono sicuramente molto promettenti: oltre a garantire una mitigazione del fenomeno, si può evidenziare come questi trattamenti non vadano a compromettere l’aspetto estetico della fibra (come si può osservare in Figura III), aspetto cruciale per il settore moda. Uno dei punti più critici, su cui sarà ancora necessario intervenire, è la scarsa durata di questi rivestimenti. V
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali Figura III-Micrografie SEM. Superfici A – C) PA senza trattamento e superfici D – F) PA rivestita da trattamento a base pectina [4] 5. Metodi ispirati alla rimozione di particolato solido I primi studi condotti sulla rimozione di microplastiche si basavano essenzialmente sugli stessi principi di funzionamento utilizzati per la depurazione dell'acqua applicati al particolato solido negli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP) o negli impianti di trattamento per l’acqua potabile (WTP). Un tipico WWTP viene riportato in Figura IV. Questi studi hanno essenzialmente testato gli impianti già esistenti e la loro efficienza nella rimozione di microplastiche, campionando l'acqua in ingresso e quella trattata. Una delle questioni più controverse connesse a questo argomento è la necessità di una procedura standard per l'isolamento, l'elaborazione e l'identificazione delle microplastiche nei campioni di acque reflue, al fine di ottenere risultati confrontabili e coerenti. Allo stato dell'arte, mancano procedure standard per la raccolta e l'analisi di campioni di microplastiche. Il campionamento non è semplice, a causa delle dimensioni delle particelle e della composizione dei materiali plastici. Le materie plastiche, infatti, sono ottenute dalla combinazione di polimero vergine con cariche e additivi che possono creare difficoltà nell'identificazione del tipo di polimero. Altri problemi che possono emergere sono la carica elettrostatica sulla superficie delle particelle, la formazione di schiuma o una bassa separabilità dai fanghi di scarico. Nonostante la mancanza di una procedura comune, di recente sono stati condotti vari studi ed i risultati ottenuti mostrano diversi punti in comune. Oltre ad un'analisi quantitativa, diversi autori hanno proposto anche un'analisi qualitativa con l'obiettivo di identificare i principali polimeri presenti nelle microplastiche. Queste analisi sono tipicamente condotte attraverso tecniche spettroscopiche non distruttive, come la VI
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali spettroscopia a infrarossi a trasformata di Fourier (FTIR) o la spettroscopia μ-FTIR e Raman o μ-Raman. Figura IV-Step di trattamento in un tipico impianto di trattamento acque reflue [6] I processi di trattamento tradizionali, sia per le acque reflue che per l'acqua potabile, si sono rivelati promettenti per la rimozione di microplastiche ed hanno a loro volta ispirato diverse ricerche a livello di laboratorio. Queste ricerche hanno tutte dimostrato che l’aggiunta di una fase finale avanzata di trattamento (fase terziaria) può migliorare il tasso di rimozione dell’impianto. Riepilogando i risultati emersi dallo studio di questi trattamenti, si osservano diversi punti in comune: • Microplastiche di più piccola dimensione (1-10μm o fino a 100 μm se non è prevista una fase di trattamento avanzato terziario) non vengono facilmente ritenute dagli impianti già esistenti; • L'analisi chimica ha rivelato che i polimeri più comuni presenti sono PET, PP, PE e PA, spesso con una morfologia fibrosa; • Una fase di trattamento terziaria (coagulazione, filtro a sabbia, RFS1, GAC2, DC3, CASP4, MBR5, ozonizzazione) è necessaria per ottenere elevati tassi di rimozione di microplastiche. Molti punti restano però aperti. In particolare, è necessario andare a definire la distribuzione granulometrica delle microplastiche nelle acque da trattare, ottenibile solo attraverso un'accurata analisi statistica, e l'interazione tra le microplastiche e altri inquinanti tipicamente presenti in acqua. Nei paragrafi successivi vengono introdotte le principali tecniche sperimentali sviluppate a livello di laboratorio, suddivise in funzione del loro principio di funzionamento: chimico, fisico o degradazione biologica. 1 RSF: Rapid Sand Filter 2 GAC: Granular Activated Carbon 3 DC: Disc Filter 4 CASP: Conventional Activated Slug Process 5 MBR: Membrane Bioreactor VII
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali 6. Metodi basati su principi chimici di funzionamento Gli impianti di trattamento acque hanno evidenziato diversi limiti nella rimozione di microplastiche. Di conseguenza, sono state sviluppate numerose tecniche innovative, principalmente su scala di laboratorio. Questo paragrafo introduce i principali metodi chimici testati allo stato dell’arte. Queste tecniche possono essere grossolanamente suddivise in due macrocategorie, descritte nei paragrafi successivi. 6.1 Metodi per agglomerazione La maggior parte di queste tecniche si basa essenzialmente su reazioni chimiche o elettrochimiche che inducono l'agglomerazione di MP nel sistema acquoso. I polimeri che costituiscono le microplastiche hanno densità prossime a quelle dell’acqua (1 g/cm3), come evidente in Tabella I e, per questo motivo, si trovano generalmente sospese in acqua. Tabella I-Densità dei principali polimeri costituenti le microplastiche. Adattato da [7] Material Density [g/cm3] Polyethylene (PE) 0.91-0.96 Polypropylene (PP) 0.90-0.91 Poly-vinylchloride (PVC) 1.16-1.55 Polystyrene (PS) 1.05 Poly-ethyleneterephthalate (PET) 1.37 Polyamide 66 (PA66) 1.14 Polyurethane (PU) 1.05-1.21 Conseguentemente, si intende promuovere processi che portino alla formazione di aggregati che, avendo una maggiore massa, riescano a sedimentare velocemente. In questo modo, la separazione delle microplastiche dal sistema acquoso risulterà favorita. Tale aggregazione può essere indotta mediante una reazione sol-gel o mediante sali. Nel primo caso, si aggiungono al sistema i precursori per una reazione sol-gel, ad esempio alcossisilani [8]. Le reazioni sol-gel avvengono mediante due step: idrolisi e condensazione e portano ad ottenere un network in grado di attrarre, tramite interazioni di Van Der Waals, le microplastiche che, pertanto, restano intrappolate in aggregati di massa maggiore, più semplici da separare anche solo per filtrazione. Lo stesso risultato si può ottenere anche utilizzando sali di alluminio o ferro [9, 10] che, in specifiche condizioni di pH, tendono a formare flocculi in grado di intrappolare le particelle plastiche o ancora mediante un processo elettrochimico. In quest’ultimo caso, sotto l'azione di un campo elettrico esterno, gli ioni metallici (generalmente Fe 3+ o Al3+) vengono generati da elettrodi sacrificali ed entrano nel flusso d'acqua. Simultaneamente, questi cationi possono ricombinarsi con gruppi idrossili in acqua, formando idrossidi metallici che agiscono come micro-coagulanti all'interno del VIII
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali sistema, destabilizzando la carica superficiale dei solidi sospesi. Quest’ultimo processo è riepilogato in Figura V. Figura V- Elettrocoagulazione indotta in un sistema acquoso contenente microplastiche [11] Uno dei principali svantaggi di questi processi è il potenziale impatto ambientale dei reagenti utilizzati. 6.2 Fotocatalisi La fotocatalisi è stata solo di recente testata in questo ambito. In particolare, si sfrutta la degradazione dei polimeri che costituiscono le microplastiche indotta dalla fotocatalisi: in questo modo, si ottengono sostanze chimiche meno inquinanti. Brevemente, la degradazione fotocatalitica si verifica quando un semiconduttore è esposto a una sorgente di fotoni che emettono luce con energia uguale o superiore al suo band gap, generando lacune (h+) ed elettroni eccitati (e-). Le lacune, combinate con acqua (H2O) o gruppi idrossilici (OH-), generano radicali idrossilici (OH•) che sono specie altamente ossidanti in grado di degradare molti inquinanti organici, generando diverse sostanze chimiche. Ariza-Tarazona et al. [12] hanno testato l'efficacia dell'N- TiO2 come semiconduttore per degradare l'HDPE estratto da uno scrub disponibile in commercio. Al fine di sviluppare un processo che fosse più sostenibile nella sua interezza, il semiconduttore è stato ottenuto mediante un processo di sintesi bio-ispirato a partire da scarti alimentari, nello specifico gusci di cozze. Lo stesso test è stato ripetuto con un N-TiO2 ottenuto mediante una tradizionale sintesi sol-gel. Gli esperimenti fotocatalitici eseguiti con le polveri di N-TiO2 derivate dalle cozze sono stati effettuati utilizzando film compositi di N-TiO2/microplastiche. La degradazione della plastica è stata valutata dalla perdita di peso e dallo studio dei cambiamenti chimici e morfologici, confermati da FTIR e SEM. Un secondo test fotocatalitico è stato condotto utilizzando un composito HDPE/N-TiO2 in mezzo acquoso a temperatura ambiente. Si è concluso che l'N-TiO2 derivato dai gusci delle cozze, presenta un'eccellente capacità di promuovere la perdita di massa delle microplastiche, anche in ambiente acquoso. L'altro fotocatalizzatore, ottenuto tramite un processo sol-gel convenzionale e meno sostenibile, presenta anch’esso una buona capacità di promuovere la perdita di massa delle microplastiche. I risultati hanno inoltre evidenziato che le condizioni ambientali dovrebbero essere impostate o progettate con cura per evitare l'arresto della fotocatalisi. Tuttavia, questo processo è stato testato solo IX
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali su scala di laboratorio e quindi dovrebbe essere adattato agli impianti di trattamento delle acque reflue 7. Metodi fisici per la rimozione di microplastiche La categoria dei metodi fisici di rimozione è piuttosto ampia e include tecniche molto diverse tra loro. Questi, infatti, possono essere a loro volta suddivisi in base al loro peculiare principio di funzionamento. Il metodo di rimozione può essere, infatti, un'estrazione magnetica, un processo di adsorbimento o può essere basato su una tecnologia di filtrazione o ultrafiltrazione. Queste tecniche, così come i metodi chimici introdotti nel paragrafo precedente, sono stati principalmente testati su scala di laboratorio. Le tecnologie di filtrazione e ultrafiltrazione sono, in parte, già state testate negli impianti di trattamento delle acque industriali (WWTP e WTP). Una delle tecniche più innovative prevede di ricorrere a un fenomeno di estrazione magnetica di seguito descritto. Le particelle di plastica sono caratterizzate da una superficie idrofobica. Approfittando di questa peculiarità, Grbic et al. [13] hanno utilizzato nanoparticelle di Fe idrofobiche per funzionalizzare la superficie delle microplastiche, consentendone, pertanto, un recupero magnetico. La procedura è semplicemente schematizzata in Figura VI. Figura VI- Processo di estrazione magnetica [11] I risultati di questo studio hanno evidenziato un tasso di recupero del 92% per sfere di 10-20 μm di polietilene di polistirene e del 93% per microplastiche di dimensione superione a 1 mm (PE, PET, PS, poliuretano, PVC e PP) in acqua di mare. Inoltre, sono stati rimossi anche l'84% e il 78% di microplastiche (PE, PET, PS, poliuretano, PVC e PP) di dimensione compresa tra 200 μm e 1 mm rispettivamente in acqua dolce e da sedimenti marini. Ciò ha dimostrato che, nel complesso, la procedura è efficiente per varie dimensioni, tipi di polimeri e forme di campioni. In alternativa, è possibile ricorrere a tecnologie a membrana, che hanno il vantaggio di garantire una qualità stabile per l’effluente. Inoltre, sono processi ormai ben noti. A seconda delle dimensioni della membrana e della pressione applicata, la tecnologia di separazione può essere classificata in ultrafiltrazione (1–100 nm, 1–10 bar), X
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali nanofiltrazione (1-2 nm, pressione fino a 50 bar) e osmosi inversa (0,1-1 nm, 10–100 bar). Il principio generale delle tecnologie di separazione a membrana per la purificazione delle acque è mostrato in Figura VII. Semplificando, si ha che, sotto l'applicazione di una differenza di pressione, la dimensione del poro della membrana viene utilizzata per intercettare le particelle presenti nelle acque reflue. Figura VII-Filtrazione a membrana, schema generico di funzionamento L'applicazione di tali tecnologie per la rimozione di microplastiche è ancora piuttosto limitata. Accanto a questi processi, si evidenziano i processi MBR (Membrane Bio-Reactor). Gli MBR sono sistemi in cui una catalisi promossa da catalizzatori biologici, come batteri ed enzimi, è accoppiata a un processo di separazione, gestito da un sistema a membrana nel range della microfiltrazione (100-1000 nm, pressioni fino a 5 bar) o dell'ultrafiltrazione. Il processo MBR è mostrato in Figura VIII. La membrana crea diversi compartimenti e di conseguenza può essere sviluppato un sistema di reazione eterogeneo controllato(organico/acqua) /multifase(liquido/gas). Le diverse fasi possono essere mantenute separate (come ad esempio in un processo di estrazione con solvente a membrana), oppure possono essere disperse l'una nell'altra (come in un processo di emulsificazione a membrana). Nello specifico, per quanto riguarda la rimozione di microplastiche, il processo inizia generalmente quando un flusso pretrattato entra nel bioreattore, favorendo un processo di biodegradazione della materia organica. Il liquido miscelato prodotto viene quindi pompato nella zona di separazione a membrana. Bayo et al. [14] hanno ottenuto un'efficienza di rimozione del 79,01% per le microplastiche, dimostrando la necessità di questo tipo di processo nei WTTP dopo le fasi primarie e secondarie. Figura VIII- Processo MBR [15] XI
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali Accanto a questi studi, altre ricerche recenti si sono piuttosto soffermate sulla possibilità di ottenere dei nanomateriali strutturati in maniera tale da riuscire ad “intrappolare” fisicamente le microplastiche. Queste ricerche partono da una conoscenza dei meccanismi di adsorbimento di microplastiche da parte di alcune specie marine (fucus vesiculosus, tridacna maxima) [16, 17]. In quest’ottica sono state valutate anche le performance di biochar [18] e di una spugna composita grafenossido e chitina [19]. 8. Metodi biologici per la degradazione di microplastiche Questa categoria di metodi è molto diversa dalle precedenti. Queste tecniche, infatti, si basano su un processo degradativo: le MP si trasformano in altre sostanze organiche meno inquinanti e non vengono rimosse fisicamente. Si può, ad esempio, ricorrere ad un trattamento di biofiltrazione dell’acqua. In questo caso, l'acqua da trattare viene filtrata attraverso materiale organico poroso (detto anche letto filtrante) che funge da supporto, e in parte da nutrimento, per i microrganismi aerobici. Gli inquinanti trasportati dal flusso vengono metabolizzati dai microrganismi che in questo modo li trasformano in vari prodotti di reazione, acqua e anidride carbonica come sostanze di scarto. Inoltre, in letteratura sono stati approfonditi i meccanismi di biodegradazione degli organismi marini per capire come questi possano avere un’influenza positiva sui tassi di rimozione delle microplastiche. 9. Progetto di ricerca Ottimizzazione dei processi di campionatura e analisi per le nanoplastiche La letteratura presentata e riassunta in questo lavoro di tesi riguarda i metodi di rimozione delle MP. Uno dei limiti emersi è che nessuno di questi metodi è efficace nella rimozione della frazione di più piccola dimensione delle MP; pertanto, questi sicuramente non sono efficaci nella rimozione delle particelle di plastica su scala nanometrica (1-100 nm), comunemente originate dal degrado delle materie plastiche. Molto recentemente, le nanoplastiche (NP) sono diventate oggetto di interesse per la comunità scientifica in quanto possono essere probabilmente considerate più dannose per la salute umana. Come nel caso delle microplastiche, gli studi sulla loro tossicità sono ancora in una fase preliminare di studio e ciò è dovuto principalmente alle difficoltà nel trovare metodi analitici adeguati alla rilevazione di MP e soprattutto NP in matrici complesse. Molti dei lavori pubblicati hanno evidenziato che, per l’uomo, la principale fonte di assunzione di MP e NP è attraverso l'ingestione orale. Segue una serie di passaggi che coinvolgono le particelle ingerite con vari tipi di interazioni con l'organismo umano. Le particelle possono entrare in contatto con fluidi digestivi, cellule intestinali e organi XII
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali come il fegato, oltre che essere espulse. Tutti questi fenomeni sono strettamente influenzati dalla dimensione delle particelle ingerite e dalla loro composizione. In particolare, l'attraversamento della barriera intestinale avviene in modo dipendente dalle dimensioni e solo particelle di plastica di dimensioni inferiori a 150 µm potrebbero, in linea di principio, attraversare l'epitelio intestinale. Questo è il motivo per cui l'ingestione di NP sembra essere più dannosa rispetto all'ingestione di particelle di plastica più grandi. Questo dato è allarmante, considerando che la maggior parte dei Food Contact Materials (FCM), per imballaggi o stoviglie, è costituita da plastica. Inoltre, le NP sono tipicamente idrofobiche e questa caratteristica, combinata con le dimensioni, consente il loro ingresso nelle cellule attraverso porazione o rottura delle pareti cellulari, che può portare a citotossicità. Questo effetto citotossico è già stato verificato per un'ampia gamma di nanomateriali, inclusi nanotubi di carbonio e nanoparticelle d'argento, e sono state sollevate preoccupazioni circa la mancanza di regolamenti sull'uso di nanoparticelle nei cosmetici e negli alimenti in Nord America ed Europa. Nonostante la potenziale gravità dei suoi impatti sull'ambiente e sulla salute, l'inquinamento da nanoplastiche è stato generalmente trascurato, principalmente a causa di sfide metodologiche. In particolare, allo stato attuale, manca un metodo standard per la campionatura e l’analisi di nanoplastiche. Si propone, pertanto, un progetto strutturato in vari work packages (a loro volta suddivisi in task e subtask) da sviluppare in un arco di tempo stimato intorno ai 5 mesi. Le principali attività previste vengono riepilogate nel seguente diagramma di Gantt (Figura IX). Figura IX-Gantt Chart proposto per il progetto di ricerca XIII
POLITECNICO DI TORINO Collegio di Ingegneria Chimica e dei Materiali Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Materiali Tale progetto si pone un duplice obiettivo: • Obiettivo 1: sviluppo di una procedura standard per il campionamento e l'analisi delle nanoplastiche (NP); • Obiettivo 2: convalida della procedura sviluppata per filtrare NP utilizzando membrane nanoporose di grafene. 10. Conclusioni Si presentano, per punti, i principali risultati ottenuti: • Mediamente, per le tecniche analizzate, i tassi di rimozione sono superiori all’80% e le efficienze maggiori (superiori al 90%) si raggiungono solo se più tecniche vengono accoppiate tra loro. In particolare, negli impianti di trattamento acque deve essere previsto almeno uno stadio terziario di trattamento. • In generale, i metodi sono poco efficaci nella rimozione della frazione più piccola (1 − 10 o fino a 100 se non è previsto uno stadio terziario di trattamento) di microplastiche e di certo si rivelano poco effettivi nella rimozione di nanoplastiche. Tali efficienze dovrebbero migliore ricorrendo a trattamenti preventivi sui materiali; tuttavia, allo stato attuale, mancano studi in tal senso. • Le analisi chimiche effettuate hanno rivelato che i polimeri più comunemente presenti nelle microplastiche sono PET, PP, PE e PA, spesso con una morfologia fibrosa. • Le nanoplastiche, secondo i primi studi emersi, sono più pericolose, in quanto in grado di penetrare nell’epitelio intestinale. Gli studi riguardanti le nanoplastiche sono stati a lungo rallentati dalla mancanza di una procedura standard per campionatura e analisi. XIV
Abstract The increasing use of plastic materials in different industrial fields is essentially due to their unique characteristics that make them optimal for a wide range of applications. This spreading has brought to the dispersion of plastic materials, fragments and objects in the environment. This led to the rise of an insidious kind of pollution, strictly connected to the mechanical degradation of these materials which consists of the presence in the environment of “plastic particles < 5 mm in diameter, which include particles in the nano- size range”, commonly known as microplastics (MPs). During the last decade, several studies have been conducted on MPs removal from discharge or drinking water. This topic is currently trending and even companies are showing a marked interest in this issue. The first studies conducted on possible MPs removal methods have essentially replicated the same working principles of water purification applied to solid particulates in drinking water treatment plants or in wastewater plants. At present, several new removal methods are under investigation and these can be classified in chemical, physical and biological depending on their basic working principle. This work also presents mitigative actions, consisting of surface treatments that can be implemented on clothes fibers to avoid MPs release in water. The advantages and drawbacks of various removal mechanisms are discussed. Besides, research perspectives are presented. In particular, the last part of this thesis proposes a possible research path for the development of a standard procedure for sampling and analyzing nanoplastics, i.e. the fraction of MPs in the nano size range. Graphical Abstract i
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Index of Contents Abstract ................................................................................................................................ i Index of Contents ............................................................................................................. iii Introduction........................................................................................................................ 1 1 Microplastics Pollution ............................................................................................ 3 1.1 Definition of microplastics: a controversial issue ......................................... 3 1.2 Microplastics sources ........................................................................................ 4 1.3 Chemical Nature of Microplastics .................................................................. 6 1.4 Plastic degradation mechanism in marine environment ............................. 8 1.5 Removal methods: summary of the state of art ............................................ 8 2 Preventive and mitigation actions.......................................................................... 9 2.1 Surface treatments to prevent MPs fibers formation ................................... 9 2.2 Summary and conclusions ............................................................................. 13 3 Methods based on solid particulates removal .................................................... 15 3.1 Wastewater treatments applied to MPs removal ....................................... 15 3.2 Drinking water treatment for MPs removal ................................................ 20 3.3 Summary and perspectives ............................................................................ 21 4 Chemical Methods .................................................................................................. 23 4.1 Introduction to the chemical principles applied ......................................... 23 4.2 Coagulation for MPs removal ....................................................................... 24 4.2.1 Coagulation induced with a sol-gel process ............................................ 24 4.2.2 Coagulation induced by salts ..................................................................... 26 4.3 An evolution of coagulation processes: electrocoagulation ...................... 28 4.4 Photocatalysis: a degradative process for MPs treatment ......................... 30 4.5 Case Study: an innovative equipment for washing machines to reduce MPs emissions .............................................................................................................. 31 4.6 Summary and perspectives ............................................................................ 35 5 Physical Methods .................................................................................................... 37 5.1 Functionalizing MPs for magnetic extraction ............................................. 37 5.2 Membrane technologies for MPs physical removal ................................... 38 5.2.1 Ultrafiltration Technology .......................................................................... 40 5.2.2 Dynamic Membrane Technology .............................................................. 40 5.2.3 Reverse Osmosis .......................................................................................... 41 iii
5.2.4 Membrane Bioreactors (MBR).................................................................... 42 5.3 Materials for MPs adsorption ........................................................................ 43 5.4 Summary and perspectives ............................................................................ 45 6 Biological methods for MPs degradation ............................................................ 47 6.1 Biofiltration for water treatment ................................................................... 47 6.2 Microplastic degradation by microorganisms ............................................ 49 7 Nanoplastics: planning of a research project for a sampling and analysis activity ............................................................................................................................... 51 7.1 Background ...................................................................................................... 51 7.2 General information about the research activity ........................................ 54 7.3 Purpose of the research activity .................................................................... 55 7.4 Work packages and tasks involved .............................................................. 55 7.5 Planning and project management ............................................................... 59 7.6 SWOT analysis ................................................................................................. 60 7.7 Conclusions: critical points ............................................................................ 61 8 Conclusions ............................................................................................................. 63 9 List of symbols and abbreviations........................................................................ 65 10 List of Figures .......................................................................................................... 67 References ......................................................................................................................... 69 Acknowledgments .......................................................................................................... 75 iv
Introduction Plastic production is continuously increasing. This is due to the unique properties of plastic materials such as low density, low thermal and low electric conductivity, resistance to corrosion, promising water/oxygen barrier properties, combined with a low price and an easiness in manufacturing [20]. Unfortunately, plastic materials are easily degradable due to their sensitivity against several factors such as UV radiations, water, fire, mechanical and frictional forces. This results in a progression of structural and chemical changes that induce the loss in mechanical integrity, embrittlement, further degradation and fragmentation [21]. When released in the ambient, small plastic fragments are particularly harmful as they can be easily ingested by living beings and hence enter in food chain [22], with a potential toxicity that has recently become relevant and attracted interest of the scientific community [23]. Plastic fragments with a dimension inferior to 5 mm are commonly called microplastics (MPs), even if this definition is still controversial. Furthermore, this definition also includes plastic fragments in the nano-size range, defined nanoplastics (NPs). During the last decade, several studies have been conducted on this topic. These studies, whose results will be presented and analysed in the first part of this thesis work, demonstrated the applicability of various methods to remove MPs from aqueous environment. Nevertheless, one of the major drawbacks of these approaches, is their inefficiency in the removal of the smaller fraction of microplastics, known as nanoplastics. The problem of plastics removal has also aroused interest in the legislative bodies. In particular, the idea behind these initiatives is to establish an emission limit in wastewater as already present for numerous other pollutants. In 2019, for instance, ECHA (European Chemical Agency) proposed to ban the use of MPs in cosmetic products and this should happen by 2030 [24]. At the same time, the World Health Organization is starting to study more deeply the possible consequences on MPs ingestion on human health [25]. It is important to highlight that the study of this form of pollution has long been complicated by the lack of an unambiguous and clear definition of microplastics, as explained in the first Chapter of this work. At the state of the art, the common definition of MPs is the one spread by The Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection (GESAMP). Microplastics are described as “plastic particles < 5 mm in diameter, which include particles in the nano-size range”. Furthermore, MPs are commonly classified as primary or secondary, depending on their origin: primary ones are plastic parts in the micro-size range directly immitted in water, while secondary ones originate from the degradation of massive plastic components. 1
The main source of MPs into the environment is constituted by anthropogenic activities, both of industrial and domestic derivation, and several possible mitigation actions are currently under study. The first possible mitigation action consists of processes which aim at reducing the number of MPs released in water by increasing the resistance of plastic fibres (see Chapter 2). Essentially, these methods are surface treatments and modification processes applied to textile fibres typically employed to produce clothes, one of the main sources of emissions. Concerning the MP removal from water, the first tested methods were those that are nowadays industrially applied to the removal of solid particulates from wastewater to produce drinking water. These techniques are the subject of the third Chapter of this thesis work. At the state of art, other research-level techniques have been tested. These can be classified according to their basic operating principle in chemical, physical, or biological methods, and are introduced in Chapters 4 to 6. Currently, no one of the techniques presented can solve the problem on MPs in water by itself. An integration of two or more techniques is mandatory to reach good removal efficiencies. The purpose of this work is to provide a systematic description of the techniques currently available to limit or to avoid the emission of microplastics into the sea through wastewater, as well as to provide a research plan to develop a standard procedure for NPs sampling, analysis and removal. To this aim, a bibliographic research consulting scientific articles, conference proceedings and specialized internet sites was first carried out. The final objective is to present an overall and complete view of MPs issue, discussing both consolidated large-scale solutions and processes that are currently being tested at the lab scale only. The last part of this work, concerning the analysis and removal of NPs, aims at covering a current literature lack. 2
1 Microplastics Pollution The increasing use of plastic materials in different industrial fields like food packaging or biomedical industry, is essentially due to their versatility and [26] unique characteristics such as low density, low thermal and low electric conductivity, resistance to corrosion, promising water/oxygen barrier properties, combined with a low price and an easiness in manufacturing [20]. As a consequence, the dispersion of plastic fragments and objects in the environment is constantly increasing, particularly in seas, with several consequences on the ecosystem [22]. Plastic materials are degradable due to their sensitivity against several factors such as UV radiations, water, fire, mechanical and frictional forces. This results in a progression of structural and chemical changes that induce the loss in mechanical integrity, embrittlement, further degradation and fragmentation [21]. When released in the ambient, small plastic fragments are particularly harmful as they can be easily ingested by living beings and hence enter in food chain [22], with a potential toxicity that has recently become relevant and attracted interest of the scientific community [23]. The aim of this Chapter is to define Microplastics and to describe their main sources, as well as providing a general overview of the degradation processes they undergo in marine environment. 1.1 Definition of microplastics: a controversial issue Microplastics (MPs) are usually defined and classified according to their dimensions. Traditionally, MPs have been described in function of an upper limit dimension as “plastic particles smaller than 5 mm” [20] [27]. This definition was reviewed several times in the last ten years and its usage still raises several issues. At the current state, the common definition is the one spread by The Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection (GESAMP). Microplastics are described as “plastic particles < 5 mm in diameter, which include particles in the nano-size range” [20] [21] [28]. Nevertheless, some researchers still use as upper limit the dimension of 1 mm [27]. Consequently, the definition of macro- and meso-plastic follows. According to GESAMP [21], meso-plastics have a dimension < 2.5 cm and macro-plastics < 1 m. The debate about the lower limit is surely more controversial. In fact, as reported by Dehaut et al. [27], a limit of 100 nm was established in correlation with the definition of nanomaterials. The issue is that microplastics are not homogeneous in shape because of their different origin and chemical nature, which determines different behaviors in terms of aggregation and porosity [20] [27]. Moreover, it is important to highlight that in 3
function of the size and of the shape of the particle, the effect on the ingestion mechanism by marine organisms is slightly different [29]. Therefore, the shape factor should be included in the definition [27]. The different possible shapes for MPs are reported in Figure 1.1. Figure 1.1 MPs possible shapes [11] According to other authors [20] also the color should be considered, and this is necessary especially for studies concerning aquatic organisms, as some species potentially ingest pollutants depending on a color preference. In conclusion, it is evident that the current definition results restrictive. Therefore, several proposals of improvement have been recently suggested [27] even if these are not recognized by the entire scientific community. 1.2 Microplastics sources The Scientific Community reported observations of plastic garbage in the oceans already in the early 1970s. More recently, it was noticed the presence of MPs litters in sand and in water [26]. The origin of these kinds of waste is complex to catalogue. A first classification is the following one [26] [21]: a) Direct introduction (pellets, masterbatch pellets, textile fibres [21]). This kind of sources are reported in literature as primary sources. b) Weathering breakdown of plastic debris of bigger dimensions (meso- and macro-plastics debris). This kind of sources are defined secondary. The heterogeneous origin of MPs is also confirmed by their variety in colour. This aspect also confirms that they typically originate from synthetic materials and that may contain organic substances [23]. 4
As reported in literature [21] [23], the main primary sources of MPs are constituted by plastic production waste, fragments originated during recycling operations and micro-cleansing particles in personal care products like facial scrubs. Secondary MPs originate from larger plastic fragmentation: mainly from marine litter and synthetic fibers originating from laundry discharge; secondly from landfills and industrial or agricultural sources [26] [21] [23]. The identification of secondary MPs is complicated due to the large diversity of sources and pathways of degradation. In fact, fragmentation can be caused by mechanical forces, thermo-degradation, photolysis, thermo-oxidation and biodegradation processes [26] [22] [23]. One of the main MPs sources is constituted by the synthetic clothes washed inside the domestic washing machines. This is highlighted in Figure 1.2. As reported by Julien Boucher and Damien Friot in their report for the IUCN (International Union for Conservation of Nature) [1], the global yearly consumption of fibres for fashion has increased over the last two decades (+79.3% between 1992 and 2010). This growth is almost exclusively due to the increased consumption of synthetic fibres with an increase close to 300% (from 16 to 42 million tons) over the same period. The majority (62.7%) of synthetic fibres are nowadays consumed in developing economies. The 35% of primary MPs discharged in water, come from synthetic textiles originating small fragments inside the washing machine. Figure 1.2 Global Release of primary MPs to world oceans [1] 5
It is interesting to notice that the spread of the COVID-19 pandemic has concretely increased the production of plastic waste and consequently of MPs. In particular, this is due to the necessity to produce Personal Protective Equipment for residents and healthcare staff and to the increase in the request of single-use packaging for food and groceries delivery [3]. In particular, single-use facemask degradation could be a new source of microplastic pollution in the environment. The long fibers used in masks can easily degrade, reaching the critical length of 5 mm [2]. In order to resume the main industrial sectors of MPs origin, Table 1.1 is reported. 1.3 Chemical Nature of Microplastics MPs are polymeric materials. These are composed of long-chain molecules that are generated by the repetition of chemical structural units, the so-called “mers”. Polymers are generally classified in two macro-categories: thermoset and thermoplastic ones. The first class is made up of materials that cannot be processed at the molten state, as they have a network structure: by heating up this kind of materials they undergo a degradation process. On the other hand, thermoplastic ones can easily be melted, as they do not have a cross-linked structure. As reported by A.L. Arandy [26] [28], the most common polymers found in MPs are thermoplastic ones: Polyethylene (PE), Polypropylene (PP), Poly-vinylchloride (PVC), Polystyrene (PS) and Poly-ethyleneterephthalate (PET). Furthermore, fibers (mainly of Poliamide, PA) have been frequently sampled. These are typically obtained by a drawn process and are characterized by a very high level of crystallinity [28]. The presence of thermoset polymers is surely less common and not often discussed in literature. Researches have highlighted the existence of traces of Polyurethane foams, epoxy adhesives or paints, reinforced unsaturated polyester composites (GRP), and rubber. All these materials are used in the marine environment [28]. The densities range of most common polymers found in MPs is reported in Table 1.2. 6
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