LA SALA DEL TRICOLORE OSPITA IL CONVEGNO "LO SPETTACOLO DELLA MAFIA"
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LA SALA DEL TRICOLORE OSPITA IL CONVEGNO “LO SPETTACOLO DELLA MAFIA” Il giorno 20 febbraio 2020 nella Sala del Tricolore le classi della 2b e 2d della Scuola secondaria Leonardo da Vinci hanno partecipato, insieme alle loro insegnanti, al Convegno "Lo spettacolo della Mafia", organizzato dall' I.C. Da Vinci, In collaborazione con la Rete Degli Istituti del Primo ciclo di Reggio Emilia, con UNIMORE e Istituto Cervi, con il patrocinio del Comune e della provincia di Reggio Emilia e dell‘UST di Reggio Emilia. Hanno presenziato ai lavori rappresentanze di alunni e insegnanti di alcune scuole del primo ciclo, in particolare Don Borghi, Fermi e Galilei. A partire dallo studio del prof. Ravveduto1 sulla costruzione dell'immaginario della mafia e con riferimento ai contributi culturali dei relator presenti Antonio Petrucci2 e prof. Lorenzo Bertucelli3 sono stati apprezzati i numerosi contributi degli studenti presenti al Convegno (http://re.istruzioneer.gov.it/wp-content/uploads/sites/10/2020/02/CONVEGNO-20- FEBBRAIO-2020-LO-SPETTACOLO-DELLA-MAFIA-PROGRAMMA.pdf). Le ragioni del Convegno stanno nel fatto che la nostra società si trova ad affrontare la emergenza della continua espansione del fenomeno della criminalità organizzata. Non esistono più specifiche zone in cui il fenomeno mafioso è presente, perché esso si è esteso a tutto il territorio nazionale. Di fronte a questo fenomeno i giovani non devono essere semplici spettatori, ma costruttori di legalità per un futuro migliore. Bisogna quindi “Parlare di mafia. Parlarne alla radio, in televisione, sui giornali. Importante è parlarne” come disse Paolo Borsellino e parlarne ai giovani è quanto di più saggio e più assennato si possa fare. Sorprendente la risposta delle ragazze e dei ragazzi presenti perché hanno saputo accostare il loro vissuto alle testimonianze degli studiosi, specialisti dell'argomento, a loro volta appassionati e appassionanti nel rilanciare le sollecitazioni poste dai giovani partecipanti. Ad esempio alcuni alunni hanno posto le seguenti domande: - Cosa vuole ottenere la mafia? - Perché non riusciamo a fermarla? - Quando avremo vinto questa “guerra” cosa faremo? - E se vincesse la mafia, cosa potrebbe succedere? Domande all’apparenza semplici, ma che in realtà nascondono la consapevolezza della gravità del fenomeno e allo stesso tempo rivelano il desiderio di comprendere, combattere e liberarsi da questa piaga sociale. 1 Insigne docente di Digital Public History presso l’Università di Salerno e Modena e Reggio Emilia nonché studioso della società italiana e della storia contemporanea. Esperto di analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata. Autore di molte pubblicazioni tra cui “Lo spettacolo della mafia: storia di un immaginario tra realtà e finzione” 2 Giornalista pubblicista, fa parte del Comitato Scientifico della rivista di Neuroscienze “Anèmos”. Le sue ultime pubblicazioni sono “Lottando con l’angelo” e “Abecedario Filosofico. Attento osservatore del fenomeno mafioso, ha pubblicato articoli sull’argomento, in particolare “Il Drago e la città. La Prima guerra di mafia” su Almanacco e “Ricerche sulla mafia 1860-1960” su Anemos, luglio-settembre 2019. 3 Direttore del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Società e cultura, presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, docente di Storia dei Movimenti sociali e politici nel corso di Laurea Magistrale in Antropologia e storia del mondo contemporaneo e di Storia, memoria e territorio nel Master di Secondo Livello in Public History
INTERVENTO DEL PROFESSOR ANTONIO PETRUCCI: NOTE PER UNA SOCIOLOGIA DELLA MAFIA Voglio incominciare con una curiosità. Non si sa bene che cosa significhi la parola “mafia”. Ma si sa quando compare per la prima volta. Compare in un testo teatrale, “I mafiusi de la Vicaria di Palermo” (e cioè “I mafiosi dell’Ucciardone”), con sottotitolo Scene popolari in tre atti – un “copione” attribuito a Giuseppe Rizzotto, capo di una compagnia teatrale, ma al quale contribuì probabilmente Gaspare Mosca, un maestro elementare. “I mafiusi de la Vicaria” è uno spaccato di vita carceraria nell’anno 1854 (al tempo dei Borboni), ma si conclude fuori dal carcere, nelle strade di Palermo, nel 1861, dopo l’unificazione d’Italia. Scritto presumibilmente nel 1862, rappresentato per la prima volta nel 1863, ebbe un successo inaspettato. Molto ci sarebbe da dire su “I mafiusi de la Vicaria”. Ma quello che volevo segnalare in questa occasione è che la parola “mafiosi” non esiste prima di comparire in questo testo; anzi, di più, la parola non compare neanche dentro il testo, dove i carcerati sono indicati sempre come “camorristi”, ma solo nel titolo; dal che si deduce che è stata aggiunta alla fine (e non necessariamente da parte degli autori). In ogni caso il termine, qualunque sia la sua etimologia – dall’arabo probabilmente – ebbe fortuna e si diffuse rapidamente, tanto da essere adottato anche dai diretti interessati – cioè dai criminali. D’altronde anche nel libro di Leonardo Sciascia, “I pugnalatori”, tutti i documenti citati, che si riferiscono al 1862, non parlano di “mafiosi”, ma di “camorristi”. Conviene adesso ampliare l’indagine. La rappresentazione che si dà di un fenomeno sociale è importante perché contribuisce ad alimentare la percezione che si ha del fenomeno stesso (quella che si chiama comunemente “immaginario collettivo”). A sua volta l’immaginario collettivo finisce per incidere sul fenomeno sociale. In altre parole, la rappresentazione alimenta la cultura (in senso sociologico) e la cultura è il terreno su cui prospera o deperisce un dato fenomeno: questo vale in particolare per il fenomeno mafioso che, come è noto, è stato alimentato e irrobustito dalla cultura che c’era dietro; una cultura, potrei dire, “super-omistica”, una cultura della “doppia morale”, una per gli “uomini d’onore” e una per tutti gli altri; dove i primi potevano uccidere in nome di una giustizia superiore a quella dello Stato e, oltretutto, più immediata; mentre ai secondi non restava, se non erano vittime, che farsi complici – e cioè praticare l’omertà. S’intende, da ciò, l’importanza della letteratura e, in genere, dei mass-media nel denunciare, de-mitizzare e demistificare la mafia. A tal fine diventa fondamentale l’accurata analisi delle varie opere – letterarie, cinematografiche ecc. – nel libro di Marcello Ravveduto “Lo spettacolo della mafia”, edizioni GruppoAbele, Torino 2019. Oggi, però, mi sembra, le cose sono cambiate o comunque stanno cambiando, giacché c’è stata una radicalizzazione. Da un lato la mafia ha gettato la maschera dell’uomo d’onore rivelandosi per quello che era, una società criminale il cui valore fondamentale non è la giustizia ma il denaro (così, parafrasando Marx, si può dire che il capitale mafioso “viene al mondo grondando sangue da tutti i pori”); dall’altro lato, conseguentemente, la percezione che se ne aveva si è fatta più realistica. Ad es. dubito che, oggi come oggi, l’omertà sia quello che era una volta cioè in fondo complicità o connivenza: certo l’omertà c’è ancora, sfortunatamente, ma, sparita ogni illusione, rivela che il suo nocciolo altro non è che paura. Se si combatte l’omertà con la verità storica, la paura va combattuta col coraggio – ma è quello che la città di Palermo ha dimostrato schierandosi con lo Stato, accanto ai suoi morti, e scendendo in piazza contro la mafia.
C’è ancora da dire che il fenomeno mafioso si è “semplificato”, cosicché oggi sarebbero pochi a negare la sua natura criminale, ma si è anche “complicato” cioè è diventato più complesso: a Cosa nostra, alla Camorra, alla ’ndrangheta, si sono affiancate la Sacra Corona Unita in Puglia e l’organizzazione criminale (comunque la si voglia chiamare) che opera a Roma. In particolare la ’ndrangheta si è diffusa sul territorio nazionale in maniera capillare e sarei tentato di dire che ha approfittato dell’attacco corleonese al cuore dello Stato e alla città di Palermo – attacco avvenuto in maniera eclatante negli anni che vanno dal 1979 al 1992. In quegli anni, infatti, mentre l’occhio degli osservatori – giornalisti, storici, politici, ma anche scrittori, registi ecc. – era fissato su quello che accadeva in Sicilia, la ’ndrangheta ha approfittato per fare i suoi affari comodamente su tutto il territorio nazionale. Come se non bastasse, si sono aggiunte alle mafie locali, “autoctone”, altre mafie, come quella nigeriana, albanese, russa, cinese. La mafia nigeriana – per fare un esempio – pare particolarmente attiva e, naturalmente, dove incontra le mafie locali si allea e dove non le trova mette radici per i fatti suoi. Le attività tradizionali sono sempre quelle: prostituzione e droga. Le modalità dei nigeriani, oltre la violenza fisica, sono i riti voodoo. C’è poi da dire che – come una volta l’attenzione era concentrata su Cosa nostra – ora la nostra attenzione è concentrata sul terrorismo islamico ed è ovvio che le varie mafie ne approfittino per fare i loro affari in silenzio. E, in linea di massima, anche la mafia siciliana, dopo gli anni dell’attacco corleonese, si è “silenziata”, mentre oggi operano più apertamente la camorra e la ’ndrangheta. Torno alla rappresentazione che si dà del fenomeno mafioso. Dopo il 1992, l’anno della morte di Falcone e Borsellino, e dopo il 1993, l’anno dell’arresto di Riina, il capo della Cupola, i film si sono moltiplicati. Possiamo distinguere i film che si rifanno ai tutori dell’ordine, magistrati e poliziotti, a quelli che si rifanno alle biografie dei mafiosi (a tal fine si scorra l’accurato elenco nel libro di Ravveduto). In entrambi i casi, penso sia da evitare una rappresentazione super- omistica. Una rappresentazione super-omistica sposterebbe la vicenda sul piano della mitologia e sminuirebbe l’impegno dei cittadini nella lotta alla mafia. Egualmente occorrerebbe evitare una visione manichea del fenomeno. Una visione manichea infatti finirebbe per farci perdere quella “zona grigia” in cui si svolgono le connivenze e le connessioni: fra mafia e politica ad esempio. (A tal fine un film molto interessante mi è sembrato – a titolo d’esempio – Suburra di Stefano Sollima, dal romanzo di De Cataldo.) Una visione manichea contribuirebbe anche a farci perdere la continuità che non obbligatoriamente si pone, ma certo può porsi, fra criminalità individuale e criminalità organizzata, se non la continuità fra violenza giovanile (casi di bullismo) e violenza criminale. Voglio dire che non solo la mafia o le mafie, ma in generale ogni forma di violenza va combattuta in una democrazia sana. Così il discorso sulla rappresentazione della mafia diventa un discorso sulla rappresentazione della violenza. Letteratura, cinema, televisione sono in prima linea in questa battaglia di civiltà. Alcune note a margine del Libro di Marcello Ravveduto “Lo spettacolo della Mafia” (Edizioni Gruppo Abele – 2019)
Il libro è alla base del Convegno di Studi che l’Istituto Comprensivo “L. Da Vinci” promuove in collaborazione con le Scuole del primo ciclo d’Istruzione per sollecitare una riflessione sulla penetrazione del fenomeno mafioso nella nostra società, nel nostro quotidiano e la sua capacità “mimetica” nell’usare i media, nel “mescolare” linguaggi, simbologie e strumenti di propaganda. L’analisi lucida e attenta condotta da Ravveduto sollecita una riflessione in campo educativo - didattico per progettare attività e iniziative concrete e incisive in tema di legalità, soprattutto in un campo inedito come quello dell’utilizzo dei linguaggi e dei mezzi di comunicazione di massa. L'obiettivo principale è quello di dare centralità alla Scuola e all’azione educativa, fornendo agli studenti gli strumenti di decodifica dell'uso dei mezzi di comunicazione di massa e di persuasione individuale e collettiva, per aiutarli a costruire il proprio orizzonte di coscienza critica e impegno civile.
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