La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto,Azione E Mito - Antonio D'Andria History
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History Antonio D'Andria La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto,Azione E Mito Professorial Dissertation
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Antonio D'Andria La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto, Azione E Mito GRIN Verlag
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ANTONIO D’ANDRIA LA RIVOLUZIONE LUCANA DEL 1860 TRA PROGETTO, AZIONE E MITO
Indice Introduzione p. 5 Capitolo Primo Dalla «primavera dei popoli» all’insurrezione p. 9 Capitolo Secondo Il governo dell’emergenza p. 31 Capitolo Terzo La Prodittatura e l’Unificazione tra integrazione e resistenze p. 45 Capitolo Quarto Memoria e rappresentazione del 1860 in Giacomo Racioppi p. 71 Capitolo Quinto Dalla memoria al mito del 1860 tra Ottocento e Novecento: alcuni casi p. 95 Appendice p. 115
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Introduzione Nell’ambito del più generale contesto storiografico inerente il processo di Unificazione nazionale, particolare attenzione riveste, per i ruoli e le funzioni svolti da gruppi e classi dirigenti nel Mezzogiorno d’Italia ed in Basilicata, l’insurrezione lucana del 1860, punto terminale del percorso di unificazione e di concreta partecipazione politica iniziata dal cruciale 1799. La storia politica e culturale della provincia della Basilicata è senza dubbio caratterizzata dagli avvenimenti dell’Età napoleonica e dai bienni del 1820- 21, del 1848-49 e del 1860-61 che si inseriscono, con elementi peculiari, nelle vicende del Mezzogiorno d’Italia soprattutto in riferimento al per- corso risorgimentale. Essi possono definirsi come “anni d’apertura” verso l’Italia unita, nei quali la progettualità politica si sposò ad un’azione sem- pre più concreta ed operante sul e per il territorio provinciale. Oggi, infatti, nell’ambito di un’accurata delineazione di contesti e tracciati, generali e locali, di progettualità e di pratica politico-istituzionale che contraddistinsero il concreto operare sul campo di gruppi e classi dirigenti, la più recente storiografia ha focalizzato l’attenzione su una serie di elementi che caratterizzarono il percorso risorgimentale e, in questo contesto, il determinante periodo compreso tra la «primavera dei popoli» e l’insurrezione lucana del 1860. In tale contesto, particolare rilievo assunsero le reti, visibili e invisibili, dell’associazionismo politico sul territorio, con la compartecipazione, diretta ed indiretta, di singoli e di gruppi, sul piano della progettualità politica non solo a livello locale, fino alla centralità della “rivoluzione” e della peculiare esperienza della Prodittatura del 1860 in Basilicata. Una provincia peculiarissima, questa, anche per l’immagine mentale che i viaggiatori e, in genere, il resto degli italiani, avevano di essa: una provincia quasi del tutto “intatta”, nella quale l’opera dell’uomo aveva solamente “scalfito” la natura, senza incidervi, ma anzi armonizzandovisi. Un’immagine di natura incontaminata in una terra quasi utopica, nella quale il richiamo all’antico trovava «un repertorio di luoghi, una lista di monumenti, una serie di valori che dovevano costituire una sorta di Campi 5
Elisi sottratti […] all’aggressiva presenza della macchina» 1. Così, nel 1847, Edward Lear visitava la Basilicata alla ricerca di memorie del passato oraziano e federiciano. Melfi e Castel Del Monte, Venosa e San Michele del Vulture rientravano nell’osservazione dell’artista britannico, attento agli aspetti naturali e alle «rovine verdeggianti» in una prospettiva di paesaggista, volta a mettere in evidenza la solitudine dell’uomo in una provincia dominata dalla natura, in contrasto con la “civiltà” dei suoi ospiti. Non a caso, queste sue impressioni “pittoresche” sarebbero apparse con il titolo di Journal of a Landscape Painter in Southern Calabria (1852) 2. Aspetti, quelli del contrasto tra la natura quasi “selvaggia” e la bontà “naturale” dei lucani, evidenziati, in quello stesso anno, da Cesare Malpica (1804-1852), poeta, romanziere e giornalista capuano che, nel maggio 1847, era partito da Napoli alla volta della Basilicata, visitando centri in cui risiedevano persone a lui note o allievi che lo avevano invitato a constatare con i suoi occhi la vita della media ed alta borghesia lucana. Il tutto svolto in forma giornalistica, con il titolo La Basilicata. Impressioni (1847), questa volta con particolare attenzione non soltanto agli aspetti paesaggistici, quanto, piuttosto, a quelli come nel caso di Potenza, di trasformazione e “redenzione” dell’ambiente, in un particolare momento di attività socio- economica e politico-istituzionale 3. Il tragitto di Karl Wilhelm Schnars, medico amburghese, nel novembre- dicembre 1857, lo condusse dalla Puglia, attraverso nella zona ofantina. Visitata ampiamente la zona vulturina, lo Schnars, attraverso il capoluogo della provincia e con una deviazione per il Vallo di Diano, si spinse fino a Saponara (odierna Grumento Nova) 4. Le rapide annotazioni dello Schnars, pubblicate con il titolo Eine Reise durch neapolitanische Provinz Basilicata un die angrenzenden Gegenden (1859) 5, di carattere aneddotico, Abbreviazioni: ASCP = Archivio Storico Comunale di Potenza; ASFR = Archivio Storico Filippo Rondinelli; ASP = Archivio di Stato di Potenza; DPL = T. PEDIO, Dizionario dei Patrioti Lucani. Artefici e oppositori (1700-1870), vol. I. A-C, Trani 1969; vol. II. D-I, Trani 1972; vol. III. L-O, Bari 1979; vol. IV. P-R, Bari 1990; vol. V. S-Z, Bari 1990. 1 G. SETTEMBRINO-M. STRAZZA, Viaggiatori in Basilicata (1777-1880), Potenza 2004, p. 263. 2 Trad. it., E. LEAR, Viaggio in Basilicata (1847), Venosa 1990. 3 Cfr. G. SETTEMBRINO-M. STRAZZA, Viaggiatori in Basilicata…, cit., pp. 99-108. 4 Ivi, pp. 137-143. 5 Trad. it., K. W. SCHNARS, La terra incognita. Diario di un viaggiatore tedesco in 6
spesso rapide ed essenziali, anche se in molti casi arricchite da dati desunti dalle descrizioni del Regno e da eruditi locali, danno la misura della catastroficità (anche a livello socio-economico e culturale) del sisma del 1857. Pubblicate, infatti, con riferimenti al terremoto, si situano al confine tra la descrizione erudita e l’elegia per un mondo scomparso, una «terra incognita» paragonata ai luoghi di fiaba della nativa Germania. Nella Basilicata di metà XIX secolo, infatti, lo Schnars registrò l’immobilità suggestiva dei luoghi, al di là, forse oltre la grande storia, immemori del passato e del presente. Le osservazioni erudite sembrano soverchiare, in effetti, quelle di carattere antropologico e socio-economico, sicché l’immagine, pur suggestiva, che ne emerge è quella di una terra, appunto, borderline, ulteriormente separata dal mondo dal tragico terremoto del 1857. Eppure, come vedremo, in questa provincia apparentemente segregata dal resto del Regno delle Due Sicilie si sarebbe consumato l’ultimo atto, il più determinante, dell’Unificazione italiana e del conflitto tra moderatismo e democratismo, che con il 1860 avrebbe trovato una conclusione solo apparentemente definitiva, aprendo nuove vie per la lotta politica. Lotta che, in effetti, aveva contraddistinto la Basilicata fin dal fatale 1799, un momento di «scoperta della politica» che sarebbe continuato nel Decennio napoleonico, che, nel quadro di un rideterminato rapporto tra centro e periferia, anche a livello geografico-territoriale: l’Età napoleonica nel suo complesso aveva concretizzato riforme appena abbozzate nel corso del 1799, dalla legge eversiva della feudalità al riassetto territoriale alla nuova maglia istituzionale-amministrativa nei territori provinciali 6. La nuova borghesia di tradizione agraria, spina dorsale della nuova classe dirigente provinciale, la cui condizione sociale si connetteva all’esercizio delle professioni civili ed impiegatizie, si rafforzò nel Decennio grazie alle opportunità provenienti dal mercato dei beni ecclesiastici e demaniali, oltre che dal controllo stesso della gestione amministrativa locale 7, specchiandosi, infine, nell’autorappresentazione del proprio potere e impostando le basi per ridiscutere l’assetto economico-sociale provinciale, come evidente dalla breve stagione rivoluzionaria e costituzionale del Basilicata, Venosa 1991. 6 A. SPAGNOLETTI, Storia del Regno delle due Sicilie, Bologna 1997, p. 41. 7 T. PEDIO, La Basilicata durante la dominazione borbonica, in Primo centenario dello Stato Italiano contributi e ricerche storiche, a cura dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Matera 1961, pp. 25-157. 7
1820-21. Si era, dunque, innescato un processo di conflittualità politica nel quale non piccola parte ebbero i legami familiari e clientelari, che connotarono le schermaglie dei diversi schieramenti fin da subito. Dietro la bandiera democratica e quella moderata, in effetti, si agitarono, lungo tutto il tortuoso percorso che avrebbe portato all’Unità, schieramenti familiari, legami economici e socio-culturali e che, esplicitatisi dapprima nel biennio 1848-49 (quando la maturazione delle classi dirigenti consentì maggior dibattito politico di quanto non fosse avvenuto nell’immaturità del ’20-21), avrebbero trovato più robusta espressione nell’ultimo triennio del Regno delle Due Sicilie e, soprattutto, in quel notevole esperimento che fu il Governo Prodittatoriale Lucano. Chiusi i giochi, la legittimazione dell’operato dell’una e dell’altra parte sarebbe passata dal campo di battaglia allo scrittoio, con una fioritura di memoriali, ricordi, cronistorie, cronache che avrebbe riproposto, certo con più acredine, la disillusione di quanti avevano agito con alacre lavorio pensando di ottenere posti di rilievo nell’amministrazione del nascente Stato unitario. L’autorappresentazione di questi “vinti” avrebbe, dunque, insistito fortemente sull’«ardore di libertà» e contribuito, come si vedrà (specie nel primo cinquantenario dell’Unità) alla mitizzazione del 1860 lucano accanto a quello nazionale ed altrettanto oleografico della propaganda sabauda. 8
Capitolo Primo Dalla «primavera dei popoli» all’insurrezione 1. Dal 1848 alla tragedia di Sanza L’ampio periodo tra gli snodi delle rivoluzioni del 1820-21 e del 1848-49, pur se ampiamente riconducibile ad un significativo cambio generazionale, non mise in discussione l’evoluzione, in senso costituzionale, dello Stato napoleonico, fermo restando, da parte dei gruppi radicali, «un forte accen- to sul democratismo della carta di Cadice», mentre, da parte dei moderati, attestati sul costituzionalismo, il «valore di garanzia», con l’obiettivo di contemperare le richieste dei nuovi gruppi sociali meridionali con quelli che erano gli interessi della monarchia 1. Sicché lo stesso progetto federati- vo sarebbe stato, di fatto, praticato in una logica fondata più sull’apparenza che sulla sostanza. In tal modo si diluivano nel più grande ed unificante tema della nazionalità i motivi di tensione tra i patrioti e ciò spiegherebbe anche la rapidità con la quale, come detto, sia in Sicilia che sul continente, proprio nel corso della «primavera dei popoli», si assunsero distanze dal radicalismo, per non rischiare, proprio in nome della causa nazionale ed in presenza di mobilitazioni di massa, l’estremizzazione del processo politico-istituzionale 2. La generazione di Bonaparte aveva, in effetti, lasciato il passo ad una nuova classe dirigente che espresse, con la «primavera dei popoli» del 1848, un passaggio epocale in vista del 1860. Moderati e democratici, infatti, avrebbero visto fallire le loro idee ispiratrici e, inevitabilmente, sarebbero stati costretti a correggere il proprio progetto di pratica politica, in modo da supportare un programma più attuabile e perseguibile. I fermenti democratico-costituzionali furono, in effetti, sopiti ma non spenti nel decennio precedente al 1848: tuttavia, nel Regno delle Due 1 A. DE FRANCESCO, Ideologie e movimenti politici, in Storia d’Italia, a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, 1. Le premesse dell’unità, Roma-Bari 1994, p. 281. 2 Ivi, pp. 305-306, 310-311. 9
Sicilie, Ferdinando II continuava a negare ogni richiesta liberale e costituzionale e reprimeva energicamente ogni manifestazione in tal senso, anche se nei primi anni del suo regno aveva avviato un tentativo di conciliazione con i sudditi ma, per una serie di disordini, fu costretto ad abbandonare l’iniziale apertura a favore di un più accentuato paternalismo. La Sicilia, in questo contesto, scontenta dell’annessione al Regno e mai veramente accontentata dopo la rivoluzione del 1820-1821, divenne teatro di un vera e propria rivoluzione: infatti il 12 gennaio del ’48 a Palermo i manifestanti innalzarono le barricate e riuscirono a impadronirsi della città 3, tanto che il re, nel tentativo di tamponare l’azione degli insorti siciliani, il 18 e 19 gennaio emanò una serie di provvedimenti di apertura alle istanze dei separatisti. Le notizie raggiunsero inevitabilmente Napoli, provocando una serie di forti contrasti tra il sovrano ed i sudditi entrarono durante lo stesso mese di gennaio, finché il 27 un’imponente manifestazione liberale si svolse nella capitale e gli alti ranghi dell’esercito si rifiutarono di disperdere la folla. Le circostanze non permettevano ulteriori indugi, sicché il re dovette concedere la costituzione, che rese nota con l’atto sovrano del 29, con il quale si impegnava a concedere la carta costituzionale entro dieci giorni e, nell’occasione, ne anticipava alcuni tratti. L’atto regio del 29 gennaio 1948 fu accolto da manifestazioni di giubilo e affetto dai sudditi, anche nelle province e l’opinione pubblica europea venne favorevolmente impressionata dall’apertura democratica di Ferdinando 4, ma il 15 maggio del 1848 le promesse costituzionali del sovrano borbonico non furono mantenute, poiché egli non permise la riunione del Parlamento, minando l’attuazione del programma liberale e decise per l’intervento armato anche in Sicilia: infatti, nel mese di settembre del 1848 il generale Filangieri avrebbe conquistato Messina e Palermo e solo l’intervento congiunto di Francia e Inghilterra portò ad un armistizio pacifico. L’evoluzione degli avvenimenti italiani ed europei incoraggiavano la politica reazionaria del Borbone 5, che scelse la linea dura: dopo aver sciolto le camere il 12 marzo del ’49, facendo, altresì, proseguire 3 M. LACAVA, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860 e delle cospirazioni che la precedettero, Napoli 1895, pp. 718-719. 4 A. SCIROCCO, Dalla seconda restaurazione alla fine del Regno, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. IV/2, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Napoli 1986, p. 722. 5 Ivi, pp. 744-748. 10
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