Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Pagina creata da Simone Bruni
 
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Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Anche per chi parteciperà alla messa, il foglietto è l’occasione per
leggere e meditare le letture prima della celebrazione o per continuare
la preghiera personale a casa dopo la messa, nel corso della settimana.

       Benedetto colui che viene
        nel nome del Signore!
             Preghiera a casa – Domenica delle Palme
Con la Domenica delle Palme inizia la Settimana Santa, la settimana
in cui noi cristiani siamo invitati a seguire Gesù nel suo cammino di
amore fino alla Pasqua. In questa domenica celebriamo Gesù che entra a Gerusalemme non per salire sul trono, ma per
amarci fino alla fine. Il vangelo racconta che il Signore viene accolto dalla folla di Gerusalemme con rami di alberi.
Anche noi vogliamo iniziare la preghiera con questo segno.
Per la celebrazione di oggi, vi invitiamo a mettere nell’angolo della preghiera il vangelo aperto, un crocifisso,
una candela accesa e un ramo d’ulivo o di un altro albero. Nelle nostre zone è diventato tradizionale l’uso
dell’ulivo, anche per i suoi numerosi rimandi biblici, ma in altre parti d’Italia e d’Europa durante la celebrazione si
utilizzano anche rami di altri alberi (palme - sono famosi i parmureli liguri - oppure salice, acero, faggio, betulla,
nocciolo, uva spina, ginepro…). Se non riuscite a procurarvi un ramo vero, potete disegnarlo oppure “fabbricarlo” in
casa: (https://www.lavoretticreativi.com/ramoscello-dulivo-con-sagome-mani/
Quando tutto è pronto e c’è silenzio, uno della famiglia guida questo momento introducendolo col segno della croce.

G.      Siamo riuniti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
        Amen
G.     Con questa domenica iniziamo la Settimana che ci conduce alla Pasqua. Gesù entra a Gerusalemme
       accolto dalla folla festante per vivere il dono di sé. In questo giorno, attraverso un ramo di ulivo o di
       un altro albero, facciamo memoria dell’ingresso del Signore nella città santa quale messia che porta la
       pace e che desidera abbracciare con il dono della sua vita tutti gli uomini. Oggi preghiamo in modo
       particolare per chi in questo momento è malato ed è solo. Preghiamo per chi si spende per alleviare le
       sofferenze di queste persone, ci ricordiamo in particolare dei medici e del personale sanitario.

Benedizione dei rami
Tutti prendono in mano un rametto di ulivo o di un’altra pianta
G.      Dio, Padre buono ed eterno
        attraverso un ramo d’ulivo hai annunciato a Noè e ai suoi figli la fine del diluvio
        e attraverso i rami di alberi diversi hai voluto che tuo Figlio Gesù
        fosse salutato quale Messia Re di pace, umile e mite,
        venuto per portare la riconciliazione:
        sii benedetto per questi rami che ci ricordano
        la tua alleanza eterna con tutta la creazione,
        sii benedetto per questi rami segno della gioia pasquale
        che ci prepariamo a vivere.
        Donaci un cuore buono, perché accogliamo con gioia
        colui che viene, Gesù Cristo il Re, benedetto nei secoli di secoli.
        Amen.

Rit. Gloria a te, Signore Gesù
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Rit.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Rit.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Rit.

G.      Padre buono, Gesù entra a Gerusalemme non per essere servito, ma per servire.
        La tua Parola ravvivi il nostro desiderio di seguire Gesù sulla via dell’amore.
        Benedetto nei secoli dei secoli.
        Amen.

Dal Vangelo secondo Marco (11,1-10)
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso
il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro:
«Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso,
troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo
e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”,
rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».
Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla
strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate
questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li
lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli
vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri
invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».

Riflessione
(chi guida la preghiera può commentare il vangelo con sue parole oppure leggendo la riflessione che segue).
Il racconto dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme rimanda alla tradizione legata alla celebrazione della
festività ebraica di Sukkot (festa delle Capanne), festa che ricorda la vita del popolo d'Israele nel deserto
durante il viaggio verso la terra promessa. Durante il pellegrinaggio nel deserto gli ebrei vivevano in capanne
(sukkot). In occasione della festa di "Sukkot" la legge ebraica obbligava gli ebrei maschi a compiere un
pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme: gli ebrei arrivavano in massa nella città e salivano al tempio in
processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un mazzetto composto da rami di alberi.
Il cammino verso il tempio era ritmato dalle invocazioni di salvezza (Osanna, in ebraico Hoshana che significa
"aiutaci, salvaci") in quella che era col tempo divenuta una celebrazione corale della liberazione dall’Egitto.
Tra l'altro, secondo la tradizione, il Messia atteso si sarebbe manifestato proprio durante questa festa. Anche
Gesù sale a Gerusalemme. Per Marco e per la prima comunità cristiana, questo evento assume un significato
unico: Gesù entra a Gerusalemme, la città santa, come Messia, per rivelare l'amore di Dio per l'uomo.
Nell'economia generale del racconto ascoltato colpiscono alcuni particolari che ci rivelano però che la
messianicità di Gesù è molto diversa da quella umana.
Innanzitutto Gesù non viene su un cavallo, simbolo del potere; non viene nemmeno su un carro da guerra,
simbolo della forza e di chi vuole conquistare il potere. Gesù entra cavalcando un puledro d’asino, simbolo di
umiltà e servizio. Marco annota che si tratta di un puledro su cui nessuno si era mai seduto. Nessuno
desidera salire su questo puledro. Nessuno desidera servire e dare la propria vita per gli altri. Tutti al
puledro preferiamo il cavallo e il carro da guerra. Gesù invece va a sedere all'ultimo posto e si rivela come
Messia che non viene per essere servito ma per servire.
Un puledro legato che Gesù chiede di slegare. In questa richiesta possiamo leggere un riferimento alla
profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme;
ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo
dell'asina” (Zaccaria 9,9). Unico tra i profeti, Zaccaria presentava un Messia di pace, non un Messia violento,
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
non un Messia dominatore, un Messia che avrebbe cavalcato non un destriero, ma anzi che avrebbe fatto
scomparire da Gerusalemme i carri e i cavalli. Il Messia che fa scomparire i cavalli, simbolo di forza, si
presenta sopra un puledro d’asina, su un asinello, la cavalcatura comune della gente del popolo. Gesù slega
questa profezia, una profezia censurata da parte della tradizione religiosa che voleva nel Messia il trionfatore,
il vincitore.
Gesù è colui che viene a slegare la logica del servizio, che viene a rivelarci che la vera gloria è la gloria di chi
serve. Per Gesù la vera autorità è di chi si mette al servizio dell'altro, perché l'altro sia liberato e cresca.
Colpisce infine che la folla che accoglie Gesù stenda i propri mantelli. Nella simbologia il mantello significa
l’individuo, la persona; il mantello è immagine della propria vita e stendere il mantello è segno di
sottomissione. Il popolo vuole un re a cui sottomettersi, non ha capito e non accoglierà il messaggio di
liberazione portato da Gesù: lui non vuole schiavi, ma uomini che scelgono liberamente di seguirlo sulla via
non della dominazione, ma dell’amore. Il popolo vede in Gesù un re potente e dominatore, magari un re
migliore, ma comunque un re al quale sottomettersi: è questo quello che la folle vuole!
Per questo motivo questi che gridano “Osanna al Figlio di Davide”, quando si renderanno conto di aver
sbagliato persona, grideranno: “Crocifiggilo”. Perché Gesù non è il Figlio di Davide: ‘figlio’ nella mentalità
del tempo significava colui che assomiglia al padre. Gesù non è figlio del re Davide, lui non è venuto per
essere servito, ma per servire, lui è il Figlio del Dio vivente che è venuto per dare la propria vita per gli altri.
Le folle non hanno capito che Gesù è venuto ad inaugurare un regno diverso dai regni umani, loro vogliono
che Gesù resusciti il defunto Regno di Davide, Regno di Israele. Gesù, invece, inaugura un nuovo regno, il
Regno di Dio, un Regno universale dove ogni persona si possa sentire accolta, amata e dove il segno non sia
la sottomissione, la dominazione, ma l’amore e il servizio.
Oggi chiediamo al Signore di saper stare con lui in questa settimana santa, chiediamo al Signore di
accompagnare Gesù nella via del servizio fino alla fine, nella certezza che proprio questa strada è la via della
vera gloria.

Preghiere
G.     Gesù salì a Gerusalemme per amarci fino alla fine. In lui riconosciamo il Messia atteso, il Re della
       pace, il nostro Salvatore e con fede invochiamo: Venga il tuo regno di pace, Signore!
Signore Gesù, hai scelto un’umile cavalcatura per il tuo ingresso in Gerusalemme: insegnaci ad annunciare il
vangelo con umiltà e mitezza, preghiamo.
Signore Gesù, sei venuto nella città santa come Messia mite ed umile di cuore: vieni oggi a disarmare chi usa
violenza e liberaci dalle ambizioni di potere, preghiamo.
Signore Gesù, sei entrato nella città di Davide per portare a tutti la tua pace: dona conforto a quanti sono
nella malattia e nel lutto, accogli nel tuo regno le vittime del coronavirus, preghiamo.
Signore Gesù, sei venuto non per essere servito ma per servire: ricordati di quanti si prendono cura degli
altri, in particolare dei medici, degli infermieri, del personale sanitario e di chi dedica agli altri il suo tempo e
le sue energie in questo periodo di emergenza, preghiamo.

Preghiamo ancora il Signore.
Davanti a te Signore, ci ricordiamo della nostra comunità parrocchiale,
delle persone che amiamo e che non sono qui con noi, dei nostri amici
…(si possono esprime altre preghiere)

G.      Gesù, il Messia è re di pace;
        all’inizio di questa Settimana santa, scambiamoci un segno di pace.

Ci si scambia un segno di pace.
Padre nostro
G.    Portiamo a tutti la pace e la consolazione del Signore.
Tutti Amen.
L’articolo della settimana…

  Inizia la Settimana Santa, un tempo per diventare discepoli del Signore
                             di Maurizio Barba in www.finesettimana.org del 26 marzo 2021

C’è un momento fondamentale nella storia dell’umanità in cui tutto è cambiato: quel mattino in cui un uomo
è uscito vivo dal sepolcro! Da quell’istante la morte non è più stata la parola definitiva sul destino umano, ma
l’inizio di una nuova esistenza, di una nuova vita, quella vera, inaugurata da un uomo di nome Gesù.
Questo momento cruciale è avvenuto tanti anni fa, intorno all’anno 30 dell’era cristiana. I discepoli di Gesù
hanno interpretato tale evento come il punto di arrivo della storia che lo ha preceduto e il punto di partenza
di ciò che seguirà e hanno cominciato a delineare, attraverso racconti scritti, le tappe significative della sua
vita.
Tale evento, chiamato “pasqua”, che fonda il cristianesimo e la sua visione dell’uomo e del cosmo, è il
passaggio di Cristo, attraverso la sua passione, per giungere alla risurrezione e alla glorificazione. I cristiani,
da duemila anni, continuano a celebrare questo evento, ovvero il “mistero pasquale”, nel primo giorno della
settimana, chiamato proprio per questa ragione dies Domini (da qui “domenica”), “giorno del Signore”, cioè
del Risorto, con una frequenza settimanale, determinata dal susseguirsi delle apparizioni, avvenute “otto
giorni dopo”.
Da questo nucleo germinale e germinante della domenica come “piccola pasqua della settimana”, ben presto
i cristiani hanno cominciato a celebrare il mistero pasquale in modo più solenne in quella “grande domenica
dell’anno” chiamata “Pasqua” (la prima domenica successiva alla prima luna di primavera). Una festa alla
quale ci si prepara con un itinerario di quaranta giorni, che culmina nella “grande settimana” dell’anno
liturgico, in cui la Chiesa segue, passo dopo passo, nelle sue celebrazioni, gli ultimi eventi della vicenda
terrena di Gesù. Nella tradizione ecclesiale, questa settimana è chiamata “santa”, per i grandi avvenimenti
che in essa si celebrano: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione
del Signore. Sono gli avvenimenti che hanno segnato per sempre la storia dell’umanità e costituiscono
l’oggetto e il fondamento della fede e della vita dei cristiani.
Significativa ed eloquente è la riflessione del beato Paolo VI, nella catechesi del mercoledì 6 aprile 1966,
quando afferma: “Se v’è liturgia, che dovrebbe trovarci tutti compresi, attenti, solleciti e uniti per una
partecipazione quanto mai degna, pia e amorosa, questa è quella della grande settimana. Per una ragione
chiara e profonda: il mistero pasquale, che trova nella Settimana Santa la sua più alta e commossa
celebrazione, non è semplicemente un momento dell’anno liturgico; esso è la sorgente di tutte le altre
celebrazioni dell’anno liturgico stesso, perché tutte si riferiscono al mistero della nostra redenzione, cioè al
mistero pasquale”. Se il centro della fede cristiana è l’evento della passione, morte e risurrezione del Cristo, il
fulcro dell’anno liturgico della Chiesa non può non essere il mistero di Cristo, celebrato nella grande
Settimana Santa.
La liturgia della Settimana Santa getta una luce nuova sull’uomo, sulla sua storia, sul suo destino, sulla sua
vocazione ad essere in Cristo una nuova creatura. Non sono avvenimenti consegnati agli archivi della storia
quelli che la Chiesa ci fa celebrare ogni anno nella Settimana Santa, né va considerato come un personaggio
storico, sia pur straordinario, l’uomo di cui essi parlano. Non sono avvenimenti da ammirare, ma eventi da
imitare e nei quali essere coinvolti, e Gesù non è un eroe da esaltare ma un “vivente” e “contemporaneo” da
seguire. Celebrare, dunque, ogni anno i riti della Settimana Santa non significa ammirare a distanza i gesti e
le parole di Gesù, ma essere coinvolti nella sua scelta di amore, nella consapevolezza che essa ha ancora da
dire qualcosa all’uomo di oggi. La passione, morte e risurrezione di Cristo è ancora oggi evento “salvifico”
per coloro che ad essa aderiscono con la propria esistenza. Fare la Pasqua – amava affermare don Primo
Mazzolari, – è come fare la primavera: “Non si assiste allo spettacolo della primavera o, se mi pare di
assistere alla meraviglia di essa, m’accorgo che sono anch’io nella primavera, che io stesso sono la primavera
e che la rinascita della natura è un poco la mia stessa rinascita e che il mio comprendere e godere la
primavera è regolato dalla mia partecipazione”. La Chiesa, celebrando i divini misteri, non vive la nostalgia
del passato storico di Gesù, ma confessa la sua fede nella presenza attuale del Signore crocifisso e risorto e si
proietta nella speranza verso il compimento definitivo alla fine dei tempi. Celebrare il memoriale della
Pasqua del Signore, dunque, significa divenire contemporanei del Signore. La contemporaneità è la
condizione essenziale perché ciascuno possa diventare davvero discepolo del Signore, rispondendo al suo
invito a prendere ogni giorno la propria croce e a seguirlo sulla via dell’amore fino alla fine. Per vivere in
pienezza i riti della Settimana Santa, non basta, dunque, essere “ammiratori” di una storia, ma è necessario
diventare “imitatori” di un evento, quello salvifico, che ha in Cristo, morto e risorto, il suo nucleo vitale.
Davanti ad un quadro….

                                                      La colomba è simbolo di pace: la Genesi racconta come
                                                      Noè inviò proprio una colomba per conoscere in quali
                                                      condizioni fosse la terra dopo il diluvio universale e di
                                                      come questa tornò con un ramoscello d’ulivo nel becco,
                                                      annunciando il ritirarsi delle acque che avevano
                                                      sommerso la terra. Si poteva lasciare l’arca e tornare a
                                                      vivere sulla terraferma, poiché gli alberi non erano più
                                                      ricoperti dall’acqua.
                                                      Il simbolo della colomba col ramoscello di ulivo è stato
                                                      usato come segno di pace anche dai primi cristiani e in
                                                      seguito adottato come simbolo laico. È stato reso
                                                      popolare dall’artista Pablo Picasso, che ha disegnato
questo soggetto più volte nella sua vita. In quest’opera, dal titolo La colomba blu, Picasso traccia la sagoma di
una colomba, come quelle che dipingeva nella sua infanzia. La colomba porta nel becco un rametto verde di
ulivo, come ricorda l’episodio biblico della Genesi. Realizzato nel 1961 per il Manifesto del Congresso
Nazionale del Movimento per la Pace, tenuto l’anno dopo in Francia a Issy-Les-Moulineaux, questo disegno
venne a rappresentare in poco tempo l’emblema pacifico universale.
Picasso con pochi tratti realizza un’opera che nella sua semplicità trasmette leggerezza, speranza e fiducia nel
futuro. Anche oggi abbiamo molto bisogno di leggerezza e di pace: in questo tempo difficile da decifrare e
soprattutto da vivere a causa della pandemia, tutti noi desideriamo la vera pace. Il vangelo ci presenta Gesù
che, in occasione della Festa delle Capanne, entra a Gerusalemme come il principe della pace. Lui entra a
Gerusalemme su un puledro d’asino: Gesù non viene su un cavallo poderoso, simbolo del potere; non viene
nemmeno su un carro da guerra, simbolo della forza di chi vuole conquistare il trono. Gesù entra cavalcando
un asino, simbolo di umiltà e servizio, di mitezza e mansuetudine.
Marco annota che si tratta di un puledro su cui nessuno si era mai seduto. Nessuno desidera salire su questo
puledro. Nessuno desidera servire e dare la propria vita per gli altri. Tutti al puledro preferiamo il cavallo e il
carro da guerra. Gesù invece va a sedere all'ultimo posto e si rivela come Messia che non viene per essere
servito ma per servire. In questi giorni difficili, guardiamo a Gesù e facciamoci portatori della sua pace,
annunciamo a tutti che insieme usciremo anche dal diluvio di questa pandemia, proprio come la colomba
dipinta da Picasso, che “sarà anche mite, ma di certo è uccello temerario, che sfida l’ignoto” (Ernst Hans Josef
Gombrich in Psicoanalisi e Storia dell’Arte, 1954).
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