Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
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Anche per chi parteciperà alla messa, il foglietto è l’occasione per leggere e meditare le letture prima della celebrazione o per continuare la preghiera personale a casa dopo la messa, nel corso della settimana. Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Preghiera a casa – Domenica delle Palme Con la Domenica delle Palme inizia la Settimana Santa, la settimana in cui noi cristiani siamo invitati a seguire Gesù nel suo cammino di amore fino alla Pasqua. In questa domenica celebriamo Gesù che entra a Gerusalemme non per salire sul trono, ma per amarci fino alla fine. Il vangelo racconta che il Signore viene accolto dalla folla di Gerusalemme con rami di alberi. Anche noi vogliamo iniziare la preghiera con questo segno. Per la celebrazione di oggi, vi invitiamo a mettere nell’angolo della preghiera il vangelo aperto, un crocifisso, una candela accesa e un ramo d’ulivo o di un altro albero. Nelle nostre zone è diventato tradizionale l’uso dell’ulivo, anche per i suoi numerosi rimandi biblici, ma in altre parti d’Italia e d’Europa durante la celebrazione si utilizzano anche rami di altri alberi (palme - sono famosi i parmureli liguri - oppure salice, acero, faggio, betulla, nocciolo, uva spina, ginepro…). Se non riuscite a procurarvi un ramo vero, potete disegnarlo oppure “fabbricarlo” in casa: (https://www.lavoretticreativi.com/ramoscello-dulivo-con-sagome-mani/ Quando tutto è pronto e c’è silenzio, uno della famiglia guida questo momento introducendolo col segno della croce. G. Siamo riuniti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen G. Con questa domenica iniziamo la Settimana che ci conduce alla Pasqua. Gesù entra a Gerusalemme accolto dalla folla festante per vivere il dono di sé. In questo giorno, attraverso un ramo di ulivo o di un altro albero, facciamo memoria dell’ingresso del Signore nella città santa quale messia che porta la pace e che desidera abbracciare con il dono della sua vita tutti gli uomini. Oggi preghiamo in modo particolare per chi in questo momento è malato ed è solo. Preghiamo per chi si spende per alleviare le sofferenze di queste persone, ci ricordiamo in particolare dei medici e del personale sanitario. Benedizione dei rami Tutti prendono in mano un rametto di ulivo o di un’altra pianta G. Dio, Padre buono ed eterno attraverso un ramo d’ulivo hai annunciato a Noè e ai suoi figli la fine del diluvio e attraverso i rami di alberi diversi hai voluto che tuo Figlio Gesù fosse salutato quale Messia Re di pace, umile e mite, venuto per portare la riconciliazione: sii benedetto per questi rami che ci ricordano la tua alleanza eterna con tutta la creazione, sii benedetto per questi rami segno della gioia pasquale che ci prepariamo a vivere. Donaci un cuore buono, perché accogliamo con gioia colui che viene, Gesù Cristo il Re, benedetto nei secoli di secoli. Amen. Rit. Gloria a te, Signore Gesù Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Rit. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Rit.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Rit. G. Padre buono, Gesù entra a Gerusalemme non per essere servito, ma per servire. La tua Parola ravvivi il nostro desiderio di seguire Gesù sulla via dell’amore. Benedetto nei secoli dei secoli. Amen. Dal Vangelo secondo Marco (11,1-10) Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». Riflessione (chi guida la preghiera può commentare il vangelo con sue parole oppure leggendo la riflessione che segue). Il racconto dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme rimanda alla tradizione legata alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot (festa delle Capanne), festa che ricorda la vita del popolo d'Israele nel deserto durante il viaggio verso la terra promessa. Durante il pellegrinaggio nel deserto gli ebrei vivevano in capanne (sukkot). In occasione della festa di "Sukkot" la legge ebraica obbligava gli ebrei maschi a compiere un pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme: gli ebrei arrivavano in massa nella città e salivano al tempio in processione. Ciascuno portava in mano e sventolava il lulav, un mazzetto composto da rami di alberi. Il cammino verso il tempio era ritmato dalle invocazioni di salvezza (Osanna, in ebraico Hoshana che significa "aiutaci, salvaci") in quella che era col tempo divenuta una celebrazione corale della liberazione dall’Egitto. Tra l'altro, secondo la tradizione, il Messia atteso si sarebbe manifestato proprio durante questa festa. Anche Gesù sale a Gerusalemme. Per Marco e per la prima comunità cristiana, questo evento assume un significato unico: Gesù entra a Gerusalemme, la città santa, come Messia, per rivelare l'amore di Dio per l'uomo. Nell'economia generale del racconto ascoltato colpiscono alcuni particolari che ci rivelano però che la messianicità di Gesù è molto diversa da quella umana. Innanzitutto Gesù non viene su un cavallo, simbolo del potere; non viene nemmeno su un carro da guerra, simbolo della forza e di chi vuole conquistare il potere. Gesù entra cavalcando un puledro d’asino, simbolo di umiltà e servizio. Marco annota che si tratta di un puledro su cui nessuno si era mai seduto. Nessuno desidera salire su questo puledro. Nessuno desidera servire e dare la propria vita per gli altri. Tutti al puledro preferiamo il cavallo e il carro da guerra. Gesù invece va a sedere all'ultimo posto e si rivela come Messia che non viene per essere servito ma per servire. Un puledro legato che Gesù chiede di slegare. In questa richiesta possiamo leggere un riferimento alla profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell'asina” (Zaccaria 9,9). Unico tra i profeti, Zaccaria presentava un Messia di pace, non un Messia violento,
non un Messia dominatore, un Messia che avrebbe cavalcato non un destriero, ma anzi che avrebbe fatto scomparire da Gerusalemme i carri e i cavalli. Il Messia che fa scomparire i cavalli, simbolo di forza, si presenta sopra un puledro d’asina, su un asinello, la cavalcatura comune della gente del popolo. Gesù slega questa profezia, una profezia censurata da parte della tradizione religiosa che voleva nel Messia il trionfatore, il vincitore. Gesù è colui che viene a slegare la logica del servizio, che viene a rivelarci che la vera gloria è la gloria di chi serve. Per Gesù la vera autorità è di chi si mette al servizio dell'altro, perché l'altro sia liberato e cresca. Colpisce infine che la folla che accoglie Gesù stenda i propri mantelli. Nella simbologia il mantello significa l’individuo, la persona; il mantello è immagine della propria vita e stendere il mantello è segno di sottomissione. Il popolo vuole un re a cui sottomettersi, non ha capito e non accoglierà il messaggio di liberazione portato da Gesù: lui non vuole schiavi, ma uomini che scelgono liberamente di seguirlo sulla via non della dominazione, ma dell’amore. Il popolo vede in Gesù un re potente e dominatore, magari un re migliore, ma comunque un re al quale sottomettersi: è questo quello che la folle vuole! Per questo motivo questi che gridano “Osanna al Figlio di Davide”, quando si renderanno conto di aver sbagliato persona, grideranno: “Crocifiggilo”. Perché Gesù non è il Figlio di Davide: ‘figlio’ nella mentalità del tempo significava colui che assomiglia al padre. Gesù non è figlio del re Davide, lui non è venuto per essere servito, ma per servire, lui è il Figlio del Dio vivente che è venuto per dare la propria vita per gli altri. Le folle non hanno capito che Gesù è venuto ad inaugurare un regno diverso dai regni umani, loro vogliono che Gesù resusciti il defunto Regno di Davide, Regno di Israele. Gesù, invece, inaugura un nuovo regno, il Regno di Dio, un Regno universale dove ogni persona si possa sentire accolta, amata e dove il segno non sia la sottomissione, la dominazione, ma l’amore e il servizio. Oggi chiediamo al Signore di saper stare con lui in questa settimana santa, chiediamo al Signore di accompagnare Gesù nella via del servizio fino alla fine, nella certezza che proprio questa strada è la via della vera gloria. Preghiere G. Gesù salì a Gerusalemme per amarci fino alla fine. In lui riconosciamo il Messia atteso, il Re della pace, il nostro Salvatore e con fede invochiamo: Venga il tuo regno di pace, Signore! Signore Gesù, hai scelto un’umile cavalcatura per il tuo ingresso in Gerusalemme: insegnaci ad annunciare il vangelo con umiltà e mitezza, preghiamo. Signore Gesù, sei venuto nella città santa come Messia mite ed umile di cuore: vieni oggi a disarmare chi usa violenza e liberaci dalle ambizioni di potere, preghiamo. Signore Gesù, sei entrato nella città di Davide per portare a tutti la tua pace: dona conforto a quanti sono nella malattia e nel lutto, accogli nel tuo regno le vittime del coronavirus, preghiamo. Signore Gesù, sei venuto non per essere servito ma per servire: ricordati di quanti si prendono cura degli altri, in particolare dei medici, degli infermieri, del personale sanitario e di chi dedica agli altri il suo tempo e le sue energie in questo periodo di emergenza, preghiamo. Preghiamo ancora il Signore. Davanti a te Signore, ci ricordiamo della nostra comunità parrocchiale, delle persone che amiamo e che non sono qui con noi, dei nostri amici …(si possono esprime altre preghiere) G. Gesù, il Messia è re di pace; all’inizio di questa Settimana santa, scambiamoci un segno di pace. Ci si scambia un segno di pace. Padre nostro G. Portiamo a tutti la pace e la consolazione del Signore. Tutti Amen.
L’articolo della settimana… Inizia la Settimana Santa, un tempo per diventare discepoli del Signore di Maurizio Barba in www.finesettimana.org del 26 marzo 2021 C’è un momento fondamentale nella storia dell’umanità in cui tutto è cambiato: quel mattino in cui un uomo è uscito vivo dal sepolcro! Da quell’istante la morte non è più stata la parola definitiva sul destino umano, ma l’inizio di una nuova esistenza, di una nuova vita, quella vera, inaugurata da un uomo di nome Gesù. Questo momento cruciale è avvenuto tanti anni fa, intorno all’anno 30 dell’era cristiana. I discepoli di Gesù hanno interpretato tale evento come il punto di arrivo della storia che lo ha preceduto e il punto di partenza di ciò che seguirà e hanno cominciato a delineare, attraverso racconti scritti, le tappe significative della sua vita. Tale evento, chiamato “pasqua”, che fonda il cristianesimo e la sua visione dell’uomo e del cosmo, è il passaggio di Cristo, attraverso la sua passione, per giungere alla risurrezione e alla glorificazione. I cristiani, da duemila anni, continuano a celebrare questo evento, ovvero il “mistero pasquale”, nel primo giorno della settimana, chiamato proprio per questa ragione dies Domini (da qui “domenica”), “giorno del Signore”, cioè del Risorto, con una frequenza settimanale, determinata dal susseguirsi delle apparizioni, avvenute “otto giorni dopo”. Da questo nucleo germinale e germinante della domenica come “piccola pasqua della settimana”, ben presto i cristiani hanno cominciato a celebrare il mistero pasquale in modo più solenne in quella “grande domenica dell’anno” chiamata “Pasqua” (la prima domenica successiva alla prima luna di primavera). Una festa alla quale ci si prepara con un itinerario di quaranta giorni, che culmina nella “grande settimana” dell’anno liturgico, in cui la Chiesa segue, passo dopo passo, nelle sue celebrazioni, gli ultimi eventi della vicenda terrena di Gesù. Nella tradizione ecclesiale, questa settimana è chiamata “santa”, per i grandi avvenimenti che in essa si celebrano: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. Sono gli avvenimenti che hanno segnato per sempre la storia dell’umanità e costituiscono l’oggetto e il fondamento della fede e della vita dei cristiani. Significativa ed eloquente è la riflessione del beato Paolo VI, nella catechesi del mercoledì 6 aprile 1966, quando afferma: “Se v’è liturgia, che dovrebbe trovarci tutti compresi, attenti, solleciti e uniti per una partecipazione quanto mai degna, pia e amorosa, questa è quella della grande settimana. Per una ragione chiara e profonda: il mistero pasquale, che trova nella Settimana Santa la sua più alta e commossa celebrazione, non è semplicemente un momento dell’anno liturgico; esso è la sorgente di tutte le altre celebrazioni dell’anno liturgico stesso, perché tutte si riferiscono al mistero della nostra redenzione, cioè al mistero pasquale”. Se il centro della fede cristiana è l’evento della passione, morte e risurrezione del Cristo, il fulcro dell’anno liturgico della Chiesa non può non essere il mistero di Cristo, celebrato nella grande Settimana Santa. La liturgia della Settimana Santa getta una luce nuova sull’uomo, sulla sua storia, sul suo destino, sulla sua vocazione ad essere in Cristo una nuova creatura. Non sono avvenimenti consegnati agli archivi della storia quelli che la Chiesa ci fa celebrare ogni anno nella Settimana Santa, né va considerato come un personaggio storico, sia pur straordinario, l’uomo di cui essi parlano. Non sono avvenimenti da ammirare, ma eventi da imitare e nei quali essere coinvolti, e Gesù non è un eroe da esaltare ma un “vivente” e “contemporaneo” da seguire. Celebrare, dunque, ogni anno i riti della Settimana Santa non significa ammirare a distanza i gesti e le parole di Gesù, ma essere coinvolti nella sua scelta di amore, nella consapevolezza che essa ha ancora da dire qualcosa all’uomo di oggi. La passione, morte e risurrezione di Cristo è ancora oggi evento “salvifico” per coloro che ad essa aderiscono con la propria esistenza. Fare la Pasqua – amava affermare don Primo Mazzolari, – è come fare la primavera: “Non si assiste allo spettacolo della primavera o, se mi pare di assistere alla meraviglia di essa, m’accorgo che sono anch’io nella primavera, che io stesso sono la primavera e che la rinascita della natura è un poco la mia stessa rinascita e che il mio comprendere e godere la primavera è regolato dalla mia partecipazione”. La Chiesa, celebrando i divini misteri, non vive la nostalgia del passato storico di Gesù, ma confessa la sua fede nella presenza attuale del Signore crocifisso e risorto e si proietta nella speranza verso il compimento definitivo alla fine dei tempi. Celebrare il memoriale della Pasqua del Signore, dunque, significa divenire contemporanei del Signore. La contemporaneità è la
condizione essenziale perché ciascuno possa diventare davvero discepolo del Signore, rispondendo al suo invito a prendere ogni giorno la propria croce e a seguirlo sulla via dell’amore fino alla fine. Per vivere in pienezza i riti della Settimana Santa, non basta, dunque, essere “ammiratori” di una storia, ma è necessario diventare “imitatori” di un evento, quello salvifico, che ha in Cristo, morto e risorto, il suo nucleo vitale. Davanti ad un quadro…. La colomba è simbolo di pace: la Genesi racconta come Noè inviò proprio una colomba per conoscere in quali condizioni fosse la terra dopo il diluvio universale e di come questa tornò con un ramoscello d’ulivo nel becco, annunciando il ritirarsi delle acque che avevano sommerso la terra. Si poteva lasciare l’arca e tornare a vivere sulla terraferma, poiché gli alberi non erano più ricoperti dall’acqua. Il simbolo della colomba col ramoscello di ulivo è stato usato come segno di pace anche dai primi cristiani e in seguito adottato come simbolo laico. È stato reso popolare dall’artista Pablo Picasso, che ha disegnato questo soggetto più volte nella sua vita. In quest’opera, dal titolo La colomba blu, Picasso traccia la sagoma di una colomba, come quelle che dipingeva nella sua infanzia. La colomba porta nel becco un rametto verde di ulivo, come ricorda l’episodio biblico della Genesi. Realizzato nel 1961 per il Manifesto del Congresso Nazionale del Movimento per la Pace, tenuto l’anno dopo in Francia a Issy-Les-Moulineaux, questo disegno venne a rappresentare in poco tempo l’emblema pacifico universale. Picasso con pochi tratti realizza un’opera che nella sua semplicità trasmette leggerezza, speranza e fiducia nel futuro. Anche oggi abbiamo molto bisogno di leggerezza e di pace: in questo tempo difficile da decifrare e soprattutto da vivere a causa della pandemia, tutti noi desideriamo la vera pace. Il vangelo ci presenta Gesù che, in occasione della Festa delle Capanne, entra a Gerusalemme come il principe della pace. Lui entra a Gerusalemme su un puledro d’asino: Gesù non viene su un cavallo poderoso, simbolo del potere; non viene nemmeno su un carro da guerra, simbolo della forza di chi vuole conquistare il trono. Gesù entra cavalcando un asino, simbolo di umiltà e servizio, di mitezza e mansuetudine. Marco annota che si tratta di un puledro su cui nessuno si era mai seduto. Nessuno desidera salire su questo puledro. Nessuno desidera servire e dare la propria vita per gli altri. Tutti al puledro preferiamo il cavallo e il carro da guerra. Gesù invece va a sedere all'ultimo posto e si rivela come Messia che non viene per essere servito ma per servire. In questi giorni difficili, guardiamo a Gesù e facciamoci portatori della sua pace, annunciamo a tutti che insieme usciremo anche dal diluvio di questa pandemia, proprio come la colomba dipinta da Picasso, che “sarà anche mite, ma di certo è uccello temerario, che sfida l’ignoto” (Ernst Hans Josef Gombrich in Psicoanalisi e Storia dell’Arte, 1954).
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