LA RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA (PAC) E L'ALLEVAMENTO OVI-CAPRINO: DALLA DIMENSIONE EUROPEA ALLA SCALA LOCALE. IL CASO DELL'ALTA ...
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LA RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA (PAC) E L’ALLEVAMENTO OVI-CAPRINO: DALLA DIMENSIONE EUROPEA ALLA SCALA LOCALE. IL CASO DELL’ALTA MURGIA.* di Rinaldo Grittani, Dipartimento di Progettazione e Gestione dei Sistemi Agro-Zootecnici e Forestali (PRO.GE.S.A.), Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Bari. 1 Introduzione Nei Paesi dell’Europa mediterranea l’allevamento ovi-caprino viene praticato prevalentemente in aree agricole marginali, laddove cioè i pascoli rappresentano molto spesso l’unica forma di utilizzazione produttiva dei suoli. Ciò nondimeno tale attività si investe di ruoli e significati rilevanti, che rimandano alla preservazione di valori sociali, culturali e ambientali. Ne consegue che le prospettive di sopravvivenza della zootecnia ovi-caprina risultino oggi, ancora più che in passato, profondamente legate alle misure di politiche agricole predisposte a livello comunitario (PAC), pena un inarrestabile quanto non auspicabile declino. In proposito c’è da sottolineare che la recente riforma Fischler ha introdotto sostanziali cambiamenti al funzionamento della PAC. Tra gli altri, sono mutati i meccanismi e i criteri sulla cui base si conferiscono gli aiuti agli agricoltori ed agli allevatori, modifiche i cui effetti saranno comunque condizionati dalle scelte effettuate a livello regionale. Nella relazione presentata si vogliono proporre alcune riflessioni sulle probabili interazioni tra la riforma della PAC e l’allevamento ovi-caprino, dapprima esaminandone la situazione a livello europeo e successivamente scendendo di scala per soffermare l’attenzione sull’area dell’Alta Murgia, nella provincia di Bari, quale esempio in qualche modo emblematico della difficile realtà produttiva del settore e delle sue attuali prospettive. 2 La riforma della Politica Agricola Comunitaria E’ noto che i meccanismi di intervento sui mercati1 adottati dalla Politica Agricola Europea fin dalla sua impostazione, si sono rivelati nel tempo non sostenibili, generando effetti distorsivi rispetto allo stesso quadro di obiettivi che li aveva ispirati. Nel corso degli anni ‘80, anche se gli strumenti di sostegno utilizzati2 sino ad allora non sono stati messi in discussione, la Commissione ha elaborato importanti documenti di riflessione3, nei quali è stata segnalata l'opportunità di avviare un processo di ripensamento della PAC che fosse in grado di rispondere con maggiore coerenza alle mutate condizioni del settore primario. La riforma Mac Sharry del maggio 1992 ha costituito il primo concreto tentativo in tale direzione: se da un lato, relativamente alla politica dei prezzi, è stato perseguito il riorientamento al mercato attraverso l'applicazione del principio del “disaccoppiamento” del sostegno, dall'altro si sono rafforzate le politiche strutturali e le "misure di accompagnamento" che remunerano quegli agricoltori che si impegnano a realizzare azioni che generano “esternalità” positive. Il processo di riforma è proseguito con Agenda 2000 e con la sua revisione di medio termine (giugno 2003), che rappresentano ulteriori passi verso un “nuovo modello di agricoltura” caratterizzato da una sempre maggiore integrazione degli obiettivi ambientali4 sia nelle politiche di mercato che in quelle di sviluppo * Si ringraziano i Proff. Giuseppe De Blasi (Dip.to di “Economia e Politica Agraria, Estimo e Pianificazione Rurale”, Univ. Bari) e Sebastiano Carbonara (DART, Univ. Chieti), per aver discusso i contenuti della nota ed aver espresso utili suggerimenti. Resta ovviamente del solo autore la responsabilità di quanto scritto. 1 La PAC ha per lungo tempo adottato un sostegno "accoppiato" alla quantità prodotta, garantendo ai suoi produttori sia un livello di prezzo maggiore di quello mondiale sia la garanzia di ottenere un ricavo unitario minimo certo, indipendente dalla congiuntura del mercato e dalla quantità prodotta. 2 In quegli anni vengono fondamentalmente attivate misure volte a contrastare l'aumento della spesa agricola come, per esempio, disincentivi (tasse di corresponsabilità, meccanismi di riduzione automatica dei prezzi), tetti (quote di produzione, quantità massime garantite) o incentivi in direzioni opposte (set aside). Questi interventi attenuano i problemi di natura finanziaria ma non affrontano le vere cause del problema. 3 In particolare ci si riferisce al "Libro verde" (Commissione Europea, 1985) e “Il futuro del mondo rurale” (Commissione Europea, 1988). 4 Anche in agricoltura si cerca di attuare il principio "chi inquina - paga", che prevede che siano i responsabili del deterioramento ambientale coloro che devono sostenere i costi dei danni provocati. Ciò rende indispensabile il ricorso a livelli di riferimento o valori soglia che determinino le relazioni tra agricoltura e ambiente (in modo che si possa 1
rurale, dalla preferenza verso l'agricoltura di qualità, multifunzionale, ecc. (De Filippis, a cura di, 2004; De Filippis e Fugaro, 2004; Henke, 2004). Con la revisione di medio termine non solo si è approfondito il solco tracciato da Agenda 2000, ma sono state ridefinite le finalità stesse del sostegno, le condizioni per poterne disporre e gli strumenti attraverso cui garantirlo. Per la portata delle novità introdotte più che di revisione intermedia si tende a parlare di "riforma Fischler", dal nome del Commissario che l’ha fortemente sostenuta. In modo molto schematico gli aspetti salienti della riforma introdotta attraverso il Regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, definito "orizzontale" perché disciplina norme comuni relative ai regimi di sostegno nell'ambito della PAC, e i regolamenti applicativi della Commissione (CE) n. 795/2004 e n. 796/2004, possono essere così riassunti: − Disaccoppiamento del sostegno: consiste nello svincolare il sostegno dalla’attività produttiva e nell'associarlo al possesso della terra. In questo modo gli agricoltori, pur ricevendo un ammontare di aiuti comparabile a quello percepito in precedenza, non sono più sottoposti a rigidi vincoli ma hanno la libertà di scegliere se e cosa produrre, seguendo le vocazioni del territorio e l'andamento del mercato. Il disaccoppiamento si attua facendo confluire la maggior parte dei premi previsti dalle organizzazioni comuni di mercato (OCM) in un "regime di pagamento unico", ovviamente slegato dalla produzione. Il Regolamento CE n. 1782/2003 offre agli Stati membri la possibilità di scegliere tra distinte modalità applicative del disaccoppiamento, nonché di optare eventualmente per una sua applicazione parziale. − Condizionalità: si fonda sull'idea di vincolare l'erogazione del pagamento al rispetto di standard minimi ambientali, di qualità e di salubrità dei prodotti agricoli e di gestione dei terreni; per il mancato rispetto di tali criteri è prevista la riduzione degli importi di pagamento unico. − Modulazione degli aiuti diretti: è lo strumento che riduce i pagamenti diretti per stornarne una loro parte a sostegno del cosiddetto “secondo pilastro”; con la riforma Fischler la modulazione degli aiuti diretti diventa obbligatoria e viene sottoposta a precise regole dettate dalla Commissione. − Rafforzamento della politica di sviluppo rurale: oltre ad accrescere le risorse finanziarie a propria disposizione, lo sviluppo rurale “si allarga” a nuove aree di intervento, come per esempio il "miglioramento del benessere degli animali" (Macrì, 2004) o la "qualità alimentare" (Carbone, 2004). Un altro aspetto importante della Riforma Fischler riguarda la flessibilità di gestione che essa offre al livello nazionale. Il sistema infatti prevede che ogni singolo Stato membro operi delle scelte relative ad alcuni rilevanti aspetti applicativi, in modo da "adattare" la riforma alle realtà locali. Il Governo Italiano ha optato, per esempio, attraverso i Decreti MIPAF n. 1628 del 20 luglio 2004, n. 1787 del 5 agosto 2004 e n. 2026 del 24 settembre 2004, per le seguenti opzioni: − avvio della Riforma a partire dal 2005; − disaccoppiamento totale dell’aiuto nel settore dei seminativi e in quello zootecnico; − accoppiamento dell’aiuto per la produzione di sementi elette; − non utilizzo della Regionalizzazione; − applicazione dell’articolo 69 del Regolamento 1782/2003 per i settori della zootecnia bovina, ovina e per i seminativi; − costituzione della Riserva Nazionale; − disaccoppiamento dell’aiuto ai prodotti lattiero caseari a partire dal 2006. In Italia quindi, il regime di pagamento unico aziendale è diventato operativo a partire dal primo gennaio del 2005 e verrà assegnato sulla base degli aiuti comunitari percepiti da ciascuna azienda nel triennio di riferimento (2000-2002). Gli aiuti saranno concessi sotto forma di Diritti ad ettaro, definiti Titoli5. L’Italia ha scelto la formula del disaccoppiamento totale, per cui l’aiuto non è più legato alla produzione di specifiche colture e/o ai capi allevati. Se in passato, quindi, i premi erano differenziati per coltura e ottenibili solo attraverso la reale coltivazione e/o l’allevamento di una precisa specie animale, con la riforma il Diritto non vincola più l’attività produttiva che l’agricoltore intende svolgere negli anni a venire. Gli agricoltori potranno infatti esercitare qualsiasi scelta produttiva, ad eccezione delle colture permanenti e ortofrutticole. Nella definizione di attività agricola rientra anche "il mantenimento della terra in buone definire se l'attività agricola danneggia l'ambiente ovvero se essa genera un danno ambientale) e consentano di accrescere la sostenibilità ambientale delle pratiche agricole (Povellato, Sardone, Zezza, 2000). 5 Il valore unitario ad ettaro, ovvero il diritto per ettaro, si calcola dividendo l'importo di riferimento (rappresenta la media triennale degli importi percepiti da un agricoltore nel triennio di riferimento, adattati in base a parametri economici esposti nell’allegato VII del Reg. CE 1782/03) per la media degli ettari che nel triennio hanno sostenuto la concessione dei premi (le superfici ammesse all’aiuto). 2
condizioni agronomiche e ambientali", per cui è possibile conservare il diritto al "pagamento unico" anche senza perseguire fini produttivi. L’unico obbligo riguarda il rispetto delle cosiddette “norme di condizionalità”. In sostanza la condizionalità degli aiuti diretti è uno strumento attraverso cui indurre gli agricoltori a conservare o ad adottare comportamenti virtuosi. Sebbene introdotta da Agenda 20006, solo con la riforma del 2003 essa acquisisce un posto di rilievo: diventa obbligatoria (sia per gli stati membri che per i singoli operatori agricoli) e accresce la sua "portata", interessando non solo le tematiche ambientali, ma anche altre problematiche (relative al benessere degli animali, alla sicurezza e alla salubrità degli alimenti, ecc.). Il regolamento 1782/2003 condiziona l'erogazione dei pagamenti diretti al rispetto dei seguenti requisiti: criteri di gestione obbligatoria (Cgo) basati su un insieme di norme europee (Allegato III del Reg. CE 1782/03) (tabella 1) buone condizioni agronomiche e ambientali (Bcaa) (Allegato IV del Reg. CE 1782/03) (tabella 2). I criteri di gestione obbligatoria (Cgo) sono prescritti da 18 norme comunitarie indicate nell’Allegato III del regolamento orizzontale, il cui rispetto, anche se non si tratta di nuove norme, può avvenire gradualmente nel corso degli anni 2005, 2006 e 2007. La maggior parte dei requisiti concernenti l'ambiente sono da soddisfare a partire dal 2005, mentre il rispetto di quelli concernenti la sanità pubblica, la salute delle piante e degli animali, il benessere degli animali, ecc. deve essere garantito entro i due anni successivi. A differenza dei Cgo, nei quali i requisiti da rispettare sono già chiaramente definiti nell’Allegato III, nel caso delle Bcaa l’Allegato IV contiene solo obiettivi di massima e norme generali relative alla conservazione del suolo (dall’erosione, dalla perdita di sostanza organica, dal peggioramento della sua struttura fisica) e all’habitat agricolo. La più precisa definizione dei requisiti da rispettare viene delegata agli Stati membri, che a loro volta possono delegarla alle regioni, maggiormente in grado di adattare le Bcaa alle caratteristiche ed alle problematiche ambientali locali. Dato che il disaccoppiamento degli aiuti previsto dal regime di pagamento unico potrebbe favorire in alcune aree l’abbandono della coltivazione, si è posta una particolare attenzione anche alla definizione delle Bcaa da rispettare sui terreni lasciati incolti, in modo da evitare situazioni di degrado ambientale e/o fenomeni di “disattivazione produttiva”. Il meccanismo su cui si basa l’introduzione del disaccoppiamento e del regime di pagamento unico aziendale genera una serie di disparità e differenze tra gli agricoltori, a seconda delle scelte produttive da questi eseguite nel periodo di riferimento7. Se in passato colture come il grano duro nel sud Italia o il girasole e il mais nel centro-nord Italia erano molto diffuse per gli aiuti comunitari ad esse associati, la riforma modifica i criteri sulla cui base ciascun agricoltore compie le proprie scelte colturali. In mancanza di un'azione di indirizzo della PAC, i fattori fondamentali divengono l'andamento del mercato, la vocazionalità territoriale e l'efficienza tecnica ed economica (Frascarelli, 2004). 6 E' il Reg. (CE) 1259/99, sulle norme comuni per i regimi di sostegno diretto, che offre per la prima volta la possibilità agli Stati Membri di introdurre il regime come precedentemente accennato della condizionalità. 7 Come già detto, l'entità dei pagamenti che saranno corrisposti a livello di singola azienda viene infatti definita sulla basa delle scelte produttive eseguite nel periodo di riferimento (triennio base 2000-2002) e dei contributi incassato in quel periodo. In linea di massima quindi chi all’epoca aveva un ordinamento produttivo aziendale orientato verso le colture e gli allevamenti inclusi nel regime dei pagamenti diretti della PAC, avendo incassato elevati contributi nel triennio base 2000-2002, si vedrà riconosciuti un numero di diritti e un importo di riferimento piuttosto elevato, che l’Unione Europea erogherà almeno fino al 2012, per tutto il periodo di validità della riforma di medio termine della PAC. Viceversa, altri agricoltori potranno ricevere importi al di sotto della media e molto più bassi degli altri. In particolare, si troverà con una dotazione finanziaria piuttosto limitata chi nel periodo di riferimento seguiva un ordinamento produttivo differenziato tra le diverse colture (quelle soggette al regime dei pagamenti per superfici della PAC e le altre) e non aveva allevamenti zootecnici (bovini da carne, ovini e caprini, latte bovino). 3
Tabella 1: I criteri di gestione obbligatoria Area Norma e data norma Oggetto Norme applicabili dal 2005 Dir. 79/409/Cee (02/04/79) Conservazione uccelli selvatici. Dir. 80/68/Cee (17/12/79) Protezione acque sotterranee dall'inquinamento. Dir. 86/278/Cee (12/06/86) Utilizzazione fanghi di depurazione in agricoltura. Ambiente Dir. 91/676/Cee (12/12/91) Protezione acque dai nitrati di origine agricola. Dir. 92/43/Cee (21/05/92) Conservazione habitat naturali e seminaturali, flora e fauna selvatiche. Dir. 92/102/Cee (27/11/92) Identificazione e registrazione animali. Sanità pubblica e Reg. (Ce) 2629/97 (29/12/97) Marchi auricolari, registro delle aziende e salute degli animali. passaporti bovini. Identificazione e Reg. (Ce) 1760/2000 (17/07/00) Identificazione e registrazione bovini ed registrazione animali etichettatura carni bovine e derivati. Norme applicabili dal 2005 Dir. 91/414/Cee (15/07/91) Immissione in commercio di prodotti fitosanitari. Dir. 96/22/Cee (29/04/96) Divieto uso di sostanze ad azione ormonica, tireostatica e sostanze beta-antagoniste nelle Sanità pubblica, produzioni animali. salute degli animali e Reg. (Ce) 178/2002 (28/01/02) Legislazione alimentazione, istituzioni e procedure delle piante. di sicurezza alimentare. Reg. (Ce) 999/2001 (22/05/01) Prevenzione, controllo ed eradicazione encefalopatie spongiformi trasmissibili. Dir. 85/511/Cee (18/11/85) Misure di lotta contro l'afta epizootica. Dir. 92/119/Cee (17/12/92) Misure di lotta contro alcune malattie degli animali Notifica delle e misure specifiche per la malattia vescicolare dei malattie suini. Dir. 2000/75/Cee (20/11/00 Misure di lotta ed eradicazione della febbre catarrale degli ovini. Norme applicabili dal 2007 Dir. 91/629/Cee (19/11/91) Norme minime per la protezione dei vitelli. Benessere degli Dir. 91/630/Cee (19/11/91) Norme minime per la protezione dei suini. animali Dir. 98/58/Cee (20/07/98) Misure per la protezione degli animali negli allevamenti. Fonte: Allegato III del Reg. (Ce) 1782/2003 Tabella 2: Le Buone condizioni agronomiche e ambientali Obiettivo Norme Erosione del suolo: proteggere il suolo Copertura minima del suolo. mediante misure idonee. Minima gestione delle terre, che rispetti le condizioni locali specifiche. Mantenimento delle terrazze. Sostanza organica del suolo: Norme inerenti alla rotazione delle colture ove necessario. mantenere i livelli di sostanza organica del Gestione delle stoppie. suolo mediante opportune pratiche. Struttura del suolo: Uso adeguato delle macchine. mantenere la struttura del suolo mediante misure adeguate. Livello minimo di mantenimento: Minima densità di bestiame e/o regimi adeguati. assicurare un livello minimo di mantenimento Protezione del pascolo permanente. ed evitare il deterioramento degli habitat. Mantenimento degli elementi caratteristici del paesaggio. Evitare la propagazione di vegetazione indesiderata sui terreni agricoli. Fonte: Allegato IV del Reg. (Ce) 1782/2003 4
3 Il settore ovi-caprino nell' EU 15: consistenza e politiche Come evidenziato nella tabella 3, attualmente nell’Europa a 158 vi sono poco più di 700 mila aziende in cui si allevano oltre 100 milioni di ovini. Più del 40% dei capi è allevato nel solo Regno Unito, nel quale è localizzato l’11% circa delle aziende. In questo Paese gli allevamenti sono specializzati nella produzione della carne e si caratterizzano per dimensioni medie estremamente elevate (510 capi/azienda) rispetto alla media europea (144 capi/azienda). Le caratteristiche strutturali che contraddistinguono gli allevamenti dei Paesi del bacino mediterraneo sono ben diverse da quelle del Regno Unito, fondamentalmente in ragione delle differenti condizioni fisico- climatiche. In passato per sopperire al clima sfavorevole che in alcuni mesi dell’anno riduceva la produttività dei pascoli, si ricorreva alla transumanza, sistema di allevamento che prevedeva che le greggi effettuassero degli spostamenti stagionali, in cerca di adeguate condizioni alimentari. Attualmente nei Paesi mediterranei il sistema di allevamento transumante è stato generalmente sostituito con quello stanziale brado, che si localizza comunque in aree nelle quali vi è disponibilità di superfici pascolabili naturali o prodotte artificialmente (Malorgio, 1998). Nell’Europa mediterranea si concentra complessivamente circa il 70% delle aziende, con poco meno del 50% dei capi ovini. Le condizioni strutturali esistenti nelle diverse realtà nazionali presentano rilevanti differenze: a titolo di esempio si può considerare il divario esistente tra la dimensione media degli allevamenti spagnoli (pari a quasi 200 capi) e quella del confinante Portogallo (pari ad appena 40 capi). In ogni caso, è attualmente in atto un intenso processo di ristrutturazione aziendale9, dato che l’ampliamento della consistenza del gregge e della base territoriale dell’azienda sono condizioni indispensabili alla realizzazione delle cosiddette economie di scala (Malorgio, 1998). Tabella 3 – Aziende con ovini e numero di capi nei Paesi dell’EU a 15 (anno 2000). Paese aziende % capi % Capi/aziende Regno Unito 82.180 11,5 41.898.890 40,7 510 Spagna 107.000 15,0 20.926.770 20,3 196 Francia 95.660 13,4 9.416.240 9,1 98 Grecia 128.560 18,0 8.752.680 8,5 68 Irlanda 43.680 6,1 6.891.550 6,7 158 Italia 96.160 13,5 6.808.320 6,6 71 Portogallo 71.210 10,0 2.929.760 2,8 41 Germania 34.000 4,8 2.723.670 2,6 80 Olanda 18.330 2,6 1.400.660 1,4 76 Svezia 8.270 1,2 437.370 0,4 53 Austria 17.340 2,4 339.260 0,3 20 Belgio 4.610 0,6 160.450 0,2 35 Danimarca 3.590 0,5 142.870 0,1 40 Finlandia 2.180 0,3 99.520 0,1 46 Lussemburgo 230 0,0 8.210 0,0 36 EU 15 713.000 100,0 102.936.220 100,0 144 Fonte: ISTAT, 2000. Gli allevamenti “mediterranei” generalmente traggono reddito non solo dalla carne ma anche dalla produzione del latte ed eventualmente dalla sua trasformazione. Spesso accanto a capi ovini essi ospitano anche caprini. L’allevamento caprino potrebbe definirsi complementare e secondario rispetto a quello ovino: gli 11 milioni di caprini esistenti in Europa, sono praticamente tutti concentrati nei Paesi del Mediterraneo. Questi animali, infatti, sono ancor più rustici e adattabili rispetto agli ovini, per cui possono essere allevati in condizioni territoriali particolarmente sfavorevoli. 8 Non si prende in considerazione la situazione dei paesi che sono recentemente entrati nella UE perché nel loro caso il settore è per i prossimi anni disciplinato e regolato da normative e politiche agricole differenti da quelle relative ai Paesi dell’EU a 15. 9 Parallelamente ad esso procedono anche i processi di introduzione di tecnologie e di razionalizzazione della gestione del territorio, in modo da cercare di accrescere i livelli di reddito. 5
Proprio la grande adattabilità degli allevamenti ovi-caprini, ma anche il limitato potenziale di remunerazione rispetto alla maggior parte delle altre attività agro-zootecniche, ha fatto sì che la pastorizia sia “sopravvissuta” nelle aree marginali ed economicamente svantaggiate dei Paesi mediterranei dell’UE, dove ad essa non vi erano valide alternative produttive. In tali contesti essa diventa allora una sorta di presidio per la conservazione di valori sociali-culturali, ambientali e paesaggistici. Questo significato più ampio e complesso è stato a lungo poco considerato nelle politiche agricole e solo recentemente sembra essere diventato in qualche modo una priorità. Il comparto ovicaprino non rientra infatti tra quelli che – in passato – hanno ricevuto un buon livello di tutela e di sostegno. L’OCM di settore è relativa alle sole carni ovicaprine10. La “vecchia” OCM del 1992 prevedeva che gli allevatori ricevessero un premio calcolato in base alla differenza tra due prezzi: quello base della carne fissato dal Consiglio e il prezzo medio comunitario di mercato, moltiplicato per un coefficiente tecnico. Questa modalità di calcolo, oltre ad essere estremamente complessa, non riconosceva un sufficiente livello di remunerazione per gli allevatori. La necessaria riforma dell’OCM è stata approvata alla fine del 2001 (regolamento CE n. 2529/2001). Essa prevede un premio “per pecora” e “per capra” su base annua ed eventualmente, a discrezione dello stato membro, un premio supplementare. Il Regolamento orizzontale 1782/2003, abroga parte del Regolamento 2529/2001 e prevede, nel Capitolo 11 del Titolo IV, i seguenti premi: • Premio per pecora e per capra: sono erogati sotto forma di un pagamento annuo per capo ammissibile, per anno solare e per produttore, nei limiti di massimali individuali. Il premio per pecora è fissato a 21,00 euro, ma scende a 16,8 euro per i produttori che commercializzano latte di pecora o derivati. Anche il premio per capra è fissato a 16,8 euro. • Premio supplementare: ammonta a 7,00 euro a capo e viene concesso a quei produttori che praticano l’attività di allevamento ovi-caprino in zone ritenute tradizionalmente vocate, se almeno metà della superficie agricola utilizzata dell’azienda ricade in una zona svantaggiata, o se l’azienda pratica la transumanza. Come già anticipato nel paragrafo 2 il Regolamento 1782/2003 prevede anche che questi premi diretti confluiscano nel regime di pagamento unico, il cui funzionamento dipende anche dalle scelte effettuate da ciascuno Stato Membro. L’applicazione del Regolamento scelta dall’Italia ha per esempio previsto il disaccoppiamento totale dell’aiuto nel settore dei seminativi e in quello zootecnico e lo spostamento dei pagamenti diretti nel regime di pagamento unico. Inoltre, il Governo italiano, al fine di incentivare i sistemi di qualità, ha anche deciso di applicare a livello nazionale l’articolo 69 del Regolamento 1782/03, per cui ha previsto nel settore dei seminativi, delle carni bovine e ovi-caprine un ulteriore premio integrativo (additional payment), il cui importo massimo è fissato pari a 15 €/capo. In particolare, per quanto riguarda il settore ovi-caprino si prevede di trattenere il 5% dell’ammontare complessivo degli aiuti previsti nel settore, in modo da destinare le somme così accantonate a beneficio di allevatori che allevino più di 50 capi e che conducano gli animali al pascolo per almeno 120 giorni all’anno. In sostanza, quindi, in Italia, il premio integrativo previsto dall’art.69 del reg. 1782/03 rimane l’unico premio accoppiato, cioè legato all’esercizio dell’attività di allevamento degli ovi-caprini, che quindi comporta precisi impegni da parte dell’allevatore. Non v'è dubbio che le novità introdotte dalla riforma siano rilevanti e possano determinare considerevoli effetti territoriali e produttivi nelle aree della UE dove è presente l'allevamento ovi-caprino. Gli esiti possono però risultare assai differenti a seconda non solo delle caratteristiche strutturali delle realtà aziendali nelle quali essa interviene, ma anche delle eventuali politiche predisposte a livello locale sia dagli Stati Membri che dalle Regioni. Questo ultimo aspetto non è trascurabile, poiché da esso dipenderà per esempio l’entità dei fenomeni di completo abbandono dei suoli coltivati e degli allevamenti. 10 L’OCM dei prodotti lattiero caseari interessa solo in minima parte i prodotti ovi-caprini, in particolare per quanto riguarda gli aiuti all’ammasso privato del pecorino. 6
4. L’Allevamento ovi-caprino in Alta Murgia: situazione e prospettive 4.1 Inquadramento storico e territoriale L’Alta Murgia è un altopiano che occupa un’area interna della provincia di Bari, approssimativamente estesa 90.000 ettari. Alcune delle caratteristiche fisiche e ambientali di questo territorio, come per esempio la sua natura carsica o la presenza di un substrato calcareo spesso affiorante, hanno fortemente condizionato la sua economia, “da sempre” fondamentalmente basata sul settore primario, in particolare su un sistema produttivo cerealicolo-pastorale. L'origine del forte legame tra Alta Murgia e allevamento ovi-caprino risale alla metà del 1700, quando la "Dogana per la mena delle pecore in Puglia", complesso ed articolato sistema predisposto dagli Aragonesi per la gestione e la promozione delle attività pastorali, coinvolge pienamente anche questo territorio. La pastorizia transumante diventa ben presto la prevalente attività produttiva dell’Alta Murgia e segna profondamente il territorio, che si contraddistingue per una capillare rete di tratturi e per gli innumerevoli ripari per le greggi (ricoveri, poste e jazzi11). In quel periodo i suoli arativi ricoprono una esigua superficie territoriale: le zone limitrofe ai centri urbani e le lame, praticamente le sole aree provviste di un sufficiente strato di terra fertile. A partire dalla fine del Settecento l'intera Puglia viene interessata da un processo di riorganizzazione produttiva basato sullo sviluppo dell’agricoltura a svantaggio della pastorizia: anche in Alta Murgia si assiste all'espansione delle colture cerealicole e arboree (vite, mandorlo e olivo) che sostituiscono pascoli e boschi, attraverso disboscamenti e dissodamenti. Le difficili condizioni pedoclimatiche fanno però fallire il tentativo di valorizzazione agricola dell’area. Il declino della pastorizia e il mancato decollo degli ordinamenti cerealicolo e viticolo-olivicolo proseguono anche nel corso del 1900 e determinano lo sfaldamento del sistema economico e socio-insediativo che si era storicamente strutturato e consolidato nell’area. In mancanza di un chiaro progetto di sviluppo alternativo e di organiche e ben definite politiche agricole e territoriali, l’Alta Murgia viene interessata da interventi e trasformazioni che determinano degrado ambientale e paesaggistico e va incontro ad un lento e graduale processo di isolamento e marginalizzazione socio-economica. Solo in questi ultimi anni una serie di avvenimenti sembrano quasi restituirle una "nuova centralità". Fra questi, un rilievo particolare si deve riconoscere all’istituzione del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, da interpretare come una seria prospettiva di sviluppo dell’area e quale strumento per affrontare nella globalità le emergenze e i problemi di questo territorio. Figura 1. – Il territorio dell’Alta Murgia 11 Nei territori sottoposti alla Dogana, erano definiti ricoveri le aree attrezzate ove temporaneamente sostare con le greggi, in attesa che il doganiere assegni una porzione di terreno definitiva, provvista di ripari stabili (poste) da occupare fino a maggio. Gli jazzi sono invece i ricoveri realizzati in quei territori dell'Alta Murgia che, per privilegi ricevuti, erano riusciti a sottrarsi alla amministrazione doganale. Questi manufatti realizzati a supporto della pastorizia erano spesso associati alle masserie, a volte come strutture autonome e distaccate, altre volte come parte integrante delle stesse. 7
4.2 L’allevamento ovi-caprino Per quanto in Alta Murgia il sistema produttivo cerealicolo-pastorale rimanga ancora oggi il nucleo forte dell’economia agricola locale, le importanti trasformazioni territoriali che hanno interessato l’area rischiano comunque di compromettere definitivamente il secolare legame con il pascolo ovi-caprino. Dalla tabella 4 si osserva che nei 13 comuni interessati vi sono poco più di 600 aziende zootecniche, un quarto di quelle provinciali. Quasi la metà di queste aziende hanno anche ovini, mentre vi sono circa 100 aziende con caprini. Altamura e Santeramo in Colle sono i comuni nei quali si concentrano buona parte delle aziende con ovi-caprini e un consistente numero di capi. Tabella 4. Numero di aziende e di capi nei comuni ricadenti in Alta Murgia (anno 2000) Comune Aziende Ovini Caprini Bovini zootecniche aziende capi aziende capi aziende capi Altamura 135 70 15.430 26 761 70 2.022 Andria 18 9 2.560 4 270 8 264 Bitonto 9 1 300 4 301 Cassano delle Murge 31 15 1.252 9 319 16 473 Corato 16 10 2.151 4 273 4 463 Gravina in Puglia 27 12 2.807 3 60 16 1.920 Grumo Appula 1 1 2 Minervino Murge 38 33 7.661 13 461 7 146 Poggiorsini 3 3 111 Ruvo di Puglia 27 12 4.162 7 598 12 716 Santeramo in Colle 266 111 7.387 26 635 182 6.555 Spinazzola 31 21 3.223 6 111 16 680 Toritto 4 1 10 1 2 3 125 Totale Alta Murgia 606 295 46.943 99 3.490 342 13.778 Provincia di Bari 2.416 731 57.888 315 5.844 1.705 63.651 Alta Murgia /Provincia (%) 25,1 40,4 81,1 31,4 59,7 20,1 21,6 Puglia 7.859 2.462 217.963 1.424 52.135 4.386 152.723 Alta Murgia / Puglia (%) 7,7 12,0 21,5 7,0 6,7 7,8 9,0 Fonte: ISTAT, Censimento generale dell’agricoltura, 2000. Complessivamente sono stati censiti circa 47.000 capi ovini, ovvero circa l’80% dei capi della provincia di Bari, pari al 20% su base regionale. I caprini sono circa 3.500 unità, consistenza trascurabile rispetto a quello degli ovini. La maggior parte dei capi ovini si concentra ad Altamura (15.000 capi), Minervino Murge (7.600 capi) e Santeramo in Colle (7.300 capi). Negli altri comuni vi sono poche decine di aziende (tra le 10 e le 20) e un numero di animali compreso tra 1000 e 4000. Fanno eccezione Bitonto, Poggiorsini e Toritto, nei quali vi è una sola azienda o non ve ne sono affatto. In Alta Murgia la zootecnia bovina è meno importante e diffusa rispetto a quella ovi-caprina. Costituisce un’eccezione Santeramo in Colle, il cui territorio solo in parte può essere compreso nell’area, estendendosi anche nella murgia sud-orientale, che si contraddistingue per differenti caratteristiche territoriali e agro- zootecniche. Confrontando l’attuale consistenza dei capi ovi-caprini con quella dei decenni passati è possibile effettuare considerazioni in merito alla dinamica della popolazione. La tabella 5 riporta il numero dei capi ovini nel 1931, nel 1990 e nel 2000. Innanzitutto si nota che la contrazione dei capi registrata nel decennio 1990-2000 (variazione pari a -53,3 %) è maggiore di quella relativa ai 60 anni compresi tra il 1930 e il 1990 (- 36,8 %). La dinamica negativa di quest’ultimo periodo è frutto di una situazione molto differenziata tra i diversi comuni: a fronte di una forte diminuzione del numero dei capi nei comuni pede-murgiani (Toritto 88%, Corato 81%, Bitonto 67%), in altri comuni il processo è risultato molto meno accentuato. La contrazione dei capi ovini mediamente registrata in questo primo periodo è comunque inferiore a quella media provinciale. Non è così, invece, nel decennio 1990-2000, durante il quale anche l’Alta Murgia è interessata da una drastica riduzione del numero degli animali. In soli dieci anni infatti i capi ovini diminuiscono di oltre la metà e tale tendenza investe anche i comuni, come Altamura, Minervino, Gravina in Puglia, nei quali la popolazione ovina nel 1990 era ancora numerosa. L’unica eccezione, ovvero l’unico comune nel quale il 8
numero dei capi ovini cresce è Santeramo in Colle la cui zootecnia, però, è più legata alla bovinicoltura che all’allevamento ovi-caprino12 (Perone-Pacifico e Sorrentino, 2001). Dinamiche molto simili riguardano i caprini (tabella 6), che in Alta Murgia si riducono in media del 13% nei 60 anni tra il 1930 e il 1990 e del 56% nel decennio 1990 – 2000. Tabella 5 – Dinamica della popolazione ovina (anno 2000) Variazione % Variazione % 1931 1990 2000 1931/1990 1990/2000 Altamura 38.810 33.632 15.430 -13,3 -54,1 Andria 15.173 9.822 2.560 -35,3 -73,9 Bitonto 2.081 685 300 -67,1 -56,2 Cassano Murge 3.018 3.131 1.252 3,7 -60,0 Corato 22.461 4.170 2.151 -81,4 -48,4 Gravina in Puglia 26.686 14.223 2.807 -46,7 -80,3 Grumo Appula 1.531 1.190 - -22,3 -100,0 Minervino Murge 17.109 12.324 7.661 -28,0 -37,8 Poggiorsini - - - - - Ruvo di Puglia 10.564 9.413 4.162 -10,9 -55,8 Santeramo 5.884 4.982 7.387 -15,3 48,3 Spinazzola 13.089 6.680 3.223 -49,0 -51,8 Toritto 2.600 303 10 -88,3 -96,7 Totale Murgia 159.006 100.555 46.943 -36,8 -53,3 Provincia 210.716 114.911 57.888 -45,5 -49,6 Fonte: Catasto agrario e ISTAT, Censimenti generali dell’agricoltura 1990 e 2000. Tabella 6 Dinamica della popolazione caprina. Variazione % Variazione % 1931 1990 2000 1931/1990 1990/2000 Altamura 568 1.591 761 180,1 -52,2 Andria 1.789 503 270 -71,9 -46,3 Bitonto 702 31 - -95,6 -100,0 Cassano Murge 595 1.641 319 175,8 -80,6 Corato 1.047 184 273 -82,4 48,4 Gravina in Puglia 576 756 60 31,3 -92,1 Grumo Appula 1.039 25 - -97,6 -100,0 Minervino Murge 869 1.056 461 21,5 -56,3 Poggiorsini - - - - - Ruvo di Puglia 401 580 598 44,6 3,1 Santeramo 680 850 635 25,0 -25,3 Spinazzola 455 423 111 -7,0 -73,8 Toritto 370 230 2 -37,8 -99,1 Totale Murgia 9.091 7.870 3.490 -13,4 -55,7 Provincia 29.573 11.497 5.844 -61,1 -49,2 Fonte: Catasto agrario e ISTAT, Censimenti generali dell’agricoltura 1990 e 2000. Questi dati mostrano con chiarezza le forti difficoltà del settore. C’è da tener presente che benché tale crisi riguardi anche il resto dell’Italia (ISTAT, 2000)13, essa ha comunque radici che affondano in scelte e situazioni locali. 12 L’incremento dei capi ovini registrato a Santeramo in Colle è probabilmente dovuto al fatto che alcune aziende abbiano deciso di sopperire ai vincoli imposti dal regime delle quote latte al settore bovino, introducendo e/o espandendo i propri allevamenti ovi-caprini. 13 I risultati censuari del 2000 mostrano che in Italia rispetto al 1990 il numero delle aziende che alleva ovini è diminuito in modo consistente (-40,5%) e quello delle aziende con caprini si è addirittura quasi dimezzato (-46,8%). Per quanto riguarda le consistenze, invece, c’è da ricordare che il numero delle pecore si è ridotto del 18,6%, mentre i caprini si sono ridotti del 26,8%. 9
Numerosi sono i fattori di crisi che hanno una rilevanza che travalica lo specifico territorio dell’Alta Murgia. Tra questi sono certamente da ricordare: • la crescente concorrenza dovuta alla globalizzazione e all’apertura dei mercati, che costringe a confrontarsi con Paesi (per esempio Gran Bretagna e Paesi dell’Europa dell’est), dove le carni sono prodotte a costi minori rispetto a quelli italiani; • le politiche di settore, a livello comunitario spesso poco importanti e non complete, comunque non in grado di accrescere la competitività del settore; • l’obbligo di adeguare gli allevamenti e le produzioni a normative di tipo igienico-sanitario, che ha richiesto forti investimenti, spesso non sostenibili dai piccoli allevatori. In particolare le disposizioni previste dal d.p.r. 54/1997 si sono rivelate molto restrittive per il settore ovicaprino, tanto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa di numerosi allevamenti e piccoli caseifici; • le emergenze sanitarie, legate ai casi di Blue Tongue, ma anche alle scarpie, hanno costituito in questi ultimi anni dei problemi che hanno fortemente condizionato il settore; • gli aspetti socio-culturali: a fronte di un’elevata età media dei conduttori c’è uno scarso ricambio generazionale dato che i giovani spesso preferiscono attività meno impegnative, che consentano un miglioramento della qualità della vita. Diversi tra i fattori sopra riportati hanno pesato fortemente sul settore ovi-caprino dell’Alta Murgia. Tra questi non sono da trascurare gli aspetti socio-culturali che nel contesto territoriale oggetto d’analisi assumono un significato del tutto particolare. In questa zona della murgia, infatti, la popolazione è concentrata in grandi centri urbani, per cui l'allevatore vive in uno stato di forte isolamento. A questi problemi sono da aggiungere i forti disagi connessi alla insufficiente dotazione di reti infrastrutturali (a partire dalla rete idrica) e al fenomeno dell’abigeato, purtroppo ancora presente. Per porre rimedio ai numerosi problemi della zootecnia ovi-caprina dell'Alta Murgia vanno concertate una serie di azioni, da inserire auspicabilmente in un organico e ben strutturato piano di rilancio del settore. Un esempio emblematico della scarsa efficacia degli interventi attuati dalla Regione Puglia negli anni passati è rappresentato da una legge regionale per il miglioramento dei pascoli (L.R. 54/8114), la cui attuazione, anziché promuovere il settore, ha in sostanza innescato il fenomeno dello spietramento, da molti studiosi considerato uno dei principali processi di degrado dell’area. L’effetto combinato di questa legge e delle misure di politica agricola legate ai seminativi15 hanno determinato l’avvio del processo dello spietramento e il suo perdurare nel tempo. Vaste aree, in precedenza utilizzate per il pascolo di ovicaprini, sono state irrimediabilmente trasformate in suoli arativi (figure 2 e 3). A partire dal 199016 risulta particolarmente vantaggiosa la coltivazione del grano duro, che si diffonde estesamente e che consente agli agricoltori di godere di opportunità di reddito irraggiungibili con i tradizionali assetti produttivi. Le misure di politica agricola hanno in sostanza favorito un processo di riconversione produttiva che ha determinato l’emergere di ordinamenti non adatti alle caratteristiche ambientali, paesaggistiche e alla vocazione di quel territorio. Tuttavia l’Amministrazione Regionale non è intervenuta tempestivamente per porre freno alla diffusione della pratica dello spietramento, nonostante gli evidenti danni ambientali17 provocati. 14 Si tratta della LL.RR. del 31 agosto 1981 n° 54 “Programmi regionali di sviluppo agricolo e forestale” che individua tra le misure da attuare in Puglia anche il “miglioramento dei pascoli”. Questa legge forniva incentivi per trasformare i pascoli naturali in seminativi, al fine di incrementare le produzioni foraggiere e promuovere le aziende ad indirizzo zootecnico. 15 Ci si riferisce in particolare a provvedimenti in materia: di efficienza delle strutture agrarie che, per controllare le produzioni agricole eccedentarie hanno introdotto un regime di aiuto inteso al “ritiro dei seminativi dalla produzione”; di funzionamento dei mercati agricoli, tra i quali rientra l’aiuto compensativo al reddito per il grano duro. 16 L’aiuto al reddito per il grano duro risulta importante ai fini delle trasformazioni dei pascoli dell’Alta Murgia in particolar modo dall’inizio degli anni ’90, in quanto il Reg. CEE n. 1765/92 accresce considerevolmente il contributo comunitario per ettaro di grano duro prodotto. 17 Queste trasformazioni hanno spesso interessato anche terreni di qualità scadente, con proprietà geo-morfologiche che non ne rendevano giustificato il ricorso ai fini dell’incremento delle produzioni agricole. Lo spietramento veniva in sostanza realizzato solo in vista degli aiuti comunitari, nonostante esso accrescesse enormemente la suscettività dei terreni ai fenomeni erosivi, alla perdita della sostanza organica e alla progressiva degradazione fisico-chimica. Il fenomeno peraltro comportava anche la scomparsa di una vegetazione e di una fauna naturalisticamente importanti, la distruzione sistematica di una molteplicità di segni e testimonianze della pastorizia e dell’agricoltura tradizionale (muri 10
Figura 2. Uso del suolo in Alta Murgia nel 1990 (Fonte: Corine Land Cover). Figura 3. Uso del suolo in Alta Murgia nel 1999 (Fonte: Corine Land Cover). A conclusione di un lungo e travagliato iter, nel luglio 2004 viene ufficialmente istituito il Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Il DPR istitutivo determina oltre alla perimetrazione anche le norme provvisorie di salvaguardia, che definiscono una serie di aspetti legati alla gestione, alla tutela e alla promozione del territorio del Parco. Per ciascuna delle tre zone di tutela18 (figura 4) si stabiliscono divieti e regimi autorizzativi. Dalla caratterizzazione e dall'estensione delle tre zone di tutela emerge immediatamente l'importanza che l'attività agro-zootecnica assume nel Parco: la zona 2, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo, è infatti quella più estesa (occupa il 66% della superficie del Parco) e la sua corretta gestione dipende fondamentalmente dalle modalità con cui vengono condotte le attività agricole e zootecniche. a secco, trulli, jazzi, ecc.), oltre che una radicale trasformazione del paesaggio, ormai in estese aree caratterizzato da una monotona cerealicoltura. 18 L’area del Parco Nazionale dell’Alta Murgia viene suddivisa in tre zone (figura 2): Zona 1, di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e/o storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio “steppico” e “rupicolo”. Questa zona si estende su poco più di 20.700 ha ed occupa il 31% della superficie a Parco Nazionale. Zona 2, di valore naturalistico, paesaggistico e/o storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo. È di poco più di 45.100 ha ed occupa il 66% della superficie del Parco. Zona 3, di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale zona sono comprese le aree interessate da Accordi di programma ai sensi delle norme regionali in materia. Essa occupa una superficie estremamente ridotta rispetto alle altre due zone: si estende su 2.000 ha ed occupa il 3% dell'area a Parco. 11
Figura 4. Perimetrazione e zonizzazione del Parco Nazionale dell'Alta Murgia. 4.3 Le prospettive L’analisi delle prospettive di sviluppo della zootecnica in Alta Murgia può essere affrontata a partire dalla verifica dell’interesse che esprime attualmente la programmazione regionale nei confronti del settore. In proposito, una premessa di carattere generale risulta necessaria: la zootecnia pugliese pesa poco - appena l’8% - nell'economia agricola regionale. Ne deriva che il comparto delle produzioni animali non è avvertito come un settore prioritario ed al suo interno l’attività ovi-caprina ha una scarsa rilevanza. Ciò nonostante sarebbe arbitrario affermare che la zootecnia in Puglia venga del tutto ignorata poiché diversi documenti di programmazione contengono riferimenti specifici. Il Piano Operativo Regionale (POR) Puglia 2000 - 2006 ha previsto alcune misure destinate all'agricoltura19 alle quali possono ovviamente accedere anche le aziende zootecniche. Il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) è articolato in Puglia in quattro misure20 fra le quali sono previsti interventi che potrebbero tornare utili alla zootecnia dell’Alta Murgia. Ancor più efficace dovrebbe rivelarsi il Progetto Integrato Territoriale21 (PIT) n. 4 relativo all’area della Murgia barese e tarantina, che vuole potenziare i processi di sviluppo dell’area stessa consolidando i sistemi locali presenti, comprese le filiere agroalimentari del grano duro, dell’olio extravergine di oliva, del vino e dei prodotti caseari tipici. Altrettanto rilevanti sembrano altri obiettivi specifici del PIT, in particolare quello volto a sostenere la popolazione che vive in ambiente rurale attraverso il potenziamento e la diversificazione delle attività agricole e quello che mira alla valorizzazione delle potenzialità locali all’interno di una logica di promozione complessiva del sistema “Murgia”. La Regione ha anche previsto aiuti per la gestione delle emergenze sanitarie. Non mancano, quindi, interventi ai quali anche le aziende ovi-caprine possono accedere. Essi però non appaiono sufficienti a rilanciare un settore che è in progressiva contrazione e che non evidenzia in alcun modo segnali di ripresa. Allo stato dei fatti è proprio l’Ente Regione il soggetto istituzionale che più di altri ha oggi la possibilità di incidere in modo rilevante sulle prospettive di rilancio del settore, che vede esaltato il fondamentale ruolo di raccordo tra prospettiva europea ed istanze locali. Si tratta di un ruolo sempre più importante, che non si 19 Nel POR Puglia – e nel relativo CdP - sono inserite 13 misure per lo sviluppo rurale, per un costo complessivo di poco superiore ad un milione di Euro. Tra queste, la misura 4.3 "Investimenti nelle aziende agricole" ha una dotazione finanziaria pari al 47% dell’intero valore del FEOGA. Seguono, in termini di entità delle risorse attribuite, la misura destinata ad interventi nelle imprese di trasformazione (4.5) e quella destinata a interventi di carattere strutturale per le risorse idriche (1.2). 20 Il PSR della Puglia è articolato nelle seguenti quattro misure: Prepensionamento (misura 1), Zone svantaggiate (misura 2), Misure Agroambientali (misura 3), Imboschimento superfici agricole (misura 4). A sua volta la misura 3 si compone di tre azioni: Agricoltura biologica (azione 3.1), Cura del paesaggio naturale (azione 3.2) e Allevamento specie animali in pericolo di estinzione (azione 3.3). 21 I Progetti Integrati Territoriali (PIT) sono interessanti strumenti di programmazione previsti dal POR 2000-2006: essi costituiscono una modalità innovativa di utilizzo dei fondi strutturali incentrata su un complesso di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra di loro, che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio. 12
limita al recepimento delle normative comunitarie e nazionali, ma che spesso richiede di legiferare e prendere decisioni fondamentali per la valorizzazione e la promozione dell'economia e dei territori governati. Fino ad un recente passato le politiche agricole definite a livello comunitario hanno - volontariamente o meno – giocato un ruolo importante nella definizione delle scelte di sviluppo territoriale e di indirizzo produttivo dei territori degli Stati Membri. Con la recente riforma della PAC l’Unione Europea si riserva il solo ruolo di definizione delle direttrici da seguire per lo sviluppo agricolo e rurale (preferenza verso l'agricoltura di qualità, multifunzionale, definizione di un approccio allo sviluppo rurale integrato ecc.), ma cerca di non interferire più con le decisioni relative alle scelte produttive. Anche l’apporto offerto dal livello nazionale alle politiche nel settore agricolo si sta riducendo progressivamente rispetto al passato. La modifica al Titolo V° della Costituzione attribuisce, infatti, maggiori poteri decisionali alle Regioni anche nel settore agricolo. Ma anche l’Ente Parco diventa, nel caso dell’Alta Murgia, soggetto pubblico di rilievo che dovrebbe esprimere un interesse specifico nei confronti dell'allevamento ovi-caprino, poiché attività del tutto funzionale alla gestione produttiva dell’area protetta coerentemente con le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica. Rispetto a “come intervenire” per rilanciare la zootecnia dell’altopiano della Murgia è questione che richiede un migliore grado di conoscenza della realtà produttiva dell’area, tale da consentire l’analisi dei punti di forza e di debolezza, delle minacce e delle opportunità, a breve e medio termine. All’interno di questo quadro deve essere considerata la PAC riformata ed i suoi possibili effetti. Il regime di pagamento unico potrebbe anche peggiorare lo stato di crisi attuale del settore. Per esempio nel caso delle aziende condotte da allevatori anziani, i cui figli non desiderano proseguire l'attività familiare, l’avvio della riforma potrebbe costituire l'occasione propizia per cessare l’attività di produzione animale e operare solo quegli interventi minimi che garantiscono la riscossione del regime di pagamento unico. La riforma PAC potrebbe inoltre apportare modifiche considerevoli nell’uso del suolo22. Come saranno utilizzati i pascoli “spietati” ed oggi coltivati a grano duro? Per poter disporre del regime di pagamento unico essei non possono essere riconvertiti. Il grano duro rimarrà la coltivazione principale in Alta Murgia? Esso sarà sostituito da altri cereali, da foraggi o da altre colture? Molte aree rimarranno incolte e saranno sottoposte ai soli interventi previsti dai Cgo e dalle Bcaa? Naturalmente queste scelte avranno effetti indiretti sull’allevamento ovi-caprino. In proposito, lo si ripete, c’è da sottolineare che oltre a problemi oggettivi e facilmente identificabili (globalizzazione dei mercati, carenze tecnologiche e strutturali, emergenze sanitarie, ecc.) le prospettive dell’allevamento ovi-caprino dipendono anche da fattori socio-culturali dalla dinamica più complessa. La pastorizia è identificata con un mondo “povero” e quindi poco attraente. Quello dell'allevatore è un mestiere molto impegnativo e socialmente poco gratificante. L’Ente Parco e la Regione Puglia non dovrebbero perciò trascurare questi aspetti, la cui comprensione è indispensabile per intervenire con efficacia. Si dovrebbe affrontare il problema in modo organico, probabilmente attraverso strategie di sviluppo rurale integrato che si rifacciano all’approccio promosso dai Leader23 (De Blasi e Fucilli, 2005; Storti, 2000). In questa ottica le masserie e le aziende agro-zootecniche potrebbero costituire i nodi di una rete che coniuga al meglio i servizi produttivi ed extraproduttvi che oggi si richiedono all’agricoltura, soprattutto a quella dei territori protetti. Andrebbero inoltre individuate misure che mirino specificatamente a valorizzare e promuovere le produzioni ovi-caprine dell’area, magari all’interno di un programma strategico volto ad accrescere per un verso la fiducia dei consumatori nei confronti di produzioni casearie che devono essere riconosciute di qualità superiore, per altro riqualificando l’immagine della pastorizia e degli operatori che vi lavorano. In questa prospettiva, il regolamento (CE) n. 1804/1999 ha solo recentemente colmato il vuoto normativo relativamente alla zootecnia biologica. Sarebbe probabilmente utile che anche la Regione Puglia, sulla base della norma quadro della UE, meglio regolamentasse la materia. Altre iniziative regionali potrebbero riguardare: 22 Già da quest'anno in Puglia si riscontra un calo del 35% della superficie investita a grano duro. 23 Il Programma di Iniziativa Comunitaria (PIC) LEADER (Liason Entre Actions de Developpement de l’Economie Rurale - Collegamento tra Azioni di Sviluppo dell’Economia Rurale) si contraddistingue perché promuove un nuovo approccio allo sviluppo rurale, che mira alla realizzazione di azioni fortemente integrate fra loro, innovative e legate ai contesti locali. 13
- la promozione dell'allevamento di razze autoctone: nonostante la misura “Allevamento specie animali in pericolo di estinzione” (azione 3.3 del PSR Puglia 2000-2006) abbia riscosso uno scarso successo, interventi volti al recupero delle razze autoctone sono comunque da perseguire con caparbietà, soprattutto nelle aree protette; - la diffusione di marchi di prodotto riconosciuti a livello comunitario: sarebbero utili interventi volti a meglio promuovere i prodotti a marchio DOP (come il Pecorino canestrato pugliese) e a far ottenere questo riconoscimento anche da altri prodotti lattiero-caseari tradizionali. Importante in tal senso il buon funzionamento dei Consorzi di tutela, che devono fornire ai produttori assistenza tecnica e formazione professionale, in modo che questi siano in grado di ottenere un prodotto omogeneo dal punto di vista merceologico, che i consumatori possano riconoscere e apprezzare. Importante anche la possibilità di utilizzare il marchio del Parco Nazionale, che può certamente offrire delle ulteriori opportunità alle produzioni ovi-caprine locali. - l’identificazione dei capi: nonostante l’obbligo di predisporre un sistema volto all’identificazione dei capi per ora riguardi solo i bovini, sarebbe utile fin d’ora sperimentare tecniche di identificazione anche dei capi ovi-caprini. 5 Conclusioni La riforma Fischler del 2003 ha introdotto numerose novità nella PAC, modificandone alcuni importanti meccanismi tra cui le modalità di erogazione dei pagamenti. Tra i settori coinvolti rientra anche quello ovi- caprino, la cui attuale fase di declino nei Paesi europei del Mediterraneo richiede una particolare attenzione circa gli effetti che l’applicazione della riforma potrebbe determinare. La necessità di una costante attività di monitoraggio e di verifica non è solo necessaria per recuperare una dimensione economica in progressivo declino, ma investe anche contenuti e valori extraproduttivi che l’allevamento ovi-caprino esprime. Tali considerazioni inducono a ritenere che la costituzione di un Osservatorio permanente, volto a preservare e rilanciare la pastorizia nei Paesi Europei del Mediterraneo, possa rappresentare un’opzione auspicabile. Una forte esigenza di conoscenza e “cura” è suggerita anche dall’esperienza pugliese, ed in particolare dal caso dell’Alta Murgia, area collinare storicamente legata all’allevamento ovi-caprino. La sua recente evoluzione in Parco Nazionale potrebbe rappresentare un’ulteriore opzione favorevole al mantenimento ed alla ripresa delle attività silvo-pastorali. Il programma di valorizzazione e riqualificazione di qualsiasi territorio protetto non può prescindere infatti dalla promozione quei caratteri peculiari che lo rendono unico. Da questo punto di vista un ruolo essenziale può essere attribuito proprio dalle imprese agro-zootecniche, che per caratteristiche strutturali, produttive e socio-economiche rappresentano dei presidi stabili del territorio. In particolare, ci si riferisce alle aziende agro-zootecniche estensive, rilevanti non solo per questioni di ordine storico, ma perché ad esse è legato profondamente il paesaggio della Murgia e la maggior parte delle sue risorse architettoniche. 14
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