LA RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA (PAC) E L'ALLEVAMENTO OVI-CAPRINO: DALLA DIMENSIONE EUROPEA ALLA SCALA LOCALE. IL CASO DELL'ALTA ...

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LA RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA (PAC) E L’ALLEVAMENTO
     OVI-CAPRINO: DALLA DIMENSIONE EUROPEA ALLA SCALA LOCALE. IL CASO
                                    DELL’ALTA MURGIA.*
di Rinaldo Grittani, Dipartimento di Progettazione e Gestione dei Sistemi Agro-Zootecnici e Forestali
(PRO.GE.S.A.), Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Bari.

1 Introduzione
Nei Paesi dell’Europa mediterranea l’allevamento ovi-caprino viene praticato prevalentemente in aree
agricole marginali, laddove cioè i pascoli rappresentano molto spesso l’unica forma di utilizzazione
produttiva dei suoli. Ciò nondimeno tale attività si investe di ruoli e significati rilevanti, che rimandano alla
preservazione di valori sociali, culturali e ambientali.
Ne consegue che le prospettive di sopravvivenza della zootecnia ovi-caprina risultino oggi, ancora più che in
passato, profondamente legate alle misure di politiche agricole predisposte a livello comunitario (PAC), pena
un inarrestabile quanto non auspicabile declino.
In proposito c’è da sottolineare che la recente riforma Fischler ha introdotto sostanziali cambiamenti al
funzionamento della PAC. Tra gli altri, sono mutati i meccanismi e i criteri sulla cui base si conferiscono gli
aiuti agli agricoltori ed agli allevatori, modifiche i cui effetti saranno comunque condizionati dalle scelte
effettuate a livello regionale.
Nella relazione presentata si vogliono proporre alcune riflessioni sulle probabili interazioni tra la riforma
della PAC e l’allevamento ovi-caprino, dapprima esaminandone la situazione a livello europeo e
successivamente scendendo di scala per soffermare l’attenzione sull’area dell’Alta Murgia, nella provincia di
Bari, quale esempio in qualche modo emblematico della difficile realtà produttiva del settore e delle sue
attuali prospettive.

2 La riforma della Politica Agricola Comunitaria
E’ noto che i meccanismi di intervento sui mercati1 adottati dalla Politica Agricola Europea fin dalla sua
impostazione, si sono rivelati nel tempo non sostenibili, generando effetti distorsivi rispetto allo stesso
quadro di obiettivi che li aveva ispirati.
Nel corso degli anni ‘80, anche se gli strumenti di sostegno utilizzati2 sino ad allora non sono stati messi in
discussione, la Commissione ha elaborato importanti documenti di riflessione3, nei quali è stata segnalata
l'opportunità di avviare un processo di ripensamento della PAC che fosse in grado di rispondere con
maggiore coerenza alle mutate condizioni del settore primario.
La riforma Mac Sharry del maggio 1992 ha costituito il primo concreto tentativo in tale direzione: se da un
lato, relativamente alla politica dei prezzi, è stato perseguito il riorientamento al mercato attraverso
l'applicazione del principio del “disaccoppiamento” del sostegno, dall'altro si sono rafforzate le politiche
strutturali e le "misure di accompagnamento" che remunerano quegli agricoltori che si impegnano a
realizzare azioni che generano “esternalità” positive.
Il processo di riforma è proseguito con Agenda 2000 e con la sua revisione di medio termine (giugno 2003),
che rappresentano ulteriori passi verso un “nuovo modello di agricoltura” caratterizzato da una sempre
maggiore integrazione degli obiettivi ambientali4 sia nelle politiche di mercato che in quelle di sviluppo

*
  Si ringraziano i Proff. Giuseppe De Blasi (Dip.to di “Economia e Politica Agraria, Estimo e Pianificazione Rurale”,
Univ. Bari) e Sebastiano Carbonara (DART, Univ. Chieti), per aver discusso i contenuti della nota ed aver espresso utili
suggerimenti. Resta ovviamente del solo autore la responsabilità di quanto scritto.
1
  La PAC ha per lungo tempo adottato un sostegno "accoppiato" alla quantità prodotta, garantendo ai suoi produttori sia
un livello di prezzo maggiore di quello mondiale sia la garanzia di ottenere un ricavo unitario minimo certo,
indipendente dalla congiuntura del mercato e dalla quantità prodotta.
2
  In quegli anni vengono fondamentalmente attivate misure volte a contrastare l'aumento della spesa agricola come, per
esempio, disincentivi (tasse di corresponsabilità, meccanismi di riduzione automatica dei prezzi), tetti (quote di
produzione, quantità massime garantite) o incentivi in direzioni opposte (set aside). Questi interventi attenuano i
problemi di natura finanziaria ma non affrontano le vere cause del problema.
3
   In particolare ci si riferisce al "Libro verde" (Commissione Europea, 1985) e “Il futuro del mondo rurale”
(Commissione Europea, 1988).
4
  Anche in agricoltura si cerca di attuare il principio "chi inquina - paga", che prevede che siano i responsabili del
deterioramento ambientale coloro che devono sostenere i costi dei danni provocati. Ciò rende indispensabile il ricorso a
livelli di riferimento o valori soglia che determinino le relazioni tra agricoltura e ambiente (in modo che si possa

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rurale, dalla preferenza verso l'agricoltura di qualità, multifunzionale, ecc. (De Filippis, a cura di, 2004; De
Filippis e Fugaro, 2004; Henke, 2004).
Con la revisione di medio termine non solo si è approfondito il solco tracciato da Agenda 2000, ma sono
state ridefinite le finalità stesse del sostegno, le condizioni per poterne disporre e gli strumenti attraverso cui
garantirlo. Per la portata delle novità introdotte più che di revisione intermedia si tende a parlare di "riforma
Fischler", dal nome del Commissario che l’ha fortemente sostenuta.
In modo molto schematico gli aspetti salienti della riforma introdotta attraverso il Regolamento (CE) n.
1782/2003 del Consiglio, definito "orizzontale" perché disciplina norme comuni relative ai regimi di
sostegno nell'ambito della PAC, e i regolamenti applicativi della Commissione (CE) n. 795/2004 e n.
796/2004, possono essere così riassunti:
− Disaccoppiamento del sostegno: consiste nello svincolare il sostegno dalla’attività produttiva e
nell'associarlo al possesso della terra. In questo modo gli agricoltori, pur ricevendo un ammontare di aiuti
comparabile a quello percepito in precedenza, non sono più sottoposti a rigidi vincoli ma hanno la libertà di
scegliere se e cosa produrre, seguendo le vocazioni del territorio e l'andamento del mercato. Il
disaccoppiamento si attua facendo confluire la maggior parte dei premi previsti dalle organizzazioni comuni
di mercato (OCM) in un "regime di pagamento unico", ovviamente slegato dalla produzione. Il Regolamento
CE n. 1782/2003 offre agli Stati membri la possibilità di scegliere tra distinte modalità applicative del
disaccoppiamento, nonché di optare eventualmente per una sua applicazione parziale.
− Condizionalità: si fonda sull'idea di vincolare l'erogazione del pagamento al rispetto di standard minimi
ambientali, di qualità e di salubrità dei prodotti agricoli e di gestione dei terreni; per il mancato rispetto di tali
criteri è prevista la riduzione degli importi di pagamento unico.
− Modulazione degli aiuti diretti: è lo strumento che riduce i pagamenti diretti per stornarne una loro parte
a sostegno del cosiddetto “secondo pilastro”; con la riforma Fischler la modulazione degli aiuti diretti
diventa obbligatoria e viene sottoposta a precise regole dettate dalla Commissione.
− Rafforzamento della politica di sviluppo rurale: oltre ad accrescere le risorse finanziarie a propria
disposizione, lo sviluppo rurale “si allarga” a nuove aree di intervento, come per esempio il "miglioramento
del benessere degli animali" (Macrì, 2004) o la "qualità alimentare" (Carbone, 2004).
Un altro aspetto importante della Riforma Fischler riguarda la flessibilità di gestione che essa offre al livello
nazionale. Il sistema infatti prevede che ogni singolo Stato membro operi delle scelte relative ad alcuni
rilevanti aspetti applicativi, in modo da "adattare" la riforma alle realtà locali. Il Governo Italiano ha optato,
per esempio, attraverso i Decreti MIPAF n. 1628 del 20 luglio 2004, n. 1787 del 5 agosto 2004 e n. 2026 del
24 settembre 2004, per le seguenti opzioni:
  − avvio della Riforma a partire dal 2005;
  − disaccoppiamento totale dell’aiuto nel settore dei seminativi e in quello zootecnico;
  − accoppiamento dell’aiuto per la produzione di sementi elette;
  − non utilizzo della Regionalizzazione;
  − applicazione dell’articolo 69 del Regolamento 1782/2003 per i settori della zootecnia bovina, ovina e
      per i seminativi;
  − costituzione della Riserva Nazionale;
  − disaccoppiamento dell’aiuto ai prodotti lattiero caseari a partire dal 2006.
In Italia quindi, il regime di pagamento unico aziendale è diventato operativo a partire dal primo gennaio del
2005 e verrà assegnato sulla base degli aiuti comunitari percepiti da ciascuna azienda nel triennio di
riferimento (2000-2002). Gli aiuti saranno concessi sotto forma di Diritti ad ettaro, definiti Titoli5.
L’Italia ha scelto la formula del disaccoppiamento totale, per cui l’aiuto non è più legato alla produzione di
specifiche colture e/o ai capi allevati. Se in passato, quindi, i premi erano differenziati per coltura e ottenibili
solo attraverso la reale coltivazione e/o l’allevamento di una precisa specie animale, con la riforma il Diritto
non vincola più l’attività produttiva che l’agricoltore intende svolgere negli anni a venire.
Gli agricoltori potranno infatti esercitare qualsiasi scelta produttiva, ad eccezione delle colture permanenti e
ortofrutticole. Nella definizione di attività agricola rientra anche "il mantenimento della terra in buone

definire se l'attività agricola danneggia l'ambiente ovvero se essa genera un danno ambientale) e consentano di
accrescere la sostenibilità ambientale delle pratiche agricole (Povellato, Sardone, Zezza, 2000).
5
  Il valore unitario ad ettaro, ovvero il diritto per ettaro, si calcola dividendo l'importo di riferimento (rappresenta la
media triennale degli importi percepiti da un agricoltore nel triennio di riferimento, adattati in base a parametri
economici esposti nell’allegato VII del Reg. CE 1782/03) per la media degli ettari che nel triennio hanno sostenuto la
concessione dei premi (le superfici ammesse all’aiuto).

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condizioni agronomiche e ambientali", per cui è possibile conservare il diritto al "pagamento unico" anche
senza perseguire fini produttivi. L’unico obbligo riguarda il rispetto delle cosiddette “norme di
condizionalità”.
In sostanza la condizionalità degli aiuti diretti è uno strumento attraverso cui indurre gli agricoltori a
conservare o ad adottare comportamenti virtuosi. Sebbene introdotta da Agenda 20006, solo con la riforma
del 2003 essa acquisisce un posto di rilievo: diventa obbligatoria (sia per gli stati membri che per i singoli
operatori agricoli) e accresce la sua "portata", interessando non solo le tematiche ambientali, ma anche altre
problematiche (relative al benessere degli animali, alla sicurezza e alla salubrità degli alimenti, ecc.).
Il regolamento 1782/2003 condiziona l'erogazione dei pagamenti diretti al rispetto dei seguenti requisiti:
      criteri di gestione obbligatoria (Cgo) basati su un insieme di norme europee (Allegato III del Reg.
          CE 1782/03) (tabella 1)
      buone condizioni agronomiche e ambientali (Bcaa) (Allegato IV del Reg. CE 1782/03) (tabella 2).
I criteri di gestione obbligatoria (Cgo) sono prescritti da 18 norme comunitarie indicate nell’Allegato III del
regolamento orizzontale, il cui rispetto, anche se non si tratta di nuove norme, può avvenire gradualmente nel
corso degli anni 2005, 2006 e 2007. La maggior parte dei requisiti concernenti l'ambiente sono da soddisfare
a partire dal 2005, mentre il rispetto di quelli concernenti la sanità pubblica, la salute delle piante e degli
animali, il benessere degli animali, ecc. deve essere garantito entro i due anni successivi.
A differenza dei Cgo, nei quali i requisiti da rispettare sono già chiaramente definiti nell’Allegato III, nel
caso delle Bcaa l’Allegato IV contiene solo obiettivi di massima e norme generali relative alla conservazione
del suolo (dall’erosione, dalla perdita di sostanza organica, dal peggioramento della sua struttura fisica) e
all’habitat agricolo.
La più precisa definizione dei requisiti da rispettare viene delegata agli Stati membri, che a loro volta
possono delegarla alle regioni, maggiormente in grado di adattare le Bcaa alle caratteristiche ed alle
problematiche ambientali locali.
Dato che il disaccoppiamento degli aiuti previsto dal regime di pagamento unico potrebbe favorire in alcune
aree l’abbandono della coltivazione, si è posta una particolare attenzione anche alla definizione delle Bcaa da
rispettare sui terreni lasciati incolti, in modo da evitare situazioni di degrado ambientale e/o fenomeni di
“disattivazione produttiva”.
Il meccanismo su cui si basa l’introduzione del disaccoppiamento e del regime di pagamento unico aziendale
genera una serie di disparità e differenze tra gli agricoltori, a seconda delle scelte produttive da questi
eseguite nel periodo di riferimento7.
Se in passato colture come il grano duro nel sud Italia o il girasole e il mais nel centro-nord Italia erano
molto diffuse per gli aiuti comunitari ad esse associati, la riforma modifica i criteri sulla cui base ciascun
agricoltore compie le proprie scelte colturali. In mancanza di un'azione di indirizzo della PAC, i fattori
fondamentali divengono l'andamento del mercato, la vocazionalità territoriale e l'efficienza tecnica ed
economica (Frascarelli, 2004).

6
  E' il Reg. (CE) 1259/99, sulle norme comuni per i regimi di sostegno diretto, che offre per la prima volta la possibilità
agli Stati Membri di introdurre il regime come precedentemente accennato della condizionalità.
7
  Come già detto, l'entità dei pagamenti che saranno corrisposti a livello di singola azienda viene infatti definita sulla
basa delle scelte produttive eseguite nel periodo di riferimento (triennio base 2000-2002) e dei contributi incassato in
quel periodo.
In linea di massima quindi chi all’epoca aveva un ordinamento produttivo aziendale orientato verso le colture e gli
allevamenti inclusi nel regime dei pagamenti diretti della PAC, avendo incassato elevati contributi nel triennio base
2000-2002, si vedrà riconosciuti un numero di diritti e un importo di riferimento piuttosto elevato, che l’Unione
Europea erogherà almeno fino al 2012, per tutto il periodo di validità della riforma di medio termine della PAC.
 Viceversa, altri agricoltori potranno ricevere importi al di sotto della media e molto più bassi degli altri. In particolare,
si troverà con una dotazione finanziaria piuttosto limitata chi nel periodo di riferimento seguiva un ordinamento
produttivo differenziato tra le diverse colture (quelle soggette al regime dei pagamenti per superfici della PAC e le altre)
e non aveva allevamenti zootecnici (bovini da carne, ovini e caprini, latte bovino).

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Tabella 1: I criteri di gestione obbligatoria
        Area                 Norma e data norma                               Oggetto
                                        Norme applicabili dal 2005
                       Dir. 79/409/Cee (02/04/79)      Conservazione uccelli selvatici.
                       Dir. 80/68/Cee (17/12/79)       Protezione acque sotterranee dall'inquinamento.
                       Dir. 86/278/Cee (12/06/86)      Utilizzazione fanghi di depurazione in agricoltura.
      Ambiente         Dir. 91/676/Cee (12/12/91)      Protezione acque dai nitrati di origine agricola.
                       Dir. 92/43/Cee (21/05/92)       Conservazione habitat naturali e seminaturali, flora
                                                       e fauna selvatiche.
                       Dir. 92/102/Cee (27/11/92)      Identificazione e registrazione animali.
  Sanità pubblica e
                       Reg. (Ce) 2629/97 (29/12/97)    Marchi auricolari, registro delle aziende e
 salute degli animali.
                                                       passaporti bovini.
   Identificazione e   Reg. (Ce) 1760/2000 (17/07/00) Identificazione e registrazione bovini ed
registrazione animali
                                                       etichettatura carni bovine e derivati.
                                        Norme applicabili dal 2005
                       Dir. 91/414/Cee (15/07/91)      Immissione in commercio di prodotti fitosanitari.
                       Dir. 96/22/Cee (29/04/96)       Divieto uso di sostanze ad azione ormonica,
                                                       tireostatica e sostanze beta-antagoniste nelle
   Sanità pubblica,                                    produzioni animali.
salute degli animali e Reg. (Ce) 178/2002 (28/01/02)   Legislazione alimentazione, istituzioni e procedure
     delle piante.                                     di sicurezza alimentare.
                       Reg. (Ce) 999/2001 (22/05/01)   Prevenzione, controllo ed eradicazione
                                                       encefalopatie spongiformi trasmissibili.
                       Dir. 85/511/Cee (18/11/85)      Misure di lotta contro l'afta epizootica.
                       Dir. 92/119/Cee (17/12/92)      Misure di lotta contro alcune malattie degli animali
     Notifica delle                                    e misure specifiche per la malattia vescicolare dei
       malattie                                        suini.
                       Dir. 2000/75/Cee (20/11/00      Misure di lotta ed eradicazione della febbre
                                                       catarrale degli ovini.
                                        Norme applicabili dal 2007
                       Dir. 91/629/Cee (19/11/91)      Norme minime per la protezione dei vitelli.
    Benessere degli    Dir. 91/630/Cee (19/11/91)      Norme minime per la protezione dei suini.
        animali        Dir. 98/58/Cee (20/07/98)       Misure per la protezione degli animali negli
                                                       allevamenti.
Fonte: Allegato III del Reg. (Ce) 1782/2003

Tabella 2: Le Buone condizioni agronomiche e ambientali
                   Obiettivo                                               Norme
     Erosione del suolo: proteggere il suolo                   Copertura minima del suolo.
           mediante misure idonee.                 Minima gestione delle terre, che rispetti le condizioni
                                                                      locali specifiche.
                                                              Mantenimento delle terrazze.
         Sostanza organica del suolo:            Norme inerenti alla rotazione delle colture ove necessario.
  mantenere i livelli di sostanza organica del                    Gestione delle stoppie.
     suolo mediante opportune pratiche.
              Struttura del suolo:                             Uso adeguato delle macchine.
  mantenere la struttura del suolo mediante
                misure adeguate.
      Livello minimo di mantenimento:                 Minima densità di bestiame e/o regimi adeguati.
assicurare un livello minimo di mantenimento                 Protezione del pascolo permanente.
  ed evitare il deterioramento degli habitat.     Mantenimento degli elementi caratteristici del paesaggio.
                                                   Evitare la propagazione di vegetazione indesiderata sui
                                                                       terreni agricoli.
Fonte: Allegato IV del Reg. (Ce) 1782/2003

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3 Il settore ovi-caprino nell' EU 15: consistenza e politiche
Come evidenziato nella tabella 3, attualmente nell’Europa a 158 vi sono poco più di 700 mila aziende in cui
si allevano oltre 100 milioni di ovini. Più del 40% dei capi è allevato nel solo Regno Unito, nel quale è
localizzato l’11% circa delle aziende. In questo Paese gli allevamenti sono specializzati nella produzione
della carne e si caratterizzano per dimensioni medie estremamente elevate (510 capi/azienda) rispetto alla
media europea (144 capi/azienda).
Le caratteristiche strutturali che contraddistinguono gli allevamenti dei Paesi del bacino mediterraneo sono
ben diverse da quelle del Regno Unito, fondamentalmente in ragione delle differenti condizioni fisico-
climatiche. In passato per sopperire al clima sfavorevole che in alcuni mesi dell’anno riduceva la produttività
dei pascoli, si ricorreva alla transumanza, sistema di allevamento che prevedeva che le greggi effettuassero
degli spostamenti stagionali, in cerca di adeguate condizioni alimentari. Attualmente nei Paesi mediterranei il
sistema di allevamento transumante è stato generalmente sostituito con quello stanziale brado, che si
localizza comunque in aree nelle quali vi è disponibilità di superfici pascolabili naturali o prodotte
artificialmente (Malorgio, 1998).
Nell’Europa mediterranea si concentra complessivamente circa il 70% delle aziende, con poco meno del
50% dei capi ovini. Le condizioni strutturali esistenti nelle diverse realtà nazionali presentano rilevanti
differenze: a titolo di esempio si può considerare il divario esistente tra la dimensione media degli
allevamenti spagnoli (pari a quasi 200 capi) e quella del confinante Portogallo (pari ad appena 40 capi). In
ogni caso, è attualmente in atto un intenso processo di ristrutturazione aziendale9, dato che l’ampliamento
della consistenza del gregge e della base territoriale dell’azienda sono condizioni indispensabili alla
realizzazione delle cosiddette economie di scala (Malorgio, 1998).

Tabella 3 – Aziende con ovini e numero di capi nei Paesi dell’EU a 15 (anno 2000).
    Paese          aziende     %           capi        %       Capi/aziende
 Regno Unito    82.180 11,5             41.898.890 40,7                  510
 Spagna        107.000 15,0             20.926.770 20,3                  196
 Francia        95.660 13,4              9.416.240   9,1                  98
 Grecia        128.560 18,0              8.752.680   8,5                  68
 Irlanda        43.680   6,1             6.891.550   6,7                 158
 Italia         96.160 13,5              6.808.320   6,6                  71
 Portogallo     71.210 10,0              2.929.760   2,8                  41
 Germania       34.000   4,8             2.723.670   2,6                  80
 Olanda         18.330   2,6             1.400.660   1,4                  76
 Svezia          8.270   1,2               437.370   0,4                  53
 Austria        17.340   2,4               339.260   0,3                  20
 Belgio          4.610   0,6               160.450   0,2                  35
 Danimarca       3.590   0,5               142.870   0,1                  40
 Finlandia       2.180   0,3                99.520   0,1                  46
 Lussemburgo        230  0,0                 8.210   0,0                  36
 EU 15         713.000 100,0           102.936.220 100,0                 144
Fonte: ISTAT, 2000.

Gli allevamenti “mediterranei” generalmente traggono reddito non solo dalla carne ma anche dalla
produzione del latte ed eventualmente dalla sua trasformazione. Spesso accanto a capi ovini essi ospitano
anche caprini. L’allevamento caprino potrebbe definirsi complementare e secondario rispetto a quello ovino:
gli 11 milioni di caprini esistenti in Europa, sono praticamente tutti concentrati nei Paesi del Mediterraneo.
Questi animali, infatti, sono ancor più rustici e adattabili rispetto agli ovini, per cui possono essere allevati in
condizioni territoriali particolarmente sfavorevoli.

8
  Non si prende in considerazione la situazione dei paesi che sono recentemente entrati nella UE perché nel loro caso il
settore è per i prossimi anni disciplinato e regolato da normative e politiche agricole differenti da quelle relative ai Paesi
dell’EU a 15.
9
  Parallelamente ad esso procedono anche i processi di introduzione di tecnologie e di razionalizzazione della gestione
del territorio, in modo da cercare di accrescere i livelli di reddito.

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Proprio la grande adattabilità degli allevamenti ovi-caprini, ma anche il limitato potenziale di remunerazione
rispetto alla maggior parte delle altre attività agro-zootecniche, ha fatto sì che la pastorizia sia
“sopravvissuta” nelle aree marginali ed economicamente svantaggiate dei Paesi mediterranei dell’UE, dove
ad essa non vi erano valide alternative produttive. In tali contesti essa diventa allora una sorta di presidio per
la conservazione di valori sociali-culturali, ambientali e paesaggistici. Questo significato più ampio e
complesso è stato a lungo poco considerato nelle politiche agricole e solo recentemente sembra essere
diventato in qualche modo una priorità.
Il comparto ovicaprino non rientra infatti tra quelli che – in passato – hanno ricevuto un buon livello di tutela
e di sostegno.
L’OCM di settore è relativa alle sole carni ovicaprine10. La “vecchia” OCM del 1992 prevedeva che gli
allevatori ricevessero un premio calcolato in base alla differenza tra due prezzi: quello base della carne
fissato dal Consiglio e il prezzo medio comunitario di mercato, moltiplicato per un coefficiente tecnico.
Questa modalità di calcolo, oltre ad essere estremamente complessa, non riconosceva un sufficiente livello di
remunerazione per gli allevatori.
La necessaria riforma dell’OCM è stata approvata alla fine del 2001 (regolamento CE n. 2529/2001). Essa
prevede un premio “per pecora” e “per capra” su base annua ed eventualmente, a discrezione dello stato
membro, un premio supplementare.
Il Regolamento orizzontale 1782/2003, abroga parte del Regolamento 2529/2001 e prevede, nel Capitolo 11
del Titolo IV, i seguenti premi:
• Premio per pecora e per capra: sono erogati sotto forma di un pagamento annuo per capo ammissibile,
per anno solare e per produttore, nei limiti di massimali individuali. Il premio per pecora è fissato a 21,00
euro, ma scende a 16,8 euro per i produttori che commercializzano latte di pecora o derivati. Anche il premio
per capra è fissato a 16,8 euro.
• Premio supplementare: ammonta a 7,00 euro a capo e viene concesso a quei produttori che praticano
l’attività di allevamento ovi-caprino in zone ritenute tradizionalmente vocate, se almeno metà della
superficie agricola utilizzata dell’azienda ricade in una zona svantaggiata, o se l’azienda pratica la
transumanza.
Come già anticipato nel paragrafo 2 il Regolamento 1782/2003 prevede anche che questi premi diretti
confluiscano nel regime di pagamento unico, il cui funzionamento dipende anche dalle scelte effettuate da
ciascuno Stato Membro. L’applicazione del Regolamento scelta dall’Italia ha per esempio previsto il
disaccoppiamento totale dell’aiuto nel settore dei seminativi e in quello zootecnico e lo spostamento dei
pagamenti diretti nel regime di pagamento unico.
Inoltre, il Governo italiano, al fine di incentivare i sistemi di qualità, ha anche deciso di applicare a livello
nazionale l’articolo 69 del Regolamento 1782/03, per cui ha previsto nel settore dei seminativi, delle carni
bovine e ovi-caprine un ulteriore premio integrativo (additional payment), il cui importo massimo è fissato
pari a 15 €/capo. In particolare, per quanto riguarda il settore ovi-caprino si prevede di trattenere il 5%
dell’ammontare complessivo degli aiuti previsti nel settore, in modo da destinare le somme così accantonate
a beneficio di allevatori che allevino più di 50 capi e che conducano gli animali al pascolo per almeno 120
giorni all’anno.
In sostanza, quindi, in Italia, il premio integrativo previsto dall’art.69 del reg. 1782/03 rimane l’unico premio
accoppiato, cioè legato all’esercizio dell’attività di allevamento degli ovi-caprini, che quindi comporta
precisi impegni da parte dell’allevatore.
Non v'è dubbio che le novità introdotte dalla riforma siano rilevanti e possano determinare considerevoli
effetti territoriali e produttivi nelle aree della UE dove è presente l'allevamento ovi-caprino. Gli esiti possono
però risultare assai differenti a seconda non solo delle caratteristiche strutturali delle realtà aziendali nelle
quali essa interviene, ma anche delle eventuali politiche predisposte a livello locale sia dagli Stati Membri
che dalle Regioni. Questo ultimo aspetto non è trascurabile, poiché da esso dipenderà per esempio l’entità
dei fenomeni di completo abbandono dei suoli coltivati e degli allevamenti.

10
   L’OCM dei prodotti lattiero caseari interessa solo in minima parte i prodotti ovi-caprini, in particolare per quanto
riguarda gli aiuti all’ammasso privato del pecorino.

                                                                                                                     6
4. L’Allevamento ovi-caprino in Alta Murgia: situazione e prospettive
4.1 Inquadramento storico e territoriale
L’Alta Murgia è un altopiano che occupa un’area interna della provincia di Bari, approssimativamente estesa
90.000 ettari. Alcune delle caratteristiche fisiche e ambientali di questo territorio, come per esempio la sua
natura carsica o la presenza di un substrato calcareo spesso affiorante, hanno fortemente condizionato la sua
economia, “da sempre” fondamentalmente basata sul settore primario, in particolare su un sistema produttivo
cerealicolo-pastorale.
L'origine del forte legame tra Alta Murgia e allevamento ovi-caprino risale alla metà del 1700, quando la
"Dogana per la mena delle pecore in Puglia", complesso ed articolato sistema predisposto dagli Aragonesi
per la gestione e la promozione delle attività pastorali, coinvolge pienamente anche questo territorio. La
pastorizia transumante diventa ben presto la prevalente attività produttiva dell’Alta Murgia e segna
profondamente il territorio, che si contraddistingue per una capillare rete di tratturi e per gli innumerevoli
ripari per le greggi (ricoveri, poste e jazzi11). In quel periodo i suoli arativi ricoprono una esigua superficie
territoriale: le zone limitrofe ai centri urbani e le lame, praticamente le sole aree provviste di un sufficiente
strato di terra fertile.
A partire dalla fine del Settecento l'intera Puglia viene interessata da un processo di riorganizzazione
produttiva basato sullo sviluppo dell’agricoltura a svantaggio della pastorizia: anche in Alta Murgia si assiste
all'espansione delle colture cerealicole e arboree (vite, mandorlo e olivo) che sostituiscono pascoli e boschi,
attraverso disboscamenti e dissodamenti. Le difficili condizioni pedoclimatiche fanno però fallire il tentativo
di valorizzazione agricola dell’area.
Il declino della pastorizia e il mancato decollo degli ordinamenti cerealicolo e viticolo-olivicolo proseguono
anche nel corso del 1900 e determinano lo sfaldamento del sistema economico e socio-insediativo che si era
storicamente strutturato e consolidato nell’area. In mancanza di un chiaro progetto di sviluppo alternativo e
di organiche e ben definite politiche agricole e territoriali, l’Alta Murgia viene interessata da interventi e
trasformazioni che determinano degrado ambientale e paesaggistico e va incontro ad un lento e graduale
processo di isolamento e marginalizzazione socio-economica. Solo in questi ultimi anni una serie di
avvenimenti sembrano quasi restituirle una "nuova centralità".
Fra questi, un rilievo particolare si deve riconoscere all’istituzione del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, da
interpretare come una seria prospettiva di sviluppo dell’area e quale strumento per affrontare nella globalità
le emergenze e i problemi di questo territorio.

Figura 1. – Il territorio dell’Alta Murgia

11
   Nei territori sottoposti alla Dogana, erano definiti ricoveri le aree attrezzate ove temporaneamente sostare con le
greggi, in attesa che il doganiere assegni una porzione di terreno definitiva, provvista di ripari stabili (poste) da
occupare fino a maggio. Gli jazzi sono invece i ricoveri realizzati in quei territori dell'Alta Murgia che, per privilegi
ricevuti, erano riusciti a sottrarsi alla amministrazione doganale. Questi manufatti realizzati a supporto della pastorizia
erano spesso associati alle masserie, a volte come strutture autonome e distaccate, altre volte come parte integrante delle
stesse.

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4.2 L’allevamento ovi-caprino
Per quanto in Alta Murgia il sistema produttivo cerealicolo-pastorale rimanga ancora oggi il nucleo forte
dell’economia agricola locale, le importanti trasformazioni territoriali che hanno interessato l’area rischiano
comunque di compromettere definitivamente il secolare legame con il pascolo ovi-caprino.
Dalla tabella 4 si osserva che nei 13 comuni interessati vi sono poco più di 600 aziende zootecniche, un
quarto di quelle provinciali. Quasi la metà di queste aziende hanno anche ovini, mentre vi sono circa 100
aziende con caprini. Altamura e Santeramo in Colle sono i comuni nei quali si concentrano buona parte delle
aziende con ovi-caprini e un consistente numero di capi.
Tabella 4. Numero di aziende e di capi nei comuni ricadenti in Alta Murgia (anno 2000)
           Comune              Aziende                Ovini               Caprini                   Bovini
                             zootecniche aziende            capi    aziende       capi       aziende       capi
Altamura                              135            70     15.430        26         761            70      2.022
Andria                                 18             9      2.560         4         270             8        264
Bitonto                                 9             1        300                                   4        301
Cassano delle Murge                    31            15      1.252         9         319            16        473
Corato                                 16            10      2.151         4         273             4        463
Gravina in Puglia                      27            12      2.807         3           60           16      1.920
Grumo Appula                            1                                                            1           2
Minervino Murge                        38            33      7.661        13         461             7        146
Poggiorsini                             3                                                            3        111
Ruvo di Puglia                         27            12      4.162         7         598            12        716
Santeramo in Colle                    266          111       7.387        26         635           182      6.555
Spinazzola                             31            21      3.223         6         111            16        680
Toritto                                 4             1         10         1            2            3        125
Totale Alta Murgia                    606          295      46.943        99       3.490           342     13.778
 Provincia di Bari                  2.416          731      57.888      315        5.844         1.705     63.651
Alta Murgia /Provincia (%)             25,1       40,4         81,1      31,4       59,7          20,1       21,6
Puglia                              7.859        2.462    217.963     1.424     52.135           4.386 152.723
Alta Murgia / Puglia (%)                7,7       12,0         21,5       7,0         6,7          7,8         9,0
Fonte: ISTAT, Censimento generale dell’agricoltura, 2000.

Complessivamente sono stati censiti circa 47.000 capi ovini, ovvero circa l’80% dei capi della provincia di
Bari, pari al 20% su base regionale. I caprini sono circa 3.500 unità, consistenza trascurabile rispetto a quello
degli ovini. La maggior parte dei capi ovini si concentra ad Altamura (15.000 capi), Minervino Murge (7.600
capi) e Santeramo in Colle (7.300 capi). Negli altri comuni vi sono poche decine di aziende (tra le 10 e le 20)
e un numero di animali compreso tra 1000 e 4000. Fanno eccezione Bitonto, Poggiorsini e Toritto, nei quali
vi è una sola azienda o non ve ne sono affatto.
In Alta Murgia la zootecnia bovina è meno importante e diffusa rispetto a quella ovi-caprina. Costituisce
un’eccezione Santeramo in Colle, il cui territorio solo in parte può essere compreso nell’area, estendendosi
anche nella murgia sud-orientale, che si contraddistingue per differenti caratteristiche territoriali e agro-
zootecniche.
Confrontando l’attuale consistenza dei capi ovi-caprini con quella dei decenni passati è possibile effettuare
considerazioni in merito alla dinamica della popolazione. La tabella 5 riporta il numero dei capi ovini nel
1931, nel 1990 e nel 2000. Innanzitutto si nota che la contrazione dei capi registrata nel decennio 1990-2000
(variazione pari a -53,3 %) è maggiore di quella relativa ai 60 anni compresi tra il 1930 e il 1990 (- 36,8 %).
La dinamica negativa di quest’ultimo periodo è frutto di una situazione molto differenziata tra i diversi
comuni: a fronte di una forte diminuzione del numero dei capi nei comuni pede-murgiani (Toritto 88%,
Corato 81%, Bitonto 67%), in altri comuni il processo è risultato molto meno accentuato. La contrazione dei
capi ovini mediamente registrata in questo primo periodo è comunque inferiore a quella media provinciale.
Non è così, invece, nel decennio 1990-2000, durante il quale anche l’Alta Murgia è interessata da una
drastica riduzione del numero degli animali. In soli dieci anni infatti i capi ovini diminuiscono di oltre la
metà e tale tendenza investe anche i comuni, come Altamura, Minervino, Gravina in Puglia, nei quali la
popolazione ovina nel 1990 era ancora numerosa. L’unica eccezione, ovvero l’unico comune nel quale il

                                                                                                                8
numero dei capi ovini cresce è Santeramo in Colle la cui zootecnia, però, è più legata alla bovinicoltura che
all’allevamento ovi-caprino12 (Perone-Pacifico e Sorrentino, 2001).
Dinamiche molto simili riguardano i caprini (tabella 6), che in Alta Murgia si riducono in media del 13% nei
60 anni tra il 1930 e il 1990 e del 56% nel decennio 1990 – 2000.

Tabella 5 – Dinamica della popolazione ovina (anno 2000)
                                                      Variazione %     Variazione %
                      1931       1990       2000
                                                       1931/1990        1990/2000
Altamura              38.810    33.632    15.430              -13,3            -54,1
Andria                15.173     9.822     2.560              -35,3            -73,9
Bitonto                2.081       685       300              -67,1            -56,2
Cassano Murge          3.018     3.131     1.252                3,7            -60,0
Corato                22.461     4.170     2.151              -81,4            -48,4
Gravina in Puglia     26.686    14.223     2.807              -46,7            -80,3
Grumo Appula           1.531     1.190         -              -22,3           -100,0
Minervino Murge       17.109    12.324     7.661              -28,0            -37,8
Poggiorsini                 -         -          -                -                -
Ruvo di Puglia        10.564     9.413     4.162              -10,9            -55,8
Santeramo              5.884     4.982     7.387              -15,3             48,3
Spinazzola            13.089     6.680     3.223              -49,0            -51,8
Toritto                2.600       303        10              -88,3            -96,7
Totale Murgia        159.006 100.555      46.943              -36,8            -53,3
Provincia            210.716 114.911      57.888              -45,5            -49,6
Fonte: Catasto agrario e ISTAT, Censimenti generali dell’agricoltura 1990 e 2000.

Tabella 6 Dinamica della popolazione caprina.
                                                      Variazione %     Variazione %
                      1931       1990       2000
                                                       1931/1990        1990/2000
Altamura                 568     1.591       761              180,1            -52,2
Andria                 1.789       503       270              -71,9            -46,3
Bitonto                  702        31         -              -95,6           -100,0
Cassano Murge            595     1.641       319              175,8            -80,6
Corato                 1.047       184       273              -82,4             48,4
Gravina in Puglia        576       756        60               31,3            -92,1
Grumo Appula           1.039        25         -              -97,6           -100,0
Minervino Murge          869     1.056       461               21,5            -56,3
Poggiorsini                 -         -         -                  -                -
Ruvo di Puglia           401       580       598               44,6               3,1
Santeramo                680       850       635               25,0            -25,3
Spinazzola               455       423       111               -7,0            -73,8
Toritto                  370       230         2              -37,8            -99,1
Totale Murgia          9.091     7.870     3.490              -13,4            -55,7
Provincia             29.573    11.497     5.844              -61,1            -49,2
Fonte: Catasto agrario e ISTAT, Censimenti generali dell’agricoltura 1990 e 2000.

Questi dati mostrano con chiarezza le forti difficoltà del settore. C’è da tener presente che benché tale crisi
riguardi anche il resto dell’Italia (ISTAT, 2000)13, essa ha comunque radici che affondano in scelte e
situazioni locali.

12
   L’incremento dei capi ovini registrato a Santeramo in Colle è probabilmente dovuto al fatto che alcune aziende
abbiano deciso di sopperire ai vincoli imposti dal regime delle quote latte al settore bovino, introducendo e/o
espandendo i propri allevamenti ovi-caprini.
13
   I risultati censuari del 2000 mostrano che in Italia rispetto al 1990 il numero delle aziende che alleva ovini è
diminuito in modo consistente (-40,5%) e quello delle aziende con caprini si è addirittura quasi dimezzato (-46,8%).
Per quanto riguarda le consistenze, invece, c’è da ricordare che il numero delle pecore si è ridotto del 18,6%, mentre i
caprini si sono ridotti del 26,8%.

                                                                                                                      9
Numerosi sono i fattori di crisi che hanno una rilevanza che travalica lo specifico territorio dell’Alta Murgia.
Tra questi sono certamente da ricordare:
     • la crescente concorrenza dovuta alla globalizzazione e all’apertura dei mercati, che costringe a
         confrontarsi con Paesi (per esempio Gran Bretagna e Paesi dell’Europa dell’est), dove le carni sono
         prodotte a costi minori rispetto a quelli italiani;
     • le politiche di settore, a livello comunitario spesso poco importanti e non complete, comunque non
         in grado di accrescere la competitività del settore;
     • l’obbligo di adeguare gli allevamenti e le produzioni a normative di tipo igienico-sanitario, che
         ha richiesto forti investimenti, spesso non sostenibili dai piccoli allevatori. In particolare le
         disposizioni previste dal d.p.r. 54/1997 si sono rivelate molto restrittive per il settore ovicaprino,
         tanto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa di numerosi allevamenti e piccoli caseifici;
     • le emergenze sanitarie, legate ai casi di Blue Tongue, ma anche alle scarpie, hanno costituito in
         questi ultimi anni dei problemi che hanno fortemente condizionato il settore;
     • gli aspetti socio-culturali: a fronte di un’elevata età media dei conduttori c’è uno scarso ricambio
         generazionale dato che i giovani spesso preferiscono attività meno impegnative, che consentano un
         miglioramento della qualità della vita.
Diversi tra i fattori sopra riportati hanno pesato fortemente sul settore ovi-caprino dell’Alta Murgia. Tra
questi non sono da trascurare gli aspetti socio-culturali che nel contesto territoriale oggetto d’analisi
assumono un significato del tutto particolare. In questa zona della murgia, infatti, la popolazione è
concentrata in grandi centri urbani, per cui l'allevatore vive in uno stato di forte isolamento. A questi
problemi sono da aggiungere i forti disagi connessi alla insufficiente dotazione di reti infrastrutturali (a
partire dalla rete idrica) e al fenomeno dell’abigeato, purtroppo ancora presente.
Per porre rimedio ai numerosi problemi della zootecnia ovi-caprina dell'Alta Murgia vanno concertate una
serie di azioni, da inserire auspicabilmente in un organico e ben strutturato piano di rilancio del settore.
Un esempio emblematico della scarsa efficacia degli interventi attuati dalla Regione Puglia negli anni passati
è rappresentato da una legge regionale per il miglioramento dei pascoli (L.R. 54/8114), la cui attuazione,
anziché promuovere il settore, ha in sostanza innescato il fenomeno dello spietramento, da molti studiosi
considerato uno dei principali processi di degrado dell’area.
L’effetto combinato di questa legge e delle misure di politica agricola legate ai seminativi15 hanno
determinato l’avvio del processo dello spietramento e il suo perdurare nel tempo. Vaste aree, in precedenza
utilizzate per il pascolo di ovicaprini, sono state irrimediabilmente trasformate in suoli arativi (figure 2 e 3).
A partire dal 199016 risulta particolarmente vantaggiosa la coltivazione del grano duro, che si diffonde
estesamente e che consente agli agricoltori di godere di opportunità di reddito irraggiungibili con i
tradizionali assetti produttivi. Le misure di politica agricola hanno in sostanza favorito un processo di
riconversione produttiva che ha determinato l’emergere di ordinamenti non adatti alle caratteristiche
ambientali, paesaggistiche e alla vocazione di quel territorio.
Tuttavia l’Amministrazione Regionale non è intervenuta tempestivamente per porre freno alla diffusione
della pratica dello spietramento, nonostante gli evidenti danni ambientali17 provocati.

14
   Si tratta della LL.RR. del 31 agosto 1981 n° 54 “Programmi regionali di sviluppo agricolo e forestale” che individua
tra le misure da attuare in Puglia anche il “miglioramento dei pascoli”. Questa legge forniva incentivi per trasformare i
pascoli naturali in seminativi, al fine di incrementare le produzioni foraggiere e promuovere le aziende ad indirizzo
zootecnico.
15
   Ci si riferisce in particolare a provvedimenti in materia:
      di efficienza delle strutture agrarie che, per controllare le produzioni agricole eccedentarie hanno introdotto un
           regime di aiuto inteso al “ritiro dei seminativi dalla produzione”;
      di funzionamento dei mercati agricoli, tra i quali rientra l’aiuto compensativo al reddito per il grano duro.
16
   L’aiuto al reddito per il grano duro risulta importante ai fini delle trasformazioni dei pascoli dell’Alta Murgia in
particolar modo dall’inizio degli anni ’90, in quanto il Reg. CEE n. 1765/92 accresce considerevolmente il contributo
comunitario per ettaro di grano duro prodotto.
17
   Queste trasformazioni hanno spesso interessato anche terreni di qualità scadente, con proprietà geo-morfologiche che
non ne rendevano giustificato il ricorso ai fini dell’incremento delle produzioni agricole. Lo spietramento veniva in
sostanza realizzato solo in vista degli aiuti comunitari, nonostante esso accrescesse enormemente la suscettività dei
terreni ai fenomeni erosivi, alla perdita della sostanza organica e alla progressiva degradazione fisico-chimica. Il
fenomeno peraltro comportava anche la scomparsa di una vegetazione e di una fauna naturalisticamente importanti, la
distruzione sistematica di una molteplicità di segni e testimonianze della pastorizia e dell’agricoltura tradizionale (muri

                                                                                                                       10
Figura 2. Uso del suolo in Alta Murgia nel 1990 (Fonte: Corine Land Cover).

Figura 3. Uso del suolo in Alta Murgia nel 1999 (Fonte: Corine Land Cover).

A conclusione di un lungo e travagliato iter, nel luglio 2004 viene ufficialmente istituito il Parco Nazionale
dell'Alta Murgia. Il DPR istitutivo determina oltre alla perimetrazione anche le norme provvisorie di
salvaguardia, che definiscono una serie di aspetti legati alla gestione, alla tutela e alla promozione del
territorio del Parco. Per ciascuna delle tre zone di tutela18 (figura 4) si stabiliscono divieti e regimi
autorizzativi.
Dalla caratterizzazione e dall'estensione delle tre zone di tutela emerge immediatamente l'importanza che
l'attività agro-zootecnica assume nel Parco: la zona 2, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo, è
infatti quella più estesa (occupa il 66% della superficie del Parco) e la sua corretta gestione dipende
fondamentalmente dalle modalità con cui vengono condotte le attività agricole e zootecniche.

a secco, trulli, jazzi, ecc.), oltre che una radicale trasformazione del paesaggio, ormai in estese aree caratterizzato da una
monotona cerealicoltura.
18
   L’area del Parco Nazionale dell’Alta Murgia viene suddivisa in tre zone (figura 2):
Zona 1, di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e/o storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio
“steppico” e “rupicolo”. Questa zona si estende su poco più di 20.700 ha ed occupa il 31% della superficie a Parco
Nazionale.
Zona 2, di valore naturalistico, paesaggistico e/o storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo. È di
poco più di 45.100 ha ed occupa il 66% della superficie del Parco.
Zona 3, di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale
zona sono comprese le aree interessate da Accordi di programma ai sensi delle norme regionali in materia. Essa occupa
una superficie estremamente ridotta rispetto alle altre due zone: si estende su 2.000 ha ed occupa il 3% dell'area a Parco.

                                                                                                                          11
Figura 4. Perimetrazione e zonizzazione del Parco Nazionale dell'Alta Murgia.

4.3 Le prospettive
L’analisi delle prospettive di sviluppo della zootecnica in Alta Murgia può essere affrontata a partire dalla
verifica dell’interesse che esprime attualmente la programmazione regionale nei confronti del settore.
In proposito, una premessa di carattere generale risulta necessaria: la zootecnia pugliese pesa poco - appena
l’8% - nell'economia agricola regionale. Ne deriva che il comparto delle produzioni animali non è avvertito
come un settore prioritario ed al suo interno l’attività ovi-caprina ha una scarsa rilevanza.
Ciò nonostante sarebbe arbitrario affermare che la zootecnia in Puglia venga del tutto ignorata poiché diversi
documenti di programmazione contengono riferimenti specifici.
Il Piano Operativo Regionale (POR) Puglia 2000 - 2006 ha previsto alcune misure destinate all'agricoltura19
alle quali possono ovviamente accedere anche le aziende zootecniche.
Il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) è articolato in Puglia in quattro misure20 fra le quali sono previsti
interventi che potrebbero tornare utili alla zootecnia dell’Alta Murgia.
Ancor più efficace dovrebbe rivelarsi il Progetto Integrato Territoriale21 (PIT) n. 4 relativo all’area della
Murgia barese e tarantina, che vuole potenziare i processi di sviluppo dell’area stessa consolidando i sistemi
locali presenti, comprese le filiere agroalimentari del grano duro, dell’olio extravergine di oliva, del vino e
dei prodotti caseari tipici. Altrettanto rilevanti sembrano altri obiettivi specifici del PIT, in particolare
quello volto a sostenere la popolazione che vive in ambiente rurale attraverso il potenziamento e la
diversificazione delle attività agricole e quello che mira alla valorizzazione delle potenzialità locali
all’interno di una logica di promozione complessiva del sistema “Murgia”.
La Regione ha anche previsto aiuti per la gestione delle emergenze sanitarie.
Non mancano, quindi, interventi ai quali anche le aziende ovi-caprine possono accedere. Essi però non
appaiono sufficienti a rilanciare un settore che è in progressiva contrazione e che non evidenzia in alcun
modo segnali di ripresa.
Allo stato dei fatti è proprio l’Ente Regione il soggetto istituzionale che più di altri ha oggi la possibilità di
incidere in modo rilevante sulle prospettive di rilancio del settore, che vede esaltato il fondamentale ruolo di
raccordo tra prospettiva europea ed istanze locali. Si tratta di un ruolo sempre più importante, che non si

19
   Nel POR Puglia – e nel relativo CdP - sono inserite 13 misure per lo sviluppo rurale, per un costo complessivo di
poco superiore ad un milione di Euro. Tra queste, la misura 4.3 "Investimenti nelle aziende agricole" ha una dotazione
finanziaria pari al 47% dell’intero valore del FEOGA. Seguono, in termini di entità delle risorse attribuite, la misura
destinata ad interventi nelle imprese di trasformazione (4.5) e quella destinata a interventi di carattere strutturale per le
risorse idriche (1.2).
20
    Il PSR della Puglia è articolato nelle seguenti quattro misure: Prepensionamento (misura 1), Zone svantaggiate
(misura 2), Misure Agroambientali (misura 3), Imboschimento superfici agricole (misura 4). A sua volta la misura 3 si
compone di tre azioni: Agricoltura biologica (azione 3.1), Cura del paesaggio naturale (azione 3.2) e Allevamento
specie animali in pericolo di estinzione (azione 3.3).
21
   I Progetti Integrati Territoriali (PIT) sono interessanti strumenti di programmazione previsti dal POR 2000-2006: essi
costituiscono una modalità innovativa di utilizzo dei fondi strutturali incentrata su un complesso di azioni intersettoriali,
strettamente coerenti e collegate tra di loro, che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio.

                                                                                                                         12
limita al recepimento delle normative comunitarie e nazionali, ma che spesso richiede di legiferare e
prendere decisioni fondamentali per la valorizzazione e la promozione dell'economia e dei territori governati.
Fino ad un recente passato le politiche agricole definite a livello comunitario hanno - volontariamente o
meno – giocato un ruolo importante nella definizione delle scelte di sviluppo territoriale e di indirizzo
produttivo dei territori degli Stati Membri. Con la recente riforma della PAC l’Unione Europea si riserva il
solo ruolo di definizione delle direttrici da seguire per lo sviluppo agricolo e rurale (preferenza verso
l'agricoltura di qualità, multifunzionale, definizione di un approccio allo sviluppo rurale integrato ecc.), ma
cerca di non interferire più con le decisioni relative alle scelte produttive.
Anche l’apporto offerto dal livello nazionale alle politiche nel settore agricolo si sta riducendo
progressivamente rispetto al passato. La modifica al Titolo V° della Costituzione attribuisce, infatti, maggiori
poteri decisionali alle Regioni anche nel settore agricolo.
Ma anche l’Ente Parco diventa, nel caso dell’Alta Murgia, soggetto pubblico di rilievo che dovrebbe
esprimere un interesse specifico nei confronti dell'allevamento ovi-caprino, poiché attività del tutto
funzionale alla gestione produttiva dell’area protetta coerentemente con le esigenze di tutela ambientale e
paesaggistica.
Rispetto a “come intervenire” per rilanciare la zootecnia dell’altopiano della Murgia è questione che richiede
un migliore grado di conoscenza della realtà produttiva dell’area, tale da consentire l’analisi dei punti di
forza e di debolezza, delle minacce e delle opportunità, a breve e medio termine.
All’interno di questo quadro deve essere considerata la PAC riformata ed i suoi possibili effetti. Il regime di
pagamento unico potrebbe anche peggiorare lo stato di crisi attuale del settore. Per esempio nel caso delle
aziende condotte da allevatori anziani, i cui figli non desiderano proseguire l'attività familiare, l’avvio della
riforma potrebbe costituire l'occasione propizia per cessare l’attività di produzione animale e operare solo
quegli interventi minimi che garantiscono la riscossione del regime di pagamento unico.
La riforma PAC potrebbe inoltre apportare modifiche considerevoli nell’uso del suolo22. Come saranno
utilizzati i pascoli “spietati” ed oggi coltivati a grano duro? Per poter disporre del regime di pagamento unico
essei non possono essere riconvertiti. Il grano duro rimarrà la coltivazione principale in Alta Murgia? Esso
sarà sostituito da altri cereali, da foraggi o da altre colture? Molte aree rimarranno incolte e saranno
sottoposte ai soli interventi previsti dai Cgo e dalle Bcaa?
Naturalmente queste scelte avranno effetti indiretti sull’allevamento ovi-caprino.
In proposito, lo si ripete, c’è da sottolineare che oltre a problemi oggettivi e facilmente identificabili
(globalizzazione dei mercati, carenze tecnologiche e strutturali, emergenze sanitarie, ecc.) le prospettive
dell’allevamento ovi-caprino dipendono anche da fattori socio-culturali dalla dinamica più complessa.
La pastorizia è identificata con un mondo “povero” e quindi poco attraente. Quello dell'allevatore è un
mestiere molto impegnativo e socialmente poco gratificante.
L’Ente Parco e la Regione Puglia non dovrebbero perciò trascurare questi aspetti, la cui comprensione è
indispensabile per intervenire con efficacia.
Si dovrebbe affrontare il problema in modo organico, probabilmente attraverso strategie di sviluppo rurale
integrato che si rifacciano all’approccio promosso dai Leader23 (De Blasi e Fucilli, 2005; Storti, 2000).
In questa ottica le masserie e le aziende agro-zootecniche potrebbero costituire i nodi di una rete che coniuga
al meglio i servizi produttivi ed extraproduttvi che oggi si richiedono all’agricoltura, soprattutto a quella dei
territori protetti.
Andrebbero inoltre individuate misure che mirino specificatamente a valorizzare e promuovere le produzioni
ovi-caprine dell’area, magari all’interno di un programma strategico volto ad accrescere per un verso la
fiducia dei consumatori nei confronti di produzioni casearie che devono essere riconosciute di qualità
superiore, per altro riqualificando l’immagine della pastorizia e degli operatori che vi lavorano.
In questa prospettiva, il regolamento (CE) n. 1804/1999 ha solo recentemente colmato il vuoto normativo
relativamente alla zootecnia biologica. Sarebbe probabilmente utile che anche la Regione Puglia, sulla base
della norma quadro della UE, meglio regolamentasse la materia. Altre iniziative regionali potrebbero
riguardare:

22
  Già da quest'anno in Puglia si riscontra un calo del 35% della superficie investita a grano duro.
23
  Il Programma di Iniziativa Comunitaria (PIC) LEADER (Liason Entre Actions de Developpement de l’Economie
Rurale - Collegamento tra Azioni di Sviluppo dell’Economia Rurale) si contraddistingue perché promuove un nuovo
approccio allo sviluppo rurale, che mira alla realizzazione di azioni fortemente integrate fra loro, innovative e legate ai
contesti locali.

                                                                                                                       13
- la promozione dell'allevamento di razze autoctone: nonostante la misura “Allevamento specie animali in
pericolo di estinzione” (azione 3.3 del PSR Puglia 2000-2006) abbia riscosso uno scarso successo, interventi
volti al recupero delle razze autoctone sono comunque da perseguire con caparbietà, soprattutto nelle aree
protette;
- la diffusione di marchi di prodotto riconosciuti a livello comunitario: sarebbero utili interventi volti a
meglio promuovere i prodotti a marchio DOP (come il Pecorino canestrato pugliese) e a far ottenere questo
riconoscimento anche da altri prodotti lattiero-caseari tradizionali. Importante in tal senso il buon
funzionamento dei Consorzi di tutela, che devono fornire ai produttori assistenza tecnica e formazione
professionale, in modo che questi siano in grado di ottenere un prodotto omogeneo dal punto di vista
merceologico, che i consumatori possano riconoscere e apprezzare. Importante anche la possibilità di
utilizzare il marchio del Parco Nazionale, che può certamente offrire delle ulteriori opportunità alle
produzioni ovi-caprine locali.
- l’identificazione dei capi: nonostante l’obbligo di predisporre un sistema volto all’identificazione dei capi
per ora riguardi solo i bovini, sarebbe utile fin d’ora sperimentare tecniche di identificazione anche dei capi
ovi-caprini.

5 Conclusioni
La riforma Fischler del 2003 ha introdotto numerose novità nella PAC, modificandone alcuni importanti
meccanismi tra cui le modalità di erogazione dei pagamenti. Tra i settori coinvolti rientra anche quello ovi-
caprino, la cui attuale fase di declino nei Paesi europei del Mediterraneo richiede una particolare attenzione
circa gli effetti che l’applicazione della riforma potrebbe determinare.
La necessità di una costante attività di monitoraggio e di verifica non è solo necessaria per recuperare una
dimensione economica in progressivo declino, ma investe anche contenuti e valori extraproduttivi che
l’allevamento ovi-caprino esprime.
Tali considerazioni inducono a ritenere che la costituzione di un Osservatorio permanente, volto a preservare
e rilanciare la pastorizia nei Paesi Europei del Mediterraneo, possa rappresentare un’opzione auspicabile.
Una forte esigenza di conoscenza e “cura” è suggerita anche dall’esperienza pugliese, ed in particolare dal
caso dell’Alta Murgia, area collinare storicamente legata all’allevamento ovi-caprino. La sua recente
evoluzione in Parco Nazionale potrebbe rappresentare un’ulteriore opzione favorevole al mantenimento ed
alla ripresa delle attività silvo-pastorali. Il programma di valorizzazione e riqualificazione di qualsiasi
territorio protetto non può prescindere infatti dalla promozione quei caratteri peculiari che lo rendono unico.
Da questo punto di vista un ruolo essenziale può essere attribuito proprio dalle imprese agro-zootecniche,
che per caratteristiche strutturali, produttive e socio-economiche rappresentano dei presidi stabili del
territorio. In particolare, ci si riferisce alle aziende agro-zootecniche estensive, rilevanti non solo per
questioni di ordine storico, ma perché ad esse è legato profondamente il paesaggio della Murgia e la maggior
parte delle sue risorse architettoniche.

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