LA POLITICA AL VINITALY: INVASIONE DI CAMPO. SI PARLA PIU' DI DI MAIO E SALVINI CHE DI VINI. MA NULLA SU COMITATO VINO E OCM - Agricolae
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LA POLITICA AL VINITALY: INVASIONE DI CAMPO. SI PARLA PIU’ DI DI MAIO E SALVINI CHE DI …VINI. MA NULLA SU COMITATO VINO E OCM L e b e g h e d i p a l a z z o i nvadono il Vinitaly. La politica irrompe a Verona e ruba la scena a quello che avrebbe dovuto essere il protagonista assoluto dell’ormai classica vetrina internazionale della vitivinicoltura. Insomma si parla più di Di Maio e Salvini che di… vini. Accanto ai giornalisti specializzati è piombata in fiera un’orda di giornalisti politici, richiamati da un possibile siparietto sulla crisi di governo e le prospettive di breve termine. Inevitabile, si dirà, che la politica si ritagli i suoi spazi all’interno di una manifestazione di
questa portata che muove grandi interessi economici e che rappresenta un fiore all’occhiello per il lavoro, l’imprenditoria e la fantasia dell’Italia che produce. In realtà ci si sarebbe potuti aspettare una specie di do ut des. Ma la politica con la mano destra prende e presenta una mano sinistra completamente vuota. In pratica cioè cannibalizza la manifestazione veronese senza dare niente in cambio. Infatti, tranne forse alcuni decreti attuativi relativi al Testo unico del Vino attesi già nella passata edizione, (11 sono già in Gazzetta ufficiale, uno è in arrivo, 4 sono in Conferenza Stato Regioni e 7 sono sospesi in attesa delle regole europee) la politica non è riuscita a portare a Verona la soluzione di alcune questioni di fondo chieste a gran voce dalla filiera tutta: come il Comitato Italiano Vino e l’Ocm vino. Anzi: questa invasione di campo rischia di mortificare la visibilità di tanti prodotti e di tanti produttori che – naturalmente e legittimamente – speravano di sfruttare Vinitaly come occasione di promozione di business. E tutto questo non fa bene alla politica. E non aiuta il vino. CAA COPAGRI, CONSIGLIO STATO SOSPENDE DECISIONE TAR. SERPILLO: TUTTO ANCORA IN BALLO. E CHI VOLEVA FARE CAMPAGNA ACQUISTI DOVRA’
ASPETTARE L ’ u f f i c i o d i p r e s i d enza del Consiglio di Stato sospende la validità e l’esecutività della sentenza del Tar che accoglieva la revoca ad esercitare l’attività di centro si assistenza agricola a Caa Copagri richiesta dalla regione Lazio. “Tutto è di nuovo quindi in sospeso e sub judice. Fino al 3 maggio quindi Caa Copagri esiste, vive ed agisce”, fa sapere il presidente del Caa Copagri Mario Serpillo ad AGRICOLAE in merito alal querelle sul Caa che va avanti ormai da due anni e mezzo. “E i tanti corvi che stavano apprestandosi a banchettare devono ancora attendere un po. Forse molto”, conclude
PAC, SENZA MARTINA ITALIA FUORI DAI GIOCHI. NESSUNO HA LE DELEGHE E A DISCUTERE IN UE CI VANNO BLASI E ASSENZA I t a l i a ‘ o r f a n a ’ d e l l a politica agricola ed esclusa dalla discussione europea della Pac sulla prossima dotazione economica. Maurizio Martina, dimettendosi lo scorso 13 marzo per evitare eventuali conflitti con il ruolo di segretario di Partito, ha lasciato un ‘buco’ istituzionale che non permette all’Italia – politicamente parlando – di sedersi assieme agli altri ministri europei per la discussione della Pac. Il viceministro Andrea Olivero e il sottosegretario Giuseppe Castiglione infatti, non hanno le deleghe necessarie per poter partecipare
ai tavoli di Bruxelles. Ovvero, decadendo il ministro, sono decadute anche le deleghe loro accordate. In sostanza, Pac a parte, se dovesse scoppiare un’emergenza relativa al settore, non ci sarebbe nessuno con il potere di gestire la situazione. La discussione della Pac non è cosa di poco conto: in ballo c’è la dotazione economica in un contesto in cui le carte vengono rimescolate a causa della Brexit e tutto il nodo ‘semplificazione’ e rinazionalizzazione. Tutto questo a causa del fatto che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni non ha dato le deleghe prima di, come consuetudine istituzionale, si dimettesse subito dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Nel frattempo al Consiglio dei ministri sulla dotazione della Pac del 19 marzo l’Italia si è presentata con due dirigenti Mipaaf: Blasi e Assenza. Il posto italiano, fra i ministri, era vuoto. Il prossimo Consiglio dei ministri si terrà a metà aprile. E non è detto che per quel momento il governo sarà fatto e il dicastero di via Venti Settembre abbia un suo ministro. Giulio Viggiani COLDIRETTI ALL’ARREMBAGGIO DELLA CIA. SCRIVE AI SUOI: ANDATE PRESSO LE LORO MIGLIORI AZIENDE E PORTATELE A CASA. ECCO LA LETTERA
La Coldiretti all’arrembaggio della Confederazione italiana agricoltori. L’organizzazione di Palazzo Rospigliosi, con una lettera – di cui AGRICOLAE è venuta in possesso – sembra chiedere ai propri direttori e presidenti delle federazioni territoriali di andare “presso le loro migliori aziende informandole e portandocele a casa”. Per l’esattezza, la missiva firmata direttamente dal presidente dell’organizzazione di Palazzo Rospigliosi Roberto Moncalvo e dal segretario generale Vincenzo Gesmundo recita: “In questi anni abbiamo indirizzato i nostri sforzi verso molteplici obiettivi crediamo che sia venuto il momento di orientare una quota parte del nostro lavoro in termini economici organizzativi e politico sindacali all’obiettivo di allargare la nostra presenza tra gli iscritti Cia. Serve che andiamo presso le loro migliori aziende informandole e portandocele a casa”. Qui di seguito Agricolae riporta integralmente la lettera Coldiretti.
Cia dello scorso 2 marzo in cui l’organizzazione guidata da Dino Scanavino stigmatizzava il fatto su come in campagna elettorale le varie parti concorrenti si siano spese usando l’etichetta come uno dei punti dei programmi “dimenticando che il quadro normativo di riferimento è l’Europa”. E quindi, sempre secondo la Confederazione di via Fortuny, “finendo per usare il cibo come strumento politico”. La Cia, nel comunicato stampa, precisava anche come fosse favorevole all’etichettatura alimentare, ma spiegava che occorre tener conto di alcuni presupposti. “Prima di tutto – scriveva il presidente Dino Scanavino – i decreti italiani devono avere un analogo quadro in Ue” agendo “in un’ottica globale e non chiusa sempre nelle logiche nazionali”. In secondo luogo, “bisogna superare il concetto di tutela, per lavorare piuttosto sulla valorizzazione e la promozione del marchio e del sistema Made in Italy, in un’ottica di sostenibilità”. Altrimenti, in attesa di quanto possa accadere a Bruxelles, “l’indicazione di origine rischia di rappresentare solo un onere per i produttori”. Qui di seguito Agricolae riporta il comunicato stampa originale che la Cia ha trasmesso il 2 marzo scorso:
E T I C H E T T A , C I A : S O L O CAMPAGNA ELETTORALE. VERA CAMPAGNA SIA EUROPEA Posted by Redazione × Pubblicato il 02/03/2018 at 10:23 E’ corsa elettorale all’etichetta sui prodotti alimentari. A pochi giorni dal voto, si rincorrono da più parti annunci di nuove misure proposte come baluardo di difesa del Made in Italy, ma che finiscono per usare il cibo come strumento politico di chiaro stampo provinciale, dimenticando che il quadro normativo di riferimento è l’Europa. Per Cia- Agricoltori Italiani si rischia così di creare confusione tra produttori e consumatori, lasciando al mero esercizio di propaganda un tema così fondamentale per la salute e per l’economia. “Come Cia siamo favorevoli all’etichettatura alimentare, che però deve tener conto di tre presupposti. Prima di tutto, i decreti italiani devono avere un analogo quadro in Ue; occorre quindi agire in un’ottica globale e non chiusa sempre nelle logiche nazionali. In secondo luogo, bisogna superare il concetto di tutela, per lavorare piuttosto sulla valorizzazione e la promozione del
marchio e del sistema Made in Italy, in un’ottica di sostenibilità -spiega il presidente nazionale, Dino Scanavino- . Le indicazioni di origine sono le fondamenta da cui partire, all’interno però di una strategia più ampia di qualificazione produttiva e commerciale di filiera, focalizzata su Dop e Igp e orientata a rispondere ad esigenze e attese di mercato e consumatori. Avulsa da questa visione di filiera, infatti, l’indicazione di origine rischia di rappresentare solo un onere per i produttori. Infine, proprio in vista di un Regolamento Ue che sarà direttamente applicabile a tutti gli Stati membri, tra cui l’Italia, riteniamo che la scelta dell’indicazione di origine in etichetta ora sia più opportuna in forma facoltativa che obbligatoria e rappresenti comunque un ulteriore costo, che potrebbe subirne di aggiuntivi con l’entrata in vigore della normativa europea”. Insomma, per Cia-Agricoltori Italiani, è fuorviante concentrarsi solo su annunci che hanno effetti più politici che economici, finalizzati alla campagna elettorale e non certo a risolvere i veri problemi dell’agricoltura. GOVERNO, IN PISTA DUE OPZIONI: IL ‘TUTTI DENTRO’ CON GENTILONI PREMIER O L’APPOGGIO ESTERNO DI 61 RENZIANI A CENTRODESTRA.
MENTRE FRANCIA E INGHILTERRA GUARDANO. ECCO TUTTI GLI STEP ISTITUZIONALI Tutto in working in progress per il nuovo governo. Da quanto apprende AGRICOLAE due le soluzioni sul tavolo, a seconda degli eventi e delle ‘reazioni’ dei leader politici: una, che sembrerebbe piacere di più a Sergio Mattarella, che vorrebbe un governo “tutti dentro” nel quale ogni partito si rende disponibile a sedersi allo stesso tavolo – con le rispettive quote – lasciando Paolo Gentiloni premier. Per la felicità delle multinazionali straniere che lo vedono come una ‘garanzia’; La seconda soluzione – che sembrerebbe invece piacere di più a Giorgio Napolitano – vedrebbe 61 parlamentari renziani appoggiare esternamente un governo di CentroDestra in cambio di cinque viceministri e sei sottosegretari ‘tecnici’ provenienti da area ‘dem’. Tutto questo, nonostante le dichiarazioni dei vari leader di partito, per il bene comune del Paese. Una soluzione, questa, che si andrebbe a inserire in uno scenario dominato dal rinnovo delle grandi partecipate, da Saipem ad Eni. Sono 79 le società pubbliche in scadenza, per un giro di walzer che riguarda circa 350 poltrone tra Cda e collegi sindacali. Tra le più importanti anche Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie, Gse, Sogei. Non è cosa di poco conto – nel Risiko nazionale e internazionale – tenendo conto dell’interesse in questa partita da parte della Francia e dell’Inghilterra. Due fronti contrapposti, entrambi con gli occhi puntati alle aziende del Belpaese e alle dinamiche geopolitiche. Ma prima di questo, occorre – necessariamente – percorrere fino in fondo tutto il gioco dell’Oca voluto dai passaggi
istituzionali. Compresi i primi ‘giri a vuoto’ dei leader incaricati. Il 19 marzo i parlamentari (ce ne sono circa 150 del Movimento Cinque Stelle che non hanno mai messo piede in Parlamento) si dovranno registrare con foto, tesserino, nome sui seggi e adempimenti di varia natura. Il 23 marzo ci sarà la prima seduta delle Camere: un prova del nove per testare il ‘sentiment’ politico. Al Senato sarà Giorgio Napolitano a fare da presidente alla prima riunione dell’aula. Alla Camera sarà Roberto Giachetti. Se al Senato la partita sull’elezione si chiuderà presumibilmente nel giro di due giorni, alla Camera la faccenda potrebbe essere più lunga e complessa data la necessità della maggioranza a due terzi seguita poi, in caso, da quella assoluta. Entro il 25 marzo i parlamentari dovranno poi comunicare al segretario generale della Camera a quale gruppo intendono iscriversi (anche questo passaggio importante per capire la direzione in cui si andrà nel formare il Governo). Gruppi che saranno poi eletti entro il 27 marzo con tanto di presidenti dei gruppi. I’appuntamento successivo – in teoria – sarebbe quello delle dimissioni del Premier, il 29 marzo. Sempre a condizione che siano stati nel frattempo eletti i presidenti di Camera e Senato. Se tutto procede nei tempi previsti, il 30 dovrebbe essere la data di partenza per le consultazioni al Colle. Ma soltanto dopo Pasqua, il 3 aprile, le delegazioni incontreranno il presidente della Repubblica. I primi due giri saranno sicuramente a vuoto. Una volta scelta una delle due ‘opzioni di governo’ (quella del ‘dentro tutti’ gradita a Mattarella o quella dei ’61 renziani di appoggio esterno’ che sembrerebbe piacere di più a Napolitano, ci sarà il giuramento e il primo Consiglio dei ministri. La fiducia dovrà avvenire entro i dieci giorni dal giuramento, quando il governo si presenterà davanti a ciascuna Camera per ottenere,
appunto, il voto di fiducia tramite appello nominale. PD, MANDATO A MARTINA FINO A PASSAGGIO ASSEMBLEARE. CON SEGRETERIA ALLARGATA A TUTTE LE COMPONENTI Mandato a Maurizio Martina con una segreteria allargata alle varie componenti di Partito. Questo quanto presumibilmente, da quanto apprende AGRICOLAE, uscirà dalla direzione del Pd. L’idea, sempre da quanto si apprende, è quella di fare quanto prima – presumibilmente dopo le elezioni di Camera e Senato – un passaggio assembleare per confermare, in caso, la nomina del nuovo leader di partito. “È stata una sconfitta netta e inequivocabile che riguarda tutti, ciascuno per la propria responsabilità. Non cerchiamo scorciatoie o capri espiatori. È necessario andare in profondità nell’analisi e nel confronto tra noi”, scrive su Twitter Martina. “Tocca a noi ricostruire e rilanciare il progetto democratico ripartendo dall’uguaglianza come stella polare. Serve la forza di compiere anche cambiamenti radicali. Non servono accordi di vertice ma un lavoro aperto, partecipato e popolare” “Ripartiamo con umiltà e unità e con una mobilitazione straordinaria”, prosegue. “Organizziamo assemblee aperte nei seimila circoli Pd. Ripartiamo dal nostro popolo. Tutti devono essere parte di questo lavoro”.
OCM VINO, NUOVA PROROGA AL 30 MARZO. E LE AZIENDE AVRANNO SOLO SEI MESI PER INVESTIRE. IL DECRETO Di proroga in proroga la questione relativa all’Ocm vino promozione sembra non avere fine. Dopo il decreto del ministero delle Politiche agricole che prorogava il via al 9 marzo, spunta fuori un altro decreto che “allunga” la prima proroga al 30 marzo. E le aziende made in Italy, a fronte anche di tutti i ritardi generati nei mesi scorsi, avranno solo sei mesi di tempo per investire in promozione all’estero contro i 12 mesi a disposizione dei paesi competitor. In una situazione di caos nazionale, tra ricorsi e cause, che persiste ormai da tempo, si riscontrano difficoltà anche nelle amministrazioni territoriali. Qui di seguito Agricolae pubblica il decreto Mipaaf: Decreto-prot–15966-del-6-3-18-Erogazione-fondi-di-quota- nazionale-progetti-multiregionali-OCM-Vino-2017-18(1)
AGEA, SINDACATI: MIPAAF SI FERMI SU DECRETO DI RIORGANIZZAZIONE. NON PIU DI PROPRIA COMPETENZA C o n t i n u a n o a p e r v e n ire alle OO.SS ed alla RSU di Agea segnalazioni riguardanti presunte attività che starebbero svolgendo l’ufficio legislativo del Mipaaf e gli uffici competenti della Presidenza del Consiglio, finalizzate alla promulgazione del decreto legislativo di riorganizzazione dell’AGEA – Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (atto parlamentare n. 484). Se queste indicazioni fossero confermate – scrivono in una nota Cgil Uil e Cisl di Agea – tale operazione non potrebbe che essere considerata come un colpo di mano di un governo politicamente delegittimato dal risultato elettorale. Eventuali giustificazioni legate ad attività svolte in quanto
di ordinaria amministrazione non avrebbero alcuna valenza e manifesterebbero una grave forzatura istituzionale. Emanare un atto avente forza di legge, con effetto innovativo dell’ordinamento giuridico, non può assolutamente considerarsi attività di ordinaria amministrazione. Peraltro il provvedimento che si andrebbe ad approvare non ha ottenuto l’intesa della Conferenza Stato-Regioni e, nel percorso parlamentare, non tutte le Commissioni hanno espresso il parere previsto. Anzi, in sede di Commissione agricoltura della Camera, è stato espressa forte perplessità su tutto l’impianto del decreto legislativo sottolineandone le criticità. Le commissioni che hanno fornito un parere hanno comunque vincolato lo stesso ad alcune osservazioni o presupposti. Le scriventi ribadiscono che in tutto il percorso intrapreso non c’è stata alcuna considerazione e consultazione delle organizzazioni sindacali del pubblico impiego e, nel merito, che lo schema di decreto oltre a contrastare con i principi e i criteri direttivi della legge delega e violare l’art. 97 della Costituzione Italiana, non risponde alle effettive necessità dell’AGEA. Sarebbe opportuno, per un governo ed una politica ossequiosa dei rapporti istituzionali, rendersi conto che tali attività non sono più di propria competenza. PD, SE FRANCESCHINI PENSA A M5S E GUARDA AL COLLE, ORLANDO DICE: IL 90% DEL
PARTITO DICE ‘NO’ Difficile la situazione all’interno del Nazareno. Da una parte ci sarebbe Franceschini – da quanto si apprende – che sarebbe pronto a fare un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle (si dice in cambio di una futura presidenza del Senato o addirittura della Repubblica). Ipotesi smentita da Franceschini stesso; dall’altra una base che non ne vuole neppure sapere a causa dello scontro in atto per riconquistare le cittù di Roma e Torino. “ È s t a t a u n a m o ssa brillante dal punto di vista comunicativo spostare il dibattito interno del Pd sul tema delle alleanze, anzi sull’alleanza con i 5stelle, oscurando cosi’ il tema del risultato elettorale. La discussione tuttavia mostra la corda”. A scriverlo su su facebook è Andrea Orlando, ministro della Giustizia in merito alla situazione interna al Partito Democratico e all’ipotetica alleanza con il Movimento Cinque Stelle. “La maggioranza, tutta, esclude questa ipotesi – scrive -. Quindi quasi il 70% del Pd. L’area politica che mi ha sostenuto al congresso ha escluso la possibilita’ di un governo con i 5 stelle, cosi’ come con il Centrodestra, quindi si aggiunge un ulteriore 20% del Pd. In modo chiaro per questa prospettiva si e’ pronunciato Michele Emiliano che ha ottenuto
al congresso il 10%. Il conto e’ presto fatto. Il 90% del gruppo dirigente del Pd e’ contrario ad un’alleanza con il M5s”. “Oggi un’avveduta dirigente come la Presidente della Regione Umbria, una regione un tempo definita rossa, nella quale (certo non per colpa sua) il Pd non ha conquistato un solo collegio uninominale, sente il bisogno di chiedere un referendum su questo tema- dice ancora- Il referendum nel Pd non serve. Il referendum sul Pd c’e’ gia’ stato. Siamo al 18%. Un solo punto sopra la lega di Salvini. Alla direzione dobbiamo parlare di questo, delle ragioni profonde di questa disfatta elettorale”. ELEZIONI, GIA SI PENSA A COSA SUCCEDERA NEL PD. ZINGARETTI IN POLE POSITION Renzi si dimette ma anche no. E se una parte del Partito Democratico individua già in Walter Veltroni “il saggio” deputato a traghettare il Partito fuori dalla crisi, altri vedono in Nicola Zingaretti come colui che – essendo il simbolo dell’unico Pd vincente – potrebbe migliorare la situazione del Nazareno. Nel frattempo, prima, si lavora a fare chiarezza all’interno del partito stesso. Dopo le ultime dichiarazioni di Renzi infatti, le lotte intestine sembrano essere diventate più violente.
“Ci sono due ordini di problemi – aveva dichiarato Ettore Rosato a Porta a Porta in merito alla questione dimissioni la notte del voto. “Il primo è cosa succede nel Paese, il secondo cosa succede nel Pd. Per ora pensiamo al primo”. ELEZIONI, SPIEGEL: IN ITALIA “CLOWN” E LA COLPA DELLA ‘SCONFITTA’ E’ DI DRAGHI. NEW YORK TIMES: ITALIA TROPPO AVVILITA PER ACCORGERSI DEL VOTO. MA BLOOMBERG: “INVESTITE IN TITOLI DI STATO ITALIANI”
L’Ita lia ago della bilan cia delle sorti europ ee. Negli ultim i scampoli di campagna elettorale, i più autorevoli giornalisti politici hanno rinunciato ai pronostici della “fantapolitica italiana”, come la chiamava El Mundo una settimana fa, per allargare lo sguardo oltre l’Italia e riflettere sul presente e sul futuro dell’Europa, qualcuno prediligendo i nodi politici, qualcun altro dando spazio soprattutto ai fattori economici. Quasi tutti però concordi su un fatto: l’Unione europea non naviga in acque tranquille (e tantomeno l’eurozona). E, a quanto pare, sotto le attese pre-elettorali, sotto l’insistenza su temi importanti come l’immigrazione o la recrudescenza di neofascismi e razzismi, covano tensioni che assumono una portata geopolitica di non poco conto per il Vecchio Continente. Eppure diverse fonti finanziarie, giornalistiche e non, ci hanno tenuto a gettare ancora acqua sul fuoco, assicurando che gli investitori (ossia, detto più chiaramente, i detentori di titoli italiani) non sono preoccupati dall’esito del voto. Una delle testate che con maggiore insistenza ha ribadito questa imperturbabilità finanziaria è Bloomberg, la quale scrive che “un nuovo cast al governo non cambierebbe granché”. Tanto che colossi finanziari come Barclays e Morgan Stanley
“raccomandano di acquistare titoli di Stato italiani”. A impensierire seriamente i detentori di titoli sarebbe solo un governo fortemente euroscettico, insomma quello che è ormai diventato lo spettro di famiglia dell’Europa. Un’ipotesi, sempre a detta di Bloomberg, ormai altamente improbabile. Ciononostante, c’è chi vede ancora molti campanelli d’allarme e non mancano critiche feroci, non soltanto verso Berlusconi, da sempre sotto la lente impietosa della stampa estera, ma verso un’intera classe politica che, come ha scritto il Wall Street Journal in un editoriale della testata (27 febbraio), “non è all’altezza delle sfide cui è chiamato il paese”. L e M o n d e , i n u n e d i t o r i ale del giornale dal titolo poco rassicurante (“Europa: la minaccia italiana”, 27 febbraio), afferma che l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa in questo momento, mentre la Germania cerca se stessa e il Regno Unito si prepara a partire, è che l’Italia si perda per strada. Naturalmente con tale
smarrimento la testata francese intende la vittoria dei partiti euroscettici e “antisistema”, che minerebbe la coesione dell’Ue. Eppure lo stesso Le Monde si accorge – come, evidentemente, quell’entità un po’ ineffabile che sono “gli investitori”, oltre che il resto della stampa estera – della nuova prudenza dei Cinque Stelle e della Lega rispetto all’euro; per quanto, secondo il giornale francese, essa sia dettata da “una scelta tattica, ispirata dalla prospettiva di una vittoria imminente”. Le Monde azzarda anche una previsione: “Una grande coalizione tra il centrosinistra e il centrodestra pare ogni giorno più improbabile”. A questo punto il giornale decide di dare un respiro diverso alla sua analisi, ravvisando nella campagna elettorale e nell’Italia del 2018 “quasi tutti i sintomi della crisi delle democrazie occidentali”: indebolimento dei partiti politici tradizionali, ascesa degli estremismi, spinte antisistema, disaffezione dell’elettorato e un astensionismo elevatissimo. Con un “tocco locale: la crescita delle formazioni neofasciste”. Per questo il giornale spera vivamente che, il 4 marzo (data delle elezioni italiane e del responso sul referendum interno all’Spd riguardo alla grande coalizione), l’Europa “si rimetta in marcia”. A proposito di “marcia”, è l’inglese Times a fare chiaramente il nome di Macron (1° marzo), dicendo che “il grande sconfitto del voto italiano e di quello tedesco” sarebbe proprio il presidente francese. Vediamo perché. Il nuovo governo italiano, di qualsiasi colore, potrebbe attuare misure “populiste” che metterebbero a rischio la tenuta dell’economia italiana – ad esempio con un dietrofront sulla riforma pensionistica e del lavoro, o con un aumento della spesa pubblica – e ridurrebbero la fiducia dei soliti investitori. Certo, secondo la testata conservatrice, l’economia italiana pare tenere e potrebbe resistere a una fase di incertezza politica, “soprattutto se rimarrà in carica l’attuale governo Gentiloni a fare da garante”. Il secondo spauracchio sarebbero
il mancato accordo in Germania e le conseguenti nuove elezioni. Ora, questi due scenari metterebbero “una seria ipoteca su un accordo per una riforma complessiva dell’eurozona da discutere al vertice dei leader Ue previsto per giugno”. Il punto è che “Macron ha investito un grande capitale politico in queste ambizione riforme”, e quindi vuole portare a casa il risultato. Il nome del “riformatore Macron” ritorna anche nel già citato editoriale del Wall Street Journal: “Persino la Francia – scrive il quotidiano americano – ha prodotto un riformatore come Emmanuel Macron, mentre dalla classe politica italiana non riesce a emergere un solo candidato davvero convincente. Andrà così fino a quando gli elettori non pretenderanno e non premieranno i veri riformatori”. Invece è certo che il 4 marzo “gli elettori puniranno Renzi”, perché a quanto pare non hanno capito la bontà “delle sue modeste ma essenziali riforme, come l’innalzamento dell’età pensionabile e la cauta liberalizzazione del mercato del lavoro”. Sarà forse per questa durezza di comprendonio che l’Italia è “il nuovo malato dell’Europa”, come il WSJ ha scelto di titolare il suo autorevole commento, dando così anch’esso un orizzonte europeo al voto italiano. Tra le analisi che chiamano in causa l’Europa intera e che più fanno riflettere vi è quella dello storico commentatore del Financial Times Tony Barber (27 febbraio). Sul più autorevole quotidiano finanziario, Barber decide di esaminare lo stato
del centrosinistra in Europa. Secondo lui, l’ascesa dei partiti populisti, solo apparentemente arginata nel 2017, è il frutto del fallimento della socialdemocrazia, che non ha saputo occuparsi dovutamente della “minaccia ai valori culturali e della precarietà economica”. I partiti socialisti e laburisti di Francia, Olanda e Repubblica ceca hanno subito pesanti sconfitte, e così pure l’Spd tedesca. I partiti di sinistra, prevede Barber, saranno presumibilmente sconfitti anche in Ungheria, quest’anno, e in Polonia l’anno prossimo. Questo declino, però, non significa – ed è emblematico che a dirlo sia un commentatore del Financial Times – “che le politiche sociali ed economiche normalmente associate alla sinistra abbiano perso la loro importanza. Al contrario, milioni di elettori vogliono uno Stato sociale che li tuteli e sono stufi di lavori precari, disuguaglianza sociale e globalizzazione incontrollata”. Il problema è che “molti elettori non hanno più fiducia nel centrosinistra”. Troppi socialdemocratici, nel primo decennio di questo secolo, “hanno tollerato gli eccessi del capitalismo finanziario e sono stati poi complici del centrodestra nel far pagare il conto ai meno abbienti”. Secondo Barber, così come aveva già detto la scorsa settimana Lorenzo Marsili su Al Jazeera, “la crisi del centrosinistra rientra in una crisi più ampia della democrazia rappresentativa europea”. È tempo, dunque, “che la sinistra dia risposte a domande per troppo tempo rimaste inevase”. A una conclusione pressoché identica giunge il giorno dopo (28 febbraio) il professor James Newell in un commento su un altro quotidiano inglese, questa volta progressista, il Guardian. Evidentemente le grandi correnti politiche che attraversano l’Europa sono ormai percepite distintamente, e forse – a giudicare da ciò che scrivono esperti di tale caratura – è da prendere con le pinze l’idea per cui destra e sinistra sono ormai scomparse dal dizionario e dall’atlante politico.
“ D i v i s a a l s u o i n t e r no e distante dalla classe lavoratrice”, scrive Newell, “in Italia la sinistra è in affanno per gli stessi motivi per cui lo è nel resto d’Europa”. A parte le considerazioni di breve termine sulla situazione italiana – e in particolare sulla difficoltà di Renzi di tradurre il favore verso il governo Gentiloni in voti utili, per via “della scarsa popolarità del segretario Pd” –, “dalla caduta del Muro di Berlino a condurre il gioco è stato un capitalismo sfrenato”. Di conseguenza, “una classe lavoratrice che non si riconosce più come tale”, anche per colpa dell’abdicazione culturale della sinistra, “si sente minacciata dall’immigrazione e percepisce l’abisso tra sé e le élite”, ossia tutti coloro che sono al riparo dai colpi della globalizzazione, non solo i grandi capitani dell’industria e della finanza, ma tutte le classi privilegiate. Si è creata così una spaccatura tra la sinistra cosiddetta “rispettabile” e la sinistra radicale antisistema, che pure deve competere con il Movimento Cinque Stelle. “Da sempre faro della sinistra in tutta Europa, oggi la sinistra italiana fa fatica a dare risposte popolari alla crisi sociale ed economica”.
Riflessione simile, nello stesso giorno, quella del New York Times. “Ci sono le elezioni, ma gli italiani sono troppo avviliti per farci caso”, titola il quotidiano americano. In questo reportage, Taranto, dove “il datore di lavoro ideale è la fatiscente acciaieria che domina questa degradata città sul Mar Ionio”, diventa la lente attraverso cui il NYT osserva lo svilimento di milioni di italiani, soprattutto del Sud, soprattutto giovani, che non vedono all’orizzonte occasioni di realizzazione professionale e umana e pensano che “la classe politica non sia riuscita a rivitalizzare una economia anchilosata, in cui le élite hanno case al mare, macchine di lusso e guardaroba stravaganti e le banche destinano i soldi ad aziende con gli agganci politici giusti”. La ripresa economica c’è stata, ma il problema dell’Italia, “e del resto del mondo”, è che “il successo delle aziende non sfocia più in una crescita dei posti di lavoro”. In questo contesto, “gran parte dell’elettorato italiano mostra indifferenza o disprezzo verso le prossime elezioni”. Poi, immancabile, arriva la stampa tedesca a dare la sua visione pragmatica e a ricordare zelantemente agli italiani i loro mali, a pochi giorni dal 4 marzo, quando non solo in Italia ma anche in Germania i nodi verranno al pettine. Se un decano della Frankfurter Allgemeine Zeitung come Tobias Piller ci elenca, sulla falsariga del Fatto Quotidiano (che cita), tutti gli impresentabili della campagna elettorale, l’influente settimanale Spiegel (quello della copertina con il piatto di spaghetti sormontati da una pistola) pubblica un editoriale di Jan Fleischhauer il cui titolo lascia poco all’immaginazione: “Con i clown arrivano i debiti”. In effetti, come non aspettarsi una staffilata del settimanale tedesco? Ormai è quasi una tradizione. I clown, nello specifico, sono Berlusconi e Grillo. Mettiamola così, dice Fleischhauer: “Si possono trarre le dovute conclusioni sulla maturità mentale ed emotiva di un popolo dai politici che scelgono di mandare al potere. Gli adulti
scelgono gli adulti, i bambini scelgono i pupazzi”. Vedremo lunedì se gli italiani sono adulti o bambini, secondo il giornalista. Fleischhauer ci tiene a spiegare che ogni volta che in un paese vicino così importante si tengono delle elezioni, un tedesco osserva sempre con attenzione. Tanto più se fa parte della stessa unione monetaria. E qui sta il problema. “Se i creditori si convinceranno che non rivedranno i loro soldi, allora scapperanno. E nemmeno la potente Germania potrà venire in soccorso”. La paura, tale da generare una sorta di terrorismo psicologico, è insomma che si materializzi uno scenario politico tale per cui l’onere del debito pubblico di cui la Bce si è fatta carico tramite l’acquisto di titoli di Stato (circa 300 miliardi dal 2015 al 2017, stando al giornalista) ricada su tutta l’eurozona, e nello specifico sulla Germania, per quanto “i tedeschi siano molto pazienti”. Insomma, “il debito italiano ora è anche il nostro debito”, chiosa Fleischhauer. La “sconfitta ha un nome”, secondo l’analista tedesco: si chiama Mario Draghi. Lasciando velatamente intendere che le misure di Draghi e della Banca centrale europea siano state progettate appositamente per l’Italia, e non per tutti i paesi europei in difficoltà e per calmierare il mercato e lo spread, Fleischhauer dice che “il programma di acquisto di obbligazioni della Banca centrale europea ha portato all’Italia 45 miliardi di euro di risparmio sugli interessi nei quasi tre anni del governo Renzi”. Le ansie del giornalista sembrano però in controtendenza rispetto alle indicazioni delle banche d’affari ad acquistare titoli italiani di cui si diceva poc’anzi. Forse per questo, come riferisce lo stesso Fleischhauer, in una recente conferenza stampa “Draghi ha ‘riso’ delle paure della Germania”. In ogni caso, i tedeschi devono vedersi prosciugare il conto mentre “il Sud se la può cavare senza misure di austerity”. Ecco perché, conclude, “chi fa di un buffone come Grillo la prima forza politica o riporta in auge un artista delle tinture per capelli come Berlusconi, non merita che di essere preso in giro”. L’ultima volta che Fleischhauer ha scritto dell’Italia,
il caporedattore di Spiegel ha ricevuto una lettera direttamente dall’ambasciatore italiano a Berlino. Non è solo lo Spiegel ad aver motteggiato, diciamo così, l’Italia. Ci ha pensato anche un comico inglese ma trapiantato negli Stati Uniti, John Oliver, molto popolare soprattutto tra l’elettorato di tendenze democratiche; una sorta di Crozza americano. Durante il suo programma Last Week Tonight ha dedicato diversi minuti a ironizzare su tutti i leader politici italiani, definendo ad esempio Salvini “una Mary Poppins fascista, quindi in sostanza Mary Poppins”, per poi lanciare l’idea di candidarsi anche lui, da comico, alla premiership in Italia. Il video ha fatto il giro del mondo e d’Italia. Infine, forse stremata dalla “campagna elettorale più deprimente di sempre”, l’inviata di lungo corso Giada Zampano ne ha voluto segnalare su Politico i “momenti più strani e divertenti”. In cima alla classifica il consiglio di Berlusconi alla reporter della BBC di ingentilire la sua
stretta di mano per non rischiare di “non trovare marito”; al secondo posto, lo spot di Renzi con la tipica famiglia italiana, che ha dato vita a mille versioni parodistiche; al terzo, il fotomontaggio della Meloni su una sedia con la chitarra in mano durante un comizio; al quarto, la campagna “a premi” di Salvini su Facebook; infine, gli strafalcioni lessicali di Di Maio. Lunedì sapremo quale risata ci seppellirà. di Valentina Nicolì ELEZIONI, ALL’ESTERO RISULTATI NON PREOCCUPANO I MERCATI. E IL PREMIER? PER FINANCIAL TIMES POTREBBE ESSERE ZAIA O MARONI
“Ci vorrebbe un mago con una sfera di cristallo per prevedere quello che accadrà”: il quotidiano conservatore spagnolo El Mundo (24 febbraio) sintetizza alla perfezione la percezione generale rispetto al voto del 4 marzo. Per quanto le testate straniere si sforzino di decifrare le tendenze espresse dagli ultimi sondaggi disponibili, l’unica ipotesi su cui sembrano convergere è quella dello stallo, indotto da una legge elettorale che spinge a formare coalizioni e che, secondo taluni, “è stata machiavellicamente redatta per evitare che i Cinque Stelle arrivino al potere”. Naturalmente lo stallo offre il fianco a diversi scenari, tutti opportunamente delineati dalla stampa straniera: da grandi coalizioni di varia natura a un governo tecnico con premier designato dal presidente Mattarella, a un ritorno rapido alle urne. C’è chi – nei giorni precedenti alle dichiarazioni aperturiste di Di Maio – parla di una “vittoria di Pirro” per l’M5S (Le Temps, 21 febbraio); chi invece immagina un superamento della Lega rispetto a Forza Italia, con la conseguente scelta del premier in capo a Salvini, che
potrebbe optare per figure più moderate e più gradite a Berlusconi, come Luca Zaia o Roberto Maroni (Financial Times, 22 febbraio); e poi c’è la vecchia ipotesi, ancora tutto sommato prevalente (tranne qualche eccezione) di un patto centrosinistra-Forza Italia, nel caso in cui la coalizione renziana dovesse registrare numeri “dignitosi”. Tuttavia, per quanto diffusa, nemmeno la previsione su una mancata maggioranza viene ormai data per scontata: la storia delle elezioni italiane insegna alla stampa straniera, e non solo, che gli italiani spesso “fanno l’opposto di ciò che dicono quando si trovano nell’urna” (Financial Times, 19 febbraio). Ad oggi sembrerebbero essere in testa, come partito, i Cinque Stelle, sopravanzati però dalla coalizione di centrodestra. Ciononostante, la “maggioranza silenziosa” di cui parla il Ft – in cui è compresa anche un’elevatissima percentuale di indecisi – potrebbe regolarsi diversamente. Non è un’ipotesi tanto assurda evidentemente, se, come rilevano alcuni giornali stranieri, il Pd spera ancora di recuperare terreno confidando in una “scelta responsabile” degli indecisi. #####
A g e t t a r e a c q u a s u l fuoco degli scenari post-voto ci pensano alcuni analisti, secondo i quali, in primo luogo, non ci sarà nessuna Italexit (o Quitaly, come la chiama il Daily Mail) e, in secondo luogo, gli investitori e le autorità europee non sembrano troppo impensierite dalle elezioni italiane. Infatti, al netto delle dichiarazioni allarmiste di Jean-Claude Juncker – che, secondo Le Monde, potrebbero essere state un modo per invitare a non votare per i partiti populisti –, la Borsa italiana è l’unica a non aver perso terreno dall’inizio dell’anno rispetto alle altre europee (Ft, 19 febbraio). Un “paradosso” solo apparente, secondo la Zeit, il fatto che all’ascesa dei “partiti euroscettici” non corrisponda un aumento del nervosismo. Anche la Süddeutsche Zeitung (22 febbraio) annota la “sorprendente” tranquillità degli investitori, alla luce di un debito pubblico tra i più alti d’Europa e di una campagna elettorale contrassegnata da “promesse irrealistiche che scoppieranno come palloncini subito dopo il voto”. Evidentemente, a tranquillizzare tutti, malgrado “il teatrino” che andrà in scena dal 5 marzo, con “alleanze che si romperanno e altre che se ne formeranno”, è il fatto che “tutti i vecchi nemici dell’euro hanno cambiato rotta a favore dell’Ue”. Non a caso Politico, lo stesso giorno, titola: “Il
grande vincitore delle elezioni italiane è l’Europa”. Perché Bruxelles all’improvviso ha di nuovo tanti amici in Italia? Innanzitutto perché l’economia è in ripresa, poi per via dell’effetto Macron, ma soprattutto perché gli elettori di cui i diversi partiti ricercano il voto, per quanto delusi dall’Ue, vogliono più Europa almeno su un tema, quello dell’immigrazione. E se il Daily Mail dice l’esatto contrario, ossia che gli italiani vogliono “meno Europa”, ricollega questa disaffezione più che altro alle decisioni in campo economico, ma esclude una reale volontà dell’Italia di seguire l’esempio del Regno Unito. La lettura più pragmatica di questa rinnovata cautela la dà la Süddeutsche Zeitung: “Lo sanno tutti che gli italiani non possono infrangere le regole dell’Ue. Poiché la Bce va lentamente riducendo lo scudo (acquisto dei titoli di Stato, ndr), qualsiasi passo falso porterebbe il paese sull’orlo del baratro debitorio. Nessun governo sopravvivrebbe”. ##### Il punto però è un altro, come lasciano intendere numerosi osservatori: qualunque sarà l’esito delle elezioni, in Italia gattopardescamente cambierà ben poco, e questo rallenterà le decisioni in diversi settori di vitale importanza, tra cui il lavoro, i conti pubblici, lo stimolo all’economia (declinate da varie prospettive secondo l’orientamento progressista o moderato delle diverse testate). Del resto, come scrive ancora El Mundo in una feroce critica dei costumi politici italiani, “se c’è qualcosa di tanto intrinsecamente italiano quanto la pizza, Mina o il Colosseo, sono l’instabilità e l’incertezza politica”. Per inciso, numeri alla mano, il quotidiano spagnolo dà poco credito all’ipotesi ventilata da molti secondo cui, a maggioranza fallita, è probabile una grande coalizione gestita da Renzi e Berlusconi. In caso di stallo, gli italiani si lancerebbero in uno dei loro “passatempi preferiti: la fantapolitica”. E non è escluso che entri in azione un vecchio gioco della politica italiana, ossia “il
transfughismo parlamentare” di cui parla Gianfranco Pasquino. ##### V i s o n o t a l u n i c h e a l largano ancora di più lo sguardo e usano le elezioni come punto di partenza per un’analisi complessiva sulla tenuta della democrazia in Europa. Uno di questi è Lorenzo Marsili, che su Al Jazeera (17 febbraio) scrive: “La grave situazione in cui si trova l’Italia è l’ennesimo segnale che la democrazia europea è in crisi”. La politica è ancora in grado di dare quella pacifica spinta alla trasformazione e al rinnovamento che fu impressa nel dopoguerra? La risposta di Marsili, alla luce di quanto avviene in Italia alla vigilia delle elezioni, è negativa. E indipendentemente dal balletto di cifre su possibili maggioranze, il giornalista rileva una “abdicazione della politica, che va diventando faziosa e priva di lungimiranza”. È questo, come osserva lui assieme a molti altri analisti, ad aprire il varco alla miscela esplosiva di apatia ed estremismo generati da un’economia in affanno. Si assiste a una
polarizzazione del dibattito pubblico, con “dichiarazioni apertamente razziste da parte di leader politici che alimentano il clima di paura, xenofobia e persino il terrorismo di estrema destra”. Questo non accade soltanto in Italia ma in moltissime democrazie europee: in Austria, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e persino in Germania. ##### Le elezioni italiane, dunque, come specchio di una tendenza che coinvolge tutta l’Unione europea, in particolare i paesi maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria prima e dalle misure di austerità poi. A rilevare l’ascesa del “populismo di destra” in Europa sono diversi quotidiani, molti dei quali di tendenze conservatrici o moderate. Come l’inglese Telegraph, che attribuisce il “nazionalismo xenofobo” diffusosi in Germania, in Italia, in Grecia e nell’Est Europa alla crisi migratoria e alle dure condizioni imposte dai tedeschi ai vari Stati membri. Stesso dicasi dell’Irish Times, che vede riflesse nel “sentimento euroscettico e anti-immigrati” di molti italiani “le correnti populiste che hanno scosso il resto d’Europa”. Anche per la testata irlandese l’ascesa dell’estrema destra è da ricondursi a ragioni economiche – con il persistere della disoccupazione, soprattutto tra i giovani – e a una percepita indifferenza dell’Ue rispetto ai flussi migratori, sebbene gli sbarchi siano diminuiti. A raccontare il clima che si respira in Europa su un tema, quello dell’immigrazione, con risvolti geopolitici di non poco conto è la strana offerta del premier euroscettico della Repubblica ceca Andrej Babis (Daily Express, 20 febbraio), il quale dopo aver detto di no alle quote europee di redistribuzione dei profughi, ha dato la sua disponibilità a contribuire alla costruzione di una scuola materna per i bambini attualmente ospitati in un hotspot italiano, forse proprio per evitare eventuali sanzioni dell’Ue. #####
Quanto al Movimento Cinque Stelle, tutti riconoscono che, pur essendo il primo partito in Italia, l’attuale sistema elettorale lo penalizza In ogni caso, la parola “populismo” può voler dire tante cose, come conferma quanto scrive il conservatore Times (17 febbraio): “Comunque andranno le elezioni italiane, a vincere saranno i populisti”. Se, per il quotidiano inglese, i partiti populisti crescono in tutto l’arco politico italiano, i Cinque Stelle, in particolare, sono “una formazione antisistema, ambientalista e cripto-sinistrorsa”. Anche per questo respiro europeo, oltre che per le manifestazioni e gli scontri che si sono susseguiti nei giorni scorsi in tutta Italia, l’ascesa dell’estrema destra e dei neofascismi nel nostro paese ha continuato a occupare le pagine della stampa straniera. Al Jazeera, in relazione alla recrudescenza fascista, ha addirittura dedicato un articolo ai fratelli Cervi, e al loro erede Adelmo (19 febbraio), mentre più di qualcuno, commentando le schermaglie tra neofascisti e antifascisti, ha evocato il fantasma degli “anni di piombo” (tra questi, il Guardian e Bloomberg). Il ritorno del passato fascista e il
cinismo politico che sembrano incombere sulla campagna elettorale italiana affondano le radici “in decenni di distanza tra cittadini e istituzioni”, scrive la segretaria generale della Federazione italiana diritti umani Sabrina Gasparrini in un commento sul Guardian. Dopo la spinta democratica del dopoguerra, in Italia invece di un vero dibattito pubblico si è imposta la “partitocrazia”; ed è sull’espansione di questo “sistema canceroso” che è potuto attecchire il “razzismo anti-migranti di oggi”. L’unico antidoto, secondo Gasparrini, sono “gli Stati Uniti d’Europa”. ##### S t a n d o a d i v e r s e t e s tate, gran parte della responsabilità del varco populista e razzista apertosi in Italia è da addebitarsi alla sinistra istituzionale. Non soltanto perché “disperatamente divisa” ma anche perché rappresentata da una “classe politica vecchia, stanca e senza più fantasia” – come si legge sulla rivista americana The Nation (21 febbraio) – e dunque pronta ad abdicare ai temi che dovrebbero esserle più cari. I giovani
italiani, in particolare, su cui pesa una disoccupazione altissima, hanno bisogno di un movimento come quello legato a Jeremy Corbyn. Questo punto di riferimento sembrano trovarlo, oggi, nel piccolo partito Potere al Popolo che, secondo il Nation e la Vanguardia, sta crescendo notevolmente negli ultimi giorni. E Silvio Berlusconi? Anche la scorsa settimana è stato molto presente sui giornali stranieri, non sempre in termini lusinghieri. Se Les Echos scrive che, a ottantuno anni, “il Cavaliere sembra essere l’unico argine contro l’ondata populista, la Reuters vi intravede dei “segnali di fragilità” e riporta alcuni suoi strafalcioni numerici nelle recenti interviste. Uno dei titoli più impietosi è però quello del Newsweek: “Il sordido Berlusconi è sul punto di ritornare?”. Ancora più feroce, questa volta verso l’Italia, è la chiusa della testata statunitense: “Se Berlusconi è il meglio cui l’Italia possa sperare, questo purtroppo ci dice di più sul paese che non su di lui”. Ironie e affondi a parte, quella che molti analisti stranieri osservano è una spaccatura all’interno del centrodestra. Come lo storico inviato Richard Heuzé, che su Le Figaro del 20 febbraio parla di un “duello tra le destre” e di una “rivalità tra Forza Italia e Lega che è al centro della campagna elettorale”. Se Le Monde (19 febbraio) vede uno spostamento a destra dell’intera coalizione, che potrebbe addirittura farle ottenere “la maggioranza assoluta”, secondo l’Economist saranno i piccoli partiti i veri aghi della bilancia, e tra questi sicuramente Noi con l’Italia. La conquista del Sud della Lega, intanto, non passa inosservata. A questo proposito Bloomberg (20 febbraio) scrive che, “dopo aver schernito per anni i meridionali, bollandoli come pezzenti, ladri e buoni a nulla”, all’improvviso la Lega di Salvini “chiede loro di votare per lei”. Questa discesa nel Mezzogiorno potrebbe dare qualche problema ai Cinque Stelle che, come scritto da molti, proprio al Sud
hanno costruito negli anni il maggior bacino di consenso pescando in un elettorato frustrato dal divario rispetto al Nord, dalla presenza soffocante della criminalità e da un’elevata disoccupazione sovente addebitata all’Europa e agli immigrati. Taluni (come il New York Times, 23 febbraio) rilevano che l’M5S sta diventando un partito vero e proprio, “con scandali e tutto il resto”, e cerca di dare un’immagine più professionale di sé con qualche nomina eccellente. Come il Telegraph, anche l’Economist afferma che il movimento “vuole il potere vero” e definisce Di Maio uno “star man” che cerca in tutti i modi di preparare “una folla composita di idealisti alle dure realtà della politica”. ##### Ad accendere i riflettori sui Cinque Stelle anche un’altra notizia che ha catturato l’attenzione della stampa straniera la scorsa settimana, malgrado fosse già uscita nei mesi scorsi: il rischio di interferenze straniere nelle elezioni italiane per mezzo dei cosiddetti bots (diminutivo di robots), ossia programmi in grado di entrare in rete e agire come esseri umani su Facebook e gli altri social network per manipolare l’opinione pubblica e “seminare instabilità e divisioni”. Sono diverse le testate che lanciano l’allarme, puntando il dito, qualcuna più apertamente, altre in modo velato, sulla Russia. Certamente non usa giri di parole l’Economist, che anzi a scanso di equivoci pubblica una vignetta con una piovra raffigurante il volto di Putin e la didascalia “Gli sporchi trucchi della Russia”. Le interferenze russe starebbero colpendo – soprattutto secondo la stampa
americana, com’è ovvio, ma non solo – molte democrazie occidentali ed europee. E tra i bersagli ci sarebbe anche l’Italia, come confermato anche dall’ultimo rapporto dell’intelligence nostrana (che però non fa mai esplicito riferimento alla Russia). Dal Guardian al País, dal Newsweek alla Deutsche Welle, dal Washington Post a Bloomberg: numerose sono le testate che adombrano l’intervento dei bots e che, soprattutto, lo leggono a favore dei Cinque Stelle o della Lega. Nel fare questo, riferiscono sui viaggi di Salvini e sulle dichiarazioni dell’M5S (ma anche del Pd) a favore di una revoca delle sanzioni Ue alla Russia. Va detto, però, che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha smentito categoricamente questi tentativi di destabilizzazione, e ha affermato che alla Russia “interessa un’Europa forte, non debole”. Quale che sia la reale incidenza di questi fenomeni sulle elezioni italiane, è certo che non sono un bel segnale di quella tenuta democratica di cui si diceva e che, come dice El Mundo, solo la palla di cristallo può dire cosa accadrà il 4 marzo. di Valentina Nicolì SISTEMA ALLEVATORI, OK A DECRETO SENZA PASSARE PER IL PARLAMENTO. COMAGRI SCRIVE A FINOCCHIARO
L a c o n f e r e n z a S t ato – regioni da il proprio placet – con alcune modifiche apportate – al decreto legislativo sul sistema allevatoriale. Ma uno dei nodi più stretti da sciogliere del settore, per paradosso, non ha potuto avere il parere della competente commissione della Camera. In sostanza, il decreto partito da Palazzo Chigi – che ha suscitato non poche polemiche relative alla liberalizzazione dei servizi – non è stato valutato dal Parlamento. Tanto che la stessa Commissione Agricoltura di Montecitorio scrive al ministro dei rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro per informarla dei fatti. Qui di seguito Agricolae riporta la lettera: LETTERA COMAGRI A FINOCCHIARO Per saperne di più: SISTEMA ALLEVATORI, CONFERENZA STATO REGIONI APPROVA DECRETO. ECCO TUTTE LE MODIFICHE
SISTEMA ALLEVATORI, CONFERENZA STATO REGIONI APPROVA DECRETO. ECCO TUTTE LE MODIFICHE La conferenza Stato regioni ha approvato il decreto sul sistema allevatoriale con le modifiche anticipate da Agricoale. Qui di seguito si pubblica la bozza: MODIFICHE CONFERENZA STATO REGIONI Per saperne di più: SISTEMA ALLEVATORI, OK DA ASSESSORI MA CON CONDIZIONI ‘IMPRENSCINDIBILI’. ECCOLE CONFAGRICOLTURA VENETO: DECRETO NON VA. FONDO BIODIVERSITA FINISCE IN REGIME MONOPOLISTICO Posted by Redazione× Pubblicato il 21/02/2018 at 18:44
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