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Storia Antica

Antonietta Guidali
                 LA MISTERIOSA ISOLA DI PASQUA
                              (Rapa-nui ovvero Grande Isola)

    L’isola di Pasqua misteriosa lo è davvero: numerose sono le leggente e le ipotesi fiorite
soprattutto nel corso degli ultimi due secoli - favorite dalla presenza delle gigantesche statue
chiamate Moai - prima tra tutte quella di un immenso continente che andava dalle Americhe
all’Asia di cui le isole del Pacifico ne sarebbero solo il ricordo.
   In realtà l’isola di Pasqua è di origine vulcanica, circondata da abissi che, scandagliati in
passato, negano la possibile esistenza di un continente emerso.
   L’isola ha dimensioni minuscole: di forma triangolare, simile alla Sicilia, ha un’estensione di soli
163 kmq. e i suoi tre lati misurano 24, 18 e 16 Km.

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Spersa nel mezzo dell’oceano Pacifico
                                                          appartiene al Cile, da cui dista oltre 3.600
                                                          Km. (5-6 ore di aereo e altrettante ne dista
                                                          da Tahiti). E’ tuttora territorio militare
                                                          cileno, con un solo insediamento urbano, il
                                                          villaggio di Hanga-roa, in cui risiede la
                                                          maggior parte della popolazione.
                                                            Gli abitanti attuali (7.750) sono il frutto
                                                       di mescolanze tra la componente indigena,
             Sullo sfondo una serie di Moai.           provenienti dalle isole Marchesi e
         In primo piano cappelli caduti al suolo
                                                       polinesiane in genere, da cui deriva anche
                                                       la lingua locale, e successivi arrivi di cileni,
                                                       francesi, inglesi, tedeschi, italiani che vi
hanno fatto scalo (pare che i ciottoli che attorniano il basamento dei Moai rivolti verso le isole
Marchesi provengano dal fiume Ticino, probabilmente zavorra di qualche nave che lì è approdata
o fatto naufragio). La lingua locale non è supportata dalla scrittura, anche se sono state rinvenute
poche tavolette incise mai decifrate.
    E’ priva di alberi d’alto fusto (tranne un centinaio di palme donate dal Giappone) e povera di
flora (perlopiù arbusti) e di fauna. Spazzata dal vento, gli uccelli marini nidificano nelle crepe degli
isolotti sparsi; cavalli, pecore, mucche e maiali sono stati importati, come pure i ratti. Unico rettile,
la lucertola.
   Data la profondità delle acque, la fauna marina è relativamente scarsa. Al largo abbondano i
capodogli, ma la navigazione d’altura è difficoltosa e l’isola non dispone di un porto capace di
accogliere barche adeguate.
    Allo sbarco dei primi coloni polinesiani, che si fa risalire all’800-900 d.C., probabilmente l’isola
si presentava come una immensa foresta di palme. Fino al 1200 d.C. la popolazione era
numericamente modesta, in equilibrio con le risorse naturali disponibili. La scomparsa degli alberi
si attribuisce (ma questo resta comunque uno dei misteri) alla costruzione dei Moai, le
gigantesche statue di pietra, il cui trasporto richiedeva notevoli quantità di legname.
    Nuovi sbarchi aumentarono significativamente la popolazione (tra i 15.000 e i 20.000 abitanti
nel 1400) e l’attività di abbattimento degli alberi si intensificò significativamente anche per l’uso
come combustibile (in seguito si utilizzarono solamente arbusti). Le condizioni di vita peggiorarono
al punto da provocare violente guerre intestinali fra i clan.
    Nel corso dei secoli diverse navi si avvicinarono all’isola. Il primo occidentale a sbarcavi il
giorno di Pasqua del 1722 (da cui il nome) fu l’olandese Jakob Roggeven. In seguito fu la Spagna ad
annetterla dimenticandola però molto presto. Anche il capitano Cook si avvicinò nel 1774, ma non
sbarcò.
    All’arrivo delle navi il copione si ripeteva più o meno uguale. Gli indigeni salivano a bordo
curiosi e allegri, ma si impegnavano a rubare tutto quello che li incuriosiva (berretti, tovaglie…). Le
donne si offrivano spontaneamente in cambio di regali. Ciò fino a quando i marinai, stanchi delle
continue ruberie, non sparavano sula folla e ripartivano.

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Il 1862 fu decisivo e segnò la fine della civiltà dell’Isola di Pasqua. Arrivarono infatti i cacciatori
di schiavi per il reclutamento della mano d’opera da impiegare nello sfruttamento dei giacimenti
di guano in Perù, dove la scarsa alimentazione e le epidemie decimavano i lavoratori.
    Il 12 dicembre una piccola flotta arrivò ad Hanga-roa: gli isolani che, come di consueto, salirono
a bordo, furono immediatamente imprigionati, mentre i negrieri scesi sull’isola catturavano tutti
gli indigeni che riuscirono a trovare. Il carico umano fu subito venduto alle compagnie che si
occupavano dello sfruttamento del guano: in pochi mesi i 1900 indigeni catturati si ridussero a un
centinaio. Grazie all’intervento del vescovo Jaussen, i governi francese e inglese presentarono al
Perù una nota di protesta e i superstiti vennero rimpatriati. La maggior parte morì di tubercolosi e
vaiolo durante il viaggio. Solo una quindicina riuscì a raggiungere l’isola, ma la conseguenza fu la
diffusione del vaiolo e l’isola si trasformò in un immenso cimitero, tant’è che ancora oggi si
ritrovano ossa sparse nelle grotte e nelle fenditure delle rocce. All’epidemia di vaiolo si aggiunsero
lotte interne e carestie. L’isola cadde in miseria, abbandonata a se stessa, senza aiuti nemmeno
dal Cile di cui nel frattempo era diventata parte. Nel 1877 erano rimasti sull’isola solo 111 abitanti.
    Nel 1866 un ufficiale francese Jean-Baptiste Dutrou-
Borniec giunse sull’isola accompagnato dal suo socio d’affari,
l’inglese Bournier. Diede luogo ad un piccolo regno: internò
la popolazione indigena e trasformò l’isola in un enorme
pascolo di pecore e mucche. Dieci anni dopo la popolazione
insorse e lo uccise. La proprietà passò al socio, ma alla sua
morte gli eredi non furono in grado di rivendicarne la
proprietà. Il 9 settembre 1888 l’isola di Pasqua fu annessa al
Cile. Pur considerata territorio militare, Il governo cileno
permise di continuare con l’allevamento del bestiame; stabilì
sull’isola una stazione metereologica e una sismica.                  Moai restaurato con occhi dipinti
                                                                      come pare fossero tutti in origine
    All’inizio del ‘900 l’isola fu ancora flagellata da epidemie,
ultima fra queste la lebbra. Nel 1914 scoppiarono
violentissimi scontri tra la popolazione indigena e quella cilena. L’intervento di una nave da guerra
cilena sedò gli scontri, ma il comandante della nave espresse preoccupazioni vedendo le condizioni
in cui versava la popolazione indigena. Da quell’anno fino al 1977, l’isola rimase sotto il ferreo
controllo dell’esercito cileno.
    Attualmente l’isola dispone di un aeroporto (costruito dalla NASA come possibile atterraggio di
fortuna dello Shattle). Cisterne alimentano la distribuzione dell’acqua mentre la corrente elettrica
è alimentata da generatori diesel, il cui rifornimento (ogni due settimane) avviene con
collegamenti di tubature galleggianti tra la nave e la costa, non essendoci un porto a causa
dell’intenso moto ondoso.
   Dall’inizio della pandemia di Covid, l’isola è stata chiusa ai turisti. Non disponendo né di
ospedali né, soprattutto, di strutture per terapie intensive, le misure di sicurezza sono state
drastiche. Nonostante una intensa campagna di vaccinazione, un referendum dello scorso
dicembre ha confermato la chiusura per l’impossibilità di prestare eventuali cure adeguate.

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Gli isolani mal sopportano la presenza cilena (è consentito il pascolo ma non nuovi
insediamenti umani a causa del vincolo militare) e periodicamente si scatenano ribellioni in favore
dell’autonomia o dell’unione con Papeete, anche se ormai la maggioranza della popolazione à di
origine cilena, soprattutto dopo lo sviluppo del turismo.
Moai
    Parlando dei misteri dell’Isola di Pasqua, non si può non soffermarsi sui “Moai”, le statue
giganti, simbolo del suo misterioso passato. Sono degli enormi e mostruosi busti privi di gambe.
Sono per la maggior parte posti su piattaforme dette “ahu”. Sono di dimensioni enormi, di
provenienza da due diversi siti. I corpi provengono dalla cava del Rano-rakaru. I cappelli rossi di
tufo provengono tutti dal monte Panapau. Le dimensioni delle statue variano dai 3,50 ai 5,50 metri
di altezza. La più alta misura 10 metri, ha una circonferenza di 7,80 metri e pesa certamente più di
20 tonnellate. È sormontata da un cilindro alto 1,80 mt. e largo 2,40 mt. Le statue sono scolpite
secondo un unico modello. Statue incompiute, alcune quasi finite, si possono ancora vedere nelle
cave.
   La maggior parte dei gruppi di statue, poste sugli ahu, recentemente restaurate anche grazie al
                                                             contributo del Giappone, sono rivolte
                                                             verso l’interno dell’isola, si presume
                                                             con funzione protettiva. Solamente
                                                             un gruppo (quello circondato dai
                                                             ciottoli del Ticino) è rivolto verso il
                                                             mare, precisamente verso la Isole
                                                             Marchesi da cui si pensa abbiano
                                                             origine gli indigeni. Le statue sparse si
                                                             pensa servissero a delimitare le
                                                             strade.
 Orongo. Visibile la caldera del vulcano, lo stretto sentiero a
     strapiombo sull’Oceano e l’isolotto di Moto-nui             Orongo e la festa del Dio Uccello
                                                                    Orongo è un antico villaggio di
pietra dove sono visibili le antiche abitazioni. E’ il centro cerimoniale del culto del dio uccello. Sito
restaurato a partire dal 1974, è ora patrimonio dell’umanità sotto l’egida dell’UNESCO. Il culto
dell’uomo uccello consisteva in una corsa annuale per riportare intatto il primo uovo dell’uccello
“manutara” dall’isolotto di Motu-nui, di fronte al sito di Orongo. La gara era molto pericolosa e i
concorrenti spesso morivano tuffandosi dalla scogliera.
    A tutt’oggi, il paesaggio di Orongo è una delle meraviglie del mondo. Camminando su uno
stretto sentiero, non più largo di 1 – 1,50 mt., ci si trova da un lato in cima a una scogliera a
strapiombo, con di fronte scogliere (tipo faraglioni di Capri), regno degli uccelli e sull’altro lato il
cratere di un vulcano, spento da anni, con in fondo un incerto piccolo lago. Purtroppo l’erosione
dei venti sta distruggendo questa meraviglia destinata a franare nel mare entro pochi anni.
Bibliografia
Alfread Metraux, Meravigliosa isola di Pasqua, Oscar Mondadori, 1974
Giovanna Salvioni, L’isola di Pasqua, Xenia
Georgia Catani Toni, Rapa Nui. Storia dell’isola di Pasqua, Jaca Book

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