La crisi dell'antico regime in Francia 1776-1788

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La crisi dell'antico regime in Francia 1776-1788
Roberto Moro
   La crisi dell'antico regime in Francia 1776-1788
                                         Parte I

                       La crisi economica e sociale
        1776 - Produzione e prezzi - L'assetto sociale - Contraddizioni e crisi -
                             Recessione e reazione

1. 1776
       Quando il 12 maggio 1776 Luigi XVI, da pochi mesi salito al trono di
Francia, decise di licenziare Turgot ministro delle finanze, uno stato di generale
soddisfazione si diffuse in seno alla corte. L'aristocrazia e il parlamento
trionfavano sul ministro che più di ogni altro aveva tentato di porre mano al
dissestato e traballante apparato istituzionale e finanziario dell'antico regime. Le
riforme avviate furono subito liquidate e dei vasti disegni di generale
rinnovamento dello stato che questo ministro aveva proposto non rimase che un
incerto ricordo. L'opinione dei ceti medi non rimpianse Turgot, ma alle menti più
illuminate, ai filosofi e agli economisti che avevano animato il dibattito politico
dell'illuminismo, ai più tenaci assertori del dispotismo illuminato parve chiaro che
la politica delle riforme era ormai sconfitta per sempre. Il dibattito intellettuale e
politico sarebbe ormai languito per anni mentre la grande stagione dei lumi si
avviava al tramonto e con essa declinava anche la prosperità e la floridezza
economica del regno. La Francia entrava in un grave periodo di recessione. Al
XVIII secolo, epoca di decollo del capitalismo europeo e di grande espansione
economica, la Francia si era affacciata con un apparato istituzionale, sociale e
politico inadeguato. Fin dagli ultimi decenni del Seicento il sistema assolutistico
di Luigi XIV, sorto e affermatesi in un periodo di stagnazione economica, non
aveva mancato di porre seri ostacoli al riaprirsi della favorevole congiuntura e
anzi ne aveva ritardato i positivi effetti sulla economia francese. Le guerre
incessanti, le inestinguibili esigenze di danaro dello stato, l'espulsione degli attivi
ceti borghesi seguita alla revoca dell'editto di Nantes (1697), avevano mantenuto
entro ristretti orizzonti l'economia del paese. Tuttavia dopo la morte del Re Sole
(1715) i sintomi della ripresa cominciarono a farsi sentire. Un vigoroso
accrescimento demografico offrì nuove braccia alla terra, le favorevoli condizioni
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climatiche permisero di soddisfare l'accresciuta domanda, la pace interna e
internazionale, l'arrivo dell'oro brasiliano contribuirono a dare stabilità al sistema
economico e rinforzarono le esportazioni. Intorno agli anni '30 il ricordo delle
crisi di sussistenza che avevano tormentato il regno di Luigi XIV, riducendo in
modo pauroso la vita media, era ormai lontano.

2. Produzione e prezzi
       Per quanto in ritardo rispetto ad altri paesi europei già attivamente operanti
nella dimensione del nascente capitalismo, la Francia possiede nel Settecento tali
risorse da riguadagnare la china. Vasto e popoloso, da secoli pacificato e dotato di
una spiccata omogeneità culturale, il regno gode di una posizione geografica che
favorisce ogni sorta di colture (vasti pascoli a nord e nelle zone montane, regioni
cerealicole nel nord-est, fasce boschive nell'ovest, terre 'mediterranee a colture
pregiate nel sud). Coperto per due terzi da foreste, il territorio offre immense
riserve all'agricoltura. Sui 19-20 milioni di abitanti che nel 1700 stanziavano in
Francia, 1'85% della popolazione, dispersa in innumerevoli villaggi, è contadina;
sono poche le città che superano i 50.000 abitanti, Parigi, che ne possiede 300.000
all'inizio del secolo, è la sola vera metropoli del regno. L'economia francese è
quasi nella sua totalità una economia agricola.
       Tecnologicamente arretrato e ancora lontano da quella rivoluzione agricola
che in Olanda e in Inghilterra apre la strada alla rivoluzione industriale, il
contadino francese dispone di una esperienza e di un ambiente naturale che gli
permettono di incrementare il prodotto. Nel Settecento si esperimenta per la prima
volta sul suolo di Francia il mais, il rapporto tra seminativo e scorte per i cereali si
accresce, si accresce il patrimonio zootecnico, e l'aumento della domanda
favorisce gli investimenti spingendo infine al dissodamento di nuove terre; il
prodotto nazionale cresce. Non possediamo dati globali circa l'effettivo aumento
della produzione agricola, ma il graduale aumento dei prezzi, effetto di un
equilibrato giuoco di domanda e offerta, segna l'indice dell'espansione. Dopo un
secolo di sbandamenti e di incertezze, di repentine cadute e di variazioni cicliche,
la curva dei prezzi dei cereali prende slancio nel XVIII secolo; fecondata da una
accresciuta domanda si innalza e trascina con sé quella dei prezzi agricoli nel loro
insieme, nonché l'indice del volume degli scambi commerciali. Dopo il 1715 la
Francia entra in una favorevole congiuntura di lungo periodo (1715-1770) che si
inserisce nella più lunga lievitazione di prezzi agricoli della storia economica del-
l'occidente (1715-1815). Tra il 1730 e il 1770 i raccolti copiosi si susseguono,
appena interrotti dal riapparire di crisi locali e circoscritte; una favorevole
meteorologia contribuisce a rendere splendido e opulento il tramonto dell'antico
regime e l'inattesa prosperità assicura, pur entro i limiti propri alla gerarchia
sociale dell'antico regime, un'articolata ripartizione delle ricchezze.
Colti di sorpresa dai nuovi tassi di produzione, i proprietari delle terre non
riescono ad adeguarvisi, e i fitti agricoli, come il prelievo fiscale, lievitano in
modo moderato consentendo al coltivatore un margine utile o per lo meno condi-
zioni accettabili di esistenza. Così il flusso delle carestie che ha ciclicamente
segnato la storia demografica dell'occidente rallenta e si ferma; l'affittuario trova
di che nutrire la sua famiglia e dispone di un surplus commerciabile; il piccolo
proprietario si arricchisce e la nuova massa di beni entrando in un vasto circuito
commerciale si trasforma in un reale aumento di reddito.
       Si arricchisce la campagna e si arricchisce la città. Sia la città parassitaria di
antico regime che vive consumando il prelievo (feudale e fiscale) sul prodotto
agricolo, sia la città borghese e artigiana che trasforma i prodotti della terra e li

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commercia gestendo l'anonimo capitale finanziario. Allora il paesaggio della
Francia si trasforma; le strutture urbane si rafforzano durante tutto il corso del
secolo e l'immigrazione urbana diviene un fenomeno di vasta portata; migliorano
le infrastrutture, l'assetto stradale e portuale. Abbandonata da tempo la vita rurale,
l'aristocrazia abbandona anche Versailles dopo la morte di Luigi XIV e,
conquistata dallo stile di vita borghese, trova modo di ricostruire il suo habitat
nella capitale e nelle città di provincia dove affluisce circa il 40-50% della
produzione agricola. È un processo di mutamento abbastanza rapido e imponente
che incide in modo profondo sul tessuto sociale dell'antico regime.

3. L'assetto sociale
      In presenza di questa radicale trasformazione delle condizioni materiali di
esistenza, la rigida distinzione dell'assetto sociale in ordini (clero - nobiltà - Terzo
stato) si sfibra e mostra i sintomi della decomposizione.
       Nella sua più lontana radice la tripartizione degli ordini riflette infatti
l'assetto dell'arcaica società feudale organizzata in tre distinte funzioni: pregare,
combattere, lavorare. Clero, Nobiltà, Terzo stato non sono tuttavia che traballanti
espressioni linguistiche nella Francia del XVIII secolo. La natura eminentemente
agricola dell'economia francese contrappone due classi: una minoranza di
proprietari terrieri e una numerosa classe contadina. E poiché l'agricoltura
francese si basa su un modo di produzione feudale, essere proprietario (nobile,
ecclesiastico o laico) significa in fondo godere di una somma di diritti esclusivi e
di privilegi intimamente connessi allo status di feudatario. Aristocrazia
privilegiata e popolo contadino sono dunque i poli estremi dell'assetto sociale di
antico regime.
      L'aristocrazia, classe in declino, è ancora nel XVIII secolo tutta pervasa
dagli ideali della società feudale: ossequio alla tradizione, fedeltà verso l'istituto
monarchico inteso come indispensabile tutore dell'ordine sociale e della gerarchia,
vivo sentimento dei propri privilegi e distinzioni di rango, infine un sostanziale
disprezzo per i subordinati, una schietta ripugnanza per i valori della cultura
borghese e una totale incuria per i problemi di vita materiale delle classi
subalterne. Facendo leva sul tessuto istituzionale del paese che ancora si fonda sul
modo di produzione feudale, l'aristocrazia rivendica il totale monopolio della
gestione del potere, comanda e si nutre della certezza di doverlo fare in virtù di un
disegno divino, per sempre. Ma dei circa 400.000 aristocratici che la Francia
conta nel Settecento ben poche sono le famiglie in grado di vantare un antico
casato. L'ondata di annobilitazioni resa necessaria dal dissesto economico della
monarchia assoluta, la vendita indiscriminata di uffici che danno titolo di nobiltà
nei secoli (XV-XVII) hanno sfigurato la struttura dell'ordine. Accanto all'antica
nobiltà feudale si colloca dunque una nobiltà più recente, vi è una nobiltà di toga e
una nobiltà di spada, una nobiltà di corte, di città, di campagna, una piccola
nobiltà, e questi vari gruppi organizzati in una complessa gerarchia costituiscono
un insieme di ceti, di condizioni sociali, economiche e culturali tra loro diverse,
con comportamenti politici ambigui e a volte opposti che lacerano e indeboliscono
la coscienza di classe dell'ordine, la quale si manifesta solo in una univoca e
determinata volontà di conservazione.
      Contro questa incerta e disunita armata si erge compatto il popolo contadino.
Venti milioni e più di analfabeti ai quali solo la ripresa economica e la favorevole
congiuntura assicurano un minimo livello di sussistenza. Uno stato di costante
tensione, che spesso degenera in aperta lotta, contrappone queste due forze sociali
dagli interessi del tutto divergenti. La storia dell'antico regime e quella del Sette-

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cento è tutta punteggiata da sedizioni popolari, esplosioni di collera e di
disperazione incontenibili che si propagano rapidamente e vengono poi represse
con metodo e durezza. Esse testimoniano la miserevole condizione di braccianti,
mezzadri, piccoli affittuari e piccoli proprietari sui quali grava il maggior carico di
mantenimento dello stato e della classe aristocratica.
       La variabile di questa netta contrapposizione di classi è costituita dai ceti
borghesi, maggiori beneficiari del trasferimento della rendita dalla campagna alla
città. L'appaltatore di diritti feudali e di tasse, il commerciante all'ingrosso e al
minuto, l'artigiano, l'esportatore, l'imprenditore, il finanziere o più semplicemente
il libero professionista o il piccolo impiegato dello stato acquirente di uffici, il
magistrato di grado inferiore costituiscono quel tessuto di condizioni intermedie
cresciuto all'ombra della monarchia assoluta che, da secoli, specula e trionfa sulla
congiuntura.
       Durante il XVIII secolo le borghesie francesi crescono numericamente e si
arricchiscono. Secondo una stima grossolana ma indicativa le unità che
appartengono alla classe borghese sarebbero all'inizio del secolo meno di un
milione (5% della popolazione circa,), alla vigilia della rivoluzione giungerebbero
a una cifra di 2.200.000 unità (poco meno del 10% della popolazione). Dietro a
questo fenomeno di crescita quantitativa si nasconde il fenomeno di ascesa:
mimetizzata all'interno della società di ordini, la borghesia penetra nell'area del
privilegio e preme su quelle porte di accesso al potere che l'aristocrazia, già in
declino e incapace di mettere a profitto gli effetti della congiuntura, intende
sbarrare. Il cammino che conduce il piccolo proprietario terriero, uscito a stento
dai ranghi del bracciantato, alla nobiltà è da tempo fissato secondo regole di
mobilità sociale che l'assolutismo ha in certo modo codificato allo scopo di
indebolire l'originario nucleo dell'aristocrazia feudale sempre pronta a contestare
il potere e i diritti della casa regnante. Poiché in Francia si può essere nobili non
solo per nascita ma anche per grazia regia: una breccia nel mondo del privilegio è
da tempo aperta e si allarga con il progressivo affermarsi della autorità
monarchica sull'aristocrazia. Ed è per questa via che i ceti borghesi riescono a
penetrare nel regime del privilegio. Le lettres de noblesse che si acquistano il più
delle volte in danaro sonante, come anche le cariche pubbliche che implicano
(specie nell'ambito della magistratura) un titolo di nobiltà trasmissibile, sono
divenute sempre più numerose (a partire dal XVI secolo) a mano a mano che la
monarchia assoluta, nel tentativo di umiliare l'aristocrazia feudale, ha stretto
alleanza con i ceti borghesi. Arricchire in campagna per risiedere in città, farsi una
fortuna con il commercio o con le libere professioni per acquistare un titolo o un
impiego che dia titolo, è divenuto così il sogno dominante delle borghesie
dell'antico regime, multiforme strato sociale in costante fermento e dominato da
una sorta di « evasione aristocratica ». Questa tendenza alla fuga dalla propria
condizione sociale induce per secoli una crisi di identità nei ceti borghesi, che
male tollerano la loro posizione intermedia, costituisce una sorta di elemento
disgregante dell'unità di classe, e li disperde politicamente. Così i borghesi
tutelano i loro interessi ora alleati alla monarchia e al popolo contro l'aristocrazia
feudale, ora a fianco dei signori nelle campagne, pronti a reprimere le ondate di
ribellione popolare per poi fomentarne di nuove contro l'autorità accentrata della
monarchia, e queste necessità tattiche ostacolano il formarsi di una precisa
ideologia borghese.
       Ma nel XVIII secolo si assiste al graduale formarsi di una coscienza politica
univoca e ben determinata dei vari ceti borghesi. Ancora incerta e divisa sul piano
dell'azione politica, questa vasta fascia sociale trova una forte unità sul terreno

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ideologico. Sulla scorta dei tangibili sintomi di benessere materiale, si afferma e si
diffonde l'idea di un immutabile « progresso » che governa le vicende umane e
sociali. L'apparire delle macchine, la necessità di un più spinto sfruttamento del
lavoro umano, l'esigenza di una più equilibrata gestione finanziaria dello stato,
elementi che stanno alla base del moderno capitalismo, inducono l'avanguardia
della classe borghese, l'intellettuale-filosofo del XVIII secolo, a rivendicare vaste
trasformazioni nel dissestato organismo della monarchia assoluta. Tra il 1715 e il
1770 un generoso dibattito illumina la cultura francese: la storia delle istituzioni e
l'economia, nuovi sistemi di organizzazione sociale, i limiti del sistema feudale
sono al centro delle preoccupazioni intellettuali dei filosofi. In questi anni
insomma la Francia scopre se stessa, si osserva e si studia, e la cultura borghese
vaglia a uno a uno tutti gli elementi che compongono l'assetto economico, sociale
e politico dell'antico regime, tenta di spiegarli, di comprenderne le origini lontane,
ma spesso li pone sotto accusa e li condanna.

4. Contraddizioni e crisi
       E vi sono ovvii motivi ad alimentare e tenere vivo questo dibattito. Il
mutarsi della situazione economica e il decom-porsi delle strutture sociali urtano
contro l'apparato istituzionale del regno, visibile intelaiatura dei comportamenti
politici. Al trasformarsi delle realtà economiche e sociali si contrappone infatti,
nella Francia del Settecento, la stabilità quasi assoluta dell'assetto istituzionale.
Quest'ultimo, che fissa in modo rigoroso le regole di comportamento del paese, è
— lo vedremo oltre nei particolari — il risultato di una greve sedimentazione
storica difficile da scalfire e trasformare e che comunque alla pressione del nuovo
progresso offre una sorta di fronte compatto, un'accanita resistenza che spinge
inevitabilmente verso la recessione.
       Innanzitutto il modo di produzione agricolo è, nella sua struttura, ancora
feudale nel senso che i lavoratori hanno sulla terra diritti di uso e di occupazione
mentre la proprietà appartiene a una ristretta gerarchia di signori che hanno sul
prodotto diritti di prelievo fissati dalla legge e dalla consuetudine. Il 50%
dell'intero territorio è proprietà di poco più del 10% della popolazione
(approssimativamente così diviso: 25% nobiltà, 10% clero, 15% borghesia) che
asporta per intero o quasi il prodotto (la rendita feudale, che si compone di una
serie di diritti mutevoli da regione a regione sia nella natura che nel peso, sfiora
quasi ovunque il 30-40%), senza quindi permettere un'accumulazione di capitale
nelle mani dei ceti popolari. L'apparato dello stato, gonfio e contorto, aggrava
attraverso un brutale prelievo fiscale (15-20% della produzione) la spoliazione
della campagna e colpisce duramente quella numerosa fascia di piccoli proprietari
(2-3.000.000 di capi famiglia) che costituiscono l'humus dei ceti borghesi che
assai di rado riescono a fronteggiare la concorrenza del prodotto aristocratico del
tutto esente da imposte. Su questa robusta classe, che per certi aspetti costituisce il
nerbo della nazione contadina, si accanisce poi l'assetto amministrativo del paese
che con il suo cumulo di dazi e dogane ostacola la circolazione delle merci e
impedisce il formarsi di un vero mercato nazionale. Anche nel mondo urbano le
contraddizioni dell'antico regime sono evidenti: il peso di un'agricoltura frenata,
un sistema di spoliazione globale della campagna imprigionano infatti la città in
se stessa e riducono considerevolmente il mercato del consumo, ostacolando di
conseguenza commercio e industria. A un mercato di consumo ridotto si deve poi
aggiungere la sostanziale immobilità del mercato del lavoro; il sistema medievale
delle corporazioni grava ancora sulla produzione artigiana del XVIII secolo.
Infine l'economia pressoché autarchica del villaggio contadino e la concentrazione

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delle ricchezze nelle mani di un ristretto numero di notabili riducono buona parte
della produzione di manufatti all'industria del lusso che di per sé limita
l'espansione industriale. I nuovi tassi di incremento demografico offrivano certo
nuove braccia alla città, ma la loro utilizzazione era quanto mai problematica.
      Occorrevano dunque riforme per salvaguardare e sfruttare la favorevole
congiuntura, e riforme erano state invocate e a più riprese tentate. Ma il
feudalesimo non sarebbe morto senza difendersi. A ogni modo di produzione
corrispondono non solo un sistema di rapporti sociali di produzione, ma anche un
sistema di diritto, di istituzioni; e un sistema sociale in declino si serve appunto di
questo diritto e di queste istitu2Ìoni per opporre tutta la sua forza alle innovazioni
che ne minacciano l'esistenza. L'aristocrazia è ancora classe dominante nella
Francia del XVIII secolo; dispone di un potere immenso e di un prestigio che solo
a stento la nascente ideologia dei ceti borghesi è riuscita a scalfire. Utilizzando a
fondo l'apparato istituzionale che gli è proprio, il mondo del privilegio è riuscito a
sbarrare sistematicamente la strada ai tentativi di trasformazione che la borghesia
vorrebbe imporre; e quando nella seconda metà degli anni '70 si apre una crisi di
congiuntura, l'aristocrazia, e con essa il vecchio regime, coglie la sua ultima
occasione di sopravvivenza. È una battaglia perduta, lenta, di esaurimento, e con
essa coincide la crisi dell'antico regime.

5. Recessione e reazione
           Sia per effetto delle mancate riforme, sia per un fatto di struttura insito
nel dualismo proprio della società di antico regime, sia infine in virtù di eventi
eccezionali che superano la possibilità della conoscenza storica, l'euforia di una
società in crescita economica e demografica, la fiammata di prosperità che investe
la Francia della prima metà del Settecento sembrano esaurirsi rapidamente dopo il
1770. La data esatta della regressione è impossibile da precisare poiché il feno-
meno non si manifesta ovunque nello stesso momento, ne ovunque si produce con
la stessa intensità. Dopo il 1776 l'inversione di tendenza è però già un fatto
compiuto. Ovunque i prezzi sono in discesa; cadono i prezzi del vino, perdono di
slancio quelli del grano e dei cereali, una crisi foraggiera si manifesta nel 1780 e
culmina nel 1785 decimando il patrimonio zootecnico del paese, e l'economia
francese entra in una crisi interciclica di recessione (cioè una crisi che si manifesta
all'interno di una congiuntura di più lungo periodo di ascesa) che vedrà la sua fine
solo nel 1791. Il regno di Luigi XVI novera un triste succedersi di ogni sorta di
calamità agricole; raccolti insufficienti, cattive vendemmie, epizoozie e siccità
prolungate che ledono il cuore dell'organismo economico e la produzione agricola
e si ripercuotono su tutta la società aggravandone le tensioni, il malessere, il
malcontento. Questa crisi interciclica, che non cessa di trovare conferma negli
studi specializzati del periodo, è l'elemento di fondo della storia francese nel
ventennio pre-rivoluzionario; su di essa va misurato il malessere sociale poiché,
esasperando i contrasti, essa coinvolge e si ripercuote su tutto l'apparato
istituzionale e fa del mutamento un imperativo collettivo. Meno dura di tante crisi
del passato e dei lunghi periodi di stagnazione che la storia di Francia ha
conosciuto, ma sopraggiunta a spezzare una fase di rigoglio e di decollo
economico, fu ancor più crudelmente sentita ed ebbe effetti disastrosi sul sistema
politico.
           Le masse popolari arretrarono rispetto alle posizioni faticosamente
conquistate e furono di nuovo ricacciate in un'area ''di incerta sussistenza. I venti
favorevoli alla borghesia cadono, negli anni '70, con i primi sintomi di questa
crisi. Il prezzo dell'affitto agricolo cresce sproporzionatamente nel ventennio pre-

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rivoluzionario, mentre il prodotto diminuisce e l'affittuario, piccolo o grande,
diviene perdente; triplicano le imposte dirette alle quali è difficile sottrarsi;
l'incetta di capitali a bassa rendita che la monarchia compie per salvarsi dalla
bancarotta rinsecchisce il credito e impoverisce vasti ceti di rentiers; la guerra
d'America (1774-1782) rallenta il commercio internazionale; i tentativi di
riduzione della spesa pubblica rischiano di bloccare i meccanismi della mobilità
sociale chiudendo ai borghesi le porte di accesso alla burocrazia che da tempo
offre una concreta possibilità di ascesa.
       Per contro l'aristocrazia coglie l'occasione per prendere la iniziativa sulle
borghesie che si sono rafforzate nella prima metà del secolo; essa vuole una
rivincita economica e spreme fino al midollo il suo potere feudale scatenando
quella che, in presenza della crisi, diviene una brutale « reazione signorile ». Il
tentativo di accrescere i redditi si traduce nel vertiginoso aumento dei fitti
agricoli, nel severo controllo del prelievo feudale che non ammette più la minima
eva-sione, e, all'occasione, nel ripristino di diritti e privilegi caduti in desuetudine
o mai chiaramente accertati. Così la foresta viene strappata all'uso della comunità
rurale e il prezzo del legno, tanto necessario all'economia domestica dell'antico
regime, decuplica in pochi anni; i pascoli un tempo aperti sono ora utilizzabili
dietro contropartita: il che contribuisce a elevare il prezzo della carne; i beni
comunali vengono poi assorbiti e assimilati alle signorie e anche i più rutili
privilegi vengono dati in appalto a un fermier che saprà farli fruttare; la
speculazione del signore sulla elementare trasformazione del prodotto agricolo,
come la riduzione del grano in farina per mezzo del mulino signorile, diviene
vessatoria, e la concorrenza del prodotto aristocratico, esente dalle imposizioni
fiscali, risulta intollerabile per il contadino. La fuga da Versailles e il parziale
ritorno sulle terre per sorvegliare l'andamento della rendita esigono inoltre il ri-
pristino di molte corvées come quella di « abbellimento sontuario dei castelli »
che è resa ancor più gravosa dal desiderio degli aristocratici di partecipare alle
novità artistiche del secolo. Non meno dura è la pressione dell'aristocrazia al di
fuori del mondo rurale. Nelle città, dove i privilegiati (soprattutto il clero) sono
proprietari di vasti blocchi di immobili e si dedicano attivamente alla
speculazione, sia gli affitti che il prezzo delle case raddoppiano nella seconda
metà del secolo. Nel mondo degli offices e nell'apparato dello stato, seppure
fallisce il tentativo di una completa restaurazione aristocratica, la nobiltà resiste
sulle sue posizioni e riesce a frantumare ogni tentativo di evoluzione in senso
liberale del sistema monarchico ostacolando tenacemente la ascesa delle
borghesie.
       La storia politica della crisi dell'antico regime nasce appunto da questa
resistenza aristocratica che costituisce il nucleo essenziale dell'opposizione al
governo e alla monarchia e cristallizza l'evoluzione del sistema degradando le
istituzioni fino a distruggerle. Cerchiamo di esaminarla nei particolari penetrando
più a fondo nel tessuto istituzionale della Francia, di narrare le vicende politiche
nel ventennio prerivoluzionario.

         Roberto Moro – edizione passato.futuro – 2009
            Prima edizione - Editore Sansoni, Firenze - 1978

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