La crisi dell'antico regime in Francia 1776-1788
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Roberto Moro La crisi dell'antico regime in Francia 1776-1788 Parte I La crisi economica e sociale 1776 - Produzione e prezzi - L'assetto sociale - Contraddizioni e crisi - Recessione e reazione 1. 1776 Quando il 12 maggio 1776 Luigi XVI, da pochi mesi salito al trono di Francia, decise di licenziare Turgot ministro delle finanze, uno stato di generale soddisfazione si diffuse in seno alla corte. L'aristocrazia e il parlamento trionfavano sul ministro che più di ogni altro aveva tentato di porre mano al dissestato e traballante apparato istituzionale e finanziario dell'antico regime. Le riforme avviate furono subito liquidate e dei vasti disegni di generale rinnovamento dello stato che questo ministro aveva proposto non rimase che un incerto ricordo. L'opinione dei ceti medi non rimpianse Turgot, ma alle menti più illuminate, ai filosofi e agli economisti che avevano animato il dibattito politico dell'illuminismo, ai più tenaci assertori del dispotismo illuminato parve chiaro che la politica delle riforme era ormai sconfitta per sempre. Il dibattito intellettuale e politico sarebbe ormai languito per anni mentre la grande stagione dei lumi si avviava al tramonto e con essa declinava anche la prosperità e la floridezza economica del regno. La Francia entrava in un grave periodo di recessione. Al XVIII secolo, epoca di decollo del capitalismo europeo e di grande espansione economica, la Francia si era affacciata con un apparato istituzionale, sociale e politico inadeguato. Fin dagli ultimi decenni del Seicento il sistema assolutistico di Luigi XIV, sorto e affermatesi in un periodo di stagnazione economica, non aveva mancato di porre seri ostacoli al riaprirsi della favorevole congiuntura e anzi ne aveva ritardato i positivi effetti sulla economia francese. Le guerre incessanti, le inestinguibili esigenze di danaro dello stato, l'espulsione degli attivi ceti borghesi seguita alla revoca dell'editto di Nantes (1697), avevano mantenuto entro ristretti orizzonti l'economia del paese. Tuttavia dopo la morte del Re Sole (1715) i sintomi della ripresa cominciarono a farsi sentire. Un vigoroso accrescimento demografico offrì nuove braccia alla terra, le favorevoli condizioni 1
climatiche permisero di soddisfare l'accresciuta domanda, la pace interna e internazionale, l'arrivo dell'oro brasiliano contribuirono a dare stabilità al sistema economico e rinforzarono le esportazioni. Intorno agli anni '30 il ricordo delle crisi di sussistenza che avevano tormentato il regno di Luigi XIV, riducendo in modo pauroso la vita media, era ormai lontano. 2. Produzione e prezzi Per quanto in ritardo rispetto ad altri paesi europei già attivamente operanti nella dimensione del nascente capitalismo, la Francia possiede nel Settecento tali risorse da riguadagnare la china. Vasto e popoloso, da secoli pacificato e dotato di una spiccata omogeneità culturale, il regno gode di una posizione geografica che favorisce ogni sorta di colture (vasti pascoli a nord e nelle zone montane, regioni cerealicole nel nord-est, fasce boschive nell'ovest, terre 'mediterranee a colture pregiate nel sud). Coperto per due terzi da foreste, il territorio offre immense riserve all'agricoltura. Sui 19-20 milioni di abitanti che nel 1700 stanziavano in Francia, 1'85% della popolazione, dispersa in innumerevoli villaggi, è contadina; sono poche le città che superano i 50.000 abitanti, Parigi, che ne possiede 300.000 all'inizio del secolo, è la sola vera metropoli del regno. L'economia francese è quasi nella sua totalità una economia agricola. Tecnologicamente arretrato e ancora lontano da quella rivoluzione agricola che in Olanda e in Inghilterra apre la strada alla rivoluzione industriale, il contadino francese dispone di una esperienza e di un ambiente naturale che gli permettono di incrementare il prodotto. Nel Settecento si esperimenta per la prima volta sul suolo di Francia il mais, il rapporto tra seminativo e scorte per i cereali si accresce, si accresce il patrimonio zootecnico, e l'aumento della domanda favorisce gli investimenti spingendo infine al dissodamento di nuove terre; il prodotto nazionale cresce. Non possediamo dati globali circa l'effettivo aumento della produzione agricola, ma il graduale aumento dei prezzi, effetto di un equilibrato giuoco di domanda e offerta, segna l'indice dell'espansione. Dopo un secolo di sbandamenti e di incertezze, di repentine cadute e di variazioni cicliche, la curva dei prezzi dei cereali prende slancio nel XVIII secolo; fecondata da una accresciuta domanda si innalza e trascina con sé quella dei prezzi agricoli nel loro insieme, nonché l'indice del volume degli scambi commerciali. Dopo il 1715 la Francia entra in una favorevole congiuntura di lungo periodo (1715-1770) che si inserisce nella più lunga lievitazione di prezzi agricoli della storia economica del- l'occidente (1715-1815). Tra il 1730 e il 1770 i raccolti copiosi si susseguono, appena interrotti dal riapparire di crisi locali e circoscritte; una favorevole meteorologia contribuisce a rendere splendido e opulento il tramonto dell'antico regime e l'inattesa prosperità assicura, pur entro i limiti propri alla gerarchia sociale dell'antico regime, un'articolata ripartizione delle ricchezze. Colti di sorpresa dai nuovi tassi di produzione, i proprietari delle terre non riescono ad adeguarvisi, e i fitti agricoli, come il prelievo fiscale, lievitano in modo moderato consentendo al coltivatore un margine utile o per lo meno condi- zioni accettabili di esistenza. Così il flusso delle carestie che ha ciclicamente segnato la storia demografica dell'occidente rallenta e si ferma; l'affittuario trova di che nutrire la sua famiglia e dispone di un surplus commerciabile; il piccolo proprietario si arricchisce e la nuova massa di beni entrando in un vasto circuito commerciale si trasforma in un reale aumento di reddito. Si arricchisce la campagna e si arricchisce la città. Sia la città parassitaria di antico regime che vive consumando il prelievo (feudale e fiscale) sul prodotto agricolo, sia la città borghese e artigiana che trasforma i prodotti della terra e li 2
commercia gestendo l'anonimo capitale finanziario. Allora il paesaggio della Francia si trasforma; le strutture urbane si rafforzano durante tutto il corso del secolo e l'immigrazione urbana diviene un fenomeno di vasta portata; migliorano le infrastrutture, l'assetto stradale e portuale. Abbandonata da tempo la vita rurale, l'aristocrazia abbandona anche Versailles dopo la morte di Luigi XIV e, conquistata dallo stile di vita borghese, trova modo di ricostruire il suo habitat nella capitale e nelle città di provincia dove affluisce circa il 40-50% della produzione agricola. È un processo di mutamento abbastanza rapido e imponente che incide in modo profondo sul tessuto sociale dell'antico regime. 3. L'assetto sociale In presenza di questa radicale trasformazione delle condizioni materiali di esistenza, la rigida distinzione dell'assetto sociale in ordini (clero - nobiltà - Terzo stato) si sfibra e mostra i sintomi della decomposizione. Nella sua più lontana radice la tripartizione degli ordini riflette infatti l'assetto dell'arcaica società feudale organizzata in tre distinte funzioni: pregare, combattere, lavorare. Clero, Nobiltà, Terzo stato non sono tuttavia che traballanti espressioni linguistiche nella Francia del XVIII secolo. La natura eminentemente agricola dell'economia francese contrappone due classi: una minoranza di proprietari terrieri e una numerosa classe contadina. E poiché l'agricoltura francese si basa su un modo di produzione feudale, essere proprietario (nobile, ecclesiastico o laico) significa in fondo godere di una somma di diritti esclusivi e di privilegi intimamente connessi allo status di feudatario. Aristocrazia privilegiata e popolo contadino sono dunque i poli estremi dell'assetto sociale di antico regime. L'aristocrazia, classe in declino, è ancora nel XVIII secolo tutta pervasa dagli ideali della società feudale: ossequio alla tradizione, fedeltà verso l'istituto monarchico inteso come indispensabile tutore dell'ordine sociale e della gerarchia, vivo sentimento dei propri privilegi e distinzioni di rango, infine un sostanziale disprezzo per i subordinati, una schietta ripugnanza per i valori della cultura borghese e una totale incuria per i problemi di vita materiale delle classi subalterne. Facendo leva sul tessuto istituzionale del paese che ancora si fonda sul modo di produzione feudale, l'aristocrazia rivendica il totale monopolio della gestione del potere, comanda e si nutre della certezza di doverlo fare in virtù di un disegno divino, per sempre. Ma dei circa 400.000 aristocratici che la Francia conta nel Settecento ben poche sono le famiglie in grado di vantare un antico casato. L'ondata di annobilitazioni resa necessaria dal dissesto economico della monarchia assoluta, la vendita indiscriminata di uffici che danno titolo di nobiltà nei secoli (XV-XVII) hanno sfigurato la struttura dell'ordine. Accanto all'antica nobiltà feudale si colloca dunque una nobiltà più recente, vi è una nobiltà di toga e una nobiltà di spada, una nobiltà di corte, di città, di campagna, una piccola nobiltà, e questi vari gruppi organizzati in una complessa gerarchia costituiscono un insieme di ceti, di condizioni sociali, economiche e culturali tra loro diverse, con comportamenti politici ambigui e a volte opposti che lacerano e indeboliscono la coscienza di classe dell'ordine, la quale si manifesta solo in una univoca e determinata volontà di conservazione. Contro questa incerta e disunita armata si erge compatto il popolo contadino. Venti milioni e più di analfabeti ai quali solo la ripresa economica e la favorevole congiuntura assicurano un minimo livello di sussistenza. Uno stato di costante tensione, che spesso degenera in aperta lotta, contrappone queste due forze sociali dagli interessi del tutto divergenti. La storia dell'antico regime e quella del Sette- 3
cento è tutta punteggiata da sedizioni popolari, esplosioni di collera e di disperazione incontenibili che si propagano rapidamente e vengono poi represse con metodo e durezza. Esse testimoniano la miserevole condizione di braccianti, mezzadri, piccoli affittuari e piccoli proprietari sui quali grava il maggior carico di mantenimento dello stato e della classe aristocratica. La variabile di questa netta contrapposizione di classi è costituita dai ceti borghesi, maggiori beneficiari del trasferimento della rendita dalla campagna alla città. L'appaltatore di diritti feudali e di tasse, il commerciante all'ingrosso e al minuto, l'artigiano, l'esportatore, l'imprenditore, il finanziere o più semplicemente il libero professionista o il piccolo impiegato dello stato acquirente di uffici, il magistrato di grado inferiore costituiscono quel tessuto di condizioni intermedie cresciuto all'ombra della monarchia assoluta che, da secoli, specula e trionfa sulla congiuntura. Durante il XVIII secolo le borghesie francesi crescono numericamente e si arricchiscono. Secondo una stima grossolana ma indicativa le unità che appartengono alla classe borghese sarebbero all'inizio del secolo meno di un milione (5% della popolazione circa,), alla vigilia della rivoluzione giungerebbero a una cifra di 2.200.000 unità (poco meno del 10% della popolazione). Dietro a questo fenomeno di crescita quantitativa si nasconde il fenomeno di ascesa: mimetizzata all'interno della società di ordini, la borghesia penetra nell'area del privilegio e preme su quelle porte di accesso al potere che l'aristocrazia, già in declino e incapace di mettere a profitto gli effetti della congiuntura, intende sbarrare. Il cammino che conduce il piccolo proprietario terriero, uscito a stento dai ranghi del bracciantato, alla nobiltà è da tempo fissato secondo regole di mobilità sociale che l'assolutismo ha in certo modo codificato allo scopo di indebolire l'originario nucleo dell'aristocrazia feudale sempre pronta a contestare il potere e i diritti della casa regnante. Poiché in Francia si può essere nobili non solo per nascita ma anche per grazia regia: una breccia nel mondo del privilegio è da tempo aperta e si allarga con il progressivo affermarsi della autorità monarchica sull'aristocrazia. Ed è per questa via che i ceti borghesi riescono a penetrare nel regime del privilegio. Le lettres de noblesse che si acquistano il più delle volte in danaro sonante, come anche le cariche pubbliche che implicano (specie nell'ambito della magistratura) un titolo di nobiltà trasmissibile, sono divenute sempre più numerose (a partire dal XVI secolo) a mano a mano che la monarchia assoluta, nel tentativo di umiliare l'aristocrazia feudale, ha stretto alleanza con i ceti borghesi. Arricchire in campagna per risiedere in città, farsi una fortuna con il commercio o con le libere professioni per acquistare un titolo o un impiego che dia titolo, è divenuto così il sogno dominante delle borghesie dell'antico regime, multiforme strato sociale in costante fermento e dominato da una sorta di « evasione aristocratica ». Questa tendenza alla fuga dalla propria condizione sociale induce per secoli una crisi di identità nei ceti borghesi, che male tollerano la loro posizione intermedia, costituisce una sorta di elemento disgregante dell'unità di classe, e li disperde politicamente. Così i borghesi tutelano i loro interessi ora alleati alla monarchia e al popolo contro l'aristocrazia feudale, ora a fianco dei signori nelle campagne, pronti a reprimere le ondate di ribellione popolare per poi fomentarne di nuove contro l'autorità accentrata della monarchia, e queste necessità tattiche ostacolano il formarsi di una precisa ideologia borghese. Ma nel XVIII secolo si assiste al graduale formarsi di una coscienza politica univoca e ben determinata dei vari ceti borghesi. Ancora incerta e divisa sul piano dell'azione politica, questa vasta fascia sociale trova una forte unità sul terreno 4
ideologico. Sulla scorta dei tangibili sintomi di benessere materiale, si afferma e si diffonde l'idea di un immutabile « progresso » che governa le vicende umane e sociali. L'apparire delle macchine, la necessità di un più spinto sfruttamento del lavoro umano, l'esigenza di una più equilibrata gestione finanziaria dello stato, elementi che stanno alla base del moderno capitalismo, inducono l'avanguardia della classe borghese, l'intellettuale-filosofo del XVIII secolo, a rivendicare vaste trasformazioni nel dissestato organismo della monarchia assoluta. Tra il 1715 e il 1770 un generoso dibattito illumina la cultura francese: la storia delle istituzioni e l'economia, nuovi sistemi di organizzazione sociale, i limiti del sistema feudale sono al centro delle preoccupazioni intellettuali dei filosofi. In questi anni insomma la Francia scopre se stessa, si osserva e si studia, e la cultura borghese vaglia a uno a uno tutti gli elementi che compongono l'assetto economico, sociale e politico dell'antico regime, tenta di spiegarli, di comprenderne le origini lontane, ma spesso li pone sotto accusa e li condanna. 4. Contraddizioni e crisi E vi sono ovvii motivi ad alimentare e tenere vivo questo dibattito. Il mutarsi della situazione economica e il decom-porsi delle strutture sociali urtano contro l'apparato istituzionale del regno, visibile intelaiatura dei comportamenti politici. Al trasformarsi delle realtà economiche e sociali si contrappone infatti, nella Francia del Settecento, la stabilità quasi assoluta dell'assetto istituzionale. Quest'ultimo, che fissa in modo rigoroso le regole di comportamento del paese, è — lo vedremo oltre nei particolari — il risultato di una greve sedimentazione storica difficile da scalfire e trasformare e che comunque alla pressione del nuovo progresso offre una sorta di fronte compatto, un'accanita resistenza che spinge inevitabilmente verso la recessione. Innanzitutto il modo di produzione agricolo è, nella sua struttura, ancora feudale nel senso che i lavoratori hanno sulla terra diritti di uso e di occupazione mentre la proprietà appartiene a una ristretta gerarchia di signori che hanno sul prodotto diritti di prelievo fissati dalla legge e dalla consuetudine. Il 50% dell'intero territorio è proprietà di poco più del 10% della popolazione (approssimativamente così diviso: 25% nobiltà, 10% clero, 15% borghesia) che asporta per intero o quasi il prodotto (la rendita feudale, che si compone di una serie di diritti mutevoli da regione a regione sia nella natura che nel peso, sfiora quasi ovunque il 30-40%), senza quindi permettere un'accumulazione di capitale nelle mani dei ceti popolari. L'apparato dello stato, gonfio e contorto, aggrava attraverso un brutale prelievo fiscale (15-20% della produzione) la spoliazione della campagna e colpisce duramente quella numerosa fascia di piccoli proprietari (2-3.000.000 di capi famiglia) che costituiscono l'humus dei ceti borghesi che assai di rado riescono a fronteggiare la concorrenza del prodotto aristocratico del tutto esente da imposte. Su questa robusta classe, che per certi aspetti costituisce il nerbo della nazione contadina, si accanisce poi l'assetto amministrativo del paese che con il suo cumulo di dazi e dogane ostacola la circolazione delle merci e impedisce il formarsi di un vero mercato nazionale. Anche nel mondo urbano le contraddizioni dell'antico regime sono evidenti: il peso di un'agricoltura frenata, un sistema di spoliazione globale della campagna imprigionano infatti la città in se stessa e riducono considerevolmente il mercato del consumo, ostacolando di conseguenza commercio e industria. A un mercato di consumo ridotto si deve poi aggiungere la sostanziale immobilità del mercato del lavoro; il sistema medievale delle corporazioni grava ancora sulla produzione artigiana del XVIII secolo. Infine l'economia pressoché autarchica del villaggio contadino e la concentrazione 5
delle ricchezze nelle mani di un ristretto numero di notabili riducono buona parte della produzione di manufatti all'industria del lusso che di per sé limita l'espansione industriale. I nuovi tassi di incremento demografico offrivano certo nuove braccia alla città, ma la loro utilizzazione era quanto mai problematica. Occorrevano dunque riforme per salvaguardare e sfruttare la favorevole congiuntura, e riforme erano state invocate e a più riprese tentate. Ma il feudalesimo non sarebbe morto senza difendersi. A ogni modo di produzione corrispondono non solo un sistema di rapporti sociali di produzione, ma anche un sistema di diritto, di istituzioni; e un sistema sociale in declino si serve appunto di questo diritto e di queste istitu2Ìoni per opporre tutta la sua forza alle innovazioni che ne minacciano l'esistenza. L'aristocrazia è ancora classe dominante nella Francia del XVIII secolo; dispone di un potere immenso e di un prestigio che solo a stento la nascente ideologia dei ceti borghesi è riuscita a scalfire. Utilizzando a fondo l'apparato istituzionale che gli è proprio, il mondo del privilegio è riuscito a sbarrare sistematicamente la strada ai tentativi di trasformazione che la borghesia vorrebbe imporre; e quando nella seconda metà degli anni '70 si apre una crisi di congiuntura, l'aristocrazia, e con essa il vecchio regime, coglie la sua ultima occasione di sopravvivenza. È una battaglia perduta, lenta, di esaurimento, e con essa coincide la crisi dell'antico regime. 5. Recessione e reazione Sia per effetto delle mancate riforme, sia per un fatto di struttura insito nel dualismo proprio della società di antico regime, sia infine in virtù di eventi eccezionali che superano la possibilità della conoscenza storica, l'euforia di una società in crescita economica e demografica, la fiammata di prosperità che investe la Francia della prima metà del Settecento sembrano esaurirsi rapidamente dopo il 1770. La data esatta della regressione è impossibile da precisare poiché il feno- meno non si manifesta ovunque nello stesso momento, ne ovunque si produce con la stessa intensità. Dopo il 1776 l'inversione di tendenza è però già un fatto compiuto. Ovunque i prezzi sono in discesa; cadono i prezzi del vino, perdono di slancio quelli del grano e dei cereali, una crisi foraggiera si manifesta nel 1780 e culmina nel 1785 decimando il patrimonio zootecnico del paese, e l'economia francese entra in una crisi interciclica di recessione (cioè una crisi che si manifesta all'interno di una congiuntura di più lungo periodo di ascesa) che vedrà la sua fine solo nel 1791. Il regno di Luigi XVI novera un triste succedersi di ogni sorta di calamità agricole; raccolti insufficienti, cattive vendemmie, epizoozie e siccità prolungate che ledono il cuore dell'organismo economico e la produzione agricola e si ripercuotono su tutta la società aggravandone le tensioni, il malessere, il malcontento. Questa crisi interciclica, che non cessa di trovare conferma negli studi specializzati del periodo, è l'elemento di fondo della storia francese nel ventennio pre-rivoluzionario; su di essa va misurato il malessere sociale poiché, esasperando i contrasti, essa coinvolge e si ripercuote su tutto l'apparato istituzionale e fa del mutamento un imperativo collettivo. Meno dura di tante crisi del passato e dei lunghi periodi di stagnazione che la storia di Francia ha conosciuto, ma sopraggiunta a spezzare una fase di rigoglio e di decollo economico, fu ancor più crudelmente sentita ed ebbe effetti disastrosi sul sistema politico. Le masse popolari arretrarono rispetto alle posizioni faticosamente conquistate e furono di nuovo ricacciate in un'area ''di incerta sussistenza. I venti favorevoli alla borghesia cadono, negli anni '70, con i primi sintomi di questa crisi. Il prezzo dell'affitto agricolo cresce sproporzionatamente nel ventennio pre- 6
rivoluzionario, mentre il prodotto diminuisce e l'affittuario, piccolo o grande, diviene perdente; triplicano le imposte dirette alle quali è difficile sottrarsi; l'incetta di capitali a bassa rendita che la monarchia compie per salvarsi dalla bancarotta rinsecchisce il credito e impoverisce vasti ceti di rentiers; la guerra d'America (1774-1782) rallenta il commercio internazionale; i tentativi di riduzione della spesa pubblica rischiano di bloccare i meccanismi della mobilità sociale chiudendo ai borghesi le porte di accesso alla burocrazia che da tempo offre una concreta possibilità di ascesa. Per contro l'aristocrazia coglie l'occasione per prendere la iniziativa sulle borghesie che si sono rafforzate nella prima metà del secolo; essa vuole una rivincita economica e spreme fino al midollo il suo potere feudale scatenando quella che, in presenza della crisi, diviene una brutale « reazione signorile ». Il tentativo di accrescere i redditi si traduce nel vertiginoso aumento dei fitti agricoli, nel severo controllo del prelievo feudale che non ammette più la minima eva-sione, e, all'occasione, nel ripristino di diritti e privilegi caduti in desuetudine o mai chiaramente accertati. Così la foresta viene strappata all'uso della comunità rurale e il prezzo del legno, tanto necessario all'economia domestica dell'antico regime, decuplica in pochi anni; i pascoli un tempo aperti sono ora utilizzabili dietro contropartita: il che contribuisce a elevare il prezzo della carne; i beni comunali vengono poi assorbiti e assimilati alle signorie e anche i più rutili privilegi vengono dati in appalto a un fermier che saprà farli fruttare; la speculazione del signore sulla elementare trasformazione del prodotto agricolo, come la riduzione del grano in farina per mezzo del mulino signorile, diviene vessatoria, e la concorrenza del prodotto aristocratico, esente dalle imposizioni fiscali, risulta intollerabile per il contadino. La fuga da Versailles e il parziale ritorno sulle terre per sorvegliare l'andamento della rendita esigono inoltre il ri- pristino di molte corvées come quella di « abbellimento sontuario dei castelli » che è resa ancor più gravosa dal desiderio degli aristocratici di partecipare alle novità artistiche del secolo. Non meno dura è la pressione dell'aristocrazia al di fuori del mondo rurale. Nelle città, dove i privilegiati (soprattutto il clero) sono proprietari di vasti blocchi di immobili e si dedicano attivamente alla speculazione, sia gli affitti che il prezzo delle case raddoppiano nella seconda metà del secolo. Nel mondo degli offices e nell'apparato dello stato, seppure fallisce il tentativo di una completa restaurazione aristocratica, la nobiltà resiste sulle sue posizioni e riesce a frantumare ogni tentativo di evoluzione in senso liberale del sistema monarchico ostacolando tenacemente la ascesa delle borghesie. La storia politica della crisi dell'antico regime nasce appunto da questa resistenza aristocratica che costituisce il nucleo essenziale dell'opposizione al governo e alla monarchia e cristallizza l'evoluzione del sistema degradando le istituzioni fino a distruggerle. Cerchiamo di esaminarla nei particolari penetrando più a fondo nel tessuto istituzionale della Francia, di narrare le vicende politiche nel ventennio prerivoluzionario. Roberto Moro – edizione passato.futuro – 2009 Prima edizione - Editore Sansoni, Firenze - 1978 7
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