L'umanesimo cristiano di Dante e di Manzoni: Una sfida per il terzo millennio
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CONGRESSO TOMISTA INTERNAZIONALE L’UMANESIMO CRISTIANO NEL III MILLENNIO: PROSPETTIVA DI TOMMASO D’AQUINO ROMA, 21-25 settembre 2003 Pontificia Accademia di San Tommaso – Società Internazionale Tommaso d’Aquino L’umanesimo cristiano di Dante e di Manzoni: Una sfida per il terzo millennio Prof. Emeritus Tobia D’Onofrio Università di Cassino (Italia) La posizione umanistica di Dante e di Manzoni nei confronti del messaggio cristiano Oltre cinque secoli di storia separano Dante Alighieri e Alessandro Manzoni, ma la perennità delle loro figure culturali e l’importanza del loro pensiero nel cammino dell’umana civiltà è garanzia per il superamento di remore etimologiche che potrebbero confondere un’analisi che parte da una verità incontestabile: la presenza da due millenni del Cristianesimo che è messaggio umano di amore, ma anche progressivo approfondimento di cultura. Certamente gli aspetti teologici della fede rimangono saldi di fronte a principi transeunti e, nella loro misteriosa potenza, non vengono scalfiti da chi, intellettualmente, vuol rimanere soltanto nella tragica constatazione di una realtà che ritiene soltanto umana. Ma è proprio per questo che nel riferirsi alle vicende della vita e dell’arte di sommi, oltre che poeti, pensatori, come Dante e Manzoni, è bene precisare il valore dell’umanesimo nei riguardi della loro concezione di una cultura ed in particolare di una letteratura che, certo, affronta il cammino dei secoli. E’ pertanto opportuno riferirsi all’umanesimo come fatto culturale, nello sviluppo dell’umana civiltà, tale da mettere in luce l’importanza del concetto di Litterae humanae. In genere esse vengono contrapposte ad un tipo di cultura che ha radici nelle graduali posizioni assunte dalla fede in Dio ed, in modo specifico, nel Dio cristiano. Ma la visione, in tal senso, rimane tuttavia, © Copyright 2003 INSTITUTO UNIVERSITARIO VIRTUAL SANTO TOMÁS Fundación Balmesiana – Universitat Abat Oliba CEU
T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni nell’ambito di un tradizionalismo religioso che non tien conto, spesso, del cammino civile dei popoli. Sono esenti da tale posizione pensatori-poeti sommi, come Dante e Manzoni. C’è un incontro di posizioni in questi due Grandi ed, anche se potrebbe apparire frutto di retorica, c’è sempre la possibilità di evitare scontri che, da un punto di vista di vera cultura non hanno alcun senso. Ciò avviene in nome della facoltà suprema dell’uomo che è l’intelletto. Esso lo distingue da qualsiasi altro essere che fa parte del regno animale. L’uomo, con l’attività intellettiva si collega direttamente a Dio. Anche se ciò potrebbe apparire ovvio, questo processo è l’unico che rende degno l’essere umano di partecipare alla dinamica della civiltà che è anche, in ultima analisi, dinamica di perfezionamento morale. Pertanto coloro che superano limitate concezioni si posizionano sul piano di una genialità che supera qualsiasi tempo in nome di una sapienza che è diretta espressione del Creatore dell’Universo. Proprio per questo Dante e Manzoni pongono la loro concezione umana sul piano di un rispetto essenziale della divina potenza. Ciò avviene, soprattutto, nell’ambito di una specifica caratteristica di due grandi artisti che, pur essendo lontani nel tempo, assumono identica posizione intellettuale rispetto ad una cultura derivante dall’uomo stesso (Litterae humanae) che, tuttavia non si giustificherebbe senza l’appiglio alla visione intellettualistica di una sapienza che è fonte stessa del pensiero (Litterae divinae). Bisogna certamente considerare che la specifica caratteristica, sia di Dante che di Manzoni, è quella letteraria. Proprio per questo ambedue si pongono in un atteggiamento umano e artistico che è frutto di una convinzione raggiunta con estrema sensibilità culturale nel rispetto di verità assolute, come quelle cristiane. In questa posizione è possibile vedere con caratteristiche comuni l’umanesimo dantesco e quello manzoniano. E’ soltanto remora transeunte quella di attribuire a tale umanesimo una limitazione di tempo e di espressione, perché le convinzioni dei due poeti partono da una sofferta conquista di verità umane che, intellettualmente fanno parte di un’eredità classica. Essa, per Dante, più si accosta alla lingua latina ed allo sviluppo cristiano di una cultura che tocca i vertici di una Sapienza divina, vale a dire sovraumana; per Manzoni, invece, è trasferita su di un piano storico che vede il diversificarsi delle lingue e delle letterature europee. Circa la preparazione culturale dantesca è stato originalmente, ma con molta profondità, osservato: “Scolastico in quanto devoto a San Tomaso e ostentator di scienza sulla dominata tastiera del trivio e del quadrivio, Dante rimase anche nel Convivio e nella Divina Commedia”.1 1 G. Toffanin, Storia dell’Umanesimo, vol. II – L’umanesimo italiano – Bologna, 1964, p. 73. p. 2
Congresso Tomista Internazionale E’ in realtà la constatazione che l’umanesimo cristiano di Dante prende le mosse dalla grande capacità di indagare sulla ricerca umana e sulla sapienza divina da parte del Santo d’Aquino. E’ proprio questa la perenne caratteristica di una dottrina morale che non si stacca dall’equilibrata tensione tra ragione e fede. Essa fu, in fondo, nelle visioni ultraterrene di Dante che parte da una concezione umana per giungere al Soprannaturale, per far sublimare l’amore del Dolce Stil Nuovo in contemplazione della Bellezza di Dio. Assume, in tal senso, supremo significato la Rosa mistica che è l’omaggio più grande alla Vergine e Sposa Madre e Figlia di Dio.2 E’ atteggiamento culturale, senza il quale non si potrebbe comprendere nemmeno l’esigenza di sapienza che il poeta fiorentino esprime nella sua opera Il Convivio. Pensando ad un umanesimo soltanto espresso dagli antichi sapienti e da quello in lingua latina,3 parrebbe strana l’esigenza culturale che ha Dante di rivolgersi in lingua volgare agli uomini colti del suo tempo per offrire loro un convito di scienza che prende le mosse dai Padri della Chiesa e, soprattutto, dal Santo d’Aquino. Ed, al proposito, è importante ancora riferirsi ad un profondo pensiero su di un’epoca che si tende a non bene chiarire nel suo vero significato. E’ stato scritto: “Tutta la letteratura patristica ammette un’armonia occulta tra la verità consegnata da Dio alla Bibbia e quella consegnata alla Sapienza tra le Sibille e i Profeti. Per Dante la missione della seconda è consacrata nel De Consolatione philosophiae di Boezio e l’assume, nella Divina Commedia, Virgilio. Sotto pretesto di consolazione non aveva Boezio a Dante insegnato, auspici la virtù cardinale e massima la Giustizia, la perpetuale infamia del suo esilio, mostrando quello essere ingiusto? Non arriva a questo punto stesso Virgilio? E forse che nel De Consolatione si parla del Dio cattolico meno che nel Convivio? E non è un’ispirata esaltazione delle virtù (segnatamente la Giustizia), a cui basta la Sapienza, ancella della fede, il significato allegorico della canzone Tre donne intorno al cor mi son venute ?”.4 In fondo è proprio dal Convivio che si muove una concezione tale da trovare, cinque secoli dopo, in un altro umanesimo cristiano, quello di Manzoni, rispondenza. Il poeta lombardo s’interessò al grande Fiorentino non soltanto per esigenze linguistiche, quelle espresse nelle Lettera intorno al libro De vulgari 2 La visione mistica di Dante (dal canto XXX al XXXIII del Paradiso) parte dallo stesso umanesimo cristiano che ispira a Manzoni l’Inno Sacro Il Nome di Maria , attraverso però una visione che ne rafforza il significato sociale. 3 E’ fondamentale, al proposito, il riferimento al canto IV dell’Inferno nonché al concetto dantesco di plenitudo temporum, visibile anche nella rappresentazione di Virgilio. 4 G. Toffanin, op. cit., vol. II, p. 75. p. 3
T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni Eloquio,5 ma perché ne sentì la profonda forza concettuale ed umana. Anzi è proprio da un’esigenza letterario-linguistica che nasce la possibilità di superare i secoli per vedere la comune origine laico-cristiana dell’umanesimo dei due sommi pensatori-poeti. La visione storica dei due poeti Dante Alighieri ebbe, malgrado si possa delimitare in ambito nazionalistico la sua visione politica, una fortissima esigenza di una più vasta unione di popoli; ad Alessandro Manzoni, in genere si attribuiscono concezioni politiche che si limiterebbero alle risorgimentali aspirazioni dell’Italia. Ma è nel rispetto della gradualità dei problemi culturali e scientifici che si deve vedere la capacità dei due sommi pensatori-poeti di porsi al di sopra di qualsiasi particolarismo. Dante vede la possibilità che, politicamente, si raggiunga per il benessere dei popoli un’universalità d’intenti che tenga conto di una sistemazione storica e sociale. Essa tuttavia aveva delle limitazioni di carattere epocale, perché non poteva ancora tener conto di radicali mutamenti, dovuti anche specificatamente, alle scoperte di nuove terre e soprattutto alla diffusione della stampa. Alessandro Manzoni, invece, si poneva in un’epoca, quella ottocentesca, che aveva già vissuto esperienze come il Rinascimento, il Barocco, l’Illuminismo e soprattutto le scosse sociali della Rivoluzione francese. Ma è sintomatico che egli si rifaccia culturalmente nel momento più impegnato del suo entusiasmo storico e civile a due fatti essenziali nello sviluppo della civiltà occidentale. S’intende riferirsi all’Umanesimo carolingio6 l’epoca alla quale prelude la trama della sua seconda opera tragica L’Adelchi; ed all’inizio di un umanesimo quattrocentesco, l’epoca nella quale sono introdotte le vicende del Conte di Carmagnola. Nel primo caso può essere evidente il riferimento ad una cultura cristiana che pose fine ad un’ignoranza da parte di popoli conquistatori e conquistati; nel secondo caso si evince il riferimento alla scoperta dei codici degli antichi scrittori classici. Essa dava lo spunto per allargare gli orizzonti di una cultura che, pur nella temperie storica delle Signorie, e, quindi, del tramonto delle libertà comunali, cercava di valutare la potenza dell’ingegno umano. Ma l’umanesimo quattrocentesco deve l’esistenza al prezioso dono 5 Dante annunciò la sua opera linguistica nel Convivio al capitolo V del trattato I. 6 Al proposito è stato giustamente scritto: “Molti dei codici, che l’autentico mondo laico di sei secoli dopo cercherà di ritogliere ai monasteri erano stati preparati […] negli scriptoria per il meteorico mondo laico di allora.” – G. Toffanin, op. cit., vol. I, p. 24. p. 4
Congresso Tomista Internazionale degli amanuensi, specialmente monaci, che nelle biblioteche dei conventi avevano serbato gli scritti degli antichi. E non sembra inopportuno qui il richiamo a Francesco Petrarca che, quando Dante moriva nel 1321, aveva già cominciato la sua opera d’iniziatore dell’Umanesimo che è uno dei suoi meriti più grandi. Padre dell’Umanesimo può veramente definirsi il grande Aretino che contemperò una visione nuova della realtà con una capacità di comprendere la grande funzione umana del Cristianesimo. Vero è che gli anni in cui la sua opera si svolse vedevano una crisi d’universalismo che si concluse soltanto dopo la sua morte. Lo stesso Dante non era stato insensibile a quella crisi, convinto che la funzione di Roma, madre di civiltà, doveva perpetuarsi attraverso vie che erano volute sovrumanamente.7 Dopo la fine del 1300 l’universalismo prende forma, ancora una volta, nell’umanesimo cristiano e, se talvolta le vie sono diverse, ci vorrà un secolo perché ritorni potente quel bisogno di dare alla funzione della seconda grande missione di Roma la prerogativa di stabilizzarsi in forme più consone al tempo. Niccolò Copernico dava, proprio in base a tale mentalità, il più grande impulso all’umanesimo cristiano. E si sentiva l’eco dei toni profetici danteschi, mentre il grande figlio dell’Umanesimo, il Rinascimento dava, con il ritorno di spiritualità sotto nuove forme, la misura di quanto fosse valido il messaggio cristiano. Esso agiva, per dirla metaforicamente, non più su plebi esterrefatte e timide, ma su di un’umanità cosciente che nel turbine dell’umana debolezza non è possibile vivere senza Dio. Il Rinascimento vive come grande contributo occidentale al cammino della civiltà e, malgrado tutto, la potenza dell’arte che si afferma con Michelangelo Buonarroti è stimolo per quanto avverrà nei secoli futuri sino all’inizio dell’Ottocento. Il secolo si presentava erede di una tormentata vicenda storica come la rivoluzione francese; Alessandro Manzoni con la sua arte è l’esempio più alto che non è possibile giungere alla serenità dello spirito senza una lotta che porta alla vittoria, attraverso il sacrificio. Ed ecco sorgere dalla sua genialità di pensatore il nuovo poema della civiltà posteriore alla rivoluzione francese, i Promessi Sposi che, dopo la Commedia di Dante rappresentano il frutto di un umanesimo cristiano che si stempera nei suoi profondi significati di realismo storico. Manzoni nella sua forte, sofferta concezione del significato civile della vera arte, ritorna a Dante. Il pensatore-poeta milanese è vicino al grande Fiorentino non soltanto per gli appariscenti motivi linguistici. Vengono essi immessi in una comunanza di visioni umanistiche che superano il 7Si pensi al canto VI del Purgatorio e alle posizioni latenti in Dante nei confronti di una Roma privata del suo Pontefice. p. 5
T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni particolarismo per giungere ad una concezione della vita e della storia. Basti pensare al fatto che dalla problematica linguistica Manzoni trae motivo per una riflessione sull’importanza e sul vero significato della concezione classicistica. Il graduale avvicinamento manzoniano ai temi del Romanticismo non è rifiuto di quell’umanesimo che porta a valutare il mondo classico della fantasia attraverso il mito. Ma il mito non può più avere un vero significato umano e sociale; non è possibile per Manzoni che una civiltà che ha alla base il Cristianesimo faccia di orpelli formali la sostanza di quella opera di perfezionamento civile alla quale è chiamata la letteratura.8 Pertanto il rifiuto letterario della mitologia si accompagna in Manzoni a profonde riflessioni umanistiche in cui vive la sofferta e lunga genesi dei Promessi Sposi proprio perché nel romanzo agisce l’attivo ricordo delle problematiche dantesche. D’altra parte il romanzo potrebbe apparire come una grande galleria di personaggi che svuoterebbe, però, il contenuto essenziale di una concezione che non limitava all’ironia soltanto la visione, nell’umanità, di vizi e di virtù.9 E’ un’umanità, quella, solo per fare un esempio, di don Abbondio, semplice, egoista, forse, ma vera che si esplica attraverso il romanzo perché la storia dell’umanità è nelle grandi e nelle piccole cose, dinamica che porta anche al perfezionamento di se stessi e degli altri. E’ questa la grande problematica del romanzo manzoniano, tanto che il poeta-pensatore, dal momento che iniziò a perfezionare la trama e la struttura linguistica, dimenticò di essere poeta, non scrisse più versi ma decise di approfondire, certamente in ambiente storico- sociale diverso, una grande esigenza artistica che fu anche quella di Dante Alighieri. Anche per il grande Fiorentino trovarono, in tale problematica, significato tappe importanti della sua arte e della sua vita. Si tratta soprattutto di quelle coincidenti con il 1305 (anno in cui iniziò la cattività avignonese e divenne definitivo l’esilio dantesco) e con il 1315, anno in cui il rifiuto di 8 L’uso della mitologia, ritenuto quasi indispensabile per la poesia, è visto da Manzoni come idolatria (cfr. Lettera a Cesare Taparelli d’Azeglio sul Romanticismo). Al proposito nel vol. I degli Atti del Convegno Interna zionale tenutosi a Bergamo dal 4 al 9 settembre 1980 cfr. la Sez. VII, in part. pp. 738-746, ed. Borla, Roma, 1984. 9 Bisogna riconoscere che fu proprio del primo grande estimatore dei Promessi Sposi, Francesco De Sanctis, la prerogativa di aver fatto del grande romanzo manzoniano soprattutto una galleria di personaggi simpatici o antipatici, a prescindere dal grande significato morale, storico e linguistico (si ricordino le sue appassionate lezioni svizzere su Manzoni). Tuttavia lo stesso critico sentì il peso di una valutazione troppo particolaristica ed incompleta di un grande pensatore-poeta, come Manzoni. Nelle poche pagine che nella sua Storia della Letteratura Italiana dedicò al grande Lombardo, scrisse: “Manzoni ricostruiva l’ideale del paradiso cristiano e lo riconciliava con lo spirito moderno. La mitologia se ne va; il secolo decimottavo è rinnegato e restano le sue idee” cfr. F. De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana , vol. II, Milano, 1962, p. 483. p. 6
Congresso Tomista Internazionale ritornare a Firenze, abbassando la sua dignità di uomo giusto, stabilì una condanna che, nei secoli avrebbe cementata la grandezza del suo umanesimo cristiano. Rispettando la diversa fisionomia storiografica ciò avvenne anche per Manzoni. Il suo umanesimo cristiano, al di là di remore etimologiche, si matura attraverso una visione meditata della storia e del significato che essa assume nel tormentato cammino degli eventi umani. Manzoni non si pone ai lati delle questioni che affronta; il suo atteggiamento è sempre centrale ed, in tale modo, la sua riflessione culturale trova i momenti più alti della genialità. Si è accennato, ad esempio, al suo interesse per il dramma storico; è un interesse che europeizza la sua posizione rispetto ad un umanesimo che nasce dalle vicende che caratterizzano il cammino dell’umanità. Tale problematica è nella trama che egli, artisticamente, fa vivere a due personaggi, come già su si è accennato, così diversi, come il Conte di Carmagnola e Adelchi.10 E’, tuttavia, un processo di avvicinamento sempre più rapido ai grandi temi umani del Romanticismo non solo come corrente letteraria, ma anche concezione europea ed introspezione nei problemi della storia. E’ qui, a prescindere dalle correnti, il vero grande umanesimo manzoniano. Il poeta lombardo lo giustifica, d’altronde, in alcuni scritti11 che precedono, autorevolmente, quell’anno in cui si matura la sua convinzione che ormai la sua arte debba volgersi ad un’indagine la più profondamente umana delle vicende tragiche e comuni della storia. Esse sono la misura di un’umanità che, nel complesso, è tutta soggetta alle medesime leggi d’amore e odio, di decadenza morale e di conquista di una nobiltà morale, che è conquista dello spirito. E’ un cammino nel quale l’umanesimo di Manzoni incontra il perenne significato di un Cristianesimo che vive nella società umana, perché si basa su valori non transeunti. Ormai la forza delle visioni manzoniane aveva offerto alla civiltà poesie non caduche, come gli Inni Sacri e un’altissima convinzione del Mistero nello svolgimento della storia umana. Quest’ultima convinzione è 10 Le Prefazioni alle due tragedie chiariscono molto bene le esigenze storiche che muovevano l’indagine manzoniana la quale superava, in un certo senso, la pietà cristiana per i due personaggi-protagonisti. 11 Si pensi, per citare solo importanti esempi, alla Lettera allo Chauvet sur l’unité de tempe e de lieu dans la tragedie; alla Lettera Cesare Taparelli d’Azeglio- Sul romanzo storico ed in genere ai componimenti misti di storia e d’invenzione; ma soprattutto alle Osservazioni sulla morale cattolica scritte in risposta al capitolo CXXVII della Storia delle Repubbliche italiane del Sismondi in cui veniva contestato il valore morale e storico del Cristianesimo. L’opera che Manzoni scrisse tra il 1818 e il 1819 sarà ripresa più tardi, dopo la definitiva edizioni dei Promessi Sposi, attraverso l’Appendice al capitolo III - Del sistema che fonda la morale sull’utilità. p. 7
T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni visibile, ad esempio, nella composizione Il cinque maggio. Ma già l’Inno Sacro La Pentecoste aveva mostrato come la visione umana di Manzoni veniva sublimata in una concezione della storia. Essa temperava, com’era accaduto per Dante un umanesimo cristiano con un profondo senso della realtà. La sfida per il terzo Millennio E’ proprio in base ai concetti esposti che si può pensare come in Dante ed in Manzoni sia latente, per la genialità delle loro intuizioni artistiche ed umane, una problematica che soltanto il tempo della storia riesce ad affrontare. E’ la problematica di un cammino che cerca sempre le vie di un perfezionamento che è alla base della civiltà dei popoli. Pertanto è da valutare proprio oggi, a distanza di secoli, la ragionevolezza di quanto i due sommi pensatori-poeti espressero. Si tratta d’idee che sono il fulcro di una cultura che deve ricercare i valori di una civiltà che non distrugga l’umanità nella sua essenza razionale ed intellettiva. La grande arte, di cui la letteratura è una parte essenziale, intuisce la realtà; perciò supera ogni tempo. Sarebbe cosa veramente terribile per l’umanità se essa si sperdesse in una tecnica che confonde la vera capacità della scienza di porre l’uomo al di sopra di puri e semplici rappresentanti del regno animale. Perciò all’inizio del terzo Millennio, allorquando sembra che l’umanità abbia raggiunto con la tecnica un potere grandissimo, tale da dominare questo mondo, che pure è una parte minima dell’Universo, è necessario che si faccia particolare attenzione alle voci più alte nel raggiungimento graduale di un umano perfezionamento. Fra queste voci vi sono quelle di Dante e Manzoni. E quale è la sfida che essi offrono ad una tecnica che sempre più cerca di imporsi, con il pretesto di essere l’espressione migliore della scienza? E’ quella di evitare i deleteri effetti dell’egoismo che porta con sé l’alterigia e la retriva rinuncia ai valori dello spirito. Sono valori che hanno bisogno, però, di un attento esame da parte di coloro che si assumono, volta per volta, la responsabilità di reggere i destini umani della storia.12 Non v’è civiltà senza l’appiglio a qualcosa che ci eleva; come non vi è scienza vera senza porre un limite morale alla potenza finora raggiunta dalla tecnica. Perciò appare quanto mai opportuno oggi rifarsi a ciò che espressero pensatori-poeti sommi come Dante e Manzoni. E, per andare al fondamento 12 Al proposito è bene rileggere attentamente il tanto discusso Monarchia di Dante, per vedere come si sia esagerato, per motivi politici, gli intenti del grande Fiorentino. In verità essi vogliono soprattutto mostrare come sia l’autorità civile che quella religiosa sono necessarie per il benessere dei popoli. E’ la concezione del parallelismo dei poteri. Per il rispetto dovuto all’autorità religiosa cfr. Purgatorio, canto XX, vv. 85-92. p. 8
Congresso Tomista Internazionale della loro importanza nel terzo Millennio, basti pensare al rispetto che essi ebbero per la libertà umana e sociale.13 Ma il concetto di libertà è connesso a quello più profondo e talora misterioso di giustizia (per Dante si pensi a personaggi della Commedia ove è riflesso il senso della misericordia divina; per Manzoni si pensi al suo Napoleone che muore alla luce di una riflessione più alta. Così come Dante medita sulla giustizia talora con riflessioni più alte che vanno oltre la poesia della Commedia (si pensi al Convivio e al Monarchia), Manzoni soprattutto nell’Appendice al III capitolo della Morale cattolica dà una risposta chiara ad una problematica che, necessariamente, è affrontata con una visione più consona ai tempi. Si tratta del rapporto tra giustizia ed utilità. Per Manzoni non è giusto ciò che è utile ma è utile ciò che è giusto. In questa concezione vive l’umanesimo cristiano dei due sommi poeti- pensatori ed aleggia il pensiero di grandi filosofi come San Tommaso d’Aquino. Ma né Dante, né Manzoni ebbero la pretesa di essere teologi. Essi vollero rimanere pensatori laici, rispettosi dei due poteri, quello religioso e quello civile, che devono essere alla base del benessere dei popoli. In quest’ultima riflessione è certamente la sfida per il terzo Millennio; è nell’augurio che si formi una vera cultura laica che rispetti i valori etici e permetta all’umanità di essere degna delle sue caratteristiche razionali ed intellettive. 13 Per citare solo esempi si tenga conto di ciò che Dante fa dire a Marco Lombardo nel XVI, canto del Purgatorio, in particolare ai vv. 67-95; e in ciò che Manzoni esprime negli stupendi versi della Pentecoste, in particolare dal v. 71 alla fine. Per quanto riguarda poi il Monarchia dantesco una più serena valutazione ci farà vedere, come già si è notato, che esso è frutto di una concezione etica che considera la necessità non di un assolutismo politico ma la teorizzazione di forme di governo che siano l’insieme di forze tali da rispettare quella plenitudo temporum che Iddio volle rappresentare nell’impero di Roma. Tali forze hanno proprio in virtù del Cristianesimo come base la giustizia sociale e il benessere dei popoli. p. 9
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