L'umanesimo cristiano di Dante e di Manzoni: Una sfida per il terzo millennio

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CONGRESSO TOMISTA INTERNAZIONALE
                  L’UMANESIMO CRISTIANO NEL III MILLENNIO:
                     PROSPETTIVA DI TOMMASO D’AQUINO
                         ROMA, 21-25 settembre 2003
   Pontificia Accademia di San Tommaso   –   Società Internazionale Tommaso d’Aquino

           L’umanesimo cristiano di
              Dante e di Manzoni:
         Una sfida per il terzo millennio

                                                 Prof. Emeritus Tobia D’Onofrio
                                                    Università di Cassino (Italia)

La posizione umanistica di Dante e di Manzoni nei confronti del messaggio
cristiano

        Oltre cinque secoli di storia separano Dante Alighieri e Alessandro
Manzoni, ma la perennità delle loro figure culturali e l’importanza del loro
pensiero nel cammino dell’umana civiltà è garanzia per il superamento di
remore etimologiche che potrebbero confondere un’analisi che parte da una
verità incontestabile: la presenza da due millenni del Cristianesimo che è
messaggio umano di amore, ma anche progressivo approfondimento di cultura.
Certamente gli aspetti teologici della fede rimangono saldi di fronte a principi
transeunti e, nella loro misteriosa potenza, non vengono scalfiti da chi,
intellettualmente, vuol rimanere soltanto nella tragica constatazione di una
realtà che ritiene soltanto umana. Ma è proprio per questo che nel riferirsi alle
vicende della vita e dell’arte di sommi, oltre che poeti, pensatori, come Dante e
Manzoni, è bene precisare il valore dell’umanesimo nei riguardi della loro
concezione di una cultura ed in particolare di una letteratura che, certo, affronta
il cammino dei secoli.

        E’ pertanto opportuno riferirsi all’umanesimo come fatto culturale, nello
sviluppo dell’umana civiltà, tale da mettere in luce l’importanza del concetto di
Litterae humanae. In genere esse vengono contrapposte ad un tipo di cultura che
ha radici nelle graduali posizioni assunte dalla fede in Dio ed, in modo
specifico, nel Dio cristiano. Ma la visione, in tal senso, rimane tuttavia,

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T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni

nell’ambito di un tradizionalismo religioso che non tien conto, spesso, del
cammino civile dei popoli. Sono esenti da tale posizione pensatori-poeti sommi,
come Dante e Manzoni. C’è un incontro di posizioni in questi due Grandi ed,
anche se potrebbe apparire frutto di retorica, c’è sempre la possibilità di evitare
scontri che, da un punto di vista di vera cultura non hanno alcun senso.

        Ciò avviene in nome della facoltà suprema dell’uomo che è l’intelletto.
Esso lo distingue da qualsiasi altro essere che fa parte del regno animale.
L’uomo, con l’attività intellettiva si collega direttamente a Dio. Anche se ciò
potrebbe apparire ovvio, questo processo è l’unico che rende degno l’essere
umano di partecipare alla dinamica della civiltà che è anche, in ultima analisi,
dinamica di perfezionamento morale. Pertanto coloro che superano limitate
concezioni si posizionano sul piano di una genialità che supera qualsiasi tempo
in nome di una sapienza che è diretta espressione del Creatore dell’Universo.
Proprio per questo Dante e Manzoni pongono la loro concezione umana sul
piano di un rispetto essenziale della divina potenza. Ciò avviene, soprattutto,
nell’ambito di una specifica caratteristica di due grandi artisti che, pur essendo
lontani nel tempo, assumono identica posizione intellettuale rispetto ad una
cultura derivante dall’uomo stesso (Litterae humanae) che, tuttavia non si
giustificherebbe senza l’appiglio alla visione intellettualistica di una sapienza
che è fonte stessa del pensiero (Litterae divinae). Bisogna certamente considerare
che la specifica caratteristica, sia di Dante che di Manzoni, è quella letteraria.
Proprio per questo ambedue si pongono in un atteggiamento umano e artistico
che è frutto di una convinzione raggiunta con estrema sensibilità culturale nel
rispetto di verità assolute, come quelle cristiane.

        In questa posizione è possibile vedere con caratteristiche comuni
l’umanesimo dantesco e quello manzoniano. E’ soltanto remora transeunte
quella di attribuire a tale umanesimo una limitazione di tempo e di espressione,
perché le convinzioni dei due poeti partono da una sofferta conquista di verità
umane che, intellettualmente fanno parte di un’eredità classica. Essa, per Dante,
più si accosta alla lingua latina ed allo sviluppo cristiano di una cultura che
tocca i vertici di una Sapienza divina, vale a dire sovraumana; per Manzoni,
invece, è trasferita su di un piano storico che vede il diversificarsi delle lingue e
delle letterature europee.

       Circa la preparazione culturale dantesca è stato originalmente, ma con
molta profondità, osservato: “Scolastico in quanto devoto a San Tomaso e
ostentator di scienza sulla dominata tastiera del trivio e del quadrivio, Dante
rimase anche nel Convivio e nella Divina Commedia”.1

  1   G. Toffanin, Storia dell’Umanesimo, vol. II – L’umanesimo italiano – Bologna, 1964, p.
73.

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       E’ in realtà la constatazione che l’umanesimo cristiano di Dante prende le
mosse dalla grande capacità di indagare sulla ricerca umana e sulla sapienza
divina da parte del Santo d’Aquino. E’ proprio questa la perenne caratteristica
di una dottrina morale che non si stacca dall’equilibrata tensione tra ragione e
fede. Essa fu, in fondo, nelle visioni ultraterrene di Dante che parte da una
concezione umana per giungere al Soprannaturale, per far sublimare l’amore
del Dolce Stil Nuovo in contemplazione della Bellezza di Dio. Assume, in tal
senso, supremo significato la Rosa mistica che è l’omaggio più grande alla
Vergine e Sposa Madre e Figlia di Dio.2

        E’ atteggiamento culturale, senza il quale non si potrebbe comprendere
nemmeno l’esigenza di sapienza che il poeta fiorentino esprime nella sua opera
Il Convivio. Pensando ad un umanesimo soltanto espresso dagli antichi sapienti
e da quello in lingua latina,3 parrebbe strana l’esigenza culturale che ha Dante
di rivolgersi in lingua volgare agli uomini colti del suo tempo per offrire loro un
convito di scienza che prende le mosse dai Padri della Chiesa e, soprattutto, dal
Santo d’Aquino. Ed, al proposito, è importante ancora riferirsi ad un profondo
pensiero su di un’epoca che si tende a non bene chiarire nel suo vero significato.
E’ stato scritto:

       “Tutta la letteratura patristica ammette un’armonia occulta tra la verità consegnata da
       Dio alla Bibbia e quella consegnata alla Sapienza tra le Sibille e i Profeti. Per Dante la
       missione della seconda è consacrata nel De Consolatione philosophiae di Boezio e
       l’assume, nella Divina Commedia, Virgilio. Sotto pretesto di consolazione non aveva
       Boezio a Dante insegnato, auspici la virtù cardinale e massima la Giustizia, la perpetuale
       infamia del suo esilio, mostrando quello essere ingiusto? Non arriva a questo punto stesso
       Virgilio? E forse che nel De Consolatione si parla del Dio cattolico meno che nel Convivio?
       E non è un’ispirata esaltazione delle virtù (segnatamente la Giustizia), a cui basta la
       Sapienza, ancella della fede, il significato allegorico della canzone Tre donne intorno al
       cor mi son venute ?”.4

       In fondo è proprio dal Convivio che si muove una concezione tale da
trovare, cinque secoli dopo, in un altro umanesimo cristiano, quello di Manzoni,
rispondenza. Il poeta lombardo s’interessò al grande Fiorentino non soltanto
per esigenze linguistiche, quelle espresse nelle Lettera intorno al libro De vulgari

  2 La visione mistica di Dante (dal canto XXX al XXXIII del Paradiso) parte dallo stesso
umanesimo cristiano che ispira a Manzoni l’Inno Sacro Il Nome di Maria , attraverso
però una visione che ne rafforza il significato sociale.
  3 E’ fondamentale, al proposito, il riferimento al canto IV dell’Inferno nonché al

concetto dantesco di plenitudo temporum, visibile anche nella rappresentazione di
Virgilio.
  4 G. Toffanin, op. cit., vol. II, p. 75.

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T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni

Eloquio,5 ma perché ne sentì la profonda forza concettuale ed umana. Anzi è
proprio da un’esigenza letterario-linguistica che nasce la possibilità di superare
i secoli per vedere la comune origine laico-cristiana dell’umanesimo dei due
sommi pensatori-poeti.

La visione storica dei due poeti

        Dante Alighieri ebbe, malgrado si possa delimitare in ambito
nazionalistico la sua visione politica, una fortissima esigenza di una più vasta
unione di popoli; ad Alessandro Manzoni, in genere si attribuiscono concezioni
politiche che si limiterebbero alle risorgimentali aspirazioni dell’Italia. Ma è nel
rispetto della gradualità dei problemi culturali e scientifici che si deve vedere la
capacità dei due sommi pensatori-poeti di porsi al di sopra di qualsiasi
particolarismo.

        Dante vede la possibilità che, politicamente, si raggiunga per il benessere
dei popoli un’universalità d’intenti che tenga conto di una sistemazione storica
e sociale. Essa tuttavia aveva delle limitazioni di carattere epocale, perché non
poteva ancora tener conto di radicali mutamenti, dovuti anche
specificatamente, alle scoperte di nuove terre e soprattutto alla diffusione della
stampa.

        Alessandro Manzoni, invece, si poneva in un’epoca, quella ottocentesca,
che aveva già vissuto esperienze come il Rinascimento, il Barocco, l’Illuminismo e
soprattutto le scosse sociali della Rivoluzione francese. Ma è sintomatico che
egli si rifaccia culturalmente nel momento più impegnato del suo entusiasmo
storico e civile a due fatti essenziali nello sviluppo della civiltà occidentale.
S’intende riferirsi all’Umanesimo carolingio6 l’epoca alla quale prelude la trama
della sua seconda opera tragica L’Adelchi; ed all’inizio di un umanesimo
quattrocentesco, l’epoca nella quale sono introdotte le vicende del Conte di
Carmagnola. Nel primo caso può essere evidente il riferimento ad una cultura
cristiana che pose fine ad un’ignoranza da parte di popoli conquistatori e
conquistati; nel secondo caso si evince il riferimento alla scoperta dei codici
degli antichi scrittori classici. Essa dava lo spunto per allargare gli orizzonti di
una cultura che, pur nella temperie storica delle Signorie, e, quindi, del
tramonto delle libertà comunali, cercava di valutare la potenza dell’ingegno
umano. Ma l’umanesimo quattrocentesco deve l’esistenza al prezioso dono

  5 Dante annunciò la sua opera linguistica nel Convivio al capitolo V del trattato I.
  6 Al proposito è stato giustamente scritto: “Molti dei codici, che l’autentico mondo
laico di sei secoli dopo cercherà di ritogliere ai monasteri erano stati preparati […] negli
scriptoria per il meteorico mondo laico di allora.” – G. Toffanin, op. cit., vol. I, p. 24.

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degli amanuensi, specialmente monaci, che nelle biblioteche dei conventi
avevano serbato gli scritti degli antichi. E non sembra inopportuno qui il
richiamo a Francesco Petrarca che, quando Dante moriva nel 1321, aveva già
cominciato la sua opera d’iniziatore dell’Umanesimo che è uno dei suoi meriti
più grandi.

       Padre dell’Umanesimo può veramente definirsi il grande Aretino che
contemperò una visione nuova della realtà con una capacità di comprendere la
grande funzione umana del Cristianesimo. Vero è che gli anni in cui la sua
opera si svolse vedevano una crisi d’universalismo che si concluse soltanto
dopo la sua morte. Lo stesso Dante non era stato insensibile a quella crisi,
convinto che la funzione di Roma, madre di civiltà, doveva perpetuarsi
attraverso vie che erano volute sovrumanamente.7

       Dopo la fine del 1300 l’universalismo prende forma, ancora una volta,
nell’umanesimo cristiano e, se talvolta le vie sono diverse, ci vorrà un secolo
perché ritorni potente quel bisogno di dare alla funzione della seconda grande
missione di Roma la prerogativa di stabilizzarsi in forme più consone al tempo.
Niccolò Copernico dava, proprio in base a tale mentalità, il più grande impulso
all’umanesimo cristiano. E si sentiva l’eco dei toni profetici danteschi, mentre il
grande figlio dell’Umanesimo, il Rinascimento dava, con il ritorno di spiritualità
sotto nuove forme, la misura di quanto fosse valido il messaggio cristiano. Esso
agiva, per dirla metaforicamente, non più su plebi esterrefatte e timide, ma su
di un’umanità cosciente che nel turbine dell’umana debolezza non è possibile
vivere senza Dio.

        Il Rinascimento vive come grande contributo occidentale al cammino della
civiltà e, malgrado tutto, la potenza dell’arte che si afferma con Michelangelo
Buonarroti è stimolo per quanto avverrà nei secoli futuri sino all’inizio
dell’Ottocento. Il secolo si presentava erede di una tormentata vicenda storica
come la rivoluzione francese; Alessandro Manzoni con la sua arte è l’esempio
più alto che non è possibile giungere alla serenità dello spirito senza una lotta
che porta alla vittoria, attraverso il sacrificio. Ed ecco sorgere dalla sua genialità
di pensatore il nuovo poema della civiltà posteriore alla rivoluzione francese, i
Promessi Sposi che, dopo la Commedia di Dante rappresentano il frutto di un
umanesimo cristiano che si stempera nei suoi profondi significati di realismo
storico. Manzoni nella sua forte, sofferta concezione del significato civile della
vera arte, ritorna a Dante. Il pensatore-poeta milanese è vicino al grande
Fiorentino non soltanto per gli appariscenti motivi linguistici. Vengono essi
immessi in una comunanza di visioni umanistiche che superano il

  7Si pensi al canto VI del Purgatorio e alle posizioni latenti in Dante nei confronti di
una Roma privata del suo Pontefice.

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T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni

particolarismo per giungere ad una concezione della vita e della storia. Basti
pensare al fatto che dalla problematica linguistica Manzoni trae motivo per una
riflessione sull’importanza e sul vero significato della concezione classicistica. Il
graduale avvicinamento manzoniano ai temi del Romanticismo non è rifiuto di
quell’umanesimo che porta a valutare il mondo classico della fantasia attraverso
il mito. Ma il mito non può più avere un vero significato umano e sociale; non è
possibile per Manzoni che una civiltà che ha alla base il Cristianesimo faccia di
orpelli formali la sostanza di quella opera di perfezionamento civile alla quale è
chiamata la letteratura.8 Pertanto il rifiuto letterario della mitologia si
accompagna in Manzoni a profonde riflessioni umanistiche in cui vive la
sofferta e lunga genesi dei Promessi Sposi proprio perché nel romanzo agisce
l’attivo ricordo delle problematiche dantesche.

       D’altra parte il romanzo potrebbe apparire come una grande galleria di
personaggi che svuoterebbe, però, il contenuto essenziale di una concezione che
non limitava all’ironia soltanto la visione, nell’umanità, di vizi e di virtù.9

        E’ un’umanità, quella, solo per fare un esempio, di don Abbondio,
semplice, egoista, forse, ma vera che si esplica attraverso il romanzo perché la
storia dell’umanità è nelle grandi e nelle piccole cose, dinamica che porta anche
al perfezionamento di se stessi e degli altri. E’ questa la grande problematica del
romanzo manzoniano, tanto che il poeta-pensatore, dal momento che iniziò a
perfezionare la trama e la struttura linguistica, dimenticò di essere poeta, non
scrisse più versi ma decise di approfondire, certamente in ambiente storico-
sociale diverso, una grande esigenza artistica che fu anche quella di Dante
Alighieri. Anche per il grande Fiorentino trovarono, in tale problematica,
significato tappe importanti della sua arte e della sua vita. Si tratta soprattutto
di quelle coincidenti con il 1305 (anno in cui iniziò la cattività avignonese e
divenne definitivo l’esilio dantesco) e con il 1315, anno in cui il rifiuto di

  8  L’uso della mitologia, ritenuto quasi indispensabile per la poesia, è visto da
Manzoni come idolatria (cfr. Lettera a Cesare Taparelli d’Azeglio sul Romanticismo). Al
proposito nel vol. I degli Atti del Convegno Interna zionale tenutosi a Bergamo dal 4 al 9
settembre 1980 cfr. la Sez. VII, in part. pp. 738-746, ed. Borla, Roma, 1984.
   9 Bisogna riconoscere che fu proprio del primo grande estimatore dei Promessi Sposi,

Francesco De Sanctis, la prerogativa di aver fatto del grande romanzo manzoniano
soprattutto una galleria di personaggi simpatici o antipatici, a prescindere dal grande
significato morale, storico e linguistico (si ricordino le sue appassionate lezioni svizzere
su Manzoni). Tuttavia lo stesso critico sentì il peso di una valutazione troppo
particolaristica ed incompleta di un grande pensatore-poeta, come Manzoni. Nelle
poche pagine che nella sua Storia della Letteratura Italiana dedicò al grande Lombardo,
scrisse: “Manzoni ricostruiva l’ideale del paradiso cristiano e lo riconciliava con lo
spirito moderno. La mitologia se ne va; il secolo decimottavo è rinnegato e restano le
sue idee” cfr. F. De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana , vol. II, Milano, 1962, p. 483.

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ritornare a Firenze, abbassando la sua dignità di uomo giusto, stabilì una
condanna che, nei secoli avrebbe cementata la grandezza del suo umanesimo
cristiano.

         Rispettando la diversa fisionomia storiografica ciò avvenne anche per
Manzoni. Il suo umanesimo cristiano, al di là di remore etimologiche, si matura
attraverso una visione meditata della storia e del significato che essa assume nel
tormentato cammino degli eventi umani. Manzoni non si pone ai lati delle
questioni che affronta; il suo atteggiamento è sempre centrale ed, in tale modo,
la sua riflessione culturale trova i momenti più alti della genialità. Si è
accennato, ad esempio, al suo interesse per il dramma storico; è un interesse che
europeizza la sua posizione rispetto ad un umanesimo che nasce dalle vicende
che caratterizzano il cammino dell’umanità. Tale problematica è nella trama che
egli, artisticamente, fa vivere a due personaggi, come già su si è accennato, così
diversi, come il Conte di Carmagnola e Adelchi.10 E’, tuttavia, un processo di
avvicinamento sempre più rapido ai grandi temi umani del Romanticismo non
solo come corrente letteraria, ma anche concezione europea ed introspezione
nei problemi della storia. E’ qui, a prescindere dalle correnti, il vero grande
umanesimo manzoniano. Il poeta lombardo lo giustifica, d’altronde, in alcuni
scritti11 che precedono, autorevolmente, quell’anno in cui si matura la sua
convinzione che ormai la sua arte debba volgersi ad un’indagine la più
profondamente umana delle vicende tragiche e comuni della storia. Esse sono la
misura di un’umanità che, nel complesso, è tutta soggetta alle medesime leggi
d’amore e odio, di decadenza morale e di conquista di una nobiltà morale, che è
conquista dello spirito.

        E’ un cammino nel quale l’umanesimo di Manzoni incontra il perenne
significato di un Cristianesimo che vive nella società umana, perché si basa su
valori non transeunti. Ormai la forza delle visioni manzoniane aveva offerto
alla civiltà poesie non caduche, come gli Inni Sacri e un’altissima convinzione
del Mistero nello svolgimento della storia umana. Quest’ultima convinzione è

  10  Le Prefazioni alle due tragedie chiariscono molto bene le esigenze storiche che
muovevano l’indagine manzoniana la quale superava, in un certo senso, la pietà
cristiana per i due personaggi-protagonisti.
   11 Si pensi, per citare solo importanti esempi, alla Lettera allo Chauvet sur l’unité de

tempe e de lieu dans la tragedie; alla Lettera Cesare Taparelli d’Azeglio- Sul romanzo storico ed
in genere ai componimenti misti di storia e d’invenzione; ma soprattutto alle Osservazioni
sulla morale cattolica scritte in risposta al capitolo CXXVII della Storia delle Repubbliche
italiane del Sismondi in cui veniva contestato il valore morale e storico del
Cristianesimo. L’opera che Manzoni scrisse tra il 1818 e il 1819 sarà ripresa più tardi,
dopo la definitiva edizioni dei Promessi Sposi, attraverso l’Appendice al capitolo III - Del
sistema che fonda la morale sull’utilità.

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T. D’ONOFRIO, L’umanesimo cristiano di Dante e Manzoni

visibile, ad esempio, nella composizione Il cinque maggio. Ma già l’Inno Sacro La
Pentecoste aveva mostrato come la visione umana di Manzoni veniva sublimata
in una concezione della storia. Essa temperava, com’era accaduto per Dante un
umanesimo cristiano con un profondo senso della realtà.

La sfida per il terzo Millennio

        E’ proprio in base ai concetti esposti che si può pensare come in Dante ed
in Manzoni sia latente, per la genialità delle loro intuizioni artistiche ed umane,
una problematica che soltanto il tempo della storia riesce ad affrontare. E’ la
problematica di un cammino che cerca sempre le vie di un perfezionamento che
è alla base della civiltà dei popoli. Pertanto è da valutare proprio oggi, a
distanza di secoli, la ragionevolezza di quanto i due sommi pensatori-poeti
espressero. Si tratta d’idee che sono il fulcro di una cultura che deve ricercare i
valori di una civiltà che non distrugga l’umanità nella sua essenza razionale ed
intellettiva. La grande arte, di cui la letteratura è una parte essenziale, intuisce
la realtà; perciò supera ogni tempo. Sarebbe cosa veramente terribile per
l’umanità se essa si sperdesse in una tecnica che confonde la vera capacità della
scienza di porre l’uomo al di sopra di puri e semplici rappresentanti del regno
animale. Perciò all’inizio del terzo Millennio, allorquando sembra che l’umanità
abbia raggiunto con la tecnica un potere grandissimo, tale da dominare questo
mondo, che pure è una parte minima dell’Universo, è necessario che si faccia
particolare attenzione alle voci più alte nel raggiungimento graduale di un
umano perfezionamento. Fra queste voci vi sono quelle di Dante e Manzoni. E
quale è la sfida che essi offrono ad una tecnica che sempre più cerca di imporsi,
con il pretesto di essere l’espressione migliore della scienza? E’ quella di evitare
i deleteri effetti dell’egoismo che porta con sé l’alterigia e la retriva rinuncia ai
valori dello spirito. Sono valori che hanno bisogno, però, di un attento esame da
parte di coloro che si assumono, volta per volta, la responsabilità di reggere i
destini umani della storia.12

       Non v’è civiltà senza l’appiglio a qualcosa che ci eleva; come non vi è
scienza vera senza porre un limite morale alla potenza finora raggiunta dalla
tecnica. Perciò appare quanto mai opportuno oggi rifarsi a ciò che espressero
pensatori-poeti sommi come Dante e Manzoni. E, per andare al fondamento

  12 Al proposito è bene rileggere attentamente il tanto discusso Monarchia di Dante,
per vedere come si sia esagerato, per motivi politici, gli intenti del grande Fiorentino.
In verità essi vogliono soprattutto mostrare come sia l’autorità civile che quella
religiosa sono necessarie per il benessere dei popoli. E’ la concezione del parallelismo dei
poteri. Per il rispetto dovuto all’autorità religiosa cfr. Purgatorio, canto XX, vv. 85-92.

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della loro importanza nel terzo Millennio, basti pensare al rispetto che essi
ebbero per la libertà umana e sociale.13

        Ma il concetto di libertà è connesso a quello più profondo e talora
misterioso di giustizia (per Dante si pensi a personaggi della Commedia ove è
riflesso il senso della misericordia divina; per Manzoni si pensi al suo
Napoleone che muore alla luce di una riflessione più alta.

       Così come Dante medita sulla giustizia talora con riflessioni più alte che
vanno oltre la poesia della Commedia (si pensi al Convivio e al Monarchia),
Manzoni soprattutto nell’Appendice al III capitolo della Morale cattolica dà una
risposta chiara ad una problematica che, necessariamente, è affrontata con una
visione più consona ai tempi. Si tratta del rapporto tra giustizia ed utilità. Per
Manzoni non è giusto ciò che è utile ma è utile ciò che è giusto.

         In questa concezione vive l’umanesimo cristiano dei due sommi poeti-
pensatori ed aleggia il pensiero di grandi filosofi come San Tommaso d’Aquino.
Ma né Dante, né Manzoni ebbero la pretesa di essere teologi. Essi vollero
rimanere pensatori laici, rispettosi dei due poteri, quello religioso e quello
civile, che devono essere alla base del benessere dei popoli.

         In quest’ultima riflessione è certamente la sfida per il terzo Millennio; è
nell’augurio che si formi una vera cultura laica che rispetti i valori etici e
permetta all’umanità di essere degna delle sue caratteristiche razionali ed
intellettive.

  13  Per citare solo esempi si tenga conto di ciò che Dante fa dire a Marco Lombardo nel
XVI, canto del Purgatorio, in particolare ai vv. 67-95; e in ciò che Manzoni esprime negli
stupendi versi della Pentecoste, in particolare dal v. 71 alla fine. Per quanto riguarda poi
il Monarchia dantesco una più serena valutazione ci farà vedere, come già si è notato,
che esso è frutto di una concezione etica che considera la necessità non di un
assolutismo politico ma la teorizzazione di forme di governo che siano l’insieme di forze
tali da rispettare quella plenitudo temporum che Iddio volle rappresentare nell’impero di
Roma. Tali forze hanno proprio in virtù del Cristianesimo come base la giustizia sociale
e il benessere dei popoli.

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