Memoria rerum et memoria verborum. La costruzione della Divina Commedia

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CRITICÓN, 87-88-89, 2003, pp. 35-45.

                      Memoria rerum et memoria verborum.
                      La costruzione della Divina Commedia

                                                  Roberto Antonelli
                                            Université di Roma «La Sapienza»

                                                     In memoria delle cose e delle parole di Stefano.

               Ci si è chiesti più volte, da parte della critica dantesca, «perché Dante ha scritto la
           Divina Commedia»; questo era ancora il titolo di una «Panel Discussion» tenuta nel
           1993 al meeting annuale della Dante Society a Cambridge («Why Did Dante Write the
           Commedia}». Più raramente, per non dire mai, ci si è chiesto "corne" Dante ha scritto
           la Commedia; non nel senso più ovvio dello stile ma in quello forse meno ovvio e più
           misterioso e intrigante della macrostruttura dell'opera, del quadro d'insieme, dello
           schéma e delle molteplici e complesse relazioni interne che un poema del genere
           comportava. Cosa fece Dante quando decise di scrivere il "poema sacro"? Aveva
           certamente chiara sin dall'inizio la meta finale del viaggio: l'investitura divina a Poeta e
           la conseguente visione di Dio, dunque la salvezza di se stesso e dell'umanità intera,
           corne dichiara anche nell'epistola a Cangrande della Scala (un vero e proprio accessus
           all'opera), corne dichiara lo stesso autore: «Finis totius operis [...] est removeré viventes
           in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» (Ep. xni, 39; 'II fine di
           tutta l'opéra (...) consiste nell'allontanare quelli che vivono in questa vita dallo stato di
           miseria e condurli alio stato di felicita').
               Dunque sapeva bene, in genérale, perché scriveva la Commedia. Ma aveva
           ugualmente chiaro il piano genérale dell'opera, le tappe del suo viaggio, i personaggi
           che avrebbe incontrato, i sentimenti e le passioni, i vizi e le virtù, "le storie", con cui
           confrontarsi? E corne ha proceduto giorno per giorno nella stesura, per tanti anni? Era
           davvero tanto «del mondo esperto e delli vizi umani e del valore» da poter prevedere
           una «sceneggiatura di ferro», alia Ejsenstejn, o ha proceduto come Fellini, con una

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          sceneggiatura genérica aggiornata e creata giorno per giorno, sul set} Sono domande
          che malgrado le tante risposte che lo stesso Dante e la critica hanno dato alia domanda
          del «perché egli ha scritto la Commedia», possono contribuiré a daré qualche nuova
          risposta anche alie ragioni per cui ha scritto un'opera cosí enorme e cosí complessa, e
          cosí grande. Forse, nel contempo, possono anche spiegare perché un'opera cosí lontana
          e tanto profondamente inserita nel proprio tempo, sia oggi considerata componente
          essenziaJe deJ Canone occidentale perfino da un critico cos"i profondamente
          anglosassone, anzi "nordamericano", come Harold Bloom: comunque uno dei pochi
          capolavori da inseriré, per riconoscimento unanime, in un sia pur ristretto canone della
          letteratura mondiale.
              Prima di un piccolo libro di H. Weinrich, La memoria di Dante (1994), sarebbe
          stato difficile, per non dire impossibile, a mio parère, rispondere a queste domande: io,
          ad esempio, ero convinto che Dante sapesse benissimo sin dai primi canti áell'Inferno
          cosa avrebbe scritto, piu o meno, cinquanta o sessanta canti dopo; mi sembrava
          inevitabile pensarlo, per la struttura, il senso e gli evidenti rimandi interni finamente
          contenuti nell'opera; ma quando qualcuno manifestava incredulità di fronte a
          interpretazioni che presupponevano questa onniscienza creativa di Dante, questa sua
          straordinaria, quasi soprannaturale (non per nulla) capacita di progettare e prevedere,
          era difficile trovare argomenti decisivi e conclusivi a favore dell'ipotesi di un Dante
          «narratore onnisciente e preveggente». A] massimo si sarebbe potuto ricordare che Jo
          stesso Dante aveva ben chiaro, all'altezza dell'XI canto dell'Inferno, il progetto della
          prima cántica e, all'altezza del XVII del Purgatorio (dunque ben avanti) quello della
          seconda cántica. Nulla per il Paradiso, ove pero soccorre ancora l'epistola in cui Dante
          offre a Cangrande della Scala i primi dieci canti della terza e ultima cántica,
          accompagnati da un commento sull'intera opera e sul Paradiso stesso: «[...] totius
          operis allegorice sumpti subiectum est homo prout merendó et demerendo per arbitrii
          libertatem est iustitie premiandi et puniendi obnoxius» (Ep. xm, 39; '[...] il soggetto di
          tutta l'opéra interpretata allegoricamente è l'uomo in quanto per i meriti e i demeriti
          acquisíti con libero arbitrio ha conseguito premi e punizioni dalla giustizia divina').
              Tutto ció sarebbe stato sufficiente a sostenere che un prospetto esisteva, in genérale,
          ma non come era si era formato e come era articolato (e infine, perché). Non che non
          esistessero già spunti favorevoli ad una tale riflessione, ad esempio quelli forniti da
          Francés Yates nel suo grande libro The Art of Memory, ma erano appunto spunti,
          importantissimi, all'interno di una problemática più genérale, centrata sui secoli
          successivi, che rinunciavano programmaticamente ad una sintesi, pur essendo The Art
          of Memory cosparso di moltissimi stimoli al riguardo: attendevano pero una sintesi
          complessiva («That Dante's Inferno could be regarded as a kind of memory System for
          memorising [...], will come as a great shock, and I must leave it as a shock»).
              Weinrich ne ha compreso l'importanza, contrariamente ai «dantisti» di professione,
          e ha applicato l'intuizione della Yates alia Commedia. La Commedia in quanto
          applicazione sistemática non solo della memoria «bensi dell'arte della memoria secondo
          l'insegnamento della Retorica antica», questa la grande intuizione, che âpre a sua volta
          nuove possibilité di lettura del poema: «Registrare in cinque rególe basilari la somma
          dell'arte mnemónica secondo la Retorica antica equivale quasi a caratterizzare
          succintamente la struttura letteraria della Divina Commedia» poiché —dimostra

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          Weinrich— Dante le segue attentamente. Esse sono (le ricordo pensando al famoso
          "destinatario sconosciuto" al quale, ci raccomanda Weinrich, bisogna sempre
          rivolgersi): 1) la regola della concretezza (anche nei luoghi più filosofici, teologici o
          scientifici); 2) la regola della visualizzazione («il senso conduttore con cui il poeta
          percepisce principalmente la natura e lo stato dei personaggi incontrati è la vista»); 3) la
          regola della configurazione tópica («Tutto il palcoscenico della Divina Commedia
          forma un paesaggio immaginato con strutture topologiche ben determínate: [...]
          ['Inferno con i suoi nove cerchi; il Purgatorio, con le nove cornici; il Paradiso, con le
          sue nove sfere celesti e in più l'Empireo quale sede di Dio, situato al di fuori dello
          spazio e del tempo»); 4) la regola della localizzazione («le anime dannate, penitenti o
          sálvate nei tre regni dell'al di là si trovano tutte "collocate" in determinad luoghi
          assegnati loro dal [...] giudizio divino»); infine, 5) la regola dell'itinerario mnemonico
          («la Divina Commedia [...] è un viaggio, durante il quale il pellegrino viene in contatto
          con tutta una serie di immagini mnemoniche»): «In questo modo il percorso
          mnemonico di Dante prepara già il discorso poético dell'Alighieri. In quasi tutti i suoi
          episodi l'azione della Divina Commedia è sostanzialmente un'interazione fra le anime
          dell'altro mondo e Dante, il pellegrino accompagnato dalle sue guide» (pp. 14-16).
              Ció corrisponde implicitamente ad una risposta alla domanda su "corne" il poema
          sia stato scritto, purché si faccia un altro piccolo passo in avanti. Se la Divina
          Commedia è un percorso mnemonico per tre grandi "luoghi" (le cantiche), occorreva
          che l'autore predisponesse un piano dettagliato dei luoghi, dei personaggi e delle azioni,
          degli incontri e dei racconti (con i relativi sentimenti implicati): un viaggio per tre
          "regni" legati da una corrispondenza e correlazione strutturale e semántica («i meriti e i
          demeriti acquisiti con libero arbitrio» secondo cui l'uomo «ha conseguito premi e
          punizioni dalla giustizia divina») doveva essere concepito come un sistema legato da
          precise e quasi predeterminate, "necessarie", corrispondenze. Vi possono essere state
          numérate eccezioni, relative a singoli personaggi o eventi, dovute a nuove idee maturate
          magari nei corso degli anni (l'opéra non è un discorso pronunciato in un'occasione
          particolare e per questa preparato e «chiuso»), ma tali eccezioni non sonó peraltro
          individuabili, salvo quelle dovute all'irruzione dell'attualità. Noi sappiamo infatti (con
          F. Yates) che proprio due auctores di Dante, Alberto Magno e Tomaso d'Aquino
          avevano «trasferito la memoria artificiale dalla retorica all'etica», e che Boncompagno
          da Signa, famoso professore universitario di Bologna (città fondamentale per Dante, che
          vi studio e visse poco tempo dopo Boncompagno), aveva connesso la memoria
          artificiale coll'Inferno e il Paradiso e che vi aveva anche collegato delle "note
          mnemoniche" «connesse con la primaria nécessita», per salvare la propria anima, «di
          ricordare Paradiso e Inferno, come fondamentale esercizio di memoria» (Yates): fra
          queste note mnemoniche troviamo «[...] sapienza, ignoranza, sagacia, imprudenza,
          santità, perversità, benignità, crudeltà, [...] superbia, umiltà, [...] coraggio,
          magnanimità, [...], pusillanimité etc.». Rappresentazione dei vizi e delle virtù secondo
          l'ordine dei castighi e dei premi e arte mnemónica si saldano in un sistema orgánico che
          assegna ad ogni peccato o virtù, ad ogni sentimento umano, un ruólo e una funzione in
          una scala gerarchica necessariamente precisa che deve rispondere ad un disegno insieme
          soggettivo (gli interessi e le pulsioni di Dante autore, le "ragioni", il "perché", délia
          composizione dell'opera) e "oggettivo", ovvero la corrispondenza fra ordine dei peccati

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           e delle pene, délie virtù e dei premi rappresentato nella Commedia e il pensiero divino,
           quindi, ovviamente, teológico. Non una predica dunque, ma una reinterpretazione
           soggettiva, «rhetorica musicaque poita», dello stato del mondo, filtrata e perciô
           garantita, nella struttura retorica e ideológica, dalla tradizione. Rappresentazione
           precisa, dunque predeterminata,           secondo una "sceneggiatura di ferro": la
           rappresentazione «de li vizi umani e del valore» non puô essere affidata al caso o al
           mutevole alternarsi dei sentimenti, dever corrispondere ad una visione in cui si
           incasellino i sentimenti-immagini, poichè

                         [...] non è impresa da pigliare a gabbo
                         discriver fondo a tutto l'universo,
                         né da lingua che chiami mamma o babbo. (If XXXII, 7-9)

               La rappresentazione dei vizi e delle virtù, dei castighi e dei premi, dei sentimenti sarà
           svolta da Dante tenendo conto oltre che delle ragioni dell'autore (le proprie passioni, le
           proprie ragioni a voler comporre un poema "sacro"), anche di quelle del pubblico
           (l'orizzonte d'attesa dei contemporanei in relazione ai castighi e alie pene, secondo il
           pensiero teológico più accreditato), magari per sorprenderlo e spiazzarlo: la miscela
           sarà potentemente "memorabile" perché le aspettative saranno insieme soddisfatte e
           disattese, contrástate anche, a seconda dei lettori. Una rappresentazione efficace
           dell'umanità, e dell'universo in cui è inserita, inoltre, doveva, del pari necessariamente,
           collocarsi nel luogo in cui l'umanità non è solo "maschera", non interpreta più soltanto
           una parte délia propria figura, ma si presenta in quella compiutezza che è sottratta in
           questa vita, per il cristiano Dante, agli occhi del mondo. Dunque dopo la morte: per
           questo il significato «letterale del poema» per Dante è lo status animarum post mortem
           di cui la figura terrena è solo anticipazione, prefigurazione. Anche Dante in quanto
           personaggio è parte di questo disegno, è colui che lo qualifica come evento
           eminentemente soggettivo e universale: sin dalle prime battute del poema (per tacere di
           altre e più sottili ed eversive analogie memoriali e sacrali), il personaggio che dice «lo» è
           anche colui che quasi naturalmente dice "noi":

                         Nel mezzo del cammin di riostra vita
                         mi ritrovai per una selva oscura... (¡f I, 1-2)

               Nostra vita, io mi ritrovai: il personaggio Dante ín quanto toccato dalla grazia,
           nuovo Enea e nuovo Paolo, ma soprattutto nuovo Mosé e nuovo Cristo, gode délia
           eccezionale opportunité di visitare tutti i luoghi délia propria e àeWaltrui vita, per
           exempla significativi e memorabili, da vivo («se in corpo o fuori del corpo non lo so,
           Dio lo sa», dirá nell'epistola a Cangrande, citando appunto S. Paolo). II viaggio
           penintenziale nella propria memoria, una sorta di autoanalisi psicanalitica per come
           possibile alia cultura médiévale, sub specie religionis, si pone anche come viaggio dell'Io
           nella memoria dell'umanità, post mortem perché immaginato nell'Aldilà, al momento
           della fissazione definitiva della memoria dell'umanità, oltre il tempo, secondo il giudizio
           divino: in questo senso anche il Purgatorio è forse il luogo del tempo non finito ma
           comunque poéticamente fissato e fisso, pur se per definizione transeúnte. Nel
           Purgatorio le anime sanno già corne andrà a finiré (non quando), come Dante già sa, e

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          10 dice, dove egli andrà a finiré dopo morto: le tappe del proprio viaggio nella propria
          memoria sono anche le tappe nei luoghi in cui sarà collocato nell'Aldilà, il
          completamento délia propria figura. Concezione figúrale délia realtà e costruzione del
          poema, dunque dell'Aldilà e del viaggio, secondo i principi dell'arte della memoria sono
          due aspetti che vanno visti corne due facce délia stessa medaglia, senza la cui
          comprensione e interazione non è possibile intendere la struttura e la poesia délia
          Commedia. L'abbandono del tempo umano per il divino, nel XXVII canto del Paradiso,
          sarà anche, da tale punto di vista, la raggiunta definitiva autocoscienza del viaggio
          scritturale nella propria memoria, la capacita di saper guardare se stesso, esattamente
          come avverrà in Proust, nel personaggio che dice «lo» della Recherche, secondo un
          noto ed acuto parallelo proposto da G. Contini.
              Le res dunque si disporranno nel poema naturalmente, ordinate da Dante autore: la
          memoria rerum insegnata dall'arte retorica le disporrà secondo il modo più efficace a
          colpire il lettore e ad essere percepite e ricordate. Il percorso del Dante-personaggio
          costituirà insieme un viaggio nella memoria del mondo e di sé. È proprio la presenza
          dell"'Io" non solo quale soggetto ordinatore, l'autore, ma dell'Io quale agens,
          personaggio che si muove nella memoria delle cose, che rende le cose stesse
          eminentemente soggettive, esaltazione del soggetto agente, eppure, per le pretese dell'Io
          autore, eminentemente oggettive.
              L'al di là di Dante, la Commedia, è dunque anche un gigantesco teatro della
          memoria, la rappresentazione di una memoria in sé, oggettivata, in quanto garantita
          dall'ordine divino, la memoria deU'intera umanità, dall'antichità più remota, cristiana e
          pagana, in cui Dante, personaggio e poeta, si muove con liberta créatrice, potendo
          operare continui corti circuiti temporali fra Passato e Presente, sempre peraltro secondo
          una visione storica retrospettiva, in cui era il Presente, il Personaggio-Poeta, che dettava
          le sue rególe al Passato e alla storia, esattamente come avveniva, sin dai Padri della
          Chiesa, nell'interpretazione allegorica (non per nulla il principio interpretativo che
          l'Epistola a Cangrande pone alla base della scrittura e della lettura della Commedia).

              Ma la memoria, secondo gli insegnamenti dell'antica retorica, non si basava soltanto
          sulle res e sulla loro rappresentazione. Per fissare bene un discorso era anche necessaria
          la memoria verborum e la capacita di selezionare i verba («Non enim rerum modo sed
          etiam verborum ordinem [memoria] praestat, nec ea pauca contexit sed durât prope in
          infinitum, et in longissimis actionibus prius audiendi patientia quam memoriae fides
          déficit», Quintiliano, lnst. or. 11, 2, 8). Forse questa è la parte al tempo stesso più nota
          e meno inquadrata della técnica dantesca; Dante accompagna il viaggio dell'Io
          servendosi non solo dei cinque principi della memoria rerum per organizzare glí
          argomenti e gli incontri e per rendere ben comprensibile al lettore attraverso la struttura
          11 senso dell'opera, magari servendosi anche delVactio di Dante-personaggio,
          drammatizzando gli incontri (l'actio: un altro, l'ultimo, degli insegnamenti basilari
          dell'antica retorica, anch'esso rivisitato in una nuova ottica, romanza).
              Oltre ai loci veri e propri, egli organizza la materia anche a livello della comice
          dell'opera, sul piano macrostrutturale, sia mediante corrispondenze numeriche e
          simboliche, sia mediante microstrutture verbali, evidenti entrambi soprattutto sul piano
          métrico, e correlando spesso i due livelli, in modo che ognuno potenzi la memoria

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           dell'altro. «Già nella sua struttura verbale —nota va Weinrich— la Divina Commedia è
           sommamente mnemofila [...]. Per facilitarsi il compito, la memoria puô prima di tutto
           valersi délia métrica délia Divina Commedia basata a diversi livelli, corne si sa, sul
           numero " 3 " . In questo modo, tre diversi endecasillabi ogni volta formano una terzina
           di 33 sillabe, e le tre cantiche, ciascuna di 33 canti, assommano 99 canti, che con uno
           soprannumerario in funzione di proemio raggiungono insieme il numero perfetto:
           "100". La ragione di tale simbolismo numérico evidente viene già spiegata nel capitolo
           xxix della Vita nuova: il " 3 " è di per sé la cifra délia trinità e insieme la radice del "9",
           il quale, in diversi episodi biografici interpretati da Dante in questo capitolo, simbolizza
           Béatrice stessa: "questo numero fue elle medesima"», ferme restando anche le differenze
           fra Vita nuova e Commedia.
               Ma c'è di piu, poiché Dante utilizza frequentemente non solo i tre luoghi deputati di
           un'opera, ovvero l'inizio, il centro e la fine di ogni cántica e di vari canti (come
           insegnava la retorica), per discorsi e temi particularmente importanti (calcolando a
           questo fine, come è stato dimostrato, anche gli isopsefi e cioè la sezione áurea del
           poema e dei singoli canti). Egli istituisce anche, è notorio, correlazioni fra canti
           corrispondenti di ogni cántica, riservando ad esempio i sesti-settimi canti
           all'argomentazione política (Ciacco nell'Inferno, i principi negligenti nel Purgatorio,
           Giustiniano in Paradiso), il quindicesimo-sedicesimo ai grandi principi etico-politici
           (Brunetto Latini in Inferno, Guido del Duca / Marco Lombardo in Purgatorio,
           Cacciaguida in Paradiso), mentre il ventisettesimo canto áeWInferno è dedicato a
           Bonifacio VIII, inventore del Giubileo, viaggio di mercimonio contrapposto al vero
           viaggio giubilare del pellegrino Dante, incoronato poeta da Virgilio in Purgatorio
           XXVII e investito sacralmente della funzione di poeta-vate da Pietro (Pd XXVII, 64-66:
           «e tu figliuol, che per lo mortal pondo / ancor giù tornerai, apri la bocea / e non
           asconder quel ch'io non t'ascondo») contro «quelli ch'usurpa in terra il luogo mió»,
           cioè lo stesso Bonifacio, in Paradiso XXVII. Proprio l'ultimo esempio potrebbe essere
           caricato di ulteriori significad allusivi e semantici, poiché sembra evidente che il vero
           viaggio giubilare di Dante è appunto un viaggio nella e della memoria, interiore,
           contrapposto al viaggio tutto esteriore, di fatto per Dante erético, indetto da Bonifacio
           nella sua Roma, «là dove Cristo tutto di si merca» (Pd XXVII, 51, una rima riusata
           soltanto in Pd XVI, 59-63 dall'avolo Cacciaguida, luogo di altra solenne investitura e
           riconoscimento ).
               Di più: Dante utilizza a volte, come è stato notato, anche del principio retrogrado
           (come ad esempio la trattazione della Fortuna-provvidenza del settimo canto
           delVInferno, ripresa in Paradiso XXVII a sette canti dalla fine del poema) e di ulteriori
           sottilissime corrispondenze che potrebbero apparire fantasticherie della critica moderna
           se non corrispondesssero perfettamente ad un'arte retorica che s'imparava a scuola e
           continuava ad esercitarsi per tutta la vita nella continua ruminatio del testo sacro, la
           Bibbia, e del canone degli auctores, che accompagnava ogni letterato per tutta la vita,
           divenendo quasi una seconda natura anche nella fase creativa (Inst. or. 11, 2, 28:
           «Dandi sunt certi quidam termini, ut contextus verborum, qui est difficillimus, continua
           et crebra meditatio, partis deinceps ipsas repetitus ordo coniungant»). Non saranno
           sempre dovuti a scelte programmatiche, ma in alcuni casi non puô apparire casuale che
           in canti corrispondenti della stessa cántica Dante porti a rimare la stessa parola o la

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LA C O S T R U Z I O N E   D E L L A DIVINA   COMMEDIA                  41

          stessa serie di rimanti o che in circa novanta casi (come ha notato A. Punzi) si usi la
          stessa parola in rima nello stesso verso. Novanta casi, si badi, significa, di media, quasi
          un caso per ogni canto: un po' troppo per pensare ad un evento fortuito. Esattamente lo
          stesso principio secondo cui tutti sappiamo che ogni cántica è chiusa dalla parola in
          rima stelle; in questo luogo ovviamente non poteva sfuggire: più difficile, ma non
          impossibile, individuarle altrove, ove pure esistono (e comunque è evidente la volontà di
          Dante a fornire una traccia memoriale, uno stimolo ad una lettura di "secondo grado").
              La memoria verbale di Dante e il suo dialogo col lettore si articolano infatti a più
          livelli, di diversa evidenza e possibilità di percezione da parte dei lettori, selezionando e
          gerarchizzando cosi anche il proprio pubblico, a volte avvertito esplicitamente in alcuni
          luoghi-chiave mediante appelli diretti (si ricordi del resto Auerbach): del resto non era
          stato proprio un grande interprete della memoria e del suo rapporto con Dio, Agostino,
          a indicare quanto le sottigliezze e le oscurità fossero previste originariamente da Dio a
          vantaggio degli spiriti più sottili, per evitare la noia e il disgusto del troppo facile (De
          catechizandis rudibus IX, 13 e De doctrina christiana II, 6, sicura lettura di Dante)?
              È stato talvolta notato, pur se con una certa difficoltà, come Dante usi le stesse serie
          di rimanti in episodi tra loro correlati, all'interno della Commedia, o fra la Commedia e
          le opere dei personaggi implicad: il caso più clamoroso del secondo tipo (per quanto
          pervicacemente ignorato anche nei migliori commenti) è rappresentato dalla ripresa nel
          canto X dell'Inferno della serie nome: lume: come, usata da Cavalcanti nella canzone
          averroistica Donna me prega, per alludere implícitamente ma chiaramente
          all'averroismo del suo grande amico, poi abbandonato (lo stesso avverrà nel canto
          XXV del Purgatorio, riprendendo il «possibile intelletto» dello stesso Guido, nella
          stessa canzone). Nel medesimo episodio quella serie è contornata di altri richiami
          allusivi, o intertestuali, se si vuole, basati sullo stesso principio di ri-uso di serie rimiche
          significative. Lo stesso avverrà in altri luoghi fondamentali per i rapporti fra Dante e i
          suoi predecessori romanzi e fra Dante e la propria stessa opera, rivisitata alia luce del
          viaggio memoriale e penitenziale rappresentato nel «poema sacro», inteso come genere
          poético comprensivo di tutti i generi letterari precedenti, compresa l'epica (e quindi
          Virgilio e Omero, Inferno IV): si veda, ad esempio, l'uso da parte di Guinizzelli, in
          Purgatorio XXVI (vv. 71, 73, 75), della serie rimica, rarissima, in -arche (scarche:
          marche: imbarche) impiegata dallo stesso Guinizzelli in uno scambio con Guittone
          d'Arezzo, definito irónicamente «padre», di contro al vero «padre» con cui sarà invece
          salutato da Dante proprio Guido (e si noti che l'unico altro -arche della Commedia è
          impiegato in Inferno X introducendo appunto l'incontro con Cavalcanti-padre).
              L'incontro con Guinizzelli è segnato anche dall'impiego dell'altro tipo di allusività
          intertestuale, quello fra canto e canto della Commedia, a collegare anche verbalmente
          episodi fra loro correlati; cosí Guinizzelli sarà appunto definito padre (v. 97), parola
          impiegata in rima, in tutta la Commedia, soltanto nel canto XI (v. 59) del Purgatorio
          (ovvero nel luogo in cui Dante fissa la gerarchia poética volgare, attribuendo il primato
          ai due Guidi, Guinizzelli e Cavalcanti), il secondo dei quali aveva tolto all'altro «la
          gloria della lingua» (v. 98: si noti la stessa posizione del verso). Lo stesso Guinizzelli era
          stato introdotto nel canto precedente [Purgatorio XXV, vv. 104, 106, 108) dalla serie
          rimica emblemática dello Stil Nuovo, -iri (sospiri: disiri: miri), quella che in Inferno V
          (vv. 116, 118, 120), nel primo canto riservato ai lussuriosi (quello di Guido sarà

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          l'ultimo) aveva impiegato Dante (martiri: sospiri: disiri) per rivolgersi a Francesca, che
          aveva a sua volta esposto il suo caso con le parole di Guinizzelli {«Amor, ch'al cor
          gentil ratto s'apprende, I prese costui della bella persona / che mi fu tolta, e il modo
          ancor rn'offende», Inferno V, vv. 100-103), già riprese dallo stesso Dante in Amor e cor
          gentil sonó una cosa; quello stesso Guinizzelli che sempre in Purgatorio XXVI
          richiamerà a sua volta Francesca, lettrice di romanzi d'amore e d'avventura («Noi
          leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come Amor lo strinse», «Galeotto fu '1
          libro e chi lo scrisse», Inferno V, vv. 127-128 i 137), tessendo l'elogio di Arnaut Daniel:
          «Versi d'amore e prose di romanzi / soverchiô tutti [...]» (XXVI, vv. 118-119). Un
          vórtice di rimandi memoriali, governati con mano certo consapevole da Dante, una
          partitura cosparsa di leit motiv, esattamente come in certe partiture musicali, che non
          sarà forse arrischiato pensare derivati dalla comune educazione retorica. Non sonó
          motivi limitati agli incontri fra poeti: recentemente M. L. Palermi ha individuato i
          legami indubitabili che la serie rímica spense: offense: pense istituisce fra Inferno V (vv.
          107, 109, 111), Purgatorio XXXI (vv. 8, 10, 12), Paradiso IV (vv. 104, 106, 108), tre
          episodi e tre canti apparentemente lontani, in realtà collegati a livello profondo dalla
          comune riflessione sulla relazione fra nécessita, volontà e libero arbitrio, fra equilibrio e
          caos, un altro dei temí portanti della Commedia. Ma gli esempi si potrebbero
          fácilmente moltiplicare (e in realtà si moltiplicano continuamente, una volta aperta la
          strada).
               Mentre a livello di macrostrutture noi dovremo supporre una sceneggiatura di ferro,
          iniziale, è evidente che a livello di microstrutture e di allusività intertestuale Dante avrà
          proceduto, per anni, al lavoro paziente di un artigiano che rifinisce continuamente il
          lavoro, anche per strati successivi: quanti, e come, saprebbe dirlo soltanto lui; ma il
          "perché" è compreso nel "come", poiché la micromemoria dantesca era anch'essa parte
          della dispositio genérale: Dante, possiamo ora dire, aveva ben chiaro, sin dall'inizio,
          Yinventio e la dispositio, ovvero il piano genérale deü'opera, le tappe del suo viaggio, i
          personaggi che avrebbe incontrato, i sentimenti e le passioni i vizi e le virtù, "le storie",
          con cui confrontarsi, il método con cui colpire l'immaginazione e la memoria del
          lettore, aiutandolo a collegare i diversi momenti e luoghi dell'opera; lavorava invece,
          probabilmente, giorno dopo giorno, sull'elocutio: in entrambe le operazioni aveva come
          guida, anche per ragioni concernenti il soggetto e il fine ultimo del poema, la memoria,
          rerum et verborum (e Yactio, drammatica stavolta, del personaggio agente).
               Un'arte della memoria estesa dunque (o meglio, visto Quintiliano, aggiornata) anche
          al di là dei limiti tradizionali dell'antica retorica, poiché è stata capace di inseriré
          nell'ars antica tecniche e problematiche della nuova poesia romanza (a cominciare dalla
          rima), al servizio di un discorso che aspirava a uniré «e cielo e terra». Aveva dunque
          bisogno della poesia, non della prosa, e di quel légame che univa, non solo per Dante,
          poesia e teologia, sin dai primi vati («Quisque erat vas, erat vas Ule Deus»). Cosi come
          aveva bisogno del volgare, della lingua delle mulierculae e non di quella dei dotti, del
          latino, poiché doveva parlare della salvezza di tutti, corne aveva spiegato Agostino, che
          gli forni anche la chiave per la scelta stilistica dello stile cómico e non trágico. Dante
          non ha voluto comporre un trattato morale o scientifico, come il Convivio, non per
          nulla interrotto: anche in questo caso il "perché" e il "come" il poema è stato scritto si
          illuminano a vicenda, poiché la scelta della poesia e non della prosa, che ci appare tanto

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LA COSTRUZIONE DELLA DIVINA                  COMMEDIA                    43

          ovvia, a posteriori (come quella del volgare rispetto al latino, che pure ovvia non era, si
          ricordino almeno le polemiche con Giovanni del Virgilio), risponde ad una scelta
          precisa, anch'essa non scontata, ad una stessa lógica, insieme profetica (il poeta-
          teologo, come riconoscerà subito Boccaccio) e memoriale. Si ricordi ancora, su un piano
          esclusivamente técnico, Quintiliano: «Etiam quae bene composita erunt memoriam serie
          sua ducent: nam sicut facilius versus ediscimus quam prorsam orationem, ita prorsae
          viñeta quam dissoluta. Sic contigit ut etiam quae ex tempore uidebantur effusa ad
          uerbum repetita reddantur» {Inst. or.11, 2, 39).
              Se l'organizzazione della materia, la sua gerarchia e organizzazione dovevano
          rappresentare uno straordinario itinerarium mentis in Deum, occorreva che l'autore
          stesso si autorappresentasse nei fatti come un legislatore della memoria e della parola,
          visto che si era attribuito il ruólo di giudice che «giudica e manda secondo
          ch'avvinghia», come Minosse, e non solo n&WInferno. Dunque come Dio, a cui più
          volte si era figuralmente e analógicamente accostato, in quanto creatore di scrittura, di
          un "poema sacro" che aveva lo stesso significato polisemico della Bibbia. Come la
          Bibbia, la Commedia si proponeva, in senso anagogico, di «portare l'anima dalla
          schiavitu della presente corruzione terrena alia liberta delPeterna gloria» (Ep. x m , 19
          «si ad anagogicum, significatur exitus anime sánete ab huius corruptionis servitute ad
          eterne glorie libertatem») e Dante, come autore del nuovo «poema sacro», era colui che
          liberamente attribuiva appunto pene e premi, proprio come Dio: «Ma se si considera
          Topera sul piano allegorico, il soggetto è l'uomo in quanto, per i meriti e demeriti
          acquisiti con libero arbitrio, ha conseguito premi e punizioni da parte della giustizia
          divina» {Ep. x m , 25). Dopo la morte, nell'altra vita, ma per questa vita, a cui l'autore
          tornera: e infatti ricorda per tornare, registra nella memoria e scrive per tornare. II
          "come" e il "perché" vanno insieme, poiché il viaggio penintenziale deve serviré a
          risarcire l'autore délie asprezze e delle sconfitte di questa vita, riscrivendo, sul filo della
          propria memoria, e della Memoria, la storia.
              E' la prima volta nella letteratura moderna che l'autore si pone, almeno
          oggettivamente, come creatore (ancor prima della scoperta di Goethe, secondo Curtius
          il primo); è la prima volta che un'opera, e quindi la letteratura in quanto tale si pone
          consapevolmente come un altro mondo, non in quanto rappresentazione dell'Aldilà, ma
          in quanto alternativa laica a questo mondo. Anche per questo la memoria è cosí
          importante neU'economia della Divina Commedia; Dante si préoccupa di legittimare al
          più alto livello la propria capacita di ricordare perfino le cose di Paradiso, quelle più
          difficili o impossibili da ricordare, perché più alte e luminose, nell'appello finale che già
          ricordava Weinrich:

                            O somma luce che tanto ti levi
                            da' concetti mortali, a la mia mente
                            ripresta un poco di quel che parevi,
                            e fa la lingua mia tanto possente,
                            ch'una favilla sol de la tua gloria
                            possa lasciare a la futura gente;
                            che, per tornare alquanto a mia memoria
                            e per sonare un poco in questi versi,
                            più si concepirà di tua vittoria. (Paradiso XXXIII, 67-75)

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              Per questo lascerà in dubbio per tutta Topera, come già S. Paolo, se il suo viaggio sia
          stato sogno o visione o viaggio "reale": il suo itinerarium mentis in Deum si svolge
          lungo la linea d'ombra ovvero lungo il Luogo ove il mondo traballa, ove risiede ció che
          è posto fra la vita e la morte, fra realtà e sogno, fra desiderio delTldentità e suo
          annichilimento: essere Altro, figura, rappresentazione, di altro, cosí come Jean Santeuil
          in Proust esalterà il pastiche, Timitazione: per scoprire nel pastiche il fondo délia (sua)
          essence. Davvero, la Commedia come imitatio Christi, anche in quanto luogo supremo
          délia memoria, corne aveva insegnato Agostino. La memoria è essa stessa il Luogo, non
          solo l'ars, la técnica, in cui l'essence si puô manifestare in Scrittura e l'itinerario mistico
          divenire razionalità laica, una volta "ricordato", trattenendo nel contempo in se il
          ricordo, l'essence, dell'indicibile, come già in Agostino, in un passo ben presente a
          Dante (si veda ancora Ep. xin, 58-60):

               Ecce in memoriae meae campis et antris et cauernis innumerabilibus atque innumerabiliter
               plenis innumerabilium rerum generibus siue per imagines, sicut omnium corporum, siue per
               praesentiam, sicut artium, siue per nescio quas notiones uel notationes, sicut affectiones animi
               —quas et cum animus non patitur, memoria tenet, cum in animo sit quidquid est in
               memoria— per haec omnia discurro et uolito hac illac, penetro etiam, quantum possum, et
               finis nusquam: tanta uis est memoriae, tanta uitae uis est in homine uiuente mortaliter!
               {Confessioni X, 17, 26: 'Ecco nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili délia mia
               memoria, incalcolabilmente popolate da specie incalcolabili di cose, talune presentí per
               immagini, com'è il caso di tutti i corpi, talune proprio in se, com'è il caso délie scienze, talune
               attraverso indefinibili nozioni e notazioni, com'è il caso dei sentimenti spirituali, che la
               memoria conserva anche quando lo spirito più non li prova, sebbene essere nella memoria sia
               essere nello spirito; per tutti questi luoghi io trascorro, ora voló qua e là, ora penetrandovi
               anche quanto più posso, senza trovare limiti da nessuna parte')

              La Commedia è anche questo: la riduzione del tempo a Memoria, il lungo corto-
          circuito in cui Passato, Presente e Futuro, l'Io-Noi, Figura dell'intera umanità, si
          dispone secondo un percorso a priori di cui Dante-Autore è il responsabile regista, e
          creatore.
              Anche in questa estensione dell'originaria problemática introdotta da Weinrich,
          varrà dunque, per concludere, la sua domanda e la relativa risposta: «Risulta dunque
          confermata l'affermazione precedente, secondo cui la struttura poética della Divina
          Commedia è sommamente mnemofila? Vale piuttosto il contrario: la struttura
          mnemofila della Divina Commedia è sommamente poética».

          ANTONELLI, Roberto. «Memoria rerum et memoria verborum. La costruzione della Divina
          Commedia». En Criticón (Toulouse), 87-88-89, 2003, pp. 35-45.

          Resumen. Sobre la construcción de la Divina Commedia, obra compuesta durante un período de unos quince
          años. Su macroestructura (inventio y dispositio) remite al arte de la memoria (la memoria rerum), garantía de
          una organización general férrea, mientras que, al nivel de las microestructuras —la elocutio, la escritura día
          al día— impera la memoria verborum.

CRITICÓN. Núms. 87-88-89 (2003). Roberto ANTONELLI. «Memoria rerum» et «memoria verbo ...
LA C O S T R U Z I O N E   DELLA      D/VINA       C O MM £ D f A                    45

          Résumé. Sur la construction de la Divina Commedia, œuvre composée sur une quinzaine d'années. Sa
          macrostructure (inventio et dispositio) renvoie à l'art de la mémoire (la memoria rerum), garant d'une
          organisation générale fort rigoureuse, tandis que, sur le plan des microstructures —la elocutio, l'écriture au
          jour le jour— œuvre la memoria verborum.

          Summary. Concerning the construction of the Divine Cotnedy, a work composed during fifteen years. Its
          macrostructure {inventio and dispositio) is reminiscent of the art of memory (the memoria rerum), a
          guarantee of an strong general organization, while in the microstructures (the elocutio or the writing day by
          day) the memoria verborum is seen at work.

          Palabras clave. Arte de la memoria. DANTE. Divina Commedia.

CRITICÓN. Núms. 87-88-89 (2003). Roberto ANTONELLI. «Memoria rerum» et «memoria verbo ...
CRITICÓN. Núms. 87-88-89 (2003). Roberto ANTONELLI. «Memoria rerum» et «memoria verbo ...
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