Gino Tellini 2019 - Formazione Loescher

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Gino Tellini 2019 - Formazione Loescher
Gino Tellini
   2019
Gino Tellini 2019 - Formazione Loescher
Leopardi (Recanati, Mc, 1798-Napoli, 1837)
                               S. Ferrazzi, Ritratto di Leopardi, 1897,
                               Recanati, Casa Leopardi

Manzoni (Milano, 1785-1873)
 G. Molteni-M. D’Azeglio,
 Ritratto di Manzoni, 1831,
Milano, Bibl. Naz. Braidense
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SOMMARIO

    antitesi e punti di contatto (4-48)

riflessioni sulla vicenda biografica (49-58)

              luoghi (59-76)

             due fiori (77-98)
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● Quando nasce Leopardi (29.6.1798, segno Cancro),
Manzoni (7.3.1785, segno Pesci) ha 13 anni.

Sono due autori, per tantissimi aspetti, antitetici.

● Vale la pena ricordare che spesso i contrasti sono
preferibili alle amicizie convenzionali: segnalo un bel
saggio di Pietro Paolo Trompeo, sul tema delle
inimicizie in letteratura: Il Leopardi e il suo
antagonista (1937), in Il lettore vagabondo. Saggi e
postille (Roma, Tumminelli, 1942):
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cit. da Trompeo:

«quando all’aria molle dei centenari i prati
sovrabbondano di malva e di camomilla, punge lo
spirito una acerba nostalgia di sapori forti, d’erbe
piccanti […]. Nascono fantasie incongrue di
celebrazioni a rovescio. […] Si vorrebbe panegirista
del Tasso il suo nemico Galileo […]. Che affilatura di
armi e di unghie! Che ridda di colpi mancini! »
[continua]
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continua cit. da
Trompeo:

«In quest’ordine d’idee il
discorso ufficiale pel
centenario del Leopardi
spetterebbe di pieno
diritto a Niccolò
Tommaseo» (Il Leopardi
e il suo antagonista
[1937], in Il lettore        Egisto Sarri, Ritratto di Niccolò
vagabondo, Saggi e           Tommaseo, 1874, Firenze,
                             Accademia della Crusca
postille, Roma,
Tumminelli, 1942, p. 127).
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Quanto a
Tommaseo, si
rammenti il suo
epigramma feroce
contro Leopardi (in
una lettera a Gino
Capponi del 1837):
«Natura con un
pugno lo sgobbò:/
“canta” gli disse
                      Niccolò Tommaseo, statua di
irata ed ei cantò».   Francesco Barzaghi, 1882, Campo
                      Santo Stefano, Venezia. La statua è
                      detta dai veneziani “del cagalibri”.
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Da parte di
Leopardi (che non
le mandava a dire),
si rammenti che
quando con gli
amici era arrabbiato
affermava che gli
giravano «i            Elio Germano, in Il giovane
                       favoloso (2014)
tommasei»…
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Sui rapporti tra Manzoni e
Leopardi, desidero iniziare
con un passo (per me
formidabile) di Gadda:

«[Manzoni] Volle che il suo
dire fosse quello che
veramente ognun dice, e
non la roca trombazza d’un
idioma impossibile, che
nessuno parla (sarebbe il
male minore), che nessuno           Carlo Emilio Gadda
pensa, né rivolgendosi a sé,      (che sul letto di morte,
                                     nel maggio 1973, si
né alla sua ragazza, né a Dio».     faceva leggere dagli
[continua]                           amici capitoli dei
                                      Promessi sposi)
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continua cit. da Gadda:

«[…] Non la vanità d’una
disputa accademica e non il
gusto ribelle del letterato
giovincello reduce da Parigi
con le primizie dell’ultima
scapigliatura, può aver imposto a
costui di romperla una buona
volta con certi toni della vacua
magniloquenza. Un conto è
disseppellire Cicerone e scrivere
la canzone alla Vergine, gli
esametri dell’Affrica o trattati di
geografia» [continua]                 La cognizione del dolore, 1963,
                                      [«Letteratura», 1938-1941]
continua cit. da Gadda:
                                         Poggio
                                         Bracciolini
«un conto è contraffare il               (1380-1459)
latino del De Officiis perché
ci si chiama Poggio
Bracciolini, o il latino dei
Tristia perché ci si chiama
Giovanni Pontano; e un
altro, un ben altro e
miserabile conto, è il
rovesciare durante dei
secoli sopra un popolo
incapace di originalità delle
valanghe di endecasillabi
beoti» [continua]               Giovanni Pontano
                                (1429-1503)
continua cit. da Gadda:

«Egli volle parlare da uomo agli
uomini, come, a lor modo,
parlarono tutti quelli che ebbero
qualche cosa di non cretino da
raccontare. Ebbe compagno
nell’impresa della spazzatura
un altro conte suo
contemporaneo,
disgraziatissimo e macilento della
persona. La parola di
quest’ultimo ha una nitidezza
lunare: ‘Dolce e chiara è la
notte’». (C.E. Gadda, Apologia
manzoniana, in «Solaria», II, 1,
gennaio 1927, pp. 39-48).
● C’è riconoscimento del
valore del nostro
classicismo (Petrarca,
Poggio Bracciolini,
Giovanni Pontano), MA
anche coscienza netta dei
limiti fortissimi della
nostra tradizione
classicistica, che è
soprattutto tradizione di
letteratura in versi:
(«valanghe di
endecasillabi beoti!).
● La «roca trombazza» e la
«vacua magniloquenza», di
cui parla Gadda, rinviano al
«cancro della retorica» di cui
parla Graziadio Isaia Ascoli,
nel 1873, nel Proemio
all’«Archivio glottologico»:

«[Manzoni] è riuscito, con
l’infinita potenza di una mano
che non pare aver nervi, a
estirpar dalle lettere italiane, o dal
cervello dell’Italia, l’antichissimo
cancro della retorica» (G.I.
Ascoli, Proemio, in «Archivio            Il glottologo goriziano
glottologico italiano», 1873).           Graziadio Isaia Ascoli
                                         (1829-1907)
● Magari fosse vero, quello
che scrive il grande Ascoli!
Non è vero… il cervello
dell’Italia è un affare serio…
estirpare dalle lettere…
dopo Manzoni ci sono gli
«Amici pedanti»
e il classicismo
carducciano e poi il
classicismo dannunziano.
E via via… si arriva a oggi…
                                 Giosue Carducci
                                 (1835-1907)
● Per Gadda, Leopardi risplende
nella «parola» che ha una
«nitidezza lunare»
Gadda s’inchina a una sorta di
miracolo…
Leopardi resta dentro la linea
del classicismo, non la spezza,
ma segna una radicale
innovazione…

● Manzoni → raggiunge la
grandezza sull’onda della
modernità (si fa paladino del
rinnovamento e guida della nuova
corrente, si schiera con
l’avanguardia: il Romanticismo,
sulla linea Parigi-Milano…
● Leopardi →
raggiunge la
grandezza andando
controcorrente, in
senso contrario a
Manzoni, contro il
nuovo, contro
l’avanguardia, e
difendendo il
passato, l’antico, a
Recanati, all’interno
di una biblioteca…
● Leopardi rinnova la
tradizione
dall’interno in modo
stupefacente, tanto da
sembrare di avere
sposato le ragioni del
nuovo, del realismo
romantico, ma non è
così, resta classicista,
antiromantico…
(conquista magistralmente
la modernità attraverso la
tradizione, come farà        Versi, Bologna,
                             Stamperia delle Muse, 1826
Saba…)
… tutto in Leopardi si
misura nel passaggio
(nell’arco di una
manciata di anni) dal
linguaggio delle
Canzoni (1824) al
linguaggio dei canti
pisano-recanatesi
(1828-30), preceduti
dagli Idilli (1819-1821)   Canti, Firenze,
                           Piatti, 1831
Manzoni e Leopardi, antitetici:

● Manzoni romantico
● Leopardi classicista, antiromantico
● nel marzo 1818, ventenne, Giacomo scrive il polemico Discorso
di un Italiano intorno alla poesia romantica, destinato al
milanese «Lo Spettatore italiano» di Anton Fortunato Stella
(giornale classicista e erudito), ma rimasto inedito fino al 1906;
poi irride il romanzo storico (il genere della modernità… ), nei
tardi Paralipomeni, I, ottave 34-36: parla del Gabinetto Vieusseux,
«Gabinetto di pubblica lettura» (dove si leggono solo giornali e
romanzi storici)
● Tra parentesi: poi anche Manzoni contesta il
romanzo storico:
già dai primi anni Trenta, NON nell’ottobre 1850 (come
sempre si afferma, quando esce a stampa il Discorso sul
romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di
storia e invenzione), ma… è cosa ben diversa dalla
contestazione di Leopardi (in Manzoni è antefatto
alla Colonna infame, 1840):
→ però nella contestazione si trovano d’accordo e
negli stessi anni…
● Due autori antitetici → tra loro si osserva una distanza profonda,
anche di temperamento → si pensi alle loro scritture epistolari:

→ espansiva quella di Leopardi: cerca la confessione interiore, il
dialogo d’anima, il dialogo esistenziale, come si vede nelle
bellissime lettere a Giordani, oppure, su piano diverso, come si
vede nelle lettere ai fratelli, o al padre, dove il risvolto affettivo,
anche se occultato e segreto, è sempre fortissimo

→ per niente espansiva quella di Manzoni: sempre vigilata dal
riserbo, sempre controllata, vigilata dal rigore razionale;
porta in primo piano non l’io, ma le questioni di fatto, sociali,
culturali o morali.
Fondamentale la scelta del genere letterario:
● Manzoni approda al romanzo (genere nuovo)

● Leopardi è un lirico (ovvero segue la tradizione più ferrea)

Tra parentesi: anche Giacomo pensa al romanzo, intorno al 1819, più
o meno quando Manzoni, con i Ricordi d’infanzia e di adolescenza,
frammenti di un non compiuto romanzo autobiografico (→ Ortis);
intorno al 1825 con la Storia di un’anima, in prima persona; con la
«Storia di una povera monaca» [disegno letterario del 1819, tema
monacazione forzata: già trattato dalla Religieuse [1796] di Diderot, dove
la protagonista, riesce a uscire dal monastero; la «povera monaca» di
Leopardi si suicida gettandosi dalla finestra… il disegno di Leopardi nel
1819 precorre la monaca di Monza manzoniana e soprattutto precorre di
50 anni la Storia di una capinera di Verga, romanzo intimo come
quello ipotizzato da Leopardi…
● Leopardi pensa al romanzo, ma
resta un lirico (anche se scrive le
Operette morali e i 111 Pensieri);

→ resta un lirico (anche se le
Operette morali, con la loro
componente fiabesca, interessano il
moderno genere del racconto
fantastico → ne parla Italo Calvino)

● determinante è il fatto che
Leopardi NON spezza il recinto della
tradizione (lontano dalla SVOLTA
manzoniana):
→ per fare il romanzo al modo di       Elio Germano,
Manzoni è indispensabile                in Il giovane favoloso
«sliricarsi»: spezzare il recinto      (2014)
dell’io, e Leopardi non lo spezza.
● Manzoni contesta la mitologia e proclama il vero
storico come bello
● Leopardi difende la mitologia come fonte di poesia, su
posizioni duramente antiromantiche (→ la bella canzone
Alla Primavera, o delle favole antiche, del gennaio 1822,
nostalgia profonda per le «favole antiche») e identifica il
bello estetico con l’immaginazione (immaginazione
creativa):

«... interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo» (vv. 4-7, L’infinito, 1819)
● Per Leopardi il poeta finge, inventa:
«Il poeta immagina: l’immaginazione vede il mondo
come non è, si fabbrica un mondo che non è, finge,
inventa […] creatore, inventore, non imitatore; ecco
il carattere essenziale del poeta» (Zib. 4358, agosto
1828).
→ Difficile immaginare un passo più antimanzoniano di questo
(nei Promessi sposi il termine «romanzo» è censurato e la
«fantasia» ha accezione negativa…)

Occorre prendere atto di una triangolazione:

1. peso della tradizione, da noi sempre incombente…
2. SVOLTA manzoniana (che spezza la tradizione)
3. radicale novità leopardiana nella tradizione
Detto che sono antitetici, merita il conto
vedere punti di contatto:

→ perché sono compagni nel lavoro di liberare la nostra
letteratura dalla «spazzatura» (Gadda): dal «cancro della
retorica» e del servilismo
→ perché anche i loro contrasti sono istruttivi (contrasti su
temi capitali: le antitesi sono illuminanti)

→ perché da entrambi questi autori proviene una
straordinaria forza conoscitiva su temi comuni, sentiti da
loro intensamente, con «onestà» (→ Saba, Ciò che resta da
fare ai poeti, 1911…)
→ sono concordi nel rifiutare l’invito di collaborazione
all’«Antologia» di Vieusseux (Leopardi nel 1826, Manzoni
nel 1832);
→ sono concordi nel prendere le distanze da Firenze, dalla
cultura moderna rappresentata da Firenze:
→ per Manzoni, Firenze è troppo incline al compromesso
con il passato e troppo succube del passato e troppo
formalistica (come sono accolti a FI i PS nel 1827…)
→ per Leopardi è espressione della modernità, è troppo
legata a una modernità che lui non accetta («Lo Spettatore
Fiorentino», Palinodia), ovvero è utilitaristica, attenta alla
divulgazione, ai giornali…
I contrasti e le antitesi tra
i due autori aiutano a          Princeps I
                                Promessi
capire il nostro costume        Sposi, Milano,
letterario e la nostra storia   Ferrario, giugno
                                1827
civile e culturale:
→ perché ne risulta che per
entrambi la letteratura non
è un gioco di forme né un
gioco di parole, non è un         Princeps
                                  Operette
ornamento                         morali,
intellettualistico, ma è un       Milano,
                                  Stella,
modo di essere e di vivere,       giugno 1827
→ un modo di intendere
la vita e di lottare.
MANZONI SVOLTA

 ● riporta la nostra letteratura con i piedi in terra ( i piedi
si sono alzati da terra, e molto … dal 1° 500, con la
canonizzazione di Bembo, che ha comportato il principato
del petrarchismo), conseguente al «funesto» 1494
(Carducci, Dello svolgimento della letteratura nazionale, 1874)
→ letteratura libresca, elitaria, lirica, egocentrica,
scollata dalla realtà → Gadda (s’è visto) parla di
«valanghe di endecasillabi beoti»…
● introduce lingua dell’uso in un’opera letteraria
(non dialettale, il che non accadeva dai tempi di Dante)

● si sliricizza: scrive un romanzo polifonico (non
dell’io → Ortis), rivolto a un pubblico popolare, un
romanzo attento alla «storia» non alla «fantasia»

● scrive un’opera letteraria (romanzo) con finalità
etiche e civili (eteronomia dell’arte), che dia anche
un contributo importante alla formazione dello
Stato italiano, all’Unità politica nazionale
● Manzoni ha vinto la sua battaglia, non ha vinto la
guerra
● contro il cancro della «retorica», del servilismo, della
letteratura cortigiana al servizio dei potenti, per una
letteratura rispettosa della responsabilità della parola:
«Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e coi
diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti degli
uomini, è legato di sua natura con oggetti gravissimi»
(Prefazione, Il Conte di Carmagnola).
In ciò d’accordo con Leopardi.

Ma la guerra non è vinta: → classicismo di Carducci e
classicismo di D’Annunzio → rinascita della mitologia,
contro Verga, contro Svevo, contro Pirandello…
Un osservatore al funerale
di Manzoni: primo segnale
di una fortuna ambigua

1874, 22 maggio: a un anno
dalla scomparsa di
Manzoni, è eseguita nella
Chiesa di San Marco, a
Milano, la Messa da requiem
dedicata da Verdi alla
memoria dello scrittore,
quindi il 25 maggio è
ripresentata alla Scala. Tra i
presenti, nella Chiesa di San
Marco, c’è Giovanni Verga:
«Uno spettacolo
teatrale, piuttosto che
una mesta funzione
religiosa, la Chiesa
stipata da una folla in
gala susurrante,
agitantesi, sbirciantesi
coll’occhialetto, come
in teatro »
(G. Verga alla madre,
Milano, 24 maggio
1874).
MANZONI INATTUALE           (la sua è sempre stata una
popolarità ambigua…)

Oggi egolatria e invece Manzoni → sliricato.

 Oggi erotismo di massa e invece Manzoni → vd. Fermo e
Lucia, II, 1 (digressione sull’amore, inteso come passione
erotica)

«Perché io sono del parere di coloro i quali dicono che
non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire
l'animo di chi legge a questa passione […]»
[continua]
continua cit. dal Fermo e
Lucia:

«Concludo che l'amore è
necessario a questo mondo:
ma ve n'ha quanto basta, e
non fa mestieri che altri si dia
la briga di coltivarlo […]. Vi
hanno altri sentimenti dei
quali il mondo ha bisogno,
e che uno scrittore secondo le
sue forze può diffondere un
po' più negli animi… »             I Promessi Sposi, a cura di L.
[continua]                         Caretti, Torino,
                                   Einaudi, 1971, 2 voll.
continua cit. dal Fermo e
Lucia:

«come sarebbe la
commiserazione, l'affetto al
prossimo, la dolcezza,
l'indulgenza, il sacrificio di se
stesso: oh di questi non v'ha
mai eccesso; e lode a quegli
scrittori che cercano di metterne
un po' più nelle cose di questo
mondo: ma dell'amore come vi
diceva, ve n'ha, facendo un
calcolo moderato, seicento
volte più di quello che sia
necessario alla conservazione
della nostra riverita specie»
(Fermo e Lucia, II, 1 ).            Giulia Beccaria,
                                    di Maria Cosway,
                                    Milano, Bibl. Braidense
Il punto consiste nel rapporto
con la materia trattata:
complicità o meno (!),
tutto dipende da come si
maneggia la materia.

Il lettore deve essere non
complice ma giudice (→
«l’empia / virtù d’amor»,
Coro di Ermengarda,
v. 67-68).

«La rappresentazione delle
passioni che non eccitano
simpatia, ma riflessione
sentita è più poetica d’ogni
altra» (Della moralità delle
opere tragiche, 1, 6).
[Tra parentesi: non rifiuta l’amore per moralismo bigotto,
ma per svolta rispetto al narcisismo della tradizione
petrarchista, per una diversa idea di letteratura…]

Parere di Guido Ceronetti:
«A scacciare il peso opprimente dell’erotismo di
massa, il pudore sfrenato dei Promessi Sposi è
sufficiente […]. L’attualità di questo libro è l’attualità
dell’aria, dell’acqua pulita: cose che si cercano per
reale bisogno» (G. CERONETTI, A cent’anni dalla morte.
Manzoni segreto, in «La Stampa», 1° aprile 1973).
Fondamentale LA SVOLTA

Che sia fondamentale è indicato dalla scelta dei
momenti storici nei quali Manzoni ha ambientato le
sue opere:

● Carmagnola: primo ’400 (battaglia di Maclodio, Coro,
Atto II, 12.x.1427), momento delle lotte intestine (che
portano al «funesto» 1494, il quale anno è prefigurato nel
Coro della battaglia di Maclodio); lotte intestine che
preludono alla dominazione straniera.
● Adelchi: la dominazione
straniera sul suolo italiano, al
tempo della lotta tra
Longobardi e Franchi (nel 772-
774), ma è come se fosse al
tempo delle «guerre d’Italia»,
successive al funesto 1494;
ovvero, tematicamente (in
senso ideologico-politico)
l’Adelchi è continuazione del
Carmagnola;
● Promessi sposi: l’Italia del
Seicento, cioè il momento più
depresso della dominazione
straniera in Italia.               Adelchi, Coro atto III,
                                   «Dagli atrii muscosi…»
● Cosa significano
queste scelte di
tematiche? il tema
ossessivo è la perdita
della sovranità italiana
sul suolo italiano,
ov vero il presupposto
storico (1° 500) che ha
portato alla
retoricizzazione della
nostra letteratura (con
le Prose di Bembo nel
1525, effetto del
«funesto» 1494).
Tu t t o è i n i z i a t o a l l o r a
( c o n i l p r i m a t o d e c i s i vo
riconosciuto a                             Prose di Bembo,
Pe t r a r c a ) .                         ristampa veneziana
                                           del 1575
Consideriamo il senso,
in Manzoni, della svolta,
    dello strappo:

vediamo, nel 1816, i
Materiali estetici: vi si
leggono riflessioni
fondamentali, molto
severe nei confronti della
nostra tradizione
letteraria.
● tradizione letteraria
giudicata da Manzoni
autoreferenziale: è la
condanna severa di tutta
una tradizione

● una letteratura sconnessa
dalla realtà e dalla vita reale
● una letteratura
autoapologetica
● servile nei confronti dei       Cesare Beccaria
«potenti vivi»                    (1738-1794)
● invece la letteratura deve
avere per Manzoni decisive
finalità etiche e civili
I Materiali estetici non
sono solo (come si afferma)
appunti sul teatro (nel
1816…), ma riflessioni su una
nuova idea di poesia,
un’idea di poesia di forte
tensione etica e civile,
anche come atto di
ristabilimento della
giustizia sulla terra (al pari   Dante ritratto da
                                 Gustave Doré
di Dante)                        (Strasburgo, 1832-Parigi, 1883)
● La scelta letteraria e linguistica di Manzoni (genere del
romanzo e lingua dell’uso) fermentano da un profondo
risentimento, che è alla base della SVOLTA

● esemplari alcuni passi dei Materiali estetici:
♣ Novelletta del medico
«un solenne mangiatore chiese al medico che dovesse
fare per certe indigestioni che lo molestavano. Ad ogni
indigestione pigliatevi un purgante, rispose il medico.
Ma, replicò il ghiottone, io ho inteso dire, che i purganti
sciupano lo stomaco. Pur troppo è vero, disse il medico;
ma questo è un male inevitabile. […] Un uomo che era
presente al consulto si fece ardito di proferire questa sua
opinione: Se questo Signore vivesse sobriamente non
potrebb'egli schifare le indigestioni e i purganti? Il
Medico gli si volse con un grave sorriso, e disse: Io do
consigli pratici e non faccio progetti romanzeschi»
(Materiali estetici [1816], II, 7).
♣ In polemica con Ariosto, sempre dai Materiali
estetici:

«Non fu sì santo, né benigno Augusto,
Come la tuba di Virgilio suona.
L'avere avuto in poesia buon gusto
La proscrizione iniqua li perdona.
Orlando Furioso, Canto 35, st. 26.
Dio liberi. La Poesia è […] la viva espressione dei più alti, dei più intimi
sensi che possono capire nell'animo dell'uomo […], ma se ella dovesse
pervertire i nostri sentimenti sul bene e sul male, sarebbe una
peste, un vitupero, un flagello. La proscrizione iniqua li perdona! Mai
no, Messer Ludovico. Virgilio all'incontro non ha potuto far
perdonare a sé medesimo la sua indegna adulazione» (Materiali
estetici, II, 8).
Altre citazioni esemplari per l’idea di poesia coltivata da
Manzoni:

♣ «Non sono buone lettere […] quelle che non
veggono che ci sia qualcosa da fare per loro, dove non si
tratti di giocar colla fantasia» (A. Manzoni a M. Coen,
Milano, 2 giugno 1832)
♣ «la ‘bella’ letteratura gioca con la fantasia, la
‘buona’ letteratura si nutre della ‘cognizione critica
degli uomini e delle cose’» (A. Manzoni a M. Coen,
Milano, 2 giugno 1832).
Vicenda biografia              Il milanese
                               Giuseppe
                               Rovani
                               (1818-1874)
Ci sono due citazioni sulla
vicenda biografica di
Leopardi, in rapporto alla
vicenda biografica di
Manzoni: una di Giuseppe
Rovani, da versante
manzoniano (cultore del
romanzo storico e autore dei
Cento anni, 1856-63):
cit. da Rovani:

«Leopardi, più giovane di Manzoni, […] ha saputo far
quello che i tempi volevano? Eppure la potenza
miracolosa e sovrumana del suo intelletto, come con
iperbolica espressione ebbe a dire Giordani, doveva
darci il diritto di attendere da lui tutto quello che
non ha fatto e che lasciò fare a Manzoni» (G. Rovani,
La mente di Alessandro Manzoni, Milano, Perelli, 1873,
ora, Milano, Libri Scheiwiller, 1984, p. 18).
L’altra citazione prende le
difese di Leopardi, da
parte classicistica, ovvero
di Carducci:

«Ah, signor Rovani, perché
così esigente con gl’infelici,
voi, così prodigo coi
fortunati? E tu, povero
infermo deforme, tu, portato
necessario e vittima
innocente delle peggiori
sventure d’Italia, dormi         Giosue Carducci
ben forte laggiù nella tua       (1835-1907)
tomba napolitana; e non ti
venga voglia di ascoltare.
Bella cosa che i morti non
sentano!» [continua]
continua cit. da Carducci:

«Tu non vedesti crescere
lieta la tua gioventù tra le
carezze i sorrisi
gl’incoraggiamenti nella
superba Milano capitale
del regno d’Italia e tra il
più bel fiore della elegante
dottrina francese: tu non      Milano, la Galleria
avesti né pur gioventù… »
[continua]
continua cit. da Carducci:

«tu non avesti una madre, alta educatrice ed amica;
non una moglie, bella, tenera, ammiratrice; non una
famiglia amorosa, felice, orgogliosa di te; non la villa
di Brusuglio, ove edificare con gusto e coltivare per
ispasso: tu non avesti né il Monti né il Foscolo lodatori
e animatori, né il Fauriel traduttore, né il Goethe critico
plaudente. Né pur ti rispondevano, a te» [continua]
continua cit. da Carducci:

«Trascinavi la tua povertà e la malattia e i fastidi e i
dolori di città in città cercando vanamente dove e
come vivere; e nessuno si volle degnare di accorgersi di
te: e i dotti ridevano della tua grandezza proclamata da
Giordani, o al più ammiccandosi tra loro dicevano: – Eh,
quel gobbetto? ha dell’erudizione per altro. E ora il
signor Rovani viene a farti i conti a dosso» (G.
CARDUCCI, A proposito di alcuni giudizi su Alessandro
Manzoni [1873], in Opere, Ediz. Naz., XX [Leopardi e
Manzoni], Bologna, Zanichelli, 1937, 19442, pp. 317-318).
Molto bello il passo di
Carducci! Però Carducci ha
solo parzialmente
ragione:

→ È vero: la disperata
biografia di Leopardi non
è la biografia di Manzoni.
                             Recanati
Come Recanati non è
Milano, né Parigi (dove
Leopardi non è mai stato).
Nondimeno...
quest’interpretazione
delle due biografie in
chiave oppositiva, una
infelice e una fortunata,
ha avuto larga
diffusione, ma per
quanto riguarda il
versante manzoniano
funziona poco. La vita di
Manzoni non è la vita       Giulia Manzoni Beccaria
d’un uomo quale lo          con il piccolo Alessandro

intende Carducci: «pio,
calmo, sereno».
È la vita, forse fortunata,
d’un uomo senza pace.
Pio, ma d’una
tormentata religiosità.
Quanto al «calmo» e al
«sereno», non sono che
l’immagine esteriore
d’un difficile equilibrio,
saputo conquistare giorno
per giorno. Non sono doni
del cielo, né della sorte
benigna.                      Francesco Hayez,
                              Ritratto dell’Innominato
                              (ca. 1845), Milano, Coll. privata
I nostri due autori sono cronologicamente coevi,
Manzoni è più grande di 13 anni:
due biografie differenti (il piccolo paese e la grande
città), come differenti sono i temperamenti e le scelte
culturali,
differenti, antitetici: una biografia socializzata con un
ambiente culturale all’avanguardia,
l’altra chiusa dentro una biblioteca di famiglia, una
straordinaria biblioteca.

Eppure alcuni luoghi, alcune città segnano la
cronaca di incontri possibili e incontri avvenuti e
incontri mancati…
I LUOGHI
    (Milano: distanza; Firenze: incontro e stima; Pisa: incontro e
                             distanza)

MILANO: la città di Manzoni, Leopardi vi soggiorna poco, Leopardi odia
Milano, vi soggiorna dal 30 luglio al 26 settembre 1825 (quasi due mesi),
in estate, Manzoni è a Brusuglio: incontro mancato, ma anche
impossibile:
→ Leopardi risiede a casa di Anton Fortunato Stella, l’editore dello
«Spettatore italiano», raccaforte classicistica e erudita (dove Leopardi
tra il 1816 e il 1817 ha pubblicato vari articoli filologici e di erudizione): non
è la Milano romantica, la Milano di Manzoni.
Leopardi scrive al fratello Carlo, durante il soggiorno:

«Qui […] non v’è neppur una società fuorché il passeggio, ossia
trottata, e il caffè; appunto come a Recanati né più né meno. (G.
Leopardi al fratello Carlo, Milano, 7 settembre 1825).
Significa, davvero, non capire Milano!

A Milano Leopardi, nello stesso mese di settembre
1825, legge, di Monti, il Sermone sulla mitologia, appena
pubblicato: ovvero cerca le conferme alla propria
cultura classicistica, alle proprie posizioni (il Sermone
è sollecitato dalle Canzoni leopardiane dell’anno prima,
Bologna, 1824, proprio da Alla primavera, o delle favole
antiche).
FIRENZE: incontro avvenuto,
lunedì, 3 settembre 1827, in
palazzo Buondelmonti
(Gabinetto Vieusseux), piazza
Santa Trinita, nel ricevimento,
dalle 19 alle 21, in onore di
Manzoni, dopo che a Milano,
in giugno, erano apparsi i
due antitetici capolavori
della prosa ottocentesca, i       Firenze, Palazzo Buondelmonti,
PS e le OM.                       Piazza S. Trinita,
                                  sede al tempo di Leopardi
Incontro avvenuto nel             del Gabinetto Vieusseux.
reciproco silenzio.
● il giudizio di Leopardi sui Promessi sposi, dopo
l’incontro con Manzoni a Firenze:
 «Ho veduto il romanzo di Manzoni, il quale, non ostante molti
difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno;
e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto
seco a Firenze. È un uomo veramente amabile e rispettabile» (G.
Leopardi a Antonio Papadopoli, Pisa, 25 febbraio 1828).

● giudizio positivo, che contrasta con altri giudizi epistolari di
Giacomo …

«Del romanzo di Manzoni (del quale io ho solamente sentito
leggere alcune pagine) le dirò in confidenza che qui le persone di
gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione. Gli altri
generalmente lo lodano» (G. Leopardi a Antonio Fortunato Stella,
Firenze, 23 agosto 1827).
«Qui si aspetta Manzoni a
momenti. Hai tu veduto il
suo romanzo, che fa tanto
romore, e val tanto poco?»
(G. Leopardi a Pietro
Brighenti, Firenze, 30 agosto
1827).

Questi 2 giudizi (23 e 30
agosto 1827) sono formulati
quando Giacomo non ha
letto il romanzo!               Illustrazione del torinese
                                Francesco Gonin (1808-1889)
dopo (25 febbraio 1828): lo     nella Quarantana
ha letto…
● Così commenta Francesco Moroncini (ammirevole
editore dell’Epistolario, 7 voll., Le Monnier, 1934-
1941, lettere anche dei corrispondenti e prezioso
commento):

«Questo giudizio [25 febbraio 1828] è il più favorevole
giudizio che, poste le differenze inconciliabili tra i due
grandi scrittori, Giacomo poteva dare del Manzoni:
giudizio da ritenersi al tutto sincero, in quanto
espresso a un intimo amico, col quale non aveva nessun
motivo di fingere o di nascondere o attenuare il proprio
sentimento» (vol. V, 1938, p. 58).
PISA: città amata da Leopardi (per il clima mite, rispetto al
rigido inverno fiorentino)

→ Nell’aprile 1828 (luminoso aprile 1828, il mese del
Risorgimento e di A Silvia… la ripresa del canto, dopo la
stagione della prosa, delle Operette, del silenzio della
poesia…),
→ Leopardi incontra Manzoni a stampa, ovvero legge le
Tragedie, edite a Pisa da Niccolò Capurro, nel dicembre 1826 (2
tragedie, Inni sacri, Imbonati, Urania, Cinque Maggio, la
Lettre)
→ risulta dagli Elenchi di letture, aprile 1828: «Manzoni, Inni
sacri e il Cinque Maggio, Pisa 1826 [l’edizione]».
In questo memorabile aprile pisano, prima di A Silvia (19-20
aprile), scrive Il risorgimento (7-13 aprile)…
… dove si è visto un influsso di Manzoni (metro
nuovo per Leopardi, strofette di settenari, metro
manzoniano, e concordanze lessicali con la poesia di
Manzoni): ritmo scandito, esultante, da inno sacro, per
la rinascita degli affetti, per la rinascita dello
slancio sentimentale che prelude alla nuova stagione
poetica:

→ concordanze lessicali: v. 37 «Giacqui: insensato,
attonito» [che segna il culmine della insensibilità, il
punto della morte degli affetti, dell’aridità sentimentale]
rinvia al Cinque Maggio: «cadde, risorse e giacque» (v.
16) e «così percossa attonita» (v. 5).
→ Ma NON credo sia un omaggio a Manzoni, bensì è una
dichiarata presa di distanza da Manzoni: la palese,
esteriore vicinanza (metro, lessico…) accentua la
sostanziale diversità:

● in Manzoni: noi, coralità (su linea antipetrarchesca)
● in Leopardi: io, cioè primato del pronome di prima
persona: i 160 vv. di Il risorgimento, offrono la storia
interiore dell’io leopardiano (dalla crisi del 1819
all’incupimento pessimistico del 1824 attestato dalle Operette),
storia interiore dell’io e radiografia del «cuore» (parola chiave
che ritorna 10 volte): invece ricordare PS, VIII («Ma che sa
il cuore?...»)
● Il fatto è che in Manzoni, già dal giovanile sonetto-
autoritratto (1801, sedicenne) non interessa il
conflitto cuore-ragione caro alla tradizione
alfieriana e foscoliana:
Alfieri (1786): Sublime specchio di veraci detti, v. 11: «la
mente e il cor meco in perpetua lite»
Foscolo (1801): Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
vv. 12-13: «do lode / alla ragion, ma corro ove al cuor
piace», poi: «cauta in me parla la ragion; ma il core, /
ricco di vizi e di virtù, delira»
Manzoni (1801): Capel bruno: alta fronte: occhio
loquace, v. 8: «duro di modi, ma di cor gentile»: cenno
innocuo
● Anzi in Manzoni, di lì a 5 anni, nel carme In morte di Carlo
Imbonati (1806), i due poli antitetici in Alfieri e Foscolo
(«mente» e «cuore») si saldano insieme e si compongono in
endiadi nel famoso binomio «sentir» e «meditar» (v. 207):
non attrito ma saldatura (come nella «riflessione sentita»
degli appunti del saggio Della moralità delle opere tragiche):

«Sentir», riprese, «e meditar: di poco
esser contento: da la meta mai
non torcer gli occhi, conservar la mano
pura e la mente: de le umane cose
tanto sperimentar, quanto ti basti
per non curarle… (In morte di Carlo Imbonati, vv. 207-212)
● Chiarisce il significato dell’endiadi «sentire e
meditare» la lettera a Fauriel del 9 febbraio 1806:

«Io credo che la meditazione di ciò che è, e di ciò che
dovrebb'essere, e l'acerbo sentimento che nasce da
questo contrasto, io credo che questo meditare e
questo sentire sieno le sorgenti delle migliori opere sì in
verso che in prosa dei nostri tempi» (A. Manzoni a C.
Fauriel, [Parigi], 9 febbraio 1806)
● NON interessa l’antitesi lirica cuore/mente
● MA interessa la riflessione sul contrasto, tra ciò che è e
ciò che dovrebbe essere, nei comportamenti individuali e
nella dinamica degli accadimenti umani (questo il
fondamento dell’opera manzoniana)

● Il cuore umano non è più soggetto e motore dell'azione
lirica, ma diventa oggetto di analisi, materia da sottoporre
allo scrutinio tagliente «di ciò che è, e di ciò che
dovrebb'essere». Anche da questo punto di vista, il futuro
autore dei Promessi sposi si conferma, già nel 1806, lirico sui
generis, con già implicite le premesse del suo sliricarsi.
● Il risorgimento di
Leopardi è sulla linea
Alfieri-Foscolo, che è poi
la linea petrarchesca:
l’epicentro è l’«io», NON
il «noi», non la coralità:
storia interiore dell’io e
radiografia del cuore, dalla
prospettiva della frattura
ragione-cuore, sapere /        Copertina e frontespizio
sentire…                       della princeps dei Canti,
                               Firenze, Piatti, 1831
● La rinata capacità di affetti, di commozione,
nell’aprile pisano del 1828, per Leopardi rende vivibile la
vita e riesce a trasformare il mondo. Eppure, nel sistema
concettuale del pessimismo materialistico, nulla è
cambiato. Diventa vitale il contrasto, la contraddizione tra
«sapere» e «sentire».

● Leopardi, sulla medesima linea Alfieri-Foscolo, va
oltre:
→ non basta richiamarsi all'antitesi cuore-ragione: il
«risorgimento» del sentire presuppone «l'infausta verità»
(v. 116): i «Moti soavi», i «palpiti», gli «affetti» della nuova
stagione leopardiana hanno come condizione e antefatto
inevitabili la certezza della nullità di tutte le cose, e la
non-rassegnazione del «cor» dinanzi a questa certezza.
● Con la prossimità (ritmica
e lessicale) a Manzoni, nel
luminoso aprile pisano del
1828, Leopardi in effetti
ribadisce la propria diversità
e la propria originalità:
→ l’antitesi cuore/mente
diventa in lui tensione
conoscitiva proiettata
fuori dell’io, tanto da fare
luce sulla precarietà            Versi, Bologna,
dell’esistenza umana e,          Stamperia delle Muse,
                                 1826
insieme, trasmette energia
e coraggio.
● Profonda diversità, nondimeno
medesima tensione di autenticità
dinanzi alle questioni capitali della
vita (virtù, valore, giustizia, affetti…) e
dinanzi alla serietà della poesia (non
evasiva, non servile nei confronti dei
«potenti vivi») e dinanzi alla
responsabilità morale che spetta alla
parola del poeta:
● responsabilità morale che spetta alla parola del
poeta:

«Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e
coi diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti
degli uomini, è legato di sua natura con oggetti
gravissimi» (Prefazione, Il Conte di Carmagnola);

«Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio
stile. Bisogna che il suo stile sia padrone delle cose»
(Zib., 2611-2613, 27 agosto 1822).
Due fiori
La ginestra o il fiore del deserto [1836, a stampa 1845, vv. 32-41; 52-53]

…………. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all’amante natura. […]
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco […].
● La ginestra chiude il
libro inesauribile dei
Canti con la polifonia di
una sintesi magistrale.
→ la condizione
dell'umana esistenza, che
Il tramonto della luna
ripropone da una
prospettiva terrena, in
rapporto alla fugacità
della giovinezza e delle
speranze
→ è nella Ginestra           Vincent Van Gogh,
considerata da un punto di   Notte stellata sul Rodano
                             (1888),
vista cosmico, in rapporto
                             Parigi, Musée d’Orsay
al processo
meccanicistico
dell'universo.
● La ginestra attesta la coraggiosa accettazione del
dolore e la coscienza di una «guerra comune» (v. 135)
a difesa dalle «angosce» (v. 134) che la natura ci riserva:

→ questo il presupposto di una morale laica
fondata su «l'onesto e retto / conversar cittadino, / e
giustizia e pietade» (vv. 151-52);
→ anche il presupposto dell'invito solidaristico a
una collettiva confederazione contro l‘«empia
natura» (v. 148, cfr. Palinodia, v. 181)…
… di qui l'appello al «vero
amor» (v. 132) di una
fratellanza
sovranazionale, estrema e
generosa illusione di cui i
coevi 111 Pensieri mostrano
il fondo amaramente
disincantato.
Germogliata da questa
coscienza della negatività,
in un paesaggio brullo e
infuocato dove si tocca
con mano il male che
affatica il mondo,
fiorisce lo splendido «fiore
del deserto», l‘«odorata»"
(v. 6), «gentile» (v. 34),
«lenta» (v. 297),
«innocente» (v. 306),
«saggia» (v. 314) e fragile
(cfr. v. 315) ginestra.
→ espressione d’una nobilissima e fiera dignità
dell'esistere,
e del comunicare grazia, bellezza, profumo,
nella nuda coscienza del nulla.
Ognissanti
Dopo Il Natale del 1833 (marzo
1835), quando Manzoni tenta di
nuovo la poesia con Ognissanti
(1847),
→ dopo la perdita della madre
nel luglio 1841
→ e del caro Fauriel nel luglio
1844,
→ riaffiora la sua abituale
misura oggettiva di canto, che
tiene a freno l’impeto delle
passioni private.
                                  Princeps di
                                  Dei delitti e delle pene
                                  [Livorno] 1764
Un inno dal titolo
Ognissanti era previsto fino
dal tempo della prima lirica
sacra
→ ma soltanto nell’ottobre
1847 il primitivo progetto è
ripreso con la stesura di
quattordici strofe
tetrastiche (56 versi) di
novenari (verso inusuale
in Manzoni), dopo di che il
frammento, già a dicembre,     Princeps
                               Inni sacri,
è definitivamente              Milano, Agnelli,
abbandonato.                   1815
Il tema dell’inno è chiarito, nel febbraio 1860, in una
lettera a Louise Colet, la scrittrice amica e corrispondente
di Flaubert:
a lei il poeta dichiara di volere:
→ celebrare le silenziose virtù ascetiche dei santi
solitari, degli anacoreti,
→ in risposta a chi chiede conto della loro funzione
per l’utile pubblico e sociale (quell’«utile» contestato
da Leopardi nel Preambolo a «Lo Spettatore
Fiorentino» e nella Palinodia)
Il Manzoni più che
sessantenne (1847: 62 anni)
rinnova il proprio registro
lirico e passa,
dall’orchestrazione
sinfonica verdiana delle
sue prove maggiori,
→ a un dettato più franto e
disarmonico, a una musica
più lenta e più introversa.
                              Monumento in bronzo a
                              Manzoni (1891), Lecco,
                              opera di Francesco Confalonieri
                              e Giuseppe Fumagalli
La lirica evoca un paesaggio rupestre e sconvolto, tra
«inospite piagge» (v. 18) e «aure selvagge» (v. 19) dove
striscia la serpe (l’«angue nemico», v. 49).
In questa landa desolata brilla «il tacito fior»

(al singolare, come il «fior» del Nome di Maria, v. 34;
della Pentecoste, v. 104, e dei PS, XXXIV,
nell’episodio della madre di Cecilia: «il fiore già
rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino
ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte
l’erbe del prato»).
→ un prodigio di luce
che, simile all’ascesi
degli anacoreti,
dispiega soltanto
davanti a Dio «la
pompa del pinto suo
velo» (v. 22), quindi
«spande ai deserti del
cielo | gli olezzi del
calice, e muor» (vv.
23-24):                  Fiori nella Primavera di Botticelli,
                         Firenze, Galleria degli Uffizi
Ognissanti [1847, vv. 5-24]
   Il secol vi sdegna, e superbo
domanda qual merto agli altari
v’addusse; che giovin gli avari
tesor di solinghe virtù.

    A Lui che nell’erba del campo
la spiga vitale nascose,
il fil di tue vesti compose,
de’ farmachi il succo temprò,

  che il pino inflessibile agli austri,
che docile il salcio alla mano,
che il larice ai verni, e l’ontano
durevole all’acque creò;
a Quello domanda, o sdegnoso,
perché sull’inospite piagge,
al tremito d’aure selvagge,
fa sorgere il tacito fior,

  che spiega davanti a Lui solo
la pompa del pinto suo velo,
che spande ai deserti del cielo
gli olezzi del calice, e muor.
Nella struttura dell’inno
s’immettono vibrazioni
aspre, timbri acuti e
dissonanti che il
luminoso profumo del
fiore mette in risalto per
antitesi.

Sono palesi le suggestioni
della Ginestra
leopardiana, uscita a
stampa due anni prima,
                             Opere, a cura di A. Ranieri,
nelle postume Opere, Le      Firenze,
Monnier, 1845.               Le Monnier, 1845
Anche in Manzoni (come nella
Ginestra) ritornano:

→ l’attacco contro l’orgoglio
del «secol [...] superbo» (v. 5)

→ le «inospite piagge» (v. 18)
ove s’annida l’«angue nemico»
(v. 49)

→ la polemica
antiutilitaristica

→ l’immagine dell’odoroso
fiore del deserto.                 L’anziano Manzoni
● Si tratta certo
d’orizzonti antitetici:
→ ma l’uno e l’altro fiore
reclamano nondimeno una
lettura anticonsolatoria
→ entrambi certificano la sorte
drammatica del destino
terreno
→ entrambi attestano il rifiuto di
quella facile e illusoria
pacificazione che sarà
emblematizzata da Montale in
un «croco» fluorescente
«perduto in mezzo a un
polveroso prato» (Ossi di seppia,    Eugenio Montale
«Non chiederci la parola», vv. 3-    (1896-1981)
4):
«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato» (vv. 1-4).

La prospettiva dell’eterno non distoglie il cattolico
Manzoni dalla componente drammatica d’un
pessimismo storico che è senza requie nel
denunciare le «magnifiche sorti e progressive»
dell’«umana gente» (La ginestra, vv. 50-51).
L’inno Ognissanti
resta incompiuto,
dopo questo energico
tentativo di
risorgimento del
poeta ormai
incamminato verso il
silenzio
degli ultimi anni.
desidero concludere con le
parole del mio maestro
Lanfranco Caretti:

«Manzoni e Leopardi, pur
muovendo da ideologie
opposte, giungevano ad un
medesimo atteggiamento
di fermezza critica,
edificando sopra un terreno
spirituale e storico
scandagliato con occhio       Lanfranco Caretti
spietatamente critico, le     (1915-1995)
loro robuste convinzioni
interiori, nelle quali il
lettore attento avverte…
… l’energia di una
assoluta intransigenza
morale, assai più che
l’effimero fascino delle
seduzioni emotive,
delle sottigliezze
patetiche, delle
morbide atmosfere
sentimentali» (L.
Caretti, Manzoni.
Ideologia e stile, Torino,
                             Francesco Hayez, Ritratto
Einaudi, 1972, p. 23).       di Manzoni, 1841,
                             Pinacoteca di Brera
● Parole istruttive,
specie oggi, che quando
si parla di letteratura e di
arte si parla
esclusivamente di
emozioni, e non anche di
coscienza e conoscenza
critica, non di valori
conoscitivi che credo
siano da tenere nel
                               Ritratto di Leopardi (1837),
debito conto.                  del napoletano Domenico Morelli,
                               Recanati, Centro Naz. Studi
                               Leopardiani
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