Gino Tellini 2019 - Formazione Loescher
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Leopardi (Recanati, Mc, 1798-Napoli, 1837) S. Ferrazzi, Ritratto di Leopardi, 1897, Recanati, Casa Leopardi Manzoni (Milano, 1785-1873) G. Molteni-M. D’Azeglio, Ritratto di Manzoni, 1831, Milano, Bibl. Naz. Braidense
SOMMARIO antitesi e punti di contatto (4-48) riflessioni sulla vicenda biografica (49-58) luoghi (59-76) due fiori (77-98)
● Quando nasce Leopardi (29.6.1798, segno Cancro), Manzoni (7.3.1785, segno Pesci) ha 13 anni. Sono due autori, per tantissimi aspetti, antitetici. ● Vale la pena ricordare che spesso i contrasti sono preferibili alle amicizie convenzionali: segnalo un bel saggio di Pietro Paolo Trompeo, sul tema delle inimicizie in letteratura: Il Leopardi e il suo antagonista (1937), in Il lettore vagabondo. Saggi e postille (Roma, Tumminelli, 1942):
cit. da Trompeo: «quando all’aria molle dei centenari i prati sovrabbondano di malva e di camomilla, punge lo spirito una acerba nostalgia di sapori forti, d’erbe piccanti […]. Nascono fantasie incongrue di celebrazioni a rovescio. […] Si vorrebbe panegirista del Tasso il suo nemico Galileo […]. Che affilatura di armi e di unghie! Che ridda di colpi mancini! » [continua]
continua cit. da Trompeo: «In quest’ordine d’idee il discorso ufficiale pel centenario del Leopardi spetterebbe di pieno diritto a Niccolò Tommaseo» (Il Leopardi e il suo antagonista [1937], in Il lettore Egisto Sarri, Ritratto di Niccolò vagabondo, Saggi e Tommaseo, 1874, Firenze, Accademia della Crusca postille, Roma, Tumminelli, 1942, p. 127).
Quanto a Tommaseo, si rammenti il suo epigramma feroce contro Leopardi (in una lettera a Gino Capponi del 1837): «Natura con un pugno lo sgobbò:/ “canta” gli disse Niccolò Tommaseo, statua di irata ed ei cantò». Francesco Barzaghi, 1882, Campo Santo Stefano, Venezia. La statua è detta dai veneziani “del cagalibri”.
Da parte di Leopardi (che non le mandava a dire), si rammenti che quando con gli amici era arrabbiato affermava che gli giravano «i Elio Germano, in Il giovane favoloso (2014) tommasei»…
Sui rapporti tra Manzoni e Leopardi, desidero iniziare con un passo (per me formidabile) di Gadda: «[Manzoni] Volle che il suo dire fosse quello che veramente ognun dice, e non la roca trombazza d’un idioma impossibile, che nessuno parla (sarebbe il male minore), che nessuno Carlo Emilio Gadda pensa, né rivolgendosi a sé, (che sul letto di morte, nel maggio 1973, si né alla sua ragazza, né a Dio». faceva leggere dagli [continua] amici capitoli dei Promessi sposi)
continua cit. da Gadda: «[…] Non la vanità d’una disputa accademica e non il gusto ribelle del letterato giovincello reduce da Parigi con le primizie dell’ultima scapigliatura, può aver imposto a costui di romperla una buona volta con certi toni della vacua magniloquenza. Un conto è disseppellire Cicerone e scrivere la canzone alla Vergine, gli esametri dell’Affrica o trattati di geografia» [continua] La cognizione del dolore, 1963, [«Letteratura», 1938-1941]
continua cit. da Gadda: Poggio Bracciolini «un conto è contraffare il (1380-1459) latino del De Officiis perché ci si chiama Poggio Bracciolini, o il latino dei Tristia perché ci si chiama Giovanni Pontano; e un altro, un ben altro e miserabile conto, è il rovesciare durante dei secoli sopra un popolo incapace di originalità delle valanghe di endecasillabi beoti» [continua] Giovanni Pontano (1429-1503)
continua cit. da Gadda: «Egli volle parlare da uomo agli uomini, come, a lor modo, parlarono tutti quelli che ebbero qualche cosa di non cretino da raccontare. Ebbe compagno nell’impresa della spazzatura un altro conte suo contemporaneo, disgraziatissimo e macilento della persona. La parola di quest’ultimo ha una nitidezza lunare: ‘Dolce e chiara è la notte’». (C.E. Gadda, Apologia manzoniana, in «Solaria», II, 1, gennaio 1927, pp. 39-48).
● C’è riconoscimento del valore del nostro classicismo (Petrarca, Poggio Bracciolini, Giovanni Pontano), MA anche coscienza netta dei limiti fortissimi della nostra tradizione classicistica, che è soprattutto tradizione di letteratura in versi: («valanghe di endecasillabi beoti!).
● La «roca trombazza» e la «vacua magniloquenza», di cui parla Gadda, rinviano al «cancro della retorica» di cui parla Graziadio Isaia Ascoli, nel 1873, nel Proemio all’«Archivio glottologico»: «[Manzoni] è riuscito, con l’infinita potenza di una mano che non pare aver nervi, a estirpar dalle lettere italiane, o dal cervello dell’Italia, l’antichissimo cancro della retorica» (G.I. Ascoli, Proemio, in «Archivio Il glottologo goriziano glottologico italiano», 1873). Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907)
● Magari fosse vero, quello che scrive il grande Ascoli! Non è vero… il cervello dell’Italia è un affare serio… estirpare dalle lettere… dopo Manzoni ci sono gli «Amici pedanti» e il classicismo carducciano e poi il classicismo dannunziano. E via via… si arriva a oggi… Giosue Carducci (1835-1907)
● Per Gadda, Leopardi risplende nella «parola» che ha una «nitidezza lunare» Gadda s’inchina a una sorta di miracolo… Leopardi resta dentro la linea del classicismo, non la spezza, ma segna una radicale innovazione… ● Manzoni → raggiunge la grandezza sull’onda della modernità (si fa paladino del rinnovamento e guida della nuova corrente, si schiera con l’avanguardia: il Romanticismo, sulla linea Parigi-Milano…
● Leopardi → raggiunge la grandezza andando controcorrente, in senso contrario a Manzoni, contro il nuovo, contro l’avanguardia, e difendendo il passato, l’antico, a Recanati, all’interno di una biblioteca…
● Leopardi rinnova la tradizione dall’interno in modo stupefacente, tanto da sembrare di avere sposato le ragioni del nuovo, del realismo romantico, ma non è così, resta classicista, antiromantico… (conquista magistralmente la modernità attraverso la tradizione, come farà Versi, Bologna, Stamperia delle Muse, 1826 Saba…)
… tutto in Leopardi si misura nel passaggio (nell’arco di una manciata di anni) dal linguaggio delle Canzoni (1824) al linguaggio dei canti pisano-recanatesi (1828-30), preceduti dagli Idilli (1819-1821) Canti, Firenze, Piatti, 1831
Manzoni e Leopardi, antitetici: ● Manzoni romantico ● Leopardi classicista, antiromantico ● nel marzo 1818, ventenne, Giacomo scrive il polemico Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, destinato al milanese «Lo Spettatore italiano» di Anton Fortunato Stella (giornale classicista e erudito), ma rimasto inedito fino al 1906; poi irride il romanzo storico (il genere della modernità… ), nei tardi Paralipomeni, I, ottave 34-36: parla del Gabinetto Vieusseux, «Gabinetto di pubblica lettura» (dove si leggono solo giornali e romanzi storici)
● Tra parentesi: poi anche Manzoni contesta il romanzo storico: già dai primi anni Trenta, NON nell’ottobre 1850 (come sempre si afferma, quando esce a stampa il Discorso sul romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e invenzione), ma… è cosa ben diversa dalla contestazione di Leopardi (in Manzoni è antefatto alla Colonna infame, 1840): → però nella contestazione si trovano d’accordo e negli stessi anni…
● Due autori antitetici → tra loro si osserva una distanza profonda, anche di temperamento → si pensi alle loro scritture epistolari: → espansiva quella di Leopardi: cerca la confessione interiore, il dialogo d’anima, il dialogo esistenziale, come si vede nelle bellissime lettere a Giordani, oppure, su piano diverso, come si vede nelle lettere ai fratelli, o al padre, dove il risvolto affettivo, anche se occultato e segreto, è sempre fortissimo → per niente espansiva quella di Manzoni: sempre vigilata dal riserbo, sempre controllata, vigilata dal rigore razionale; porta in primo piano non l’io, ma le questioni di fatto, sociali, culturali o morali.
Fondamentale la scelta del genere letterario: ● Manzoni approda al romanzo (genere nuovo) ● Leopardi è un lirico (ovvero segue la tradizione più ferrea) Tra parentesi: anche Giacomo pensa al romanzo, intorno al 1819, più o meno quando Manzoni, con i Ricordi d’infanzia e di adolescenza, frammenti di un non compiuto romanzo autobiografico (→ Ortis); intorno al 1825 con la Storia di un’anima, in prima persona; con la «Storia di una povera monaca» [disegno letterario del 1819, tema monacazione forzata: già trattato dalla Religieuse [1796] di Diderot, dove la protagonista, riesce a uscire dal monastero; la «povera monaca» di Leopardi si suicida gettandosi dalla finestra… il disegno di Leopardi nel 1819 precorre la monaca di Monza manzoniana e soprattutto precorre di 50 anni la Storia di una capinera di Verga, romanzo intimo come quello ipotizzato da Leopardi…
● Leopardi pensa al romanzo, ma resta un lirico (anche se scrive le Operette morali e i 111 Pensieri); → resta un lirico (anche se le Operette morali, con la loro componente fiabesca, interessano il moderno genere del racconto fantastico → ne parla Italo Calvino) ● determinante è il fatto che Leopardi NON spezza il recinto della tradizione (lontano dalla SVOLTA manzoniana): → per fare il romanzo al modo di Elio Germano, Manzoni è indispensabile in Il giovane favoloso «sliricarsi»: spezzare il recinto (2014) dell’io, e Leopardi non lo spezza.
● Manzoni contesta la mitologia e proclama il vero storico come bello ● Leopardi difende la mitologia come fonte di poesia, su posizioni duramente antiromantiche (→ la bella canzone Alla Primavera, o delle favole antiche, del gennaio 1822, nostalgia profonda per le «favole antiche») e identifica il bello estetico con l’immaginazione (immaginazione creativa): «... interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo» (vv. 4-7, L’infinito, 1819)
● Per Leopardi il poeta finge, inventa: «Il poeta immagina: l’immaginazione vede il mondo come non è, si fabbrica un mondo che non è, finge, inventa […] creatore, inventore, non imitatore; ecco il carattere essenziale del poeta» (Zib. 4358, agosto 1828). → Difficile immaginare un passo più antimanzoniano di questo (nei Promessi sposi il termine «romanzo» è censurato e la «fantasia» ha accezione negativa…) Occorre prendere atto di una triangolazione: 1. peso della tradizione, da noi sempre incombente… 2. SVOLTA manzoniana (che spezza la tradizione) 3. radicale novità leopardiana nella tradizione
Detto che sono antitetici, merita il conto vedere punti di contatto: → perché sono compagni nel lavoro di liberare la nostra letteratura dalla «spazzatura» (Gadda): dal «cancro della retorica» e del servilismo → perché anche i loro contrasti sono istruttivi (contrasti su temi capitali: le antitesi sono illuminanti) → perché da entrambi questi autori proviene una straordinaria forza conoscitiva su temi comuni, sentiti da loro intensamente, con «onestà» (→ Saba, Ciò che resta da fare ai poeti, 1911…)
→ sono concordi nel rifiutare l’invito di collaborazione all’«Antologia» di Vieusseux (Leopardi nel 1826, Manzoni nel 1832); → sono concordi nel prendere le distanze da Firenze, dalla cultura moderna rappresentata da Firenze: → per Manzoni, Firenze è troppo incline al compromesso con il passato e troppo succube del passato e troppo formalistica (come sono accolti a FI i PS nel 1827…) → per Leopardi è espressione della modernità, è troppo legata a una modernità che lui non accetta («Lo Spettatore Fiorentino», Palinodia), ovvero è utilitaristica, attenta alla divulgazione, ai giornali…
I contrasti e le antitesi tra i due autori aiutano a Princeps I Promessi capire il nostro costume Sposi, Milano, letterario e la nostra storia Ferrario, giugno 1827 civile e culturale: → perché ne risulta che per entrambi la letteratura non è un gioco di forme né un gioco di parole, non è un Princeps Operette ornamento morali, intellettualistico, ma è un Milano, Stella, modo di essere e di vivere, giugno 1827 → un modo di intendere la vita e di lottare.
MANZONI SVOLTA ● riporta la nostra letteratura con i piedi in terra ( i piedi si sono alzati da terra, e molto … dal 1° 500, con la canonizzazione di Bembo, che ha comportato il principato del petrarchismo), conseguente al «funesto» 1494 (Carducci, Dello svolgimento della letteratura nazionale, 1874) → letteratura libresca, elitaria, lirica, egocentrica, scollata dalla realtà → Gadda (s’è visto) parla di «valanghe di endecasillabi beoti»…
● introduce lingua dell’uso in un’opera letteraria (non dialettale, il che non accadeva dai tempi di Dante) ● si sliricizza: scrive un romanzo polifonico (non dell’io → Ortis), rivolto a un pubblico popolare, un romanzo attento alla «storia» non alla «fantasia» ● scrive un’opera letteraria (romanzo) con finalità etiche e civili (eteronomia dell’arte), che dia anche un contributo importante alla formazione dello Stato italiano, all’Unità politica nazionale
● Manzoni ha vinto la sua battaglia, non ha vinto la guerra ● contro il cancro della «retorica», del servilismo, della letteratura cortigiana al servizio dei potenti, per una letteratura rispettosa della responsabilità della parola: «Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e coi diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti degli uomini, è legato di sua natura con oggetti gravissimi» (Prefazione, Il Conte di Carmagnola). In ciò d’accordo con Leopardi. Ma la guerra non è vinta: → classicismo di Carducci e classicismo di D’Annunzio → rinascita della mitologia, contro Verga, contro Svevo, contro Pirandello…
Un osservatore al funerale di Manzoni: primo segnale di una fortuna ambigua 1874, 22 maggio: a un anno dalla scomparsa di Manzoni, è eseguita nella Chiesa di San Marco, a Milano, la Messa da requiem dedicata da Verdi alla memoria dello scrittore, quindi il 25 maggio è ripresentata alla Scala. Tra i presenti, nella Chiesa di San Marco, c’è Giovanni Verga:
«Uno spettacolo teatrale, piuttosto che una mesta funzione religiosa, la Chiesa stipata da una folla in gala susurrante, agitantesi, sbirciantesi coll’occhialetto, come in teatro » (G. Verga alla madre, Milano, 24 maggio 1874).
MANZONI INATTUALE (la sua è sempre stata una popolarità ambigua…) Oggi egolatria e invece Manzoni → sliricato. Oggi erotismo di massa e invece Manzoni → vd. Fermo e Lucia, II, 1 (digressione sull’amore, inteso come passione erotica) «Perché io sono del parere di coloro i quali dicono che non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa passione […]» [continua]
continua cit. dal Fermo e Lucia: «Concludo che l'amore è necessario a questo mondo: ma ve n'ha quanto basta, e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo […]. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po' più negli animi… » I Promessi Sposi, a cura di L. [continua] Caretti, Torino, Einaudi, 1971, 2 voll.
continua cit. dal Fermo e Lucia: «come sarebbe la commiserazione, l'affetto al prossimo, la dolcezza, l'indulgenza, il sacrificio di se stesso: oh di questi non v'ha mai eccesso; e lode a quegli scrittori che cercano di metterne un po' più nelle cose di questo mondo: ma dell'amore come vi diceva, ve n'ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie» (Fermo e Lucia, II, 1 ). Giulia Beccaria, di Maria Cosway, Milano, Bibl. Braidense
Il punto consiste nel rapporto con la materia trattata: complicità o meno (!), tutto dipende da come si maneggia la materia. Il lettore deve essere non complice ma giudice (→ «l’empia / virtù d’amor», Coro di Ermengarda, v. 67-68). «La rappresentazione delle passioni che non eccitano simpatia, ma riflessione sentita è più poetica d’ogni altra» (Della moralità delle opere tragiche, 1, 6).
[Tra parentesi: non rifiuta l’amore per moralismo bigotto, ma per svolta rispetto al narcisismo della tradizione petrarchista, per una diversa idea di letteratura…] Parere di Guido Ceronetti: «A scacciare il peso opprimente dell’erotismo di massa, il pudore sfrenato dei Promessi Sposi è sufficiente […]. L’attualità di questo libro è l’attualità dell’aria, dell’acqua pulita: cose che si cercano per reale bisogno» (G. CERONETTI, A cent’anni dalla morte. Manzoni segreto, in «La Stampa», 1° aprile 1973).
Fondamentale LA SVOLTA Che sia fondamentale è indicato dalla scelta dei momenti storici nei quali Manzoni ha ambientato le sue opere: ● Carmagnola: primo ’400 (battaglia di Maclodio, Coro, Atto II, 12.x.1427), momento delle lotte intestine (che portano al «funesto» 1494, il quale anno è prefigurato nel Coro della battaglia di Maclodio); lotte intestine che preludono alla dominazione straniera.
● Adelchi: la dominazione straniera sul suolo italiano, al tempo della lotta tra Longobardi e Franchi (nel 772- 774), ma è come se fosse al tempo delle «guerre d’Italia», successive al funesto 1494; ovvero, tematicamente (in senso ideologico-politico) l’Adelchi è continuazione del Carmagnola; ● Promessi sposi: l’Italia del Seicento, cioè il momento più depresso della dominazione straniera in Italia. Adelchi, Coro atto III, «Dagli atrii muscosi…»
● Cosa significano queste scelte di tematiche? il tema ossessivo è la perdita della sovranità italiana sul suolo italiano, ov vero il presupposto storico (1° 500) che ha portato alla retoricizzazione della nostra letteratura (con le Prose di Bembo nel 1525, effetto del «funesto» 1494). Tu t t o è i n i z i a t o a l l o r a ( c o n i l p r i m a t o d e c i s i vo riconosciuto a Prose di Bembo, Pe t r a r c a ) . ristampa veneziana del 1575
Consideriamo il senso, in Manzoni, della svolta, dello strappo: vediamo, nel 1816, i Materiali estetici: vi si leggono riflessioni fondamentali, molto severe nei confronti della nostra tradizione letteraria.
● tradizione letteraria giudicata da Manzoni autoreferenziale: è la condanna severa di tutta una tradizione ● una letteratura sconnessa dalla realtà e dalla vita reale ● una letteratura autoapologetica ● servile nei confronti dei Cesare Beccaria «potenti vivi» (1738-1794) ● invece la letteratura deve avere per Manzoni decisive finalità etiche e civili
I Materiali estetici non sono solo (come si afferma) appunti sul teatro (nel 1816…), ma riflessioni su una nuova idea di poesia, un’idea di poesia di forte tensione etica e civile, anche come atto di ristabilimento della giustizia sulla terra (al pari Dante ritratto da Gustave Doré di Dante) (Strasburgo, 1832-Parigi, 1883)
● La scelta letteraria e linguistica di Manzoni (genere del romanzo e lingua dell’uso) fermentano da un profondo risentimento, che è alla base della SVOLTA ● esemplari alcuni passi dei Materiali estetici: ♣ Novelletta del medico «un solenne mangiatore chiese al medico che dovesse fare per certe indigestioni che lo molestavano. Ad ogni indigestione pigliatevi un purgante, rispose il medico. Ma, replicò il ghiottone, io ho inteso dire, che i purganti sciupano lo stomaco. Pur troppo è vero, disse il medico; ma questo è un male inevitabile. […] Un uomo che era presente al consulto si fece ardito di proferire questa sua opinione: Se questo Signore vivesse sobriamente non potrebb'egli schifare le indigestioni e i purganti? Il Medico gli si volse con un grave sorriso, e disse: Io do consigli pratici e non faccio progetti romanzeschi» (Materiali estetici [1816], II, 7).
♣ In polemica con Ariosto, sempre dai Materiali estetici: «Non fu sì santo, né benigno Augusto, Come la tuba di Virgilio suona. L'avere avuto in poesia buon gusto La proscrizione iniqua li perdona. Orlando Furioso, Canto 35, st. 26. Dio liberi. La Poesia è […] la viva espressione dei più alti, dei più intimi sensi che possono capire nell'animo dell'uomo […], ma se ella dovesse pervertire i nostri sentimenti sul bene e sul male, sarebbe una peste, un vitupero, un flagello. La proscrizione iniqua li perdona! Mai no, Messer Ludovico. Virgilio all'incontro non ha potuto far perdonare a sé medesimo la sua indegna adulazione» (Materiali estetici, II, 8).
Altre citazioni esemplari per l’idea di poesia coltivata da Manzoni: ♣ «Non sono buone lettere […] quelle che non veggono che ci sia qualcosa da fare per loro, dove non si tratti di giocar colla fantasia» (A. Manzoni a M. Coen, Milano, 2 giugno 1832) ♣ «la ‘bella’ letteratura gioca con la fantasia, la ‘buona’ letteratura si nutre della ‘cognizione critica degli uomini e delle cose’» (A. Manzoni a M. Coen, Milano, 2 giugno 1832).
Vicenda biografia Il milanese Giuseppe Rovani (1818-1874) Ci sono due citazioni sulla vicenda biografica di Leopardi, in rapporto alla vicenda biografica di Manzoni: una di Giuseppe Rovani, da versante manzoniano (cultore del romanzo storico e autore dei Cento anni, 1856-63):
cit. da Rovani: «Leopardi, più giovane di Manzoni, […] ha saputo far quello che i tempi volevano? Eppure la potenza miracolosa e sovrumana del suo intelletto, come con iperbolica espressione ebbe a dire Giordani, doveva darci il diritto di attendere da lui tutto quello che non ha fatto e che lasciò fare a Manzoni» (G. Rovani, La mente di Alessandro Manzoni, Milano, Perelli, 1873, ora, Milano, Libri Scheiwiller, 1984, p. 18).
L’altra citazione prende le difese di Leopardi, da parte classicistica, ovvero di Carducci: «Ah, signor Rovani, perché così esigente con gl’infelici, voi, così prodigo coi fortunati? E tu, povero infermo deforme, tu, portato necessario e vittima innocente delle peggiori sventure d’Italia, dormi Giosue Carducci ben forte laggiù nella tua (1835-1907) tomba napolitana; e non ti venga voglia di ascoltare. Bella cosa che i morti non sentano!» [continua]
continua cit. da Carducci: «Tu non vedesti crescere lieta la tua gioventù tra le carezze i sorrisi gl’incoraggiamenti nella superba Milano capitale del regno d’Italia e tra il più bel fiore della elegante dottrina francese: tu non Milano, la Galleria avesti né pur gioventù… » [continua]
continua cit. da Carducci: «tu non avesti una madre, alta educatrice ed amica; non una moglie, bella, tenera, ammiratrice; non una famiglia amorosa, felice, orgogliosa di te; non la villa di Brusuglio, ove edificare con gusto e coltivare per ispasso: tu non avesti né il Monti né il Foscolo lodatori e animatori, né il Fauriel traduttore, né il Goethe critico plaudente. Né pur ti rispondevano, a te» [continua]
continua cit. da Carducci: «Trascinavi la tua povertà e la malattia e i fastidi e i dolori di città in città cercando vanamente dove e come vivere; e nessuno si volle degnare di accorgersi di te: e i dotti ridevano della tua grandezza proclamata da Giordani, o al più ammiccandosi tra loro dicevano: – Eh, quel gobbetto? ha dell’erudizione per altro. E ora il signor Rovani viene a farti i conti a dosso» (G. CARDUCCI, A proposito di alcuni giudizi su Alessandro Manzoni [1873], in Opere, Ediz. Naz., XX [Leopardi e Manzoni], Bologna, Zanichelli, 1937, 19442, pp. 317-318).
Molto bello il passo di Carducci! Però Carducci ha solo parzialmente ragione: → È vero: la disperata biografia di Leopardi non è la biografia di Manzoni. Recanati Come Recanati non è Milano, né Parigi (dove Leopardi non è mai stato).
Nondimeno... quest’interpretazione delle due biografie in chiave oppositiva, una infelice e una fortunata, ha avuto larga diffusione, ma per quanto riguarda il versante manzoniano funziona poco. La vita di Manzoni non è la vita Giulia Manzoni Beccaria d’un uomo quale lo con il piccolo Alessandro intende Carducci: «pio, calmo, sereno».
È la vita, forse fortunata, d’un uomo senza pace. Pio, ma d’una tormentata religiosità. Quanto al «calmo» e al «sereno», non sono che l’immagine esteriore d’un difficile equilibrio, saputo conquistare giorno per giorno. Non sono doni del cielo, né della sorte benigna. Francesco Hayez, Ritratto dell’Innominato (ca. 1845), Milano, Coll. privata
I nostri due autori sono cronologicamente coevi, Manzoni è più grande di 13 anni: due biografie differenti (il piccolo paese e la grande città), come differenti sono i temperamenti e le scelte culturali, differenti, antitetici: una biografia socializzata con un ambiente culturale all’avanguardia, l’altra chiusa dentro una biblioteca di famiglia, una straordinaria biblioteca. Eppure alcuni luoghi, alcune città segnano la cronaca di incontri possibili e incontri avvenuti e incontri mancati…
I LUOGHI (Milano: distanza; Firenze: incontro e stima; Pisa: incontro e distanza) MILANO: la città di Manzoni, Leopardi vi soggiorna poco, Leopardi odia Milano, vi soggiorna dal 30 luglio al 26 settembre 1825 (quasi due mesi), in estate, Manzoni è a Brusuglio: incontro mancato, ma anche impossibile: → Leopardi risiede a casa di Anton Fortunato Stella, l’editore dello «Spettatore italiano», raccaforte classicistica e erudita (dove Leopardi tra il 1816 e il 1817 ha pubblicato vari articoli filologici e di erudizione): non è la Milano romantica, la Milano di Manzoni. Leopardi scrive al fratello Carlo, durante il soggiorno: «Qui […] non v’è neppur una società fuorché il passeggio, ossia trottata, e il caffè; appunto come a Recanati né più né meno. (G. Leopardi al fratello Carlo, Milano, 7 settembre 1825).
Significa, davvero, non capire Milano! A Milano Leopardi, nello stesso mese di settembre 1825, legge, di Monti, il Sermone sulla mitologia, appena pubblicato: ovvero cerca le conferme alla propria cultura classicistica, alle proprie posizioni (il Sermone è sollecitato dalle Canzoni leopardiane dell’anno prima, Bologna, 1824, proprio da Alla primavera, o delle favole antiche).
FIRENZE: incontro avvenuto, lunedì, 3 settembre 1827, in palazzo Buondelmonti (Gabinetto Vieusseux), piazza Santa Trinita, nel ricevimento, dalle 19 alle 21, in onore di Manzoni, dopo che a Milano, in giugno, erano apparsi i due antitetici capolavori della prosa ottocentesca, i Firenze, Palazzo Buondelmonti, PS e le OM. Piazza S. Trinita, sede al tempo di Leopardi Incontro avvenuto nel del Gabinetto Vieusseux. reciproco silenzio.
● il giudizio di Leopardi sui Promessi sposi, dopo l’incontro con Manzoni a Firenze: «Ho veduto il romanzo di Manzoni, il quale, non ostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno; e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È un uomo veramente amabile e rispettabile» (G. Leopardi a Antonio Papadopoli, Pisa, 25 febbraio 1828). ● giudizio positivo, che contrasta con altri giudizi epistolari di Giacomo … «Del romanzo di Manzoni (del quale io ho solamente sentito leggere alcune pagine) le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione. Gli altri generalmente lo lodano» (G. Leopardi a Antonio Fortunato Stella, Firenze, 23 agosto 1827).
«Qui si aspetta Manzoni a momenti. Hai tu veduto il suo romanzo, che fa tanto romore, e val tanto poco?» (G. Leopardi a Pietro Brighenti, Firenze, 30 agosto 1827). Questi 2 giudizi (23 e 30 agosto 1827) sono formulati quando Giacomo non ha letto il romanzo! Illustrazione del torinese Francesco Gonin (1808-1889) dopo (25 febbraio 1828): lo nella Quarantana ha letto…
● Così commenta Francesco Moroncini (ammirevole editore dell’Epistolario, 7 voll., Le Monnier, 1934- 1941, lettere anche dei corrispondenti e prezioso commento): «Questo giudizio [25 febbraio 1828] è il più favorevole giudizio che, poste le differenze inconciliabili tra i due grandi scrittori, Giacomo poteva dare del Manzoni: giudizio da ritenersi al tutto sincero, in quanto espresso a un intimo amico, col quale non aveva nessun motivo di fingere o di nascondere o attenuare il proprio sentimento» (vol. V, 1938, p. 58).
PISA: città amata da Leopardi (per il clima mite, rispetto al rigido inverno fiorentino) → Nell’aprile 1828 (luminoso aprile 1828, il mese del Risorgimento e di A Silvia… la ripresa del canto, dopo la stagione della prosa, delle Operette, del silenzio della poesia…), → Leopardi incontra Manzoni a stampa, ovvero legge le Tragedie, edite a Pisa da Niccolò Capurro, nel dicembre 1826 (2 tragedie, Inni sacri, Imbonati, Urania, Cinque Maggio, la Lettre) → risulta dagli Elenchi di letture, aprile 1828: «Manzoni, Inni sacri e il Cinque Maggio, Pisa 1826 [l’edizione]». In questo memorabile aprile pisano, prima di A Silvia (19-20 aprile), scrive Il risorgimento (7-13 aprile)…
… dove si è visto un influsso di Manzoni (metro nuovo per Leopardi, strofette di settenari, metro manzoniano, e concordanze lessicali con la poesia di Manzoni): ritmo scandito, esultante, da inno sacro, per la rinascita degli affetti, per la rinascita dello slancio sentimentale che prelude alla nuova stagione poetica: → concordanze lessicali: v. 37 «Giacqui: insensato, attonito» [che segna il culmine della insensibilità, il punto della morte degli affetti, dell’aridità sentimentale] rinvia al Cinque Maggio: «cadde, risorse e giacque» (v. 16) e «così percossa attonita» (v. 5).
→ Ma NON credo sia un omaggio a Manzoni, bensì è una dichiarata presa di distanza da Manzoni: la palese, esteriore vicinanza (metro, lessico…) accentua la sostanziale diversità: ● in Manzoni: noi, coralità (su linea antipetrarchesca) ● in Leopardi: io, cioè primato del pronome di prima persona: i 160 vv. di Il risorgimento, offrono la storia interiore dell’io leopardiano (dalla crisi del 1819 all’incupimento pessimistico del 1824 attestato dalle Operette), storia interiore dell’io e radiografia del «cuore» (parola chiave che ritorna 10 volte): invece ricordare PS, VIII («Ma che sa il cuore?...»)
● Il fatto è che in Manzoni, già dal giovanile sonetto- autoritratto (1801, sedicenne) non interessa il conflitto cuore-ragione caro alla tradizione alfieriana e foscoliana: Alfieri (1786): Sublime specchio di veraci detti, v. 11: «la mente e il cor meco in perpetua lite» Foscolo (1801): Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, vv. 12-13: «do lode / alla ragion, ma corro ove al cuor piace», poi: «cauta in me parla la ragion; ma il core, / ricco di vizi e di virtù, delira» Manzoni (1801): Capel bruno: alta fronte: occhio loquace, v. 8: «duro di modi, ma di cor gentile»: cenno innocuo
● Anzi in Manzoni, di lì a 5 anni, nel carme In morte di Carlo Imbonati (1806), i due poli antitetici in Alfieri e Foscolo («mente» e «cuore») si saldano insieme e si compongono in endiadi nel famoso binomio «sentir» e «meditar» (v. 207): non attrito ma saldatura (come nella «riflessione sentita» degli appunti del saggio Della moralità delle opere tragiche): «Sentir», riprese, «e meditar: di poco esser contento: da la meta mai non torcer gli occhi, conservar la mano pura e la mente: de le umane cose tanto sperimentar, quanto ti basti per non curarle… (In morte di Carlo Imbonati, vv. 207-212)
● Chiarisce il significato dell’endiadi «sentire e meditare» la lettera a Fauriel del 9 febbraio 1806: «Io credo che la meditazione di ciò che è, e di ciò che dovrebb'essere, e l'acerbo sentimento che nasce da questo contrasto, io credo che questo meditare e questo sentire sieno le sorgenti delle migliori opere sì in verso che in prosa dei nostri tempi» (A. Manzoni a C. Fauriel, [Parigi], 9 febbraio 1806)
● NON interessa l’antitesi lirica cuore/mente ● MA interessa la riflessione sul contrasto, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, nei comportamenti individuali e nella dinamica degli accadimenti umani (questo il fondamento dell’opera manzoniana) ● Il cuore umano non è più soggetto e motore dell'azione lirica, ma diventa oggetto di analisi, materia da sottoporre allo scrutinio tagliente «di ciò che è, e di ciò che dovrebb'essere». Anche da questo punto di vista, il futuro autore dei Promessi sposi si conferma, già nel 1806, lirico sui generis, con già implicite le premesse del suo sliricarsi.
● Il risorgimento di Leopardi è sulla linea Alfieri-Foscolo, che è poi la linea petrarchesca: l’epicentro è l’«io», NON il «noi», non la coralità: storia interiore dell’io e radiografia del cuore, dalla prospettiva della frattura ragione-cuore, sapere / Copertina e frontespizio sentire… della princeps dei Canti, Firenze, Piatti, 1831
● La rinata capacità di affetti, di commozione, nell’aprile pisano del 1828, per Leopardi rende vivibile la vita e riesce a trasformare il mondo. Eppure, nel sistema concettuale del pessimismo materialistico, nulla è cambiato. Diventa vitale il contrasto, la contraddizione tra «sapere» e «sentire». ● Leopardi, sulla medesima linea Alfieri-Foscolo, va oltre: → non basta richiamarsi all'antitesi cuore-ragione: il «risorgimento» del sentire presuppone «l'infausta verità» (v. 116): i «Moti soavi», i «palpiti», gli «affetti» della nuova stagione leopardiana hanno come condizione e antefatto inevitabili la certezza della nullità di tutte le cose, e la non-rassegnazione del «cor» dinanzi a questa certezza.
● Con la prossimità (ritmica e lessicale) a Manzoni, nel luminoso aprile pisano del 1828, Leopardi in effetti ribadisce la propria diversità e la propria originalità: → l’antitesi cuore/mente diventa in lui tensione conoscitiva proiettata fuori dell’io, tanto da fare luce sulla precarietà Versi, Bologna, dell’esistenza umana e, Stamperia delle Muse, 1826 insieme, trasmette energia e coraggio.
● Profonda diversità, nondimeno medesima tensione di autenticità dinanzi alle questioni capitali della vita (virtù, valore, giustizia, affetti…) e dinanzi alla serietà della poesia (non evasiva, non servile nei confronti dei «potenti vivi») e dinanzi alla responsabilità morale che spetta alla parola del poeta:
● responsabilità morale che spetta alla parola del poeta: «Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e coi diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti degli uomini, è legato di sua natura con oggetti gravissimi» (Prefazione, Il Conte di Carmagnola); «Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio stile. Bisogna che il suo stile sia padrone delle cose» (Zib., 2611-2613, 27 agosto 1822).
Due fiori La ginestra o il fiore del deserto [1836, a stampa 1845, vv. 32-41; 52-53] …………. Or tutto intorno una ruina involve, dove tu siedi, o fior gentile, e quasi i danni altrui commiserando, al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo che il deserto consola. A queste piagge venga colui che d’esaltar con lode il nostro stato ha in uso, e vegga quanto è il gener nostro in cura all’amante natura. […] Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco […].
● La ginestra chiude il libro inesauribile dei Canti con la polifonia di una sintesi magistrale. → la condizione dell'umana esistenza, che Il tramonto della luna ripropone da una prospettiva terrena, in rapporto alla fugacità della giovinezza e delle speranze → è nella Ginestra Vincent Van Gogh, considerata da un punto di Notte stellata sul Rodano (1888), vista cosmico, in rapporto Parigi, Musée d’Orsay al processo meccanicistico dell'universo.
● La ginestra attesta la coraggiosa accettazione del dolore e la coscienza di una «guerra comune» (v. 135) a difesa dalle «angosce» (v. 134) che la natura ci riserva: → questo il presupposto di una morale laica fondata su «l'onesto e retto / conversar cittadino, / e giustizia e pietade» (vv. 151-52); → anche il presupposto dell'invito solidaristico a una collettiva confederazione contro l‘«empia natura» (v. 148, cfr. Palinodia, v. 181)…
… di qui l'appello al «vero amor» (v. 132) di una fratellanza sovranazionale, estrema e generosa illusione di cui i coevi 111 Pensieri mostrano il fondo amaramente disincantato.
Germogliata da questa coscienza della negatività, in un paesaggio brullo e infuocato dove si tocca con mano il male che affatica il mondo, fiorisce lo splendido «fiore del deserto», l‘«odorata»" (v. 6), «gentile» (v. 34), «lenta» (v. 297), «innocente» (v. 306), «saggia» (v. 314) e fragile (cfr. v. 315) ginestra.
→ espressione d’una nobilissima e fiera dignità dell'esistere, e del comunicare grazia, bellezza, profumo, nella nuda coscienza del nulla.
Ognissanti Dopo Il Natale del 1833 (marzo 1835), quando Manzoni tenta di nuovo la poesia con Ognissanti (1847), → dopo la perdita della madre nel luglio 1841 → e del caro Fauriel nel luglio 1844, → riaffiora la sua abituale misura oggettiva di canto, che tiene a freno l’impeto delle passioni private. Princeps di Dei delitti e delle pene [Livorno] 1764
Un inno dal titolo Ognissanti era previsto fino dal tempo della prima lirica sacra → ma soltanto nell’ottobre 1847 il primitivo progetto è ripreso con la stesura di quattordici strofe tetrastiche (56 versi) di novenari (verso inusuale in Manzoni), dopo di che il frammento, già a dicembre, Princeps Inni sacri, è definitivamente Milano, Agnelli, abbandonato. 1815
Il tema dell’inno è chiarito, nel febbraio 1860, in una lettera a Louise Colet, la scrittrice amica e corrispondente di Flaubert: a lei il poeta dichiara di volere: → celebrare le silenziose virtù ascetiche dei santi solitari, degli anacoreti, → in risposta a chi chiede conto della loro funzione per l’utile pubblico e sociale (quell’«utile» contestato da Leopardi nel Preambolo a «Lo Spettatore Fiorentino» e nella Palinodia)
Il Manzoni più che sessantenne (1847: 62 anni) rinnova il proprio registro lirico e passa, dall’orchestrazione sinfonica verdiana delle sue prove maggiori, → a un dettato più franto e disarmonico, a una musica più lenta e più introversa. Monumento in bronzo a Manzoni (1891), Lecco, opera di Francesco Confalonieri e Giuseppe Fumagalli
La lirica evoca un paesaggio rupestre e sconvolto, tra «inospite piagge» (v. 18) e «aure selvagge» (v. 19) dove striscia la serpe (l’«angue nemico», v. 49). In questa landa desolata brilla «il tacito fior» (al singolare, come il «fior» del Nome di Maria, v. 34; della Pentecoste, v. 104, e dei PS, XXXIV, nell’episodio della madre di Cecilia: «il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato»).
→ un prodigio di luce che, simile all’ascesi degli anacoreti, dispiega soltanto davanti a Dio «la pompa del pinto suo velo» (v. 22), quindi «spande ai deserti del cielo | gli olezzi del calice, e muor» (vv. 23-24): Fiori nella Primavera di Botticelli, Firenze, Galleria degli Uffizi
Ognissanti [1847, vv. 5-24] Il secol vi sdegna, e superbo domanda qual merto agli altari v’addusse; che giovin gli avari tesor di solinghe virtù. A Lui che nell’erba del campo la spiga vitale nascose, il fil di tue vesti compose, de’ farmachi il succo temprò, che il pino inflessibile agli austri, che docile il salcio alla mano, che il larice ai verni, e l’ontano durevole all’acque creò;
a Quello domanda, o sdegnoso, perché sull’inospite piagge, al tremito d’aure selvagge, fa sorgere il tacito fior, che spiega davanti a Lui solo la pompa del pinto suo velo, che spande ai deserti del cielo gli olezzi del calice, e muor.
Nella struttura dell’inno s’immettono vibrazioni aspre, timbri acuti e dissonanti che il luminoso profumo del fiore mette in risalto per antitesi. Sono palesi le suggestioni della Ginestra leopardiana, uscita a stampa due anni prima, Opere, a cura di A. Ranieri, nelle postume Opere, Le Firenze, Monnier, 1845. Le Monnier, 1845
Anche in Manzoni (come nella Ginestra) ritornano: → l’attacco contro l’orgoglio del «secol [...] superbo» (v. 5) → le «inospite piagge» (v. 18) ove s’annida l’«angue nemico» (v. 49) → la polemica antiutilitaristica → l’immagine dell’odoroso fiore del deserto. L’anziano Manzoni
● Si tratta certo d’orizzonti antitetici: → ma l’uno e l’altro fiore reclamano nondimeno una lettura anticonsolatoria → entrambi certificano la sorte drammatica del destino terreno → entrambi attestano il rifiuto di quella facile e illusoria pacificazione che sarà emblematizzata da Montale in un «croco» fluorescente «perduto in mezzo a un polveroso prato» (Ossi di seppia, Eugenio Montale «Non chiederci la parola», vv. 3- (1896-1981) 4):
«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato» (vv. 1-4). La prospettiva dell’eterno non distoglie il cattolico Manzoni dalla componente drammatica d’un pessimismo storico che è senza requie nel denunciare le «magnifiche sorti e progressive» dell’«umana gente» (La ginestra, vv. 50-51).
L’inno Ognissanti resta incompiuto, dopo questo energico tentativo di risorgimento del poeta ormai incamminato verso il silenzio degli ultimi anni.
desidero concludere con le parole del mio maestro Lanfranco Caretti: «Manzoni e Leopardi, pur muovendo da ideologie opposte, giungevano ad un medesimo atteggiamento di fermezza critica, edificando sopra un terreno spirituale e storico scandagliato con occhio Lanfranco Caretti spietatamente critico, le (1915-1995) loro robuste convinzioni interiori, nelle quali il lettore attento avverte…
… l’energia di una assoluta intransigenza morale, assai più che l’effimero fascino delle seduzioni emotive, delle sottigliezze patetiche, delle morbide atmosfere sentimentali» (L. Caretti, Manzoni. Ideologia e stile, Torino, Francesco Hayez, Ritratto Einaudi, 1972, p. 23). di Manzoni, 1841, Pinacoteca di Brera
● Parole istruttive, specie oggi, che quando si parla di letteratura e di arte si parla esclusivamente di emozioni, e non anche di coscienza e conoscenza critica, non di valori conoscitivi che credo siano da tenere nel Ritratto di Leopardi (1837), debito conto. del napoletano Domenico Morelli, Recanati, Centro Naz. Studi Leopardiani
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