L'insegnamento della Museologia archeologica: comunicazione, presentazione e lettura dei resti nelle aree archeologiche1 - Direzione ...
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L’insegnamento della Museologia archeologica: comunicazione, presentazione e lettura dei resti nelle aree archeologiche1 Il quesito proposto è: “Si può insegnare una Museologia propria del patrimonio archeologico? E come si affronta la didattica di questa disciplina in un corso di studi universitari ?” Da questa domanda discendono, quasi a grappolo, molte altre domande sul modo di intendere la formazione, la figura e il ruolo del museologo con curriculum archeologico cui altri potranno portare il proprio contributo da esperienze diverse. Quanto all’assunto principale, penso che esista una specificità della didattica per il patrimonio archeologico e che ci sia spazio per una materia specialistica in questo campo che, per quanto riguarda l’insegnamento universitario, ha trovato sede attuativa nell’istituzione dei nuovi corsi di laurea in Scienze dei Beni Culturali, almeno nell’ateneo di Pisa di cui porto la mia esperienza. Il Corso di Museologia a Pisa è stato infatti da pochi anni sdoppiato per i percorsi storico-artistico e archeologico e, in particolare, per quanto riguarda i contenuti del secondo, di cui mi occupo, esso è stato strutturato - come indica la titolatura “Museologia applicata all’Archeologia” - con un taglio specifico relativo ai musei e alle forme espositive che dell’Archeologia sono proprie, fra cui quella più peculiare del Parco Archeologico e dei modi di presentazione e lettura dei resti archeologici all’aperto.2 Tale indirizzo non contraddice il tradizionale percorso da sempre caratterizzante il ventaglio disciplinare dei Corsi di Laurea in Storia delle Arti, cui pertiene tradizionalmente l’insegnamento della Museologia e Museografia, ma intende approfondirne gli aspetti peculiari che contraddistinguono i Musei del patrimonio archeologico, con attenzione prevalente al contesto storico e culturale legato al territorio degli oggetti esposti, non necessariamente portatori di valore estetico.3 Le risposte in termini di apprezzarnento e frequenza sembrano incoraggianti: stiamo ora verificando ulteriori esperienze, sia nella forma di laboratori di museologia - in approfondimenti e visite-studio a contesti archeologici del territorio - sia di stages ed esperienze di collaborazione museale vera e propria, quando possibile, con o senza elaborazione di tesi conclusiva. Questo secondo tipo di esperienza, di per sé molto formativa per gli studenti, costituisce anche il carico più impegnativo per il docente. Attualità di queste tematiche - Se da una parte mi sembra che i temi circa l’approccio e i modi di una didattica dell’Antico, con attenzione verso le forme di musealizzazione del patrimonio culturale Archeologico stiano divenendo più attuali - e lo dimostra anche la scelta per l’organizzazione da 1 Il presente testo, corredato delle opportune note, costituisce la relazione puntuale presentata al Seminario organizzato dalla Direzione Generale per i Beni Archeologici – Serv. II, i cui responsabili ringrazio per l’opportunità offertami. 2 Da semplice ciclo di lezioni a carattere seminariale, dall’anno 2001 è stato attivato presso il Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, un corso di “Museologia applicata all’Archeologia” che si affianca al preesistente insegnamento di “Museologia e Museografia” (prof. E. Spalletti). Era negli intenti del Corso di Laurea e del presidente prof. C. Arias di connotare in maniera più specifica un corso di museologia dedicato agli archeologi, tale da affrontare le diverse problematiche della musealizzazione dei contesti e delle aree archeologiche. 3 Cfr. il testo di supporto al corso: F. DONATI, L’Archeologia e i suoi musei, Pisa, Servizio Editoriale Pisano, 2003.
parte del Ministero di una Giornata di Studio come questa - gli aspetti della museologia continuano spesso ad essere affrontati in modo esclusivarnente teorico, come storia del collezionismo, quando d’altra parte non bollati come troppo tecnici e specialistici, da affidare casomai a un master post- lauream, magari di taglio manageriale-gestionale (!). Proprio negli ultimi mesi si sono avute da più parti iniziative del genere, assunte da organismi pubblici a vario titolo coinvolti: Scuole, Istituti regionali per la pianificazione didattica,4 Soprintendenze e Università,5 tanto più apprezzabili in quanto gettano un ponte fra campi disciplinari solo in apparenza separati. Personalmente ho sempre creduto che il percorso dell’archeologo non dovesse esaurirsi nella ricerca, anche quella condotta sul campo dello scavo. La mia esperienza mi ha spesso portato a svolgere in continuum iniziative progettuali finalizzate all’allestimento espositivo dei dati emersi dalla ricerca archeologica, in forma temporanea di Mostra ma anche in assetto permanente, traducendosi in veri e propri Musei territoriali che, dopo lo studio delle valenze emerse e l’analisi dei contesti e dei manufatti archeologici da musealizzare, portasse a una corretta veste espositiva o a una presentazione dei resti archeologici visitabili all’aperto.6 Qualche volta tale impegno nella stesura dei progetti è rimasto inattuato per indisponibilità di fondi o difficoltà di interagire con gli enti a questo preposti; qualche volta realizzato in seconda battuta con il concorso esclusivo di altre competenze (leggi ingegneri e architetti). Un utile terreno di sperimentazione per comunicare in modo elementare i percorsi tradizionali della musealizzazione dell’antico si è avuto in occasione della Mostra promossa a Damasco in Siria, dai Dipartimenti di Scienze Archeologiche e Scienze Storiche del mondo antico dell’Università di Pisa, come dichiarato fin nel titolo: "Percorrere le rovine. Lo Scavo, il Museo, il Parco Archeologico”,7 dove lo scopo era appunto quello di delineare il percorso tradizionale che privava di solito il sito antico delle sue suppellettili più pregiate e degli 4 Vedi fra l’altro, per citare solo le iniziative più recenti a mia conoscenza, quella a cura dell’I.R.R.E. del Veneto su tali temi: "Per un rinnovamento della Didattica dell’Antico" (gennaio 2002); sempre della Regione Veneto cfr. Atti della V Giornata Regionale di Studio sulla Didattica Mussale, dedicata al tema "Le professionalità della didattica museale. Oltre la formazione, verso il riconoscimento", Venezia, 21 ottobre 2001. 5 Cfr. il Convegno su "Didattica museale. Divulgazione e valorizzazione dell’arte contemporanea", a cura dell’Università di Udine (13-14 genn. 2003); mi piace segnalare anche quello, più di recente tenutosi a Brescia, organizzato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, con il coinvolgimento di vari enti, "Brescia romana. Scavo, conservazione e musealizzazione di una domus di età imperiale", (Brescia, apr. 2003) con presentazione di interventi di scavo, restauro e musealizzazione di domus di età imperiale romana. In questa occasione, si può dire per la prima volta, gli archeologi si pronunciavano anche in merito alle soluzioni progettuali, per la conservazione e la presentazione in situ dei complessi analizzati. Su questa linea si erano già avuti i Convegni organizzati dalla Provincia di Roma negli anni 1984 e 1990, dove all’esposizione archeologica era affiancata per lo più quella tecnica dell’architetto progettista (cfr. “I siti archeologici. Un problema di musealizzazione all’aperto” - primo Seminario di studi: Roma, febbr. 1988, a cura di B. Amendolea, R. Cazzella, L. Indrio, Roma, 1988; Id., Secondo Seminario di studi: Roma, genn. 1994, a cura di B. Amendolea). 6 Ricordo fra le altre iniziative di tipo museale cui ho avuto modo di collaborare, l’allestimento di Mostre, fra cui “La romanizzazione dell’Etruria: il territorio di Vulci” (Orbetello, 1985) e “Amplero. Archeologia e storia di un centro italico-romano: 20 anni di ricerche” (Collelongo, AQ, 1995). Se il progetto di trasformazione in Parco Archeologico dell’area archeologica di Amplero non ha trovato finora forme di realizzazione, le ricerche condotte sul sito della villa romana di San Vincenzino a Cecina (LI) hanno portato alla stesura di un progetto di valorizzazione, in larga misura attuato, unitamente alla Mostra “Privata Luxuria. Decori e arredi di una villa d’ozio sul Cecina” (S. Vincenzino, LI, 1996). Del locale Museo Archeologico di San Pietro in Palazzi, Cecina, oggi in fase di riallestimento, ho curato le due edizioni 1980 e 1984. 7 Percorere le rovine. Lo Scavo, Il Museo, il Parco Archeologico, (Catalogo della Mostra, a cura di C. Arias, S. Mazzoni, Damasco, ott. 2000), Pisa, 2000.
elementi migliori, abbandonando allo stato di rudere i resti emersi dallo scavo, per passare infine a forme più attuali di musealizzazione in situ dell’area archeologica. Secondo questo filo logico, ci interroghiamo dunque, insieme con gli studenti, su alcuni aspetti operativi fondamentali: ad esempio, quali forme di musealizzazione archeologica siano possibili all’interno della politica di tutela attuabile oggi in Italia, e cosa ci aspettiamo da un museo. Se è auspicabile oggi in molti casi non rescindere il legame tra il monumento archeologico e il suo ambiente, mantenendo tutte le sue interazioni e i legami instaurati nel tempo, per azione naturale e antropica (quindi puntare sulla forma del Parco Archeologico) non ogni scavo può diventare tout court un Parco Archeologico, ma esistono sfumature concettuali e di prassi museale differenziata. Queste possono consentire più semplicemente di realizzare aree archeologiche attrezzate per la visita, spazi recuperati a verde pubblico oppure aree sottratte al traffico urbano e protette da usi impropri o degradanti, con un bagaglio minimo di illustrazione e presentazione di resti, da reinserire nel proprio tessuto come elemento qualificante. In altri casi, qualora non ci siano le condizioni per assicurare controllo e manutenzione, può esser corretto rinunciare alla presentazione in situ se non addirittura prevedere il reinterro, dopo opportuna documentazione. Linee guida nella didattica della Museologia archeologica - Soffermandomi sugli elementi fondanti in quest’ambito, sui quali richiamare l’attenzione nello svolgimento della didattica museologica agli studenti, mi sembra utile individuare i seguenti punti, che costituiscono, fra l’altro, delle vere e proprie fasi metodologiche di un qualsiasi progetto. 1. Studio del percorso storico e dei contesti di provenienza della collezione archeologica, che costituirà il criterio guida secondo cui articolare la successione espositiva nel Museo, il percorso logico di questo, o la strutturazione dei percorsi fisici, di visita, nel contesto archeologico all’aperto, per cui è indispensabile uno studio della viabilità antica (non è ammesso che l’ideazione di percorsi sia creata a tavolino senza tener conto degli originari modi di accesso alle emergenze archeologiche!). 2. Individuazione e Selezione dei poli principali di interesse da enucleare e illustrare all’interno della collezione o sito archeologico, secondo un sistema gerarchico e concatenato dei dati. 3. Definizione di Forme allestitive vere e proprie: composizione dei nuclei espositivi in relazione ai contesti archeologici o ai nuclei storici di accessione al museo, al fine anche della scelta dei contenitori più idonei (vetrine di dimensione non fissa, non per decisione "calata dal1’a1to", ma stabilita in rapporto ai contenuti, es. quanti corredi funerari, ecc…) oltre che dei supporti di sostegno per gli oggetti in vetrina o fuori vetrina, ta1i a volte da richiamare o alludere in immagine alla sagoma dell’oggetto jntero o ricostruibile (va da sé che non è senza significato se un torso mutilo sarà appoggiato a terra oppure su un basamento che ne ripristini le proporzioni originarie quale figura intera; analogamente la collocazione dell’oggetto dovrà rispettare la destinazione funzionale dello stesso: appartengono al passato soluzioni espositive che vedono i mosaici pavimentali appesi al muro come arazzi, o sarcofagi romani esposti su un piano inclinato, con la fronte obliqua o normale allo spettatore). 4. Princìpi basilari nel campo del Restauro archeologico restituivo e integrativo dei resti monumentali (Carta del Restauro 1972 e Documento di Cracovia 2000); fattore che diviene particolarmente importante in riferimento al caso di musealizzazioni all’aperto. Dagli interventi
finalizzati a una corretta lettura al pubblico di questi, con attenzione e cautela verso forme di ricostruzione eccessiva non rigorosamente documentata, alla conoscenza di più normali prassi nella manutenzione e conservazione di elementi strutturali nelle aree archeologiche (es. le "copertine" delle creste murarie, consolidamento di stesure pavimentali). 5. Scelta delle forme della comunicazione e divulgazione dei contenuti da presentare, relativamente ai livelli scelti nell’uso del linguaggio e alla strutturazione del messaggio/i, nel bagaglio di informazioni fornite; e allo spazio assegnato alla documentazione grafica e fotografica, all’uso delle restituzioni con mezzi multimediali nei musei e nei parchi archeologici. 6. Ciò è strettamente correlato a quanto attiene la veste pubblicistica di una realizzazione museale, relativa al materiale a stampa di carattere scientifico e divulgativo: pannelli, tabelle riassuntive e/o cronologiche per fasi, didascalie e brevi dépliants informativi illustrati (anche se si dice in genere che gli archeologi sono incapaci di parlare al pubblico - e forse è vero e induce spesso a ricorrere a un intermediario, un comunicatore - a maggior ragione è utile soffermarsi su alcuni princìpi generali). Va da sé che in un sito archeologico da musealizzare all’aperto i pannelli di corredo integreranno le informazioni utili alla comprensione di questo, con l’uso di grafici o viste ricostruttive dell’insieme, senza ripetizioni di quanto già è visibile. Al contrario, all’interno del museo si rende necessario il processo inverso, cioé la restituzione del contesto di provenienza dei manufatti presentati, con allargamento a mezzo illustrativo (gigantografie o diacolor retroilluminate) a quanto pertinente, ma forzatamente non inseribile nel percorso museale. La necessità di affrontare questi argomenti con gli studenti si porta dietro inevitabilmente la questione su quale formazione e quale ruolo intendiamo dare alle figure di Conservatori o Operatori nel campo dei Beni Culturali che escono dai nostri corsi universitari, questione delicatissima che esula dai nostri compiti, ma su cui tante volte siamo stati chiamati a riflettere - con particolare intensità dagli anni ‘80 - che muovevano dal tentativo di svecchiare questa figura professionale troppo chiusa nel proprio ambito di formazione umanistica e troppo poco duttile, nei campi della comunicazione, della gestione (magari per gestire il museo come un’azienda!, o in funzione esclusiva delle esigenze del turismo di massa), dell’informatica e delle tecniche virtuali. Se si deve tenere conto di tali esigenze, in una fusione dei valori tradizionali di grande vigilanza sul nostro patrimonio dei beni culturali con gli aspetti più dinamici e attuali della nostra società, non intendiamo prescindere dal bagaglio conoscitivo che appartiene da sempre all’insegnamento della Museologia e.alla storia che ha contrassegnato la nascita dei musei d’arte, accanto alla maturazione di una coscienza della tutela. Ci sembrano questi connotati irrinunciabili che, nel caso specifico, vedono la necessità di solide basi nelle discipline storiche e archeologiche, sulle quali impostare gran parte delle scelte nel campo della musealizzazione, che non può essere vista come separata dal suo tessuto sociale e civile, oltre che urbanistico o ambientale. Più modestamente penso quindi a una figura non tanto a tutto tondo (o di "tuttologo"), quanto a una persona in grado di confrontarsi e di collaborare con altre professionalità che entrino a vario titolo e differente livello di specializzazione nella realizzazione di un progetto. In particolare, penso che il
ruolo dell’operatore di formazione archeologica non lo esenti dal pronunciarsi, ad esempio - nel caso di una valorizzazione di complessi antichi - su scelte meramente conservative, che intervengano sul corpo vivo del manufatto archeologico o coinvolgano interventi di ricomposizione e restauro integrativo di presenze monumentali, come pure di più banale risarcitura di tessiture murarie o rivestimenti murali e pavimentali, e sulla forma da dare a sistemi di copertura temporanea di uno scavo archeologico. Questi aspetti vanno dunque affrontati nello svolgimento di un piano didattico, per la formazione di una classe di operatori del settore che seppure non saranno dei veri tecnici, saranno in grado di controllare i processi che guidano le scelte nella musealizzazione archeologica e potranno intervenire consapevolmente accanto ad altri professionisti, portando in dote l’apporto e il bagaglio conoscitivo del monumento archeologico, requisito imprescindibile di una iniziativa del genere. Conclusioni - È evidente come non sia possibile né si pretenda di fornire ricette buone per ogni situazione, in un campo come questo dove ancora molti dei criteri sono in corso di elaborazione piena e le forme di realizzazione cui si assiste sono variabili e devono adattarsi caso per caso. Una corretta strategia mi pare quindi quella di presentare agli studenti una rassegna di quanto esistente, nei limiti del possibile estesa ai siti archeologici più significativi, in sede nazionale e all’estero, confrontandoli e commentandone insieme gli elementi connotanti, invitando infine gli studenti stessi a raccontare le proprie esperienze o a farsene di proprie (in genere i ragazzi hanno visto pochi musei, ma dopo un ciclo di lezioni a volte tornano raccontando delle loro osservazioni, quindi vuoI dire che le lezioni hanno fornito qualche stimolo...). Va da sé che sono più le note critiche; meglio più le ombre che le luci, che emergono in una panoramica del genere - del resto è più facile dire quello che non ci piace che realizzare di fatto, e ciò contiene indubbiamente ampi margini di soggettività - ma intanto, per via approssimativa, ciò è utile almeno ad orientarsi nelle dinamiche della presentazione archeologica, nel rapporto dialettico fra Mostra e Museo o fra Parco Archeologico e Museo o Antiquarium; e infine alla comprensione di quello che assolutamente va evitato come non corretto e di quanto può essere accolto dalla panoramica delle sperimentazioni in atto. Qui naturalmente entrano in gioco le lacune del docente (in questo caso mi piacerebbe che l’Università mi consentisse missioni per visitare il più possibile musei e contesti archeologici, mentre l’onere è tutto a mio carico); tuttavia lo sforzo di attualizzare al massimo le casistiche esistenti in questo campo (con la presentazione, anche in serie temporale relativamente ai movimenti di museologia tradizionale, di ventate rinnovatrici o puristiche, ritorni e riflussi, di tendenze che paiono superate accanto alle tendenze che si profilano oggi nel campo che guida la scelta dei material o delle fonti di luce negli allestimenti mussali) fornisce coerenza al percorso affrontato. In questo senso mi pare utile riservare una sezione del corso a una rassegna e all’osservazione di forme museali più attuali e per così dire "calde" perché forniscono terreno di sperimentazione vivacemente dibattuto: ad esempio, i riallestimenti di grandi Musei Nazionali esistenti, primi fra tutti quelli di Roma per l’occasione del recente Giubileo; i Musei locali creati ex novo in questi ultimi anni (es. in Toscana, Calabria e Sicilia); come pure il riordino dell’area archeologica
dell’acropoli di Atene con il ricollocamento di partizioni architettoniche originali e uso dei calchi, per quanto riguarda soprattutto il tempio del Partenone e l’edificio dell’Eretteo, rinnovamento del Museo dell’Acropoli, ridefinizione dei percorsi di visita e dei servizi. Accanto a queste, si ricordano nuove e particolari forme di musealizzazione, come il Parco Archeologico subacqueo dei Campi Flegrei, aperto con percorsi sott’acqua dall’estate scorsa, che integra i nuclei preesistenti del Parco e del Museo del Castello, che allarga il campo alle problematiche tanto peculiari dell’archeologia subacquea e alle possibilità - ancora tutte da verificare - di una musealizzazione in situ anche in casi del genere.8 Fulvia DONATI, Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Archeologiche 8 Interessante nel senso dell’acquisizione di nuovi criteri di musealizzazione, la proposta espressa dall’équipe di archeologi francesi di non rimuovere, ma predisporre a una conservazione in situ l’esteso giacimento archeologico presso il porto di Alessandria d’Egitto. Si presta ad altre interessanti considerazioni in questo campo anche il bacino portuale recentemente scoperto nell’area della Stazione ferroviaria di San Rossore a Pisa.
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