L'evoluzione dei controller Pt.2 - gli anni 2000 - GameCompass
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
L’evoluzione dei controller Pt.2 – gli anni 2000 I controller, dagli arcade alle console casalinghe, hanno fatto tanta strada, passando da controlli digitali a controlli analogici in grado di permettere movimenti a 360°. Quali altre sorprese attendevano i giocatori al volgere del millennio? Controller di precisione assoluta, con un design futuristico e funzioni all’avanguardia? Vediamolo insieme in questo nuovo articolo a continuazione del primo che vi invitiamo a leggere prima di questo. La generazione 128-bit – la generazione X Sega, dopo il fallimento del Saturn in Nord-America ed Europa, era decisa a lanciare una nuova macchina da gioco che spezzasse totalmente col passato e per farlo aveva bisogno anche di un controller che offrisse ai giocatori un nuovo modo di giocare i titoli SEGA. Il bianco controller del Dreamcast, che si rifaceva al 3D Pad del Saturn, non sembrava affatto un prodotto SEGA: la disposizione a sei tasti frontali fu abbandonata in favore del layout a rombo, dunque con quattro colorati tasti frontali come PlayStation e Super Nintendo, ma con i classici trigger analogici del precedente pad. Questo controller è in definitiva molto comodo, più piccolo rispetto al suo antenato, anche se non risulta il massimo per lunghe sessioni di gioco: al di là della strana scelta di far passare il cavo dalla parte bassa del controller e non da sopra, fu montata una levetta analogica convessa che, in assenza di una gommina come nel Dual Shock, scivola facilmente dalla pressione del pollice del giocatore, soprattutto quando la mano comincia a sudare dopo lunghe sessioni di gioco; in aggiunta a tutto questo, qualora ci serva, il controller del Dreamcast monta una croce direzionale rialzata, realizzata con plastica durissima e stranamente “iper-spigolosa”, un calvario per chi vuole
giocare con gli eccellenti picchiaduro ospitati nell’ultima console SEGA. Tuttavia il nuovo controller per Dreamcast presentava anche due slot, quello frontale indicato per inserire la VMU, ovvero una piccola memory card dotata di un piccolo schermo a cristalli liquidi; non tutti i giochi sfruttarono questa caratteristica (molti giochi mostravano semplicemente il logo del gioco in esecuzione) ma altri invece, come Skies of Arcadia e Sonic Adventure 2, riuscirono a creare una sorta di interazione col gameplay in corso. Nell’altro slot i giocatori avrebbero potuto inserire il Rumble Pack, più indicato visto che, nonostante possa accogliere una seconda VMU, non è possibile vedere il secondo schermo. Nonostante tutto, parte dell’abbandono dello sviluppo su Dreamcast è dovuto in parte anche al controller: che possa piacere o meno, la verità è che il controller presenta soltanto sei tasti quando PlayStation 2 e Xbox ne presentavano otto e dunque, ammesso che fosse possibile fare dei porting dedicati per Dreamcast, era impossibile per la console accogliere dei giochi che sfruttassero più comandi di quelli previsti. Il controller per Dreamcast non è assolutamente pessimo ma sicuramente SEGA avrebbe potuto fare di meglio. Cos’è? È un meteorite? Un aquila? Un U.F.O.? No! È il cosiddetto “Duke“, il controller originale della prima Xbox! Questo titanico controller, all’apparenza, sembra presentare un layout a rombo come quello PlayStation o Dreamcast (vista anche la vicinanza fra SEGA e Microsoft in quel preciso periodo) ma in realtà, presenta invece il layout a sei tasti simili ai controller di Mega Drive e Saturn ma disposti in verticale! Non tutti capirono questo sistema e il tutto risultava abbastanza scomodo e poco risoluto. Il controller fu nominato “errore dell’anno 2001” da Game Informer, ma Microsoft aveva un asso nella manica: il “Duke” fu messo in bundle con la console in tutto il mondo con l’eccezione del Giappone. Per quello specifico mercato Microsoft disegnò un controller che potesse meglio accomodare le più piccole mani dei giocatori giapponesi e così, su richiesta dei fan, il “Duke” fu presto sostituito dal migliore controller “S“. Con questo controller, il cui nome in codice era Akebono (fu il primo lottatore di sumo non giapponese a raggiungere il rank di Yokozuna), i giocatori ebbero in mano un controller veramente di qualità anche se non poteva essere considerato realmente uno dei migliori: fu scelto un più semplice layout a rombo preciso, come
quello del DualShock, ma i tasti “bianco” e “nero” finirono in basso a destra dal set principale (i tasti colorati), rendendo il tutto poco comodo, specialmente quando quei tasti servissero immediatamente. I giocatori Xbox dovevano ancora attendere una generazione affinché ricevessero uno dei migliori controller mai realizzati. Il “Duke” però, fra amore e odio, lasciò comunque una qualche traccia nel cuore dei giocatori, tanto che l’anno scorso Hyperkin rilasciò una riproduzione ufficiale di questo strano controller per PC e Xbox One! In questo rinascimento dei controller anche Nintendo decise di sperimentare con il joypad da lanciare con la successiva console. Il controller per il GameCube è all’apparenza molto strano ma una volta fatto il callo con le prime sessioni di gioco ve ne innamorerete! Il controller si accomoda perfettamente alla forma della mano, offrendo una saldissima presa, ma sarà l’anomala disposizione dei tasti la vera protagonista: al centro troveremo un bel tastone “A”, mentre alla destra, alla sinistra e al di sopra di questo tasto principale, ci saranno i tasti, rispettivamente, “B”, “X” e “Y”, tutti con una forma diversa. Questa scelta fu presa per permettere al pollice, impegnato principalmente col tasto “A”, di raggiungere tutti i tasti attorno, ma principalmente, secondo Shigeru Miyamoto, per permettere una migliore memorizzazione dei tasti del pad. Insieme a questi tre tasti ne troviamo tasti dorsali e una levetta “C” (in sostituzione dei tasti “C” del Nintendo 64) per un totale di sette tasti. Anche questo controller, come quello per Dreamcast, soffriva per un tasto in meno ma a differenza della sfortunata console SEGA, tramite alcuni stratagemmi, riuscirono ad aggiudicarsi dei buoni e gettonati porting dell’epoca anche con quello strano controller. Più in là Nintendo produsse per GameCube il Wavebird, il primo controller wireless prodotto da un first party dai tempi di Atari. Il controller, che funzionava con le frequenze radio, mancava della funzione rumble ma risolveva in prima persona il problema dei cavi per terra, avviando così il trend, nella generazione successiva, di includere un controller wireless incluso con la console. Un po’ come il DualShock, questo controller non ne ha mai voluto sapere di morire o passare di moda, tanto è vero che a tutt’oggi è considerato la quintessenza per giocare a qualsiasi gioco della serie Super Smash Bros.; a testimonianza di ciò esistono le “re-release” di questo particolare controller, nonché il Pro Controller PowerA (ufficialmente licenziato) per Nintendo Switch che
aggiunge i tasti “home“, “–” e “+” e un dorsale sul lato sinistro del controller (ovvero l’ottavo tasto mancante nell’originale). “Se qualcosa funziona, non aggiustarla”: come anticipato nella prima parte, fu questa invece la filosofia di Sony per questa generazione. Il DualShock 2 rimase quasi lo stesso, implementando principalmente i tasti analogici per tutti i tasti frontali e dorsali, offrendo ancora più precisione del già precisissimo DualShock. PlayStation 2 è la console più venduta di tutti i tempi e un controller così funzionale è a testimonianza della qualità di questa superba macchina da gioco.
Eccellenza e motion control Prima di introdurre il trend dei motion control, che molto caratterizzò questa generazione, vorremo prima ammirare il fantastico controller per Xbox 360. Questa volta Microsoft si superò consegnando una versione rivisitata del controller “S“, con una presa migliorata, un layout a diamante, permettendo al pollice di raggiungere i tasti con più facilità, quattro tasti dorsali come il DualShock, eliminando i tasti “bianco” e “nero“, e un bel “tastone” home che permetteva anche di avviare la console come un telecomando. La ciliegina sulla torta fu rappresentata dal jack per l’auricolare in bundle con la console in modo da connettere i giocatori online via chat vocale; una feature che diventerà obbligatoria dopo questa generazione. Questo controller diventò in poco tempo anche il controller non ufficiale della scena PC proprio per la sua incredibile versatilità e maneggevolezza e ancora oggi, per chi lo possiede sente il bisogno di acquistare la nuova versione per Xbox One, viene ancora utilizzato da moltissimi giocatori per PC di tutto il mondo. I primi controller in bundle con la console avevano la tendenza, dopo un po’ di usi, al drifting, ovvero un input fasullo dovuto ad alcuni residui di polvere del componente della levetta; come la non compatibilità con gli HD-DVD e il “red ring of death“, il drifting fu il risultato della scelta di lanciare la console in fretta e furia ma fortunatamente tutti i problemi relativi ai primi lotti di console furono piano piano debellati, dunque anche i controller successivi al lancio, nonché quelli in bundle con i modelli “slim” e “S“, riscontrarono meno problemi di drifting.
Tuttavia, durante questa generazione non fu di certo questo controller a rubare la scena. Era il 2005, durante il periodo dell’E3, quando un trailer mostrò le capacità dello stranissimo controller per l’allora Nintendo Revolution (senza alcun video di gameplay, giusto per dare un ulteriore senso di mistero), in seguito divenuto Wii: la gente che lo utilizzava imitava azioni di ogni tipo, dal brandire uno spada e uno scudo, illuminare una stanza a mo’ di torcia, dirigere un’orchestra, ma anche azioni più comuni come tagliare ingredienti o pescare. In molti storsero il naso di fronte a questo controller a forma di telecomando ma la verità fu che il Wii Remote (o Wiimote) divenne ben presto, in un epoca in cui i tasti d’azione nei controlli erano otto (dieci se contiamo la pressione delle levette), un controller incredibilmente facile da utilizzare grazie ai suoi motion control. Persino genitori e nonni di tutto il mondo finirono per aver giocato, almeno una volta nella vita, a titoli come Wii Sport, Wii Play e molti altri titoli! Sebbene i titoli party erano quelli in cui era coinvolto più movimento, nonché i migliaia di titoli “shovel-ware” che finirono per riempire il catalogo dei giochi ufficiali Wii, non bisogna dimenticare titoli come The Legend of Zelda: Twilight Princess, Super Mario Galaxy, Metroid Prime 3, Mario Kart Wii, Disaster: Day of Crisis, Mad World o No More Heroes in cui il Wiimote aggiunse realmente un layer di profondità finora inesplorato. Il dominio motion control arrivò e tramontò col Wii ma è bene ricordare che fu un periodo molto particolare, tanto che arrivò a influenzare in un qualche modo anche la generazione successiva: ne sono ovvi esempi gli attuali controller DualShock 4 e Nintendo Switch, nonché il gamepad per Wii U (di cui parleremo più avanti). Impatto a parte, cosa offre un Wiimote? In alto, insieme al pulsante power, troviamo un D-pad che, nonostante la strana posizione, funge perfettamente come un menù rapido in giochi come The Legend of Zelda: Twilight Princess e come metodo di controllo principale se utilizzato in orizzontale, diventando a tutti gli effetti un controller a là Nintendo Entertainment System visti anche i tasti “1” e “2” sull’altra estremità del controller, diventando un controller perfetto per i giochi platform 2D nonché gli stessi giochi per NES presenti nel catalogo della Virtual Console. Preso in verticale, esattamente sulla linea del pollice e indice troveremo un tasto grande “A” e un grilletto “B“, pronti immediatamente per l’uso mentre, sulla metà, troveremo invece i tasti home, “+” e “–” (da questa generazione i veri sostituti dei tasti start e select); proprio sotto al tasto home, inoltre, vi è un piccolo speaker che riprodurrà alcuni effetti sonori dal gioco in esecuzione. Tuttavia
un Wiimote, soprattutto se si vogliono giocare i giochi più belli, non è niente senza un Nunchuck, l’espansione naturale di questo controller: questa impugnatura offre al giocatore una buonissima levetta analogica e due ulteriori tasti, “C” e “Z“, sulla parte alta dell’impugnatura da premere con l’indice. I tasti effettivi, dunque sono sei (quattro se contiamo che “1” e “2” sono difficilmente raggiungibili in modalità Nunchuck), ma è chiaro che tutto ciò che viene a mancare viene compensato dai movimenti e dalle azioni da compiere, sia con il Wiimote che col Nunchuck, anch’esso parte dei motion control. Al lancio il Wiimote, che funge anche da puntatore (dunque un vero e proprio mouse), doveva includere sia accelerometro, che registra principalmente i movimenti, e un giroscopio che ne registra invece la posizione ma alla fine venne incluso solo il primo; più tardi fu rilasciato il Wii Motion Plus, un accessorio (una sorta di cubo) che ultimò definitivamente il controller per questa generazione aggiungendo il giroscopio, ma in seguito i futuri Wiimote furono costruiti con entrambi i componenti all’interno, rinominando il tutto in Wii Remote Plus. L’esperienza dei controlli per Wii furono strani e, tutto sommato, passeggeri ma i motion control sono a tutt’oggi presenti, in misure più o meno incisive (ma sicuramente meno presenti) a seconda dei giochi, come in Splatoon 2 o Super Mario Odyssey. Per il resto Nintendo offrì un ulteriore controller a otto tasti rinominato Classic Controller, simile a un controller per Super Nintendo, per giocare al meglio i giochi della Virtual Console, specialmente quelli post-NES. Il Classic Controller Pro, che aggiunse principalmente due maniglie (a là DualShock) per una migliore presa, fu invece il metodo principale per giocare a giochi come Goldeneye 007 (2010) o Samurai Warrior 3 (tanto che venne incluso in bundle), sottolineando invece come i motion control, spesso, risultavano superflui e quanto invece servisse un controller semplice per godersi al meglio alcuni titoli. L’annuncio del Wiimote colse tutti di sorpresa e fra quelli c’erano anche i concorrenti Microsoft e Sony. La prima lasciò perdere totalmente, almeno per l’inizio, in quanto investire immediatamente avrebbe rappresentato un rischio inutile, senza contare il fare la figura dei copioni, e poi l’analizzare con pazienza il trend dei motion control avrebbe permesso lo sviluppo di un set più originale e avanzato; ovviamente stiamo parlando del Kinect ma qui eviteremo di parlarne in quanto, essendo, sì, un metodo di controllo ma non un controller vero e proprio, non c’è nulla da “tenere in mano” e pertanto rimanderemo questa conversazione a qualche altro articolo. Sony invece cominciò a correre ai ripari in quanto, nonostante le critiche mosse al Wiimote, i motion control erano visti come la prossima grande cosa. Inoltre in pochi sanno che Sony aveva il DualShock 3 pronto sin dal lancio ma una causa legale contro la Immersion Corporation, proprio per la feature del rumble, li spinsero a togliere la vibrazione in favore dei motion control per offrire qualcosa di nuovo. Il Sixaxis fu annunciato otto mesi dopo l’annuncio del Wii Remote e in molti videro uno strafalcione del concetto offerto da Nintendo; il tutto fu aggravato non solo dal fatto che durante l’E3 del 2006 Warhawk fu l’unico gioco per PlayStation 3 a mostrare le capacità del Sixaxis ma gli sviluppatori alla Incognito Entertainment si lamentarono del fatto che il controller Sony arrivò soltanto 10 giorni prima dell’evento. PlayStation 3 fu lanciata fra il 2006 e il 2007 (in Europa) e agli imbarazzanti prezzo di lancio fu incluso un controller sconclusionato, le cui motion feature venivano utilizzate pochissimo, senza vibrazione e anche troppo leggero (dunque prono alla rottura in caso di caduta). Ciò che è peggio è che Phil Harrison, l’allora presidente della Sony Worldwide Studios, ebbe da dire che il rumble era una feature obsoleta e che il motion control era il futuro (senza contare che il Wiimote, seppur senza giroscopio, aveva motion control e vibrazione). I problemi per Sony finirono fra il 2007 e il 2008 quando il più efficiente e iconico DualShock 3, che (come abbiamo scritto nel precedente articolo) implementò i grilletti e la tecnologia wireless con batteria
al litio ricaricabile, sostituì definitivamente il Sixaxis, finendo così la motion-avventura per Sony… o così sembrava! La tecnologia Sixaxis finì direttamente all’interno di PS Vita, mentre su PlayStation 3, intenti e decisi a rilasciare un vero e proprio motion control, Sony rilasciò il PlayStation Move. Nonostante ancora scelsero di copiare direttamente ciò che faceva Nintendo, il nuovo controller Sony risultò ben costruito ed ebbe, fra alti e bassi, un buon successo: nonostante i movimenti potevano sostituire l’ausilio di qualche tasto, furono inclusi tutti i tasti di un DualShock intorno al controller e i primi giochi dedicati al Move, che dovevano essere giocati con la nuova ridisegnata Eye-toy, mostrarono degnamente il potenziale di questi controller. PlayStation Move, durante l’era della PlayStation 3, non ebbe il successo sperato ma questi furono interamente implementati per l’utilizzo di PlayStation VR, e dunque ancora oggi utilizzati dai giocatori di tutto il mondo. (Nota: il Sixaxis non è presente in questa galleria in quanto differisce soltanto per la scritta “DualShock 3” sul lato alto del controller. Al di là dei motion control, che ovviamente in foto non si vedono, i due controller sono esteticamente identici.) La mid-gen e i controller odierni Con Wii Nintendo riuscì ad avvicinare molti casual gamer allontanando però molti hardcore gamer che nel frattempo, intenti a provare il gaming in HD, si spostarono verso Xbox 360 e PlayStation 3. Wii U fu rivelata durante l’E3 del 2011 e con essa il proprio “tablet controller”. Dopo una creativa disposizione dei tasti su Gamecube e un accantonamento generale durante la precedente generazione, Wii U proponeva un ritorno alle origini con una disposizione di tasti più vicina al Classic Controller Pro per Wii, un giroscopio e un touch screen per, letteralmente, vedere i giochi da una prospettiva totalmente diversa; insieme a tutto questo fu incluso un microfono, degli speaker e una telecamerina sulla parte alta dello schermo, dando come l’impressione che fosse una specie di Nintendo DS fisso. Nonostante le premesse, in pochi riuscirono a immaginare realmente un utilizzo innovativo del touchscreen, col risultato che pochissimi giochi sfruttarono al 100% le sue caratteristiche, come Pikmin 3, Splatoon ma soprattutto Super Mario Maker; insieme al controller, ad affondare fu l’intero sistema in quanto i developer difficilmente trovavano un vero utilizzo per il tablet controller, ma ciò che è peggio è che il pubblico non capì realmente cosa fosse il Wii U (un’espansione del Wii? una nuova console? Ne parleremo qualche altra volta). In tutta questa grande confusione, il nuovo controller non sembrava piacere a tutti: c’era a chi piaceva e c’era chi lo odiava, e fra quelli c’erano sicuramente gli hardcore gamer, proprio quelli che la compagnia di Kyoto sperava di richiamare a sé. Fortunatamente per Nintendo, che si assicurò in ogni caso di rendere i precedenti Wiimote compatibili per il nuovo sistema, lanciò con la console anche il più versatile Pro Controller, molto più simile a un controller per Xbox 360. La particolarità di questo controller, come per il tablet, sta principalmente nel fatto di avere le levette analogiche allineate, entrambi sopra la parte inferiore in cui vi è il D-pad e i quattro tasti principali; in tutto questo, come ormai tutti i controller di quest’epoca, vi sono quattro tasti dorsali di cui due trigger. Il Pro Controller fu indubbiamente una mossa verso la direzione giusta ma, come sappiamo, non bastò per far spiccare Wii U fra Xbox One e PlayStation 4 lanciate l’anno successivo. L’esperienza di Wii U, anche in ambito di sistema di controllo, fu di grande aiuto in seguito per coniare Nintendo Switch.
Il nuovo controller per la Xbox One è una vera e propria evoluzione del già ottimo controller per Xbox 360, riportando in auge tutto ciò che rese grandioso il precedente controller, migliorandolo in maniera esponenziale. In seguito, Microsoft rilasciò anche l’Elite Wireless Controller con la quale, grazie a un kit dedicato, è possibile personalizzare il proprio controller con tasti programmabili sul dorso e anche sostituire levette e D-pad, offrendo un grado di personalizzazione mai visto in ambito controller. Sony invece, forse anche un po’ a malincuore, sostituì l’ormai vecchio design del DualShock con uno nuovo più rotondeggiante, moderno e realmente all’avanguardia. Insieme alle novità del touch pad, dei sensori di movimento correttamente implementati e il led sul dorso del controller, il nuovo controller della PlayStation 4 si adatta ai tempi moderni offrendo al giocatore un immediato tasto share con la quale è possibile caricare sui social network i momenti salienti del proprio gameplay. In quanto a precisione, il controller per PS4 ha un retaggio che va indietro sino al primo DualShock, il che è senza dubbio un sinonimo di garanzia in quanto qualità dell’immissione degli input di gioco. La natura ibrida di Nintendo Switch ha invece portato al concepimento di un controller formato da due pezzi, simile nell’esecuzione al Wiimote e il suo Nunchuck ma ben lontano dal suo concetto interamente focalizzato nei motion control. I due Joy-Con, sia in modalità portatile che in modalità fissa, offriranno al giocatore la tipica disposizione a diamante ormai tipica dei controller Nintendo, mentre le levette, a differenza del gamepad per Wii U o del suo Pro Controller, stavolta si
presentano disallineate per permettere tramite un solo set di Joycon la possibilità di giocare in due giocatori semplicemente tenendo il controller in orizzontale; in tutto questo i controller sono stati muniti di accelerometro, giroscopio e la nuovissima feature HD Rumble, un particolare tipo di vibrazione in grado dare un layer ancora più profondo di realismo (tipico è l’esempio delle biglie in 1 2 Switch). I Joy-Con, purtroppo, si sono resi protagonisti di uno spiacevole malfunzionamento, ovvero quello del drifting dopo circa un anno assiduo di gameplay ma Nintendo, per fronteggiare il problema, si è offerta di riparare i Joy-Con anche dopo il superamento della data di garanzia. Nel caso voleste evitare il problema del drifting, nonché prendere in mano un controller più tradizionale, allora vi converrà passare al più preciso Pro Controller che offre le stesse feature dei Joy-Con (persino il riconoscimento degli Amiibo) ma con una presa decisamente più comoda e rilassata. In più è presente un D-pad in quanto scartata nei Joy-Con per permettere due pezzi perfettamente speculari e che si prestassero al gioco in due giocatori. Se non vuoi essere considerato un principiante a vita allora ti converrà passare al Pro Controller stasera stesso! Futuro? Finisce così la nostra strada che ci ha portato dai joystick ai joypad ma ovviamente, nonostante gli headset VR e chissà quali future diavolerie, i controller saranno destinati ad accompagnare per sempre il giocatore. Quali saranno le future innovazioni per i controlli? Come si controlleranno i videogiochi di prossima generazione? E in tutto questo: qual è il vostro preferito? Fatecelo sapere nei commenti! Intellivision Amico: impressioni a caldo In questa rubrica abbiamo già visto il Polymega, una console di prossima uscita dedicata esclusivamente al retrogaming e al recupero dei vecchi giochi, sia tramite cartucce e dischi (la cui macchina estrarrà le immagini) sia tramite uno store online da lanciare nel tardo 2019. A percorrere quasi gli stessi binari della nostalgia, Tommy Tallarico, famoso compositore che per ha lavorato nell’industria videoludica per titoli come Aladdin per Sega Genesis, Terminator per Sega CD, Cool Spot e Metroid Prime, ha comprato nel Maggio 2018 gli asset di Intellivision Production di Keith Robinson, precedente detentore venuto a mancare l’anno scorso, fondando la nuova Intellivision Entertainment e, giusto qualche giorno fa (22 Ottobre) è stato lanciato un trailer per l’Intellivision Amico, una console, a detta del suo nuovo CEO, rivolta a tutta la famiglia, una macchina che propone giochi per ogni tipo di giocatore e non solo gli hardcore gamer. Sul nuovo sito di Intellivision Entertainment è possibile vedere tutti i dettagli della macchina (che a breve discuteremo); ma prima di buttarci a capofitto sulle novità, diamo prima uno sguardo alla precedente console di seconda generazione, giusto per ripercorrere la storia di questo marchio spesso dimenticato ma molto importante.
Meravigliosa creatura L’originale Intellivision, prodotto da Mattel Electronics, fu lanciato nel 1980, previo test market a Fresno, in California nel 1979, introducendo sul mercato una marea di innovazioni all’avanguardia (forse anche troppo) per i suoi tempi, feature e capacità che avremmo visto anni o addirittura decenni, più tardi: per prima cosa, Intellivision è stata la prima console con processore 16bit in grado di dare alla macchina, sul piano grafico e sull’azione, un vantaggio decisivo contro la concorrenza, sottolineato tramite un’aggressiva campagna marketing, che poteva permettere l’inserimento dell’Intellivoice Voice Synthesis Module, un add-on esterno in grado di poter dare ad alcuni giochi delle vere e proprie tracce vocali digitali da ascoltare durante il gameplay; Intellivision è stata la prima macchina a puntare direttamente agli appassionati sportivi, proponendo all’interno della sua ottima libreria, che offriva titoli innovativi come Utopia e Advanced Dungeon and Dragons: Cloudy Mountain che gettarono le basi, rispettivamente, per i generi god simulator e avventura, i primi giochi su licenza delle varie federazioni sportive americane, come MLB, NFL, NBA, NHL, ect.; inoltre (e questo è veramente una feature più volte ripresa nel tempo ma decollata soltanto negli anni 2000) è stata la prima macchina a fornire una distribuzione digitale, tramite cavo televisivo, con il suo add-on Playcable, una qualità, ad oggi, immancabile nelle console moderne. Unico suo punto a sfavore era forse il poco intuitivo controller, direttamente saldato all’interno della console e dunque non sostituibile, che presentava un dischetto metallico, simile ma non uguale a una croce direzionale, che si sostituiva al joystick e che dava al giocatore ben 16 (eccessive) direzioni, quattro tasti principali sui lati e una tastiera numerica, simile a quella di un telefono, sulla quale era possibile attaccare degli overlay di cartone sulla quale erano spiegate le funzionalità di ogni singolo tasto per un determinato giochi; dunque, tenendo anche conto del fatto che il dischetto direzionale funziona anche come tasto se premuto al centro, ci sono ben 17 tasti, veramente troppi per una console di questa generazione. Fra pregi e difetti, possiamo senza dubbio dire che è stata una console veramente all’avanguardia, sia sul piano tecnico che sul piano marketing, ma fra Colecovision, Magnavox Odyssey2, Atari 5200 (che si dava battaglia da sola per rimpiazzare l’obsoleta Atari 2600 che, paradossalmente, era ancora la console che vendeva di più) e i nuovi PC casalinghi, l’Intellivision era una goccia d’acqua nell’oceano della
competizione. Successivamente, nel 1984, per limitare le perdite, Mattel fondò Intellivision Inc., tramutata in seguito in INTV Corporation, che continuò la distribuzione della console, adesso chiamata appunto INTV e la produzione di giochi e console, il tutto distribuito esclusivamente via posta ed esente dal marchio Mattel, fino al 1990, anno in cui Nintendo e Sega approcciarono i loro uffici per fermarne la produzione. Anche se meritava molto di più, Intellivision se ne uscì con oltre 3 milioni di console vendute in tutto il mondo e più in là, a testimonianza dell’amore e dell’innovazione portata da questa macchina, sotto la nuova Intellivision Production fondata da Keith Robinson nel 1997 furono licenziate diverse collection, fra PC Windows e console e addirittura l’Intellivision Flashback di AtGames, una retro-console plug and play per poter riscoprire una buona manciata di giochi. Intellivision è stata senza dubbio una console che ha saputo farsi spazio nei cuori della community. Un nuovo Amico Il marchio e il prestigio di Intellivision è sopravvissuto fino a oggi, anno in cui Tommy Tallarico ha comprato le possessioni di Keith Robinson e ha rilanciato l’intera azienda sotto il nome di Intellivision Entertainment mettendosi al capo. Ed è così, come un fulmine a ciel sereno, appare Amico, la nuova console Intellivision che verrà lanciata il 10 Ottobre 2020 (fate caso a 1010 2020! Piccoli stratagemmi per ricordare certe date, un po’ come Sega Dreamcast fece per il suo 09/09/1999) per un prezzo di lancio fra i 149 ai 179$. Vediamo un po’ cosa offre questa nuova console che propone caratteristiche veramente fuori dal comune. Innanzitutto la macchina detta una regola tanto interessante quanto rigida, ovvero “2D only”: ebbene sì, la macchina conterrà un avanzatissimo chip in grado di offrire la migliore grafica 2D sul mercato. La macchina sarà ovviamente in grado di connettersi a internet via wi-fi, dove potremo accedere allo store online per acquistare i software aggiuntivi, che saranno esclusivamente digitali, giocare online, vedere le classifiche all’interno dei singoli giochi e partecipare a tornei. Per il resto, nella console, ci saranno delle porte USB, uscita HDMI, delle luci al led che cambieranno
colore con le interazioni con i giochi e il sito Intellivision Entertainment parla anche di un “System Expansion Interface”, forse un qualche futuro add-on, chissà. I controller wireless presentati ricalcano la forma di quelli originali, dunque ci sarà un dischetto (che però stavolta sembra funzionare di più come un d-pad), i quattro tasti sui lati del controller e verranno aggiunti inoltre microfono, speaker, vibrazione, sensori giroscopici e sarà possibile ricaricarli sulla base della console; la più grande innovazione, però, è senza dubbio il touchscreen integrato che sostituirà il tastierino numerico, e magari riuscirà a restituire, forse, quel concetto pensato originariamente per l’Intellivision che ai tempi non funzionò benissimo per via della tecnologia poco avanzata. Sarà possibile inoltre collegare alla console i propri smartphone via app dedicata in assenza di controller originali Amico (fino a otto giocatori). Per ciò che riguarda i software, che non andranno oltre la classificazione ESRB 10+, non solo saranno esclusivamente in 2D ma saranno tutti esclusive Amico, sottolineando anche che la console non ospiterà porting, DLC o microtransazioni e che i prezzi varieranno da un minimo di 2,99$ a un massimo di 8,99$. Momentaneamente, sempre sul lato software, si parla di classici re-immaginati, dunque vecchi titoli che vedranno un upgrade grafico, sonoro, nuovi livelli, modalità multiplayer locale, online e molto più: questi verranno presi dalla libreria Intellivision, Atari, iMagic, famoso third party dei tempi e altri titoli arcade come Super Burger Time, Moon Patrol, R-Type, Toejam & Earl e molti altri. La console, al momento dell’acquisto, avrà alcuni classici inclusi ma sono stati promessi oltre 20 nuovi titoli per il lancio. Amico o Nemico? Il team di Intellivision Amico è composto da gente veramente competente: come abbiamo già detto, Tommy Tallarico sarà il CEO di Intellivision Entertainment, mentre al suo fianco troveremo i produttore Jason Enos, veterano dell’industria che ha lavorato in ben oltre 100 progetti fra Sega, Konami, E.A. e Namco, Phil Adam, Mike Mika, Perrin Kaplan, altra veterana che si occupò dei lanci di Super Nintendo, Nintendo DS, Wii, Gamecube e N64 (e che ovviamente si occuperà del lancio di Amico), Beth Llewelyn alle pubbliche relazioni, altra veterana Nintendo con ben 12 anni di carriera alle spalle, David Perry e Scott Tsumura come special advisor, il co- fondatore di Intellivision Steve Roney, Bill Fisher, altro programmatore dipendente dell’originale Intellivision, André Lamothe, specialista hardware che ha persino avuto esperienza alla NASA, Emily Rosenthal per ciò che riguarderà le comunicazioni e gli eventi e Paul Nurminen, attualmente l’host del Intellivisionaries podcast. Come possiamo ben vedere, la nuova Intellivision Entertainment sta tracciando delle chiarissime linee direttive, a ben due anni di distanza dal lancio, con chiarissime idee su ciò che saranno i loro giochi, come verranno giocati, che aspetto avranno e persino quanto dovranno costare. Tommy Tallarico ha espressamente detto: «Vogliamo creare una console che i genitori vorranno comprare, che non gli venga indicata dai figli». Ha anche rivendicato come l’industria, oggi, si concentri solo sugli hardcore gamer, tenendo fuori tutta quella fetta di pubblico che non gioca regolarmente coi videogiochi o, semplicemente, non ne sono attratti; Intellivision Amico dovrà essere una console rivolta a tutti, uno di quei dispositivi da accendere durante le feste a casa con amici e parenti per passare delle sane ore di gaming accessibile a tutti, un po’ come avvenne per Nintendo Wii – se è per questo, riflettendo, il nome di
questa console rimanda proprio al suo significato italiano, amico, una console simpatica che può entrare nel cuore di tutti –. Sebbene ci sia un solidissimo team esperiente alle spalle dell’Intellivision Amico, ci sono alcune qualità che non ci entusiasmano, anzi, ci sembrano dei veri e propri diktat: per quanto interessante e audace possa sembrare una console che proporrà esclusivamente giochi in 2D ciò escluderà a priori tutti quei produttori che potrebbero realizzare titoli in 3D, anche con un forte richiamo nostalgico; in poche parole, non vediamo il motivo per cui il 3D, moderno o retrò che sia, debba essere bandito dalla libreria a priori; avere una console che si distingua nel mercato, esattamente come succedeva fra Super Nintendo e Sega Mega Drive nella quarta generazione di console, è sicuramente un fattore positivo ma bisogna anche trovare delle vie di mezzo, dei compromessi vitali per una buona immissione nel mercato. La scelta di creare giochi esclusivi per Intellivision è certamente interessante ma può comunque essere una lama a doppio taglio. L’industria vive di porting e di titoli multipiattaforma e, se è per questo, alcuni di questi titoli hanno contribuito a lanciare alcune console di nuova generazione. Pensiamo proprio a Shovel Knight, uno dei titoli più solidi per il lancio di Nintendo Switch (aiutato, ovviamente, al rilascio della campagna interna Specter of Torment) e che potrebbe essere assente dal parco titoli di Intellivision Amico, una console che al meglio potrebbe valorizzare un gioco dai toni retrò come questo. Il concetto di esclusiva e ancora vivo e funzionante ma i porting e i titoli multipiattaforma sono decisamente vitali per la sopravvivenza di una console, anche in una visione di cross-play, caratteristica che a oggi diventa sempre più un must per alcuni titoli che offrono un multiplayer online. Come potranno mai approcciare le third party verso un sistema così esclusivo? Prendendo il caso di Shovel Knight: Yacht Club Games dovrà produrre da capo un nuovo titolo della saga oppure rimappare la grafica con una più moderna, per sfruttare al meglio le specifiche di questo nuovo chip 2D rendendolo esclusivo per l’Intellivision Amico senza poterlo rendere disponibile per PC o le restanti console? Tommy Tallarico ha sottolineato che l’obiettivo della console sarà considerare ogni persona, far sì che le persone approccino ai videogiochi ma è molto difficile attuare un piano simile senza almeno far salire a bordo anche i giocatori più assidui che compongono la più grossa fetta del mercato, anche in una prospettiva di marketing in cui, gli ormai decisivi, “influencer” di YouTube o Twitch non si troveranno invogliati a giocare con Intellivision Amico, oppure potrebbero produrre una sorta di “product placement forzato”. Neppure Nintendo, ai tempi dell’accessibilissimo Wii, ha escluso i giocatori più assidui, tanto è vero che quella console, insieme ai tantissimi party game per i giocatori più casuali, ha anche tanti altri titoli per gli hardcore gamer: basti citare i diversi titoli di Resident Evil su Wii, MadWorld, House of the Dead: Overkill, No More Heroes e molti altri poco “family friendly”. Attrarre i giusti developer e avere una buona linea di lancio è spesso la chiave per il successo di una console ed è difficile che potranno costruire la loro fortuna su un parco titoli per console di seconda generazione; tutto si giocherà su quei 20 titoli esclusivi brand new non ancora annunciati. Non dimentichiamo poi i prezzi accessibili del software: quali saranno gli accordi dietro alla vendita di un gioco così a buon mercato? Quali saranno i vantaggi dei developer che intenderanno investire nel sistema e quali quelli di Intellivision Entertainment? Dietro al team di Amico c’è un team veramente competente e pertanto crediamo che ci sia ancora molto che non è stato ancora detto; tuttavia la politica sulle esclusive è probabilmente da rivedere e se Amico ospiterà solamente giochi esclusivi e allora bene che questi siano veramente eccellenti e che possano essere in grado di fronteggiare i modernissimi giochi proposti da Sony, Microsoft e Nintendo. Sperando che il tutto non sia un “Davide contro Golia”, speriamo che Intellivision Entertainment offrirà in futuro più dettagli riguardo ai giochi di lancio, sulla politica delle esclusive, che a noi sembra fin troppo restrittiva e sulle potenzialità di Amico. Non possiamo fare altro che seguire la pagina di Intellivision Entertainment su Facebook e iscriverci al canale YouTube. E voi farete entrare questo nuovo Amico a casa vostra?
Star Fox Adventures: da Dinosaur Planet al prodotto finale Sbaglio o ultimamente qui su Dusty Rooms, fra Thunder Force e Ikaruga, abbiamo un po’ la testa fra le nuvole? Che scendere dalle nostre navicelle da combattimento sia la cosa più saggia da fare? Oggi vi racconteremo dello sviluppo di un gioco molto controverso, sviluppato nell’arco di molti anni e arrivato al pubblico con sembianze totalmente diverse da quelle originali e che compromise il solidissimo rapporto fra Nintendo e Rare, facendo diventare quest’ultima compagnia un’esclusiva di Microsoft. Visto il suo 16esimo anniversario dell’uscita (che ricorreva due giorni fa), oggi parleremo di Star Fox Adventures, un gioco dai giudizi contrastanti e che ricordò al mondo che è meglio che Fox McCloud rimanga all’interno del suo Arwing – o magari che scenda solo per prendere a cazzotti i suoi colleghi Nintendo per il Super Smash Bros. corrente. Dunque, la risposta alla nostra precedente domanda è semplicemente: NO!
Uno standard troppo alto Nel 1997 arriva Star Fox 64 (Lylat Wars in Europa), reboot del già ottimo Star Fox uscito nel 1993 su Super Nintendo, un gioco che riprendeva in parte molti assett di Star Fox 2, titolo essenzialmente pronto già allora ma che vide solo nel 2017 un rilascio ufficiale sullo Snes Classic Mini. Il gioco uscito in bundle col rumble pack, feature che diventò uno standard per la costruzione dei controller nell’industria videoludica, diventò incredibilmente popolare e, fino alla fine dei giorni del Nintendo 64, rimase uno dei titoli di bandiera della console; il gioco metteva i giocatori di fronte a degli stage su rotaie o in all range spettacolari, boss battle infuocate, tragitti ramificati, finali alternativi, sonoro di ottima fattura che includeva peraltro delle linee di dialogo di altissima qualità (come non dimenticare poi la famosa oneliner: «do a barrel roll!»), obiettivi secondari all’interno degli stage stessi, una modalità multiplayer locale consistente in una battaglia all range fra quattro Arwing, l’introduzione della squadra Star Wolf, rivali della Star Fox, il Landmaster, altri personaggi ricorrenti e molto altro. Insomma, Star Fox 64 è un gioco così bello che a tutt’oggi risulta ancora molto attuale e giocabilissimo; ne sono testimoni le re-release su Wii e Wii-U e l’acclamato remake per Nintendo 3DS. Tuttavia, un po’ com’è successo con Metroid dopo la sua entrata per Super Nintendo, un tale successo significa talvolta mettere il franchise da parte e riproporre più in là la stessa IP con un concept ancora più ampio, migliore e innovativo; le idee per un nuovo Star Fox furono messe da parte, almeno per la generazione del Nintendo 64, in attesa di nuove idee per un gioco su una più potente console di nuova generazione.
L’epoca d’oro di Rare Nel frattempo Nintendo 64 era letteralmente il parco giochi della Rare, una piattaforma in cui potevano sperimentare per poi lanciare titoli di altissimo livello. Donkey Kong Country siglò l’inizio della lunga partnership con Nintendo, che acquistò inizialmente il 25% dello studio per poi salire gradualmente al 49%; dal 1994 in poi cominciarono a rilasciare i loro migliori giochi esclusivamente per le console della casa di Kyoto: Donkey Kong Country 2 e 3, Killer Instinct e Killer Instinct Gold, Blast Corps, Goldeneye 007, Diddy Kong Racing, Banjo Kazooie e Banjo Tooie, Perfect Dark, Conker’s Bad Fur day, tutti titoli eccellenti che riscossero pareri più che positivi tra fan e critica e che rispondevano, a spada tratta, alla concorrenza spietata di Sony PlayStation. Dopo lo sviluppo di Diddy Kong Racing, Rare si mise all’opera su un progetto molto ambizioso intitolato Dinosaur Planet, un gioco open world ispirato a The Legend of Zelda: Ocarina of Time che avrebbe utilizzato l’esclusivo expansion pack del Nintendo 64, in modo da aumentare la potenza RAM fino a 4 MB e permettere dunque delle cutscene doppiate con la grafica in-game, e ospitato in una colossale cartuccia da 512 MB, la più grande che il sistema avrebbe mai visto fino a quel momento. Rare sperava di rilasciarlo come ultimo titolo per Nintendo 64, l’ideale per chiudere una generazione di giochi stellare, ma, verso la fine dello sviluppo, Shigeru Miyamoto fece visita agli studios di Londra e, rimanendo molto colpito da Dinosaur Planet, consigliò agli sviluppatori di portare tutto sul prossimo Nintendo Gamecube; vista la spiccata somiglianza del personaggio principale, Sabre, con Fox McCloud, suggerì di fare del nuovo titolo la nuova entrata per l’universo di Star Fox. I fan della saga, del resto, avevano espresso in passato più volte il desiderio di vedere Fox fuori dall’Arwing e interagire a piedi in nuove missioni diverse dalle classiche lotte veicolari (non dimentichiamo, in aggiunta a tutto questo, l’apparizione di Fox in
Super Smash Bros. per Nintendo 64 dove diventò, fra i giocatori, un fan favourite). Rare non accolse positivamente la richiesta di Nintendo, poiché avrebbero dovuto riadattare la storia con l’universo Lylat, ma alla fine lo studio riconobbe il potenziale della saga e perciò, tentando di salvare più elementi possibili aggiungendone al contempo di nuovi, il progetto diventò Star Fox Adventures: Dinosaur Planet. E venne il giorno… Il gioco fu rintitolato Star Fox Adventures e uscì il 23 Settembre del 2002 per Nintendo Gamecube. La critica accolse il gioco molto positivamente (su IGN si beccò un bel 9.0) ma i fan, in attesa di trovare il successore di Star Fox 64, ben presto si ritrovarono con l’amaro in bocca: Rare era molto fiera del progetto Dinosaur Planet, e si capiva benissimo che Fox e compagni erano un po’ fuori posto nella visione totale. Il gioco si apriva con Krystal, un nuovo personaggio dalle sembianze di volpe (la declinazione femminile di Fox, insomma), che si imbatteva nella nave volante del generale Scales (altro personaggio che, come Krystal, fu recuperato dal progetto iniziale) mentre si dirigeva al Palazzo dei Krazoa per ottenere delle risposte sulla distruzione del suo pianeta e l’uccisione dei suoi genitori. Dopo un livello tutorial tediosissimo, con puzzle in grado di mettere in difficoltà neanche un bambino di quattro anni, appare finalmente lo squadrone Star Fox e comincia un bellissimo shooter su rotaie in gloriosi 128 bit, molto breve e blando… e senza un boss finale. Fu da subito chiaro come fosse un gioco ben diverso da quello giocato in precedenza per Nintendo 64, e così i giocatori, una volta arrivati su Dinosaur Planet (indovinate che sembianze avevano gli abitanti) e raccolta l’asta di Krystal, l’arma che ci accompagnerà per tutto il gioco, non potevano fare altro che trarre il meglio di questa nuova avventura. I controlli e il design generale si rifacevano quasi interamente a The Legend of Zelda: Ocarina of Time e il tutto era stato congegnato, onestamente, con eleganza e sarebbe dunque ingiusto dire che Star Fox Adventures non ha qualità: la grafica è stata una delle più belle di quella generazione, lo si può notare dalla coda di Fox, dalle scaglie dei dinosauri, dai dettagli nelle rocce ma soprattutto delle bellissime e immense
ambientazioni di Dinosaur Planet; la colonna sonora, anche se ben lontana dai temi marziali del precedente Star Fox 64, era molto curata ed eseguita magistralmente con orchestre e cori. Tuttavia, lo stravolgimento della formula generale, per quanto bello potesse essere esplorare questo nuovo mondo, non ha permesso al titolo di brillare e in molti, oggi, non riescono a guardare oltre i tanti difetti. In Star Fox Adventures ci sono tanti elementi eccentrici e fuori posto, come gli scarafaggi che rappresentano la valuta del gioco, e che scappano quando vengono fuori da una roccia; ma ci sono anche le noiose sezioni veicolari, persino quelle sull’Arwing, e le battaglie contro nemici poco interessanti, sempre sgherri del generale Scales tutti uguali e sempre uno alla volta. Ad aggravare la situazione, ci sarà Tricky, il baby triceratopo figlio del re di Dinosaur Planet, la croce che dovremo portarci per tutto il gioco; è, sì, in grado di scavare dei tunnel e dissotterrare alcuni oggetti, ma dobbiamo nutrirlo con dei funghi speciali e quando si annoia, e potrebbe succedere in ogni momento, dobbiamo farlo giocare con una stupida palla, persino se ci ritroviamo sul bordo di un vulcano! Ma il fattore più grave è che il bastardello parla ed è doppiato in una maniera incredibilmente irritante… e non si ferma mai! In definitiva, Star Fox Adventures, anche con i suoi difetti, si lascia giocare ma il problema sta proprio lì, perché il gameplay è semplicemente “ok”, si riduce all’ordinario, e non va bene per un saga il cui capitolo precedente ha stravolto il concetto di gameplay nel mondo videoludico. Il gioco uscì, fu recensito (anche troppo bene) e fu dimenticato per sempre; mai più questo titolo ha visto una re-release: se volete provarlo, vi tocca rispolverare il Gamecube e trovarlo su eBay, dove fortunatamente si trova a dei prezzi onesti. (Un gameplay dell’utente StrikerTC1) Goodbye, my friend Star Fox Adventures fu l’ultimo gioco sviluppato da Rare per una console fissa Nintendo (perché l’accordo con Microsoft non contemplava le console portatili) e l’unico della compagnia a essere apparso per GameCube. Di lì a poco (esattamente il 24 settembre, il giorno dopo il rilascio di Star Fox Adventures in Nord America) Rare venne acquistata da Microsoft e con l’accordo passarono tutte le loro proprietà intellettuali, come Banjo & Kazooie, Conker e Killer Instinct. I fratelli Stamper, fondatori della Rare, erano disposti a vendere l’intera compagnia a Nintendo, e non capirono mai perché non la comprarono per intero, così disse almeno Chris in un intervista al Develop Awards 2015. Il loro acquisto al 49% non permetteva a Rare di avere buoni capitali per lo sviluppo dei loro giochi, e controversie come quella per Dinosaur Planet non fecero altro che girare il coltello nella piaga. Inoltre, a pagare per le decisioni di Nintendo non fu solo Rare ma anche la stessa saga di Star Fox, che da Star Fox Adventures in poi cominciò un filone di giochi iper-sperimentali che di certo non favorirono la volpe spaziale più famosa del gaming. Dopo questo dimenticabile titolo ci fu Star Fox Assault, sviluppato da Namco, che tentò di unire le missioni a piedi con le missioni in volo con un risultato discutibile; poi arrivò Star Fox Command, sviluppato da Q-Games, un passo nella giusta direzione anche se il mix di fasi d’azione e fasi di gioco di strategia non risultò essere la miglior soluzione per questo franchise. Nel 2016 abbiamo visto un discreto Star Fox Zero di Platinum Games, un gioco che finalmente tentava di emulare l’acclamato Star Fox 64 ma non riuscì a comunicare bene con i suoi fan per via dei difficili controlli designati per questa avventura. Fortunatamente Fox, insieme a Falco, non ha mai mancato un appuntamento per Super Smash Bros. e, in un modo o nell’altro, Star Fox è sempre fra i franchise di punta di Nintendo; proprio qualche mese fa, alla conferenza E3 di Ubisoft, è stato annunciato che la squadra Star Fox sarà parte della versione di Starlink: Battle for Atlas per Nintendo
Switch. Dunque chissà, vedremo presto la Great Fox volare di nuovo nel sistema Lylat? (Immaginate un’intera sessione di gioco con lui!) Dusty Rooms: 32 anni di Metroid Nel 1985 il Nintendo Entertainment System sanciva una volta per tutte la fine della crisi dei videogiochi in Nord America, sostituendosi ad Atari nel mercato delle console. Col suo spettacolare lancio, prima circoscritto nello stato di New York con i giochi “Black Box” (ovvero quelli con lo stesso box-art nero come Excitebike, Clu Clu Land o Wild Gunman) e poi in tutti gli Stati Uniti in bundle con Super Mario Bros., l’allora semi-ignota compagnia giapponese cominciava la sua scalata al potere e, come Atari lo fu per la precedente generazione, Nintendo si poneva come sinonimo di videogioco. Come il NES fu posto era chiaro a tutti: la nuova console 8-bit era un HI-FI casalingo, da accostare tranquillamente al videoregistratore, mangianastri o giradischi, pensato per tutta la famiglia e, i giochi proposti, riflettevano senza ombra di dubbio queste scelte di mercato. Tuttavia, nel 1986, Nintendo decise di lanciare un gioco più tetro, decisamente molto distante dai tipici colori accesi per la quale il NES stava diventando famoso; oggi, per i suoi bei maturi 32 anni, daremo uno sguardo a Metroid e i suoi sequel, una saga Nintendo diventata con gli anni sinonimo di eccellenza tanto quanto quella di Super Mario eThe Legend of Zelda, se non persino superiore.
Un gioco rivoluzionario Metroid uscì per il Famicom Disk System il 6 Agosto 1986 ponendo atmosfere ed elementi di gioco mai visti prima. Sebbene l’action-platformer, più comune oggi come metroidvania, fosse già stato implementato in precedenza (anche se non è facile trovare una vera origine) questo è il titolo che lo ha reso famoso e ha messo le basi per tutti quei giochi che avrebbero voluto emulare questo nuovo tipo di gameplay. Metroid presentava un gameplay sidescroller tradizionle à la Super Mario Bros. ma con un overworld immenso completamente interconnesso grazie a portali, bivi, cunicoli e ascensori; per poterlo esplorare interamente i giocatori avrebbero dovuto trovare i diversi power up per l’armatura di Samus Aran per poi tornare in determinate sezioni dell’overworld e usarle per arrivare in dei punti altrimenti inaccessibili. Diversamente dai più colorati Super Mario Bros. e The Legend of Zelda, dalla quale traeva un pizzico della sua componente puzzle solving, il gameplay di Metroid era volto a far sentire il giocatore un vero e proprio “topo in un labirinto”, sperduto e isolato per via dei suoi toni cupi, fortemente ispirati al film Alien di Ridley Scott, e la totale assenza di NPC con la quale interagire; pertanto, il giocatore era spinto a usare tutti i mezzi a sua disposizione, pensare fuori dagli schemi e, in un certo senso, superare la quarta parete che lo separava dal videogioco disegnandosi, per esempio, la mappa dell’overworld in un foglio di carta accanto a lui (visto che non era presente alcuna mappa in-game). Il gioco sancisce ovviamente la prima apparizione di Samus Aran, il cui sesso rimase ignoto ai giocatori fino al termine dell’avventura. Sebbene la scelta di rendere donna il personaggio principale fu una decisione presa durante le fasi finali dello sviluppo per creare un effetto shock (principalmente perché nel libretto ci si riferiva a Samus come un lui), fu anche una scelta molto saggia per ciò che riguarda la rappresentazione dei protagonisti donna nel mondo videoludico. Per la prima volta, una ragazza veniva messa allo stesso livello dei virili eroi che erano spesso protagonisti dei giochi d’azione; Samus spianò senza dubbio la strada a tante altre audaci protagoniste femminili, come Lara Croft, Jade e Jill Valentine, e grazie a lei il muro che separava gli eroi dalle eroine fu definitivamente abbattuto. Insieme a lei, Metroid introdusse molte delle caratteristiche che definirono il suo gameplay e che sussistono ancora oggi, come le sezioni da percorrere in morfosfera, i passaggi in cui ci servirà l’ausilio di un nemico da congelare col raggio gelo e i mille e mille segreti nascosti nella mappa del pianeta Zebes; non dimentichiamoci inoltre degli iconici nemici Kraid e Ridley, le forme base dei Metroid e la malefica Mother Brain. Giocare oggi con l’originale Metroid per NES è senza dubbio educativo e interessante ma non tutti, forse, possiamo accettare le lunghissime password, che includono lettere maiuscole, minuscole e numeri arabi, l’assenza di una mappa in-game (che ai tempi apparì per la prima volta soltanto nel primo numero di Nintendo Power nel 1988) e di un vero metodo per ricaricare l’energia di Samus. Pertanto, secondo noi, il miglior metodo per giocare alla prima avventura di Samus è senza dubbio il remake Metroid: Zero Mission per Gameboy Advance: in questa versione uscita nel 2004, possiamo godere di uno storytelling moderno, una mappa in-game rivisitata, sezioni inedite e tantissime nuove armi che si rifanno ai successivi capitoli.
Puoi anche leggere