L'arte nel Tempio ortodosso: la spiritualizzazione della materia
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Laós 15 (2008) 3, 141-145 ISSR «S. Luca» - Catania L’arte nel Tempio ortodosso: la spiritualizzazione della materia di Mirella Roccasalva Firenze Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” - Catania “ «In un mondo chiamato alla bellezza – scrive Enzo Bianchi in Le parole della spiritualità – l’uomo, è posto come responsabile della bellezza del mondo e della propria vita, di sé e degli altri. Se la bellezza è una ‘promessa di felicità’ (Stendhal), allora ogni gesto, ogni parola ogni azione ispirata alla bellezza è profezia del mondo redento, dei cieli nuovi e della terra nuova, dell’umanità riunita nella Gerusalemme celeste in una comunione senza fine»”.1 Allo spasmodico bisogno di ricerca della bellezza nel mondo, possono essere col- legate due immagini che appartengono alla religiosità dei cristiani d’Oriente e che, da diversi decenni, attirano l’attenzione del cristianesimo occidentale bisognoso di una relazione più profonda: ortodossia e cattolicesimo trovano il punto ideale d’in- contro e di dialogo ecumenico nello studio e nella contemplazione dell’arte dell’ico- na e del suo spazio privilegiato nel Tempio. Le due immagini sono, quindi, quella del tempio ortodosso e quella dell’icona; ambedue si prestano ad accompagnare lo sguardo verso un cammino di elevazione. Dalla terra al cielo, dalla materia alla trasfigurazione della stessa in elemento simbo- lico spirituale, dalla considerazione dello spazio e della forma in funzione di un’uti- lità (il Tempio) o di un dipinto (l’icona), alla visione guidata dalla fede. Il tempio ortodosso2 Nell’antica Russia, come in altre culture religiose antiche, il tempio veniva considera- to il centro della vita culturale e il fondamentale punto d’incontro tra la terra ed il cielo. 1 E. Bianchi, Immagine del Dio vivente (a cura di G. Caramore), Morcelliana, Brescia 2008, 8. 2 Vengono presentati gli elementi simbolici del tempio ortodosso russo. 141
Mirella Roccasalva Firenze Nella simbologia dell’architettura sacra dell’antica Russia emergono due prin- cipi tra loro connessi: antropologico e cosmologico. Nell’enunciato del principio antropologico il tempio è accomunato all’uomo-Cristo. L’edificio si presenta come immagine della forma corporea umana3, “Il sommo della chiesa è la testa del Signo- re, poiché è Cristo a tenere la cupola, gli Apostoli il collo, gli Evangelisti i pennacchi degli archi, le Feste la cintola”4 a tal punto che la gente vedeva la raffigurazione del corpo del Signore nel tempio. Mentre l’approccio antropologico carpiva la semplicità della gente, quello co- smologico attraeva anche l’attenzione di monaci, studiosi e persino dei dottori della Chiesa. Entrando nel tempio il credente veniva proiettato nel “sistema dell’universo”.5 Il fedele veniva a trovarsi in un mondo che, lungi dall’essere piccolo, era incommen- surabilmente più grande di quello che era abituato a conoscere e, la percezione del tempio iniziava e procedeva dall’alto in basso, dalla cupola nella quale campeggiava il volto di Cristo Pantocratore e dall’altare attraverso l’iconostasi, confine tra cielo e terra, tra l’invisibile e il visibile. Le colonne, che reggevano la cupola, venivano viste come radici del cielo calate verso la terra. L’assoluta priorità veniva assegnata al cielo (alla cupola) e, anche quando ci si accingeva a decorare con gli affreschi l’edificio, si iniziava dalla cupola e poi si procedeva verso l’altare. L’idea che dal cielo traessero origine sia il mondo che l’uomo diventa, di con- seguenza, il leit-motiv della teologia riferita all’architettura sacra e all’immagine e la base da cui scaturisce la concezione che principio della vita stessa è la luce increata. Questa brevissima sintesi dei due principi antropologico e cosmologico, che so- stengono la visione del tempio ortodosso, consente di aprire il percorso compiuto dalla teologia dell’icona per guidare il credente nel passaggio dalla materia all’ele- vazione della stessa. L’icona L’uomo possiede un linguaggio universale e oggettivo. Il linguaggio dell’icona non è concettuale, né sonoro; non ha quella violenza del rumore o dell’evidenza: parla, ma a chi la guarda e non disturba, in alcun modo, chi non vuole vederla. A chi la guarda parla con estrema discrezione, non ne violenta lo sguardo, come farebbe la scultura o un’immagine veristica. Davanti a chi la guarda, l’icona aspetta; aspetta 3 Questa teoria è sostenuta dalle denominazioni di alcuni elementi architettonici: galavà (testa/cupola) e, scendendo verso la cintola collo, spalle, petto… 4 Così viene descritta nei Karmečnie knigi (“Libri del timoniere”, testi derivati dal canone bizantino). 5 Di rilevante interesse, a tal proposito la Topografia cristiana composta nel VI secolo dal monaco, viaggiatore e studioso bizantino, Cosma Indikopleustés. 142
L’arte nel Tempio ortodosso: la spiritualizzazione della materia di essere penetrata e innanzitutto capita e, per questo, amata. Essa sollecita una fidu- cia, suscita una lunga pazienza, sveglia una certa tenerezza. “L’immagine possiede un’energia interiore e perciò contribuisce allo sviluppo della vita spirituale”.6 Le caratteristiche attribuite all’icona sono importanti nel presente contesto in quanto sono frutto di un percorso che compie l’artista per la comprensione e la rea- lizzazione della sua opera attraverso l’utilizzazione dei materiali del creato in com- pagnia dell’immagine biblica della Creazione. I sette giorni descritti nel racconto biblico, trovano riscontro nelle sette tappe del lavoro dell’iconografo:7 Elemento della Creazione Riferimento biblico Scansione del lavoro Tavola con levkas. L’ntensità del bianco prodotta dalla mistura di gesso e colla I - Creazione della luce Gn 1,1-5 di coniglio per la realizzazione dell’imprimitura preliminare al lavoro pittorico, favorisce il parallelismo Disegno. II - Creazione delle acque Gn 1, 6-8 Per separare lo sfondo dall’immagine Campiture. Parti di colore realizzate con pig- III - Terra con vegetazione Gn 1, 9-13 menti naturali che differenziano le singole zone del disegno Lumeggiature. Schiarimenti graduali di colore IV - Sole, luna, stelle Gn 1,14-19 per cercare l’equilibrio della luce Tratti animati. V - Creazione degli esseri viventi Gn 1,20-25 Per assegnare l’espressione Iscrizione. Definizione del nome del VI - Creazione dell’uomo Gn 1,26-31 personaggio o della scena biblica raffigurati VII - Riposo di Dio Gn 2,1-3 Benedizione e contemplazione 6 C. A. Bernard, Teologia simbolica, Edizioni Paoline, Roma 1981, 364. 7 È importante tenere presente che l’icona viene considerato un manifesto teologico per la pe- culiarità delle tappe di lavoro che si seguono, per l’utilizzazione dei materiali rigorosamente naturali, per il simbolismo del segno e del colore e per la funzione liturgica con la quale nasce 143
Mirella Roccasalva Firenze È assai difficile per l’uomo accetta- re l’incarnazione di Dio come un fatto possibile, perché la materia è sempre considerata tenebra e caos, e quindi non divina; la pensabilità dell’Incar- nazione impone che non si identifichi la materia con la corruttibilità. È necessario tenere presente che l’iconografia professa, con il disegno e i colori, la vera e non fittizia incar- nazione del Verbo di Dio8 e quindi percorre un cammino di spiritualiz- zazione della materia che viene in aiuto allo spirito. L’icona della Trasfigurazione Al fine di comprendere il cammi- no di elevazione dello spirito è utile soffermarsi ad analizzare l’icona del- la Trasfigurazione.9 “È la grande festa che indica che la nostra carne è chiamata alla Trasfigurazione, che il nostro corpo di miseria è chiamato a diventare un corpo di gloria, come in primizie è già successo in Gesù durante la sua vita”.10 Teofane il Greco, esperto scrittore di icone, racconta l’episodio evangelico della Trasfigurazione con un linguaggio concreto e propone il percorso dei quattro prota- gonisti della “salita” utilizzando con arguzia teologica ogni elemento proposto. Per la sottolineatura del concetto di elevazione e spiritualizzazione della materia si preferisce leggere il dipinto dal basso verso l’alto e soffermandosi solamente su alcune parti. Nella parte inferiore dell’icona si vedono i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Gio- vanni caduti al suolo, riversi su se stessi e incapaci di sostenere la visione della luce accecante che li sovrasta. Scrive a tal proposito Giovanni Crisostomo che «essi erano appesantiti, perché non sopportarono l’eccesso di splendore, ma un sonno profondo cadde sui loro oc- 8 Cfr. G. Damasceno, “Allegati al Primo Discorso in difesa delle immagini”, I, 1256. 9 Si propone la lettura dell’icona della Trasfigurazione nell’interpretazione di Teofane il Greco. 10 E. Bianchi, Immagine del Dio vivente (a cura di G. Caramore), Morcelliana, Brescia 2008, 59. 144
L’arte nel Tempio ortodosso: la spiritualizzazione della materia chi, tanta la luce era al di sopra del sole».11 È interessante notare che l’artista rappresenta il monte Tabor, faticosamente per- corso dai protagonisti del racconto, privo della materia stessa di cui è composto, perché, dovendo partecipare della luce increata emanata dalla figura superiore, as- sume l’apparenza di una montagna trasparente e sfiorata dalle tinte di luce riflesse su di essa. La natura raffigurata quasi scompare: gli alberi diventano ramoscelli, la montagna specchio della luce increata che la sovrasta, i corpi degli Apostoli, leggeri e levitanti nonostante la loro caduta. Teofane intende comunicare Cristo quale punto di intersezione tra la natura di- vina e quella umana. Ed è dalla natura divina che partono i tre raggi che colpiscono gli apostoli, i quali “caddero bocconi a terra”,12 non sopportando quello splendore accecante. Teofane pone Elia, il profeta, Mosè, la legge, Cristo, la perfezione del patto di Dio su tre cime di una stessa montagna alle cui pendici stanno gli apostoli, ossia gli uomini. Il vertice dell’icona è Cristo, sfolgorante di luce, quella luce increata che assorbe tutta la materia e annulla il peso dell’essere dalla terra e della terra. I volti dei personaggi, le loro vesti, le rocce, tutto è illuminato dalla luce emanata da Cristo, le cui vesti sono quelle bianche della risurrezione: l’esplosione della divi- nità, della vita, quella vita che è “la luce degli uomini”.13 La luce percepita dai discepoli (la luce taborica) è quasi nulla. Essa è resa da Teofane con un leggero colore verde, costituendo solo un’ “ombra”, ma quell’ombra divina ha l’energia di accecare la materia che non riesce a guardare a Cristo perché in quel momento è già diventato un tutt’uno con il Padre. L’immagine della terra, quella che il popolo russo ama definire mat’ syrà zemljà, madre umida terra, trova il senso del suo esistere nella relazione con il cielo. Nella pittura delle icone (e nell’arte liturgica in genere) sembra realizzarsi piena- mente il principio che Goethe esprimeva riferendosi alla letteratura: “L’artista con la sua libertà d’animo è al di sopra della natura e può adattarla ai suoi fini superiori. È il suo padrone e il suo schiavo. È il suo schiavo perché deve usare mezzi terreni per farsi capire. Ma è il suo padrone perché subordina questi mezzi ai propri superiori intenti. L’artista vuole parlare al mondo creando una totalità. Ma questa totalità non è nella natura. È il frutto del suo spirito, o se si vuole, di un’ispirazione divina”.14 11 Giovanni Crisostomo, Homelia De capto Eutrop, 11 (PG 52,405). 12 P. Evdokìmov, L’ortodossia, Bologna 1965, 154-155. 13 2 Gv 1, 4. 14 K. Heinemann, Goethe, 1889, 684. 145
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