L'accompagnamento al (re)inserimento socio-professionale di persone rifugiate

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L'accompagnamento al (re)inserimento socio-professionale di persone rifugiate
L’accompagnamento al (re)inserimento
    socio-professionale di persone rifugiate

                   Modello di approccio vigente all’interno
                              della Fondazione Il Gabbiano
Studente

Andrea Felappi

Corso di laurea                                               Opzione

Lavoro Sociale                                                Educatore
Progetto

Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

Manno, 16.07.2021
L’accompagnamento al (re)inserimento socio-professionale di persone rifugiate
“Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise,
      ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla,
  un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come
                                                              se non fosse mai passato nessuno. È come se
 non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel
   luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo.
                                                                                 Tempo che passa. E basta.”
                                                                                (Baricco, Oceano mare, 2013)

Un ringraziamento speciale a Yvan, Lucie, Daniela, Francesco, Sabrina e Nicola che fanno
di Macondo qualcosa che è molto di più di un luogo di lavoro.
Grazie a Dina, compagna di vita di grande amore e pazienza.
Alla mia famiglia, per il continuo sostegno, e a Kiss, che in questi giorni difficili mi ricorda il
bene infinito che ci ha trasmesso in tutti questi anni.
E grazie a chi, quest’anno e sempre, è capace a seminare speranza nel mondo.

                    “L’autore è l’unico responsabile di quanto contenuto nel lavoro”

L’accompagnamento al (re)inserimento socio-professionale di persone rifugiate
Abstract

Anfibi, rettili, uccelli e persino alcune tipologie d’insetti compiono spostamenti regolari,
disegnati in modo preciso e infallibile sulla mappa del mondo, ricoprendo distanze
chilometriche e tornando, quasi sempre, nel punto da cui sono partiti (Tuttogreen, 2019).
L’essere umano, in questo processo, agisce in maniera differente: si allontana dal suo luogo
natio per cause diverse, con la consapevolezza che potrebbe non più tornarci. Decine di
migliaia di persone ogni anno sono costrette ad abbandonare la loro casa, i loro affetti e il
loro presente alla ricerca di una sopravvivenza che non è cosa garantita. Succede che il
passato diventi un fardello dal quale non si riesca a riemergere, capace di riaffiorare da ogni
dove, costernato da avvenimenti in grado di distruggere anche la più tenue speranza rivolta
alla costruzione di un futuro per sé e per le persone più vicine. Il sogno per molti è
raggiungere dei famigliari che vivono in un luogo sicuro, ma sovente il viaggio è
caratterizzato da imprevisti e da iter burocratici che se da una parte mostrano l’eterogeneità
delle scelte e dei percorsi possibili, dall’altra ne esaltano la sofferenza, l’abbandono, la
mancanza di un senso d’appartenenza e delle basilari condizioni di accoglienza e di umanità.
Il presente lavoro di ricerca intende facilitare la comprensione di determinate dinamiche
migratorie, iniziando da una fotografia a livello mondiale per poi focalizzarsi sul diritto e la
procedura d’asilo in Svizzera. Questa prima parte teorica vuole fare da cornice per
rispondere alla domanda di ricerca posta, ossia quella di capire come accompagnare
persone provenienti dall’ambito dell’asilo in un percorso educativo secondo il modello di
approccio vigente all’interno dei Progetti Macondo e Midada della Fondazione Il Gabbiano.
L’arrivo di giovani adulti con tali trascorsi di vita ha fatto emergere da subito l’esigenza di
costruire e organizzare al meglio il loro seguito educativo, con l’obiettivo ultimo di essere di
supporto nella loro crescita e nella loro realizzazione personale. L’aiuto al raggiungimento di
un’esistenza dignitosa deve tornare a essere una condizione imprescindibile della natura
umana, soprattutto in Europa. Nelle mie diverse esperienze in ambito umanitario così come
nel mio lavoro quale educatore ho avuto la possibilità di ascoltare parole, pianti, risa e sfoghi
di persone provenienti proprio da quelle terre e nessuno di loro avrebbe mai voluto lasciare
la propria casa. È necessario un cambio di paradigma nell’ambito dell’accoglienza e questo
lo dobbiamo a noi e, soprattutto, lo dobbiamo a loro.

L’accompagnamento al (re)inserimento socio-professionale di persone rifugiate
Indice

1. Introduzione .................................................................................................................................................... 1
2. Uno sguardo al mondo ................................................................................................................................ 2
   2.1 Provenienza delle persone in fuga ................................................................................................. 3
3. Il flusso migratorio in Svizzera ................................................................................................................ 4
4. Presentazione della problematica affrontata .................................................................................... 5
   4.1 La domanda di ricerca ......................................................................................................................... 5
    4.2 La metodologia di ricerca e gli strumenti utilizzati ................................................................ 6
5. Chi è un rifugiato? ......................................................................................................................................... 7
6. Il diritto all’asilo ............................................................................................................................................. 7
7. Domande d’asilo in Svizzera ................................................................................................................... 10
   7.1 Le domande d’asilo nel corso degli ultimi sei anni ............................................................... 10
      7.1.1 Le domande d’asilo nel 2016 ................................................................................................. 11
      7.1.2 Le domande d’asilo dal 2017 a oggi .................................................................................... 11
    7.2 Esseri umani, non numeri ................................................................................................................ 12
8. Procedura d’asilo in Svizzera ................................................................................................................. 13
   8.1 I permessi di soggiorno nell’ambito dell’asilo......................................................................... 14
    8.2 Termini di ricorso e decisioni di allontanamento ................................................................. 14
9. La promozione dell’integrazione .......................................................................................................... 15
10. Attribuzione della persona al Canton Ticino ................................................................................ 16
   10.1 Il Soccorso Operaio Svizzero ........................................................................................................ 17
    10.2 L’assistenza sociale nel mondo della migrazione ............................................................... 18
11. La nuova collaborazione tra Fondazione Gabbiano e il SOS .................................................. 19
12. La Fondazione Il Gabbiano ................................................................................................................... 20
  12.1 I Progetti Macondo e Midada e il corrispettivo modello d’intervento ....................... 20
13. Il ruolo educativo e il tipo di attività svolta................................................................................... 23
14. Il seguito educativo con persone rifugiate a Macondo ............................................................. 24
  14.1 L’arrivo a Macondo........................................................................................................................... 25
    14.2 “La mia storia” .................................................................................................................................... 26
    14.3 Il proseguimento del seguito educativo con Aylan ............................................................ 28
    14.4 Il proseguimento del seguito educativo con Hamza .......................................................... 29
15. Punti di forza e criticità osservate nella collaborazione interprofessionale .................. 30
16. Conclusione ................................................................................................................................................. 33
17. Bibliografia .................................................................................................................................................. 36
18. Allegati........................................................................................................................................................... 42

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1. Introduzione
La ultima decade è stata per la Fondazione Il Gabbiano sinonimo di grandi cambiamenti,
scaturiti nella creazione e nello sviluppo di progetti atti al (re)inserimento sociale e lavorativo
di giovani adulti che vivono in uno stato di difficoltà sul territorio ticinese, trasformando in
maniera decisa il target e il tipo di lavoro per cui era stata un tempo pensata. Infatti, se
dapprima la finalità era di occuparsi di persone con vulnerabilità legate principalmente al
mondo delle dipendenze, oggi, tre dei cinque progetti esistenti, accolgono ragazzi e ragazze
di un’età compresa tra i 18 e 25 anni che vivono un periodo d’incapacità lavorativa per motivi
personali ed emotivi diversi, con l’obiettivo di accompagnarli in un percorso individuale e
diversificato (Progetto Macondo, 2021).
La presenza di partecipanti riconosciuti come rifugiati rappresenta una novità assoluta per la
Fondazione Il Gabbiano: in tal senso, il presente lavoro intende indagare la fattibilità del
modello d’approccio vigente, indirizzandolo specificatamente a persone con un trascorso
migratorio recente. I primi capitoli hanno un fondamento più teorico, necessari per avere una
panoramica generale ed entrare in possesso di una serie d’informazioni utili alla
comprensione del contesto di provenienza delle persone in fuga dal loro paese d’origine. La
ricerca si sviluppa quindi su cosa significhi essere una persona rifugiata e quali sono le
procedure e le pratiche burocratiche da compiere per ottenere la possibilità di provare a
(ri)costruire la propria vita in Svizzera. Infatti, le questioni concernenti l’ambito migratorio
continuano a essere di grande attualità, con un numero sempre più nutrito di nazioni europee
(e non solo) che fanno del rifiuto e della costruzione di muri e campi profughi la strategia per
rispondere ai flussi migratori. La seconda parte del lavoro di tesi è stata strutturata nel
tentativo di approfondire sotto un aspetto più pratico l’interrogativo d’indagine, compiendo
un’analisi sul percorso educativo e di vita intrapreso dalle persone rifugiate all’interno della
Fondazione Il Gabbiano. La singolarità del loro trascorso esistenziale ha fatto emergere la
necessità di saper adattare l’approccio d’accompagnamento presente con quelli che sono
stati gli obiettivi definiti e condivisi da perseguire nel corso della loro permanenza nei
rispettivi progetti d’inserimento. Punto centrale nella costruzione progettuale è stato il lavoro
di rete promosso con altri servizi presenti sul territorio ticinese e in particolar modo con il
Soccorso Operaio Svizzero, di grande importanza per la concretizzazione del lavoro
educativo svolto.
Le dinamiche migratorie rappresentano un fenomeno complesso, che ha sovente la capacità
di dividere in maniera dicotomica l’opinione pubblica. La speranza è che la lettura di queste
pagine possa stimolare la riflessione rispetto agli ostacoli che ancora oggi impediscono alla
persona rifugiata di avere una piena partecipazione alla vita sociale, dimostrando come una
relazione di vicinanza, di cura e di rispetto reciproco possa rappresentare la regola del moto
continuo della sua integrazione, smettendo di temerla perché ritenuta minaccia al benessere
del mondo occidentale (Bauman, 2015).
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2. Uno sguardo al mondo
La promozione di una riflessione su un tema che riesce a scardinare gli animi del dibattito
come quello sulla migrazione, necessita di essere contestualizzato attraverso dei numeri che
siano i più possibili rappresentativi della situazione reale. L’informazione a riguardo è
doverosa per spiegare un fenomeno, quello degli spostamenti forzati di grande dimensione
che include milioni di persone muniti di differenti status o della sola voglia di avere un futuro
migliore, che non concerne solo la Svizzera e il Ticino, meta del viaggio e/o di ripartenza di
un’esistenza per migliaia d’individui ogni anno (Ufficio federale di statistica, 2020b).
Attraverso le statistiche elaborate e fornite annualmente dall’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) s’intende fare una fotografia a livello globale di quelle
che sono annualmente le persone che si vedono costrette a lasciare la propria casa per
fuggire verso nazioni limitrofe o scegliere di addentrarsi in spostamenti che li conducono a
fare una domanda d’asilo in nuovi continenti.
Si ritiene di fondamentale importanza ricordare che dietro ad ognuno dei numeri che
compariranno in questo testo, vi è una storia, un racconto di vita che per le più svariate
ragioni si è visto imposto la fuga, prendendo l’essenziale decisione di separarsi da tutto quel
che fino a pochi istanti prima rappresentava una quotidianità e in un certo senso anche una
certezza, per quanto precaria, per il proprio futuro.
Considerando il 2019, gli esperti dell’UNHCR hanno stilato una serie di rapporti e di numeri
che rappresentano uno strumento importante per stilare le operazioni di sostegno e
assistenza sul campo, a stretto contatto con quelle che sono a tutti gli effetti le prime vittime
degli innumerevoli conflitti che pervadono il mondo. Per avere un confronto che sia il più
oggettivo possibile, una potenza economica sulla scena internazionale come la Germania
conta poco più di 80 milioni abitanti (Ufficio federale di statistica, 2020a) che rappresenta il
medesimo quantitativo di persone in fuga nel mondo a causa di persecuzioni, guerre e
violazione dei diritti umani (UNHCR, 2019). Non si è mai registrato sino ad ora un dato tanto
elevato che mostra come, di fatto, una persona su novantasette nel mondo viva in una
situazione di esodo forzato, lontano dalla propria casa, dalla propria terra e dai propri affetti.
Di questi, poco più di quarantacinque milioni sono sfollati all’interno della nazione medesima,
mentre il restante è formato da persone che hanno deciso e/o sono riuscite a oltrepassare la
linea di confine ritenuta meno pericolosa e più funzionale: malgrado questo, “solo” quattro
milioni sono in attesa della domanda di asilo e tutti i restanti, oltre ventisei milioni, sono
rifugiati. Il numero di persone in fuga è pressoché raddoppiato nel corso degli ultimi dieci
anni (UNHCR, 2019) e quel che l’oggettività statistica rileva è come per questi ultimi è cosa
sempre più complicata riuscire a tornare a vivere nelle condizioni antecedenti. Infatti, la
media di persone che annualmente ha modo di provare a ricostruire la propria esistenza
nella nazione nativa come prima dell’inizio del conflitto, è precipitata dal milione a mezzo alle
385'000 unità (UNHCR, 2019).
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“Non ci si può aspettare che le persone vivano per anni e anni una condizione precaria,
senza avere né la possibilità di tornare a casa né la speranza di poter cominciare una nuova
vita nel luogo in cui si trovano. È necessario adottare sia un atteggiamento profondamente
nuovo e aperto nei confronti di tutti coloro che fuggono, sia un impulso molto più determinato
volto a risolvere conflitti che proseguono per anni e che sono alla radice di immense
sofferenze (UNHCR, 2020)” è quanto dichiarato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite
per i rifugiati Filippo Grandi. Purtroppo le parole riportate da uno dei diplomatici più influenti e
virtuosi al mondo faticano a concretizzarsi sul piano reale, con numeri che ogni anno
denotano un involutivo incremento.

2.1 Provenienza delle persone in fuga
A tal proposito basti pensare come il 68% delle persone rifugiate provenga da sole cinque
nazioni e immancabilmente, da dieci anni a questa parte, è la Siria a fare da capostipite a
questa triste classifica, con oltre sei milioni di persone sui ventisei totali (UNHCR, 2019):
seguono quindi il Venezuela (3,7 milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud Sudan (2,2 milioni) e
Myanmar (1,1 milioni). Di questi Paesi potrebbe colpire la presenza del Venezuela, da
attribuirsi prevalentemente a una delle peggiori crisi economiche con una sempre più
mancanza di acqua, di servizi e rifornimenti e un’iperinflazione che non cenna ad attenuarsi.
In altre parole, quella che una volta era una delle nazioni più stabili e abbienti dell’America
latina si è tramutata nel primo Paese al mondo i cui abitanti decidono di emigrare in maniera
imponente nelle terre limitrofe senza che vi sia un conflitto bellico in corso. Aspetto,
quest’ultimo, che in Afghanistan si protrae con forza e convinzione dal 1978 e dove la
convivenza tra le diverse etnie è tutt’altro che pacifica: infatti, tra Pashtun, Tajiki, Uzbeki,
Turcomanni e Beluchi vi è il popolo Hazara, di religione sì musulmana ma sciita, e per
questo perseguitato a morte dalle altre etnie, oltre che da Talebani e dall’autoproclamato
Stato Islamico, tutti sunniti. Ancora oggi moltissimi dei rifugiati provenienti da questa parte di
mondo appartengono al popolo Hazara. La diatriba tra sunniti e sciiti, le due principali
correnti dell’Islam, è ancora oggi ragione d’importante divisione di una religione capace di
contare ben oltre il miliardo di fedeli ma di non accettare una dicotomia che dura da centinaia
di anni. Sebbene entrambi concordino nel riconoscere Allah come unico dio e nel definire
Maometto suo discepolo, motivo della profonda spaccatura era chi avrebbe dovuto ereditare
l’importante funzione di quest’ultimo dopo la sua morte avvenuta nel 632 d.C. La
maggioranza dei suoi seguaci, in seguito definiti “sunniti”, decisero di appoggiare Abu Bakr,
amico e padre della moglie del profeta. Per gli altri, noti come “sciiti” per l’appunto, il
successore doveva appartenere ai consanguinei di Maometto e tali affinità erano state
individuate in suo cugino Ali (The Economist, 2016).
Il Sud Sudan, il più giovane paese al mondo frutto dell’indipendenza e della separazione con
il Sudan avvenuta nel 2011 come conseguenza di un conflitto interno durato per diversi
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decenni. Come spesso si evince quando al centro della discussione vi è una nazione
africana, il situarsi su di un territorio molto ricco dal punto di vista della disponibilità di risorse
naturali difficilmente è sinonimo di stabilità ed equilibrio a livello sociale, politico ed
economico. Infatti, anche in Sud Sudan le presenti ostilità vigenti tra le diverse fazioni
politiche conducono a una precaria condizione di vita e alla conseguente scelta di pensare di
lasciare la propria terra in cerca di un’esistenza pacifica e sicura. Infine, sebbene nel corso
del 2021 il Myanmar sia balzato all’ordine della cronaca per il colpo di stato avvenuto nel
giorno in cui si sarebbe dovuto riunire il nuovo Parlamento a maggioranza democratica da
poco eletto, continua a rimanere un luogo di vita particolarmente controverso. Meta
affascinante e mecca per migliaia di viaggiatori ogni anno da una parte, terra inospitale e di
repressione dall’altra, soprattutto per la minoranza Rohingya che rappresenta in sostanza
l’intero milione di rifugiati in fuga dallo stato birmano. Infatti, dall’agosto del 2017 le violenze
perpetrate dai soldati hanno portato centinaia di migliaia di persone a trasferirsi nel vicino
Bangladesh. Se prima vivevano in condizioni di vita degradanti, oggi la loro situazione non è
migliorata e ciò continua a fare dei Rohingya uno dei popoli più discriminati al mondo:
inizialmente il Bangladesh ha avuto un atteggiamento solidale e accogliente che è andato
però svanendo con il passare del tempo. Non essendo una nazione che ha sottoscritto la
Convenzione di Ginevra del 1951 (Livi Bacci, 2020), sono privi di quella protezione di cui un
rifugiato dovrebbe godere ma di cui si è ancora oggettivamente lontani affinché ciò possa
avvenire anche negli altri contesti precedentemente descritti. A tal riguardo, un ultimo dato
che non può che far riflettere, è che a oggi l’85% delle persone in fuga da guerre e violenze è
comunque accolto in Paesi in via di sviluppo (UNHCR, 2019).

3. Il flusso migratorio in Svizzera
Le ragioni alla base di uno spostamento da una nazione all’altra sono molteplici e possono
includere cause di carattere economico, politico, sociale e climatico. Gli ultimi dati disponibili
risalgono al 2017 e mostrano come il 43% della popolazione residente permanente di un’età
compresa tra i 15 e 74 anni abbia preso la decisone di emigrare in Svizzera per ragioni
familiari (Ufficio federale di statistica, 2020b). Invece, le persone che hanno presentato una
domanda di asilo a un controllo di frontiera o sul territorio elvetico rappresenta il 6% del
totale degli arrivi, in leggero aumento rispetto al 2014 dove la percentuale era del 4,3%
(Ufficio federale di statistica, 2020b).
A fronte di una popolazione straniera che nel 2019 s’attestava a 2'111'412 persone (SEM,
2019e), si è potuto costatare come nei decenni passati la Svizzera ha saputo considerare e
in qualche modo valorizzare il lavoratore straniero, seppur sempre attenta e concentrata al
proprio tornaconto. Lo “straniero”, il “migrante”, il “forestiero” erano tutti epiteti affidati a chi
proveniva da un’altra nazione (prevalentemente europea) ed era percepito dal cittadino

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autoctono come lontano e diverso: la paura di un sovrappopolamento estero era tale che per
svariati momenti storici, cui si avvicina di molto quello odierno, si è assistito a una crescente
xenofobia conseguenza del timore della perdita dell’identità nazionale. Oggi questo
sentimento è alimentato non solo dalle persone che provengono dagli stati limitrofi, quanto
soprattutto dall’immigrato che giunge in Svizzera dopo lunghi viaggi in fuga da contesti di
estrema vulnerabilità, Africa subsahariana e Asia occidentale e orientale in testa.
In Svizzera, nel 2019, vi sono state 14'269 domande d’asilo (SEM, 2020a) e alla fine del
medesimo anno, le persone in possesso di un permesso N, F o B o legato all’ambito
dell’asilo risultavano essere 121'585 (SEM, 2020). Il diritto svizzero in materia dell’asilo si
suddivide prevalentemente in quattro categorie: richiedenti l’asilo, rifugiati riconosciuti,
persone ammesse provvisoriamente e rifugiati ammessi in maniera provvisoria.

4. Presentazione della problematica affrontata

4.1 La domanda di ricerca
I numeri e le statistiche permettono di avere delle informazioni e di approfondire lo sguardo
verso il sempre più mediatico e discusso mondo delle migrazioni. In queste pagine si vuole
affrontare il tema dell’accompagnamento all’inserimento socio-professionale ponendo
l’attenzione alle storie di vita delle singole persone inserite a Macondo e a Midada.
L’intenzione è di mantenere uno sguardo più ampio e al tempo stesso più approfondito,
considerando anzitutto il contesto di provenienza dei partecipanti e quindi ricordando che i
numeri con i quali si lavora sono molto più bassi di quelli letti sinora, limitandosi, di fatto, alle
segnalazioni provenienti dall’URAR, l’Ufficio dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati del Canton
Ticino. Infatti, le due strutture possono accogliere in generale un massimo di sedici
partecipanti e in questo momento vi sono due ragazzi provenienti da Eritrea e Somalia a
Macondo, e una giovane proveniente dalla Siria a Midada. La presenza di partecipanti
riconosciuti come rifugiati rappresenta una novità assoluta per la Fondazione Il Gabbiano: in
tal senso, la singolarità del loro trascorso di vita ha fatto emergere la necessità di pensare a
un modello di accompagnamento unico, presentando giocoforza delle difformità con quello
vigente per tutti gli altri partecipanti. Il loro percorso è stato così creato in divenire, andando
di pari passo con il loro inizio avvenuto nel mese di settembre 2020. Partendo da tale
considerazione, con la consapevolezza che la tematica può essere fonte di stimolo e di
visioni contrastanti, l’interrogativo centrale su cui intende basarsi questa ricerca è il
seguente:
    •    Come accompagnare nel percorso educativo a Macondo e a Midada persone
         provenienti dall’ambito dell’asilo che desiderano intraprendere una formazione e/o
         trovare una professione che permetta loro il raggiungimento di una condizione sociale
         autonoma e integrata?
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4.2 La metodologia di ricerca e gli strumenti utilizzati
Questo lavoro può per certi versi assumere le sembianze di un viaggio, il percorrere di una
strada alla ricerca d’identità e risposte che per moltissime ragioni hanno trovato come nuovo
trampolino di lancio per la vita di alcuni giovani la Fondazione Il Gabbiano. Facile intuire
come la costruzione di un percorso inizi quindi da molto lontano, provenienti da nazioni di cui
si conoscono i nomi ma dove le dinamiche interne sono confusionali e complicate, divenendo
sovente motivo di facili generalizzazioni.
Per rispondere all’interrogativo centrale, il lavoro iniziale è consistito prevalentemente in una
revisione e in un approfondimento della letteratura nazionale e internazionale sul macro
tema inerente la “migrazione”. In secondo luogo si è rivelato necessario entrare in possesso
e analizzare i documenti relativi agli uffici delle autorità federali e cantonali così da poter
descrivere e contestualizzare gli effetti delle rotte migratorie in Svizzera, essenziali per
avvicinarsi alla parte più specifica della pratica professionale con persone rifugiate a
Macondo e Midada. Infatti, il lavoro quotidiano con i partecipanti è stato ragione di un
costante confronto con i colleghi, dal momento che per la maggior parte il seguito educativo
di persone rifugiate ha rappresentato una prima sperimentazione nella pratica professionale.
I diversi punti di vista, le percezioni, visioni, competenze e differenti sensibilità derivanti da
uno sguardo e da un’osservazione di un’équipe multidisciplinare sono stati imprescindibili per
permettere la stesura del PEI (percorso educativo individuale), frutto del tentativo di tenere
un diario di bordo degli avvenimenti e al tempo stesso del provare a costruire una relazione
di fiducia sia con i partecipanti che con l’ente inviante, il Soccorso Operaio Svizzero (SOS).
In aggiunta, la volontà di partecipare in maniera attiva e di sviluppare un lavoro di rete
professionale ha fatto sorgere l’esigenza di coinvolgere e sottoporre a un’intervista1 chi da
anni è voce e un riferimento importante per tante di quelle persone che ogni anno giungono
in Svizzera nella speranza di un nuovo inizio. Da questa breve premessa si è deciso di
coinvolgere Rebecca Simona, che oltre ad aver mantenuto una percentuale come operatrice
sociale, è la coordinatrice del servizio del SOS che si occupa dell’integrazione dei percorsi
legati alla formazione e al lavoro. L’intervista, a causa delle restrizioni e del delicato periodo
che si stava attraversando legato al diffondersi della situazione pandemica Covid-19, non si
è avvalsa di una modalità dovuta alla presenza dell’interlocutrice ed è stata effettuata
mediante videochiamata. La conversazione, con condivisa accettazione della controparte, è
stata registrata e al contempo sono stati presi alcuni appunti così da lasciare una traccia di
quanto dettosi nel corso dell’intervista, che è durata poco meno di un’ora. L’utilizzo di tali
strumenti ha permesso di mantenere l’attenzione focalizzata su un ascolto attivo,
conducendo anche all’aggiunta di alcune domande inizialmente non programmate, per poi
procedere in un secondo momento alla trascrizione dell’intervista. Il senso del lavoro era di

1   Vedi Allegato 1.
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creare un “setting” funzionale e accogliente sin dalle prime battute, anche se la distanza
tecnologica non è sempre favorevole a questo tipo di lavoro: la conoscenza a grandi linee
delle tematiche, l’interesse personale e l’alternarsi di domande aperte ad alcune più
specifiche hanno aiutato in questo compito e creato le condizioni affinché una volta
stabilizzatisi la situazione epidemiologica si potesse organizzare un momento di confronto
sull’intero operato, avvenuto poi in struttura a Macondo nel corso del mese di giugno 2021.

5. Chi è un rifugiato?
La Convenzione di Ginevra del 1951 è lo strumento che costituisce e garantisce la base del
diritto internazionale umanitario, con l’obiettivo primario di proteggere tutte quelle persone
che si trovano (o si trovavano) in una situazione di conflitto dove la loro incolumità fisica e
psichica non è garantita. La firma dell’atto finale, cui aderirono diciassette nazioni, è
considerato un piccolo capolavoro diplomatico da parte della Svizzera (Tognina, 2019),
capace in un periodo storico tanto delicato e ricco di tensioni a revisionare le precedenti
conferenze internazionali svoltesi a Ginevra e all’Aja negli anni 1864, 1899, 1906, 1907 e
1929 (DFAE, 2019). L’elaborazione di una rinnovata convenzione sulla protezione delle
persone in caso di guerra ha permesso di proporre una serie di definizioni tuttora valide, tra
cui quella di rifugiato. Tale status è specificato nell’articolo 1A della Convenzione conchiusa
a Ginevra il 28 luglio 1951, descrivendo il rifugiato come colui “che temendo a ragione di
essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è
cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di
questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui
aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il
timore di cui sopra” (Convenzione sullo statuto dei rifugiati, 1951).
Inizialmente pensata per proteggere i rifugiati europei vittime delle nefaste conseguenze
della seconda guerra mondiale, la Convenzione ha visto ben presto estendere il proprio
raggio d’azione a livello internazionale e a oggi sono 146 le nazioni che vi aderiscono. Un
numero così importante non può che garantire una maggior tutela dell’essere umano a livello
globale, ma la modifica delle tendenze migratorie e l’aumento dei flussi di spostamento degli
ultimi anni, pone di fronte all’esigenza di riflettere sull’efficacia di una Convenzione nata in
Europa, ma dove le notizie di ogni giorno sono testimonianza di uno strumento che si tende
a omettere con una certa facilità e predisposizione.

6. Il diritto all’asilo
L’asilo è un diritto fondamentale concesso a coloro che soddisfano i criteri stabiliti nella
Convenzione di Ginevra relativa all’essere considerato un rifugiato. Si tratta di un obbligo per

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tutti gli Stati che vi hanno aderito e, sempre nel rispetto del diritto internazionale, ciascuna
nazione può definire e adottare in maniera autonoma le procedure e i contenuti della
protezione a chi risulta essere in fuga da persecuzioni o danni gravi (Cautela, 2021, slide 3).
La prima legge federale sull’asilo (LAsi) è stata approvata nel 1979 e oltre che alla
Convenzione di Ginevra considerava anche quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui
rifugiati. Il senso di tale giurisdizione era di proteggere le persone in fuga che approdavano in
Svizzera: tuttavia, con il passare degli anni, la pressione dei maggiori partiti di destra ha
condotto verso importanti revisioni della LAsi, avvenute prevalentemente nel 1998 e nel più
recente 2019, assistendo così a un inasprimento delle condizioni per l’ottenimento al diritto
d’asilo. Basti pensare come, ad esempio, dal 2008 la Svizzera ha deciso di sottoscrivere il
cosiddetto regolamento di Dublino, con il fine unico che sia di competenza della prima
nazione europea di sbarco trattare e garantire la domanda d’asilo del singolo individuo
(SEM, 2019d) oppure di come dal 2012 non sia più possibile fare domanda nelle ambasciate
(Swissinfo.ch, 2016) ma vi è la necessità che sia formulata oralmente o per scritto a un posto
di confine o in occasione del controllo di frontiera presso un aeroporto svizzero (SEM,
2019b).
Da inizio millennio la LAsi ha subito oltre trenta revisioni (Cautela, 2021, slide 9) e queste
continue mutazioni non apportano solo dei sostanziali cambiamenti a livello di procedura
giuridica ma rischiano di mettere a repentaglio la tradizione umanitaria e di accoglienza
elvetica, nel tentativo di rendere la Svizzera meta meno attrattiva per i rifugiati. Malgrado ciò,
nel corso del 2016 circa due terzi dei votanti svizzeri si sono espressi in maniera favorevole
rispetto alla possibilità di velocizzare le procedure a seguito di una domanda d’asilo,
sostenendo la proposta del governo e del parlamento, e schierandosi contro i partiti di destra
che avevano sottoscritto un referendum per bloccare l’entrata in vigore della nuova legge
(Mombelli, 2016). Il seguente quadro intende mostrare la ristrutturazione del sistema
dell’asilo con l’entrata in vigore della nuova procedura a partire dal 01.03.2019 (Cautela,
2021, slide 10).
Prima delle modifiche:
    •    Le procedure erano lunghe e potevano durare, solo in prima istanza, anche fino a
         due anni. Se considerata la procedura di ricorso, una persona rischiava di poter
         rimanere in Svizzera come “richiedente” fino a cinque anni;
    •    La consulenza e la rappresentanza legale erano assicurate da servizi di consulenza
         per richiedenti l’asilo e predisposti dalle ONG (Organizzazioni Non Governative) con il
         coordinamento dell’OSAR (Organizzazione Svizzera d’Aiuto ai Rifugiati), ma senza
         basi di finanziamento comuni e stabili. La rappresentanza legale era garantita da
         singole ONG o avvocati, in conformità a una valutazione del singolo caso;

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    •    Alle audizioni sui motivi d’asilo partecipavano come osservatori neutrali i
         rappresentanti dell’opera assistenziale (ROA) per garantire che la procedura si
         svolgesse in modo corretto;
    •    Contro le decisioni negative, il termine di ricorso era di trenta giorni, salvo che per i
         casi di non entrata nel merito (cinque giorni lavorativi).

Il sistema attuale, invece, prevede che:
    •    Il 60% di tutte le procedure d’asilo si concludono nei Centri della Confederazione,
         senza che avvenga una ripartizione a un Cantone entro 140 giorni. Il restante 40%
         delle procedure d’asilo termina dopo la ripartizione cantonale e comunque entro un
         anno dalla domanda;
    •    Consulenza e rappresentanza legale sono garantite da prestatari di servizio, sulla
         base di finanziamenti federali. La rappresentanza legale è garantita a tutti i richiedenti
         sin dall’inizio della procedura;
    •    La figura del ROA è soppressa e il rappresentante legale riceve un progetto di
         decisione sul quale ha la possibilità di esprimere osservazioni;
    •    Il termine di ricorso, nelle procedure accelerate, è di sette giorni lavorativi. Nelle
         procedure estese, il termine rimane di trenta giorni.

Si è trattata della prima volta che una riforma sulla LAsi fosse stata sostenuta
congiuntamente sia dai partiti di sinistra sia dai principali attori che operano in ambito
umanitario. Tale volontà è dettata dal fatto che una procedura accelerata permette (anche) al
singolo richiedente di fare i propri interessi, senza che quest’ultimo si trovi potenzialmente
incastonato in un limbo d’indecisione giuridica per diverso tempo. D’altra parte, qualora la
domanda d’asilo venisse accolta, la persona ha modo di intraprendere un percorso
d’integrazione sin dai primi passi compiuti sul suolo svizzero, godendo per altro di una
rappresentanza legale che possa permettere loro di essere a conoscenza dei loro diritti così
come degli obblighi che le spettano (Mombelli, 2016).
Il funzionamento della nuova politica d’asilo è tuttavia ancora oggi argomento di discussione
e di pareri contrastanti: il cambiamento è stato importante e radicale ma continua a destare
molte critiche, reclamate prevalentemente dalle numerose associazioni che si occupano
della tutela delle persone migranti così come da diversi giuristi. Infatti, la contestazione
primaria è in riferimento all’accelerazione delle procedure d’asilo: la necessità di eseguirle
entro un tempo prestabilito implica la fattibilità che non tutti i documenti possano essere
controllati debitamente, con il grande rischio da parte delle autorità di non adempiere
diligentemente al proprio dovere, confliggendo con una serie di libertà individuali che
spettano evidentemente anche alla persona migrante (Aebli, 2016). In altre parole, la filosofia

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vigente è di prendere delle decisioni in tempi stretti per respingere rapidamente o integrare
rapidamente, nel tentativo di aumentarne l’efficienza, realizzando al tempo stesso dei
consistenti risparmi in termini di tempo e denaro (Vuilleumier, 2019).
Può l’accelerazione delle tempistiche essere la soluzione per ambe le parti in un sistema
sempre capace di scindere in maniera dicotomica il pensiero del proprio popolo? La
Segreteria di Stato della migrazione (SEM) pare essere piuttosto convinta del funzionamento
della riforma, mentre un recente servizio della Schweizer Radio und Fernsehen (SRF) rivela
come ci sia stato un incremento delle decisioni annullate da parte del Tribunale Federale,
passando dal dato medio del 4,8% tra il 2007 e il 2018, al 16,8% a partire dall’introduzione
della riforma (Aronsky, 2019) e mostrando così come la celerità non è per forza sinonimo di
una maggiore efficienza.

7. Domande d’asilo in Svizzera
Il dato relativo alle domande d’asilo in Svizzera è per sua stessa definizione in continua
oscillazione: questo perché non dipende solo dalla volontà del singolo di sognare che
l’agognato viaggio per la vita giunga a destinazione in territorio elvetico, quanto piuttosto da
fattori esogeni alla persona, quali: la situazione politica internazionale, l’imprevedibilità dei
flussi migratori, le politiche alla frontiere e quelle all’interno della nazione stessa (Cautela,
2021, slide 7).

7.1 Le domande d’asilo nel corso degli ultimi sei anni
A tal riguardo si ritiene interessante riflettere su quanto avvenuto a partire dal 2015, dove
anche la Svizzera ha assistito a un notevole incremento delle domande d’asilo. Infatti, se a
livello europeo sono circa 1.4 milioni le persone che hanno chiesto l’asilo in Europa, in
Svizzera ne sono giunte 39'523, 15'758 in più rispetto all’anno precedente (SEM, 2015).

Le ragioni principali sono da ricondurre in primo luogo al perdurarsi dei conflitti in Siria e in
Iraq, dove la mancata prospettiva di un clima di rappacificamento ha portato migliaia di
persone alla decisione di lasciare la propria terra. Il tentativo di raggiungere il suolo europeo,
con le allora mete predilette rappresentate da Germania e Svezia, ha spinto oltre 850'000
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persone nel solo 2015 a compiere il tentativo di varcare i confini tra Turchia e Grecia,
rappresentati sia da una sezione marina nell’Egeo che da una terrestre, dove il fiume Evros
fa da confine naturale tra questi due Stati. Se da una parte la Svizzera non è mai stata
raffigurata come il traguardo prediletto della maggior parte degli esseri umani che hanno
affrontato la cosiddetta “rotta balcanica” (percorso di migrazione che parte dalla Grecia
risalendo per l’appunto le nazioni balcaniche, fino ad arrivare ai paesi dell’Europa
occidentale), è rimasta una destinazione per tutte quelle persone che giungono nel Vecchio
Continente attraversando il Mediterraneo centrale, assiepati su imbarcazioni di fortuna.
Infatti, nel 2015, la prima nazione di provenienza dei richiedenti l’asilo in Svizzera è stata
l’Eritrea, con 9'966 domande d’asilo, 3'043 in più rispetto all’anno precedente (SEM, 2015).

7.1.1 Le domande d’asilo nel 2016
Il (disperato) tentativo dettato dalla volontà di voler controllare e quindi provare a fermare i
flussi migratori sulla rotta balcanica, ha portato l’Unione Europea ha firmare un accordo di
collaborazione con la Turchia nel corso del mese di marzo del 2016, stabilendo che:
    •    Tutti i migranti giunti in Grecia saranno riportati in Turchia, compresi chi
         potenzialmente intende fare richiesta d’asilo in territorio ellenico;
    •    Per ogni migrante riammesso in Turchia, quest’ultima s’impegnerà a ricollocare un
         profugo siriano ad uno Stato Membro dell’Unione Europea (Roman, 2016).

Alla base di tale accordo vi è un meccanismo di scambio: la Turchia s’impegna nell’evitare
che esseri umani in fuga da conflitti e discriminazioni giungano in Europa, con la promessa di
ricevere da parte di quest’ultima sei miliardi di euro per la gestione delle persone nel Paese,
iniziando quindi a considerarla come una nazione terza sicura per i rifugiati (Karakoulaki,
2018), rivoluzionando i percorsi migratori dopo la sistematica chiusura dei confini da parte
delle nazioni presenti sulla rotta balcanica, quali la Repubblica della Macedonia del Nord, la
Serbia, la Croazia, la Slovenia e l’Ungheria.
Quanto registrato in Svizzera nel corso del 2016 può essere inteso come la conseguenza
dell’accordo sopracitato, con 27'207 persone che hanno fatto domanda d’asilo, 12'316 in
meno rispetto all’anno precedente (SEM, 2016); tuttavia, la diminuzione delle domande non
è da ricondurre solo alla chiusura della rotta nei Balcani ma anche al calo di persone
provenienti dall’Eritrea. Le nazioni da cui proviene il maggior numero di domande d’asilo
rimane però pressoché immutato, con Eritrea, Afghanistan, Siria, Somalia e Iraq a occupare i
primi cinque posti della graduatoria (SEM, 2016).

7.1.2 Le domande d’asilo dal 2017 a oggi
A partire dal 2017 il numero di domande d’asilo presentate in Svizzera (e non solo) ha subito
un’importante diminuzione, da ricondurre prevalentemente al mantenimento dell’accordo

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concluso tra Unione Europea e Turchia (SEM, 2019f) e all’implemento di nuove misure
cooperate con l’Unione africana e le Nazioni Unite (Consiglio dell’Unione europea, 2021).
Inoltre, le restrizioni internazionali legate allo scoppio della pandemia COVID-19 hanno
provocato un’ulteriore riduzione della migrazione legata al settore dell’asilo in Svizzera, con
gli ultimi dati che attestano come nel corso del 2020 siano state registrate 11'041 domande
(SEM, 2020b), quasi trentamila in meno rispetto al 2015.

7.2 Esseri umani, non numeri
Non ci si deve stancare di ribadire che dietro a un dato statistico vi è una storia di vita di una
persona: infatti, ci si dovesse soffermare a valutare i numeri concernenti gli arrivi in Europa e
l’abbassamento del tasso di mortalità relativo alle attraversate in mare, difficilmente si può
sostenere che l’accordo Ue-Turchia non abbia apportato soli benefici. Purtroppo, però, come
spesso accade, l’altro lato della medaglia è capace di trasmettere una generale insofferenza
legata al non rispetto dei più basilari diritti fondamentali, di cui migliaia di persone risultano
esserne le prime vittime. Le restrizioni di movimento per coloro arrivati sulle isole, le infinite
attese burocratiche, l’obbligo di vivere in migliaia in strutture pensate per accogliere un
numero più contenuto di persone, le pessime condizioni igienico-sanitarie e il timore per il
proprio futuro e per quello dei propri figli (Karakoulaki, 2018) sono tutte condizioni che
aggravano la stabilità fisica e mentale di persone che già scappano da nazioni bombardate
di conflitti. Una fotografia di cosa vuol dire essere un migrante in Grecia, e quindi in Europa,
può essere rappresentata da quanto avvenuto sull’isola di Lesbo, nell’hotspot di Moria, a
inizio settembre 2020, quando un incendio ha distrutto il più grande campo profughi
d’Europa. Questa è stata “casa” per migliaia di persone dal 2015, costrette poi per diversi
giorni a sopravvivere in uno stato di totale abbandono tra boschi e sterpaglie, con poliziotti in
antisommossa schierati a evitare che le persone si riversassero a Mitilene per ricevere cibo e
aiuti (Camilli, 2020). Sebbene la Svizzera sia stata tra quelle nazioni che si è attivata da
subito e ha partecipato all’operazione per accogliere parte dei quattrocento minorenni
evacuati dal campo (SEM, 2020b), il governo greco ha dichiarato che già dal giorno
successivo le persone non sarebbero state trasferite su terraferma (Camilli, 2020).
Quell’inferno senza speranza sarebbe stato ricostruito in tempi rapidi a Mavravoni, sempre
sull’isola di Lesbo, dove più di ottomila persone, tra cui moltissime famiglie con bambini,
avrebbero trascorso l’inverno in un campo a poche decine di metri dal mare, in tende di
fortuna senza riscaldamento e con un sistema elettrico pronto a saltare a causa delle
frequenti inondazioni (Oxfam Italia, 2021).
Questi sono aneddoti che non possono che far riflettere sul significato di accoglienza, con un
sistema entrato in un circolo vizioso prossimo al disastro umanitario. E in Svizzera, come
funzionano le procedure d’asilo e d’integrazione sociale e professionale?

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8. Procedura d’asilo in Svizzera
In Svizzera la responsabile per lo svolgimento delle procedure d’asilo è la Segreteria di Stato
delle migrazioni (SEM). Come descritto in precedenza, a partire dal primo marzo 2019 vi è
stata un’importante revisione della legge sull’asilo, con la volontà di attuare procedure più
celeri al fine di capire in tempi rapidi se la qualità di rifugiato è soddisfatta (SEM, 2019c).
Ogni richiedente l’asilo è attribuito a una delle sei macroregioni procedurali, ciascuna
provvista di un centro federale d’asilo e che si trovano ad Altstätten, Berna, Basilea, Zurigo,
Boudry e Balerna-Novazzano. Parola d’ordine rimane l’efficienza ed è per questa ragione
che all’interno di questi centri è possibile trovarvi i principali attori coinvolti nella procedura,
quali persone impiegati dalla SEM, gli interpreti, la protezione giuridica e la consulenza per il
ritorno. Una volta entrata nel centro, la persona è anzitutto registrata, dopodiché sono rilevati
i documenti presi in consegna e le impronte digitali. Nell’ambito della procedura d’asilo, al
richiedente sarà affiancato un consulente legale gratuito, che lo accompagnerà nei
successivi passaggi (SEM, 2019a). In questa prima fase, composta prevalentemente
dall’attribuzione della protezione giuridica e da un’audizione sommaria, è la SEM a decidere
quale delle tre procedure spetterà al richiedente (Tamò-Gafner, 2020, slide 7):
    1. Procedura di Dublino: se il richiedente dovesse essere già stato registrato in un altro
         Paese europeo, la SEM verificherà la possibilità di poterlo rinviare alla suddetta
         nazione, dove sarà responsabilità di quest’ultima compiere la procedura d’asilo;
    2. Procedura celere: qualora la SEM decidesse di entrare in materia della domanda
         d’asilo, ne consegue un’audizione dettagliata dove il richiedente potrà esprimersi a
         proposito delle ragioni per le quali ha deciso di abbandonare la sua terra,
         presentandone i mezzi di prova. Questo è un momento di particolare importanza, in
         quanto si stabilisce se il richiedente può essere riconosciuto come tale e ottenere
         quindi l’asilo: se le informazioni riportate dalla persona risultano essere chiare e
         verosimili, allora una decisione sarà recapitata al massimo entro otto giorni
         dall’audizione (SEM, 2019a). Dovesse richiedere più tempo, si passa alla terza
         procedura;
    3. Procedura ampliata/estesa che può durare fino a un anno. Dall’esame della domanda
         ne scaturirà la decisione per cui la persona potrà continuare o no a stare in Svizzera.
         Se positiva otterrà l’asilo e un permesso di dimora e sarà attribuito a un Cantone
         responsabile della sua integrazione; se negativa dovrà lasciare la Svizzera a meno
         che il ritorno nella nazione di provenienza non lo metta in una situazione per cui la
         sua vita è ritenuta essere in pericolo. Così dovesse essere, alla persona è concesso
         di rimanere con lo statuto di “persona ammessa provvisoriamente” fino a quando il
         ritorno sarà cosa esigibile e possibile (SEM, 2019a).

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8.1 I permessi di soggiorno nell’ambito dell’asilo
Per una maggiore chiarezza rispetto all’importante numero d’informazioni scritte, si ritiene
importante dedicare un sotto-capitolo ai differenti permessi di soggiorno presenti in Svizzera.
Durante la pertinente procedura d’asilo, in riferimento a una persona straniera che ha fatto
domanda d’asilo, questa ricevere il permesso N che, come legiferato dalla LAsi, le permette
di soggiornarvi fino al termine del procedimento (LAsi, 1998, Art.42 segg).
Alla conclusione, la decisione sarà positiva o negativa: se alla persona è concesso l’asilo,
conseguirà un permesso B (LAsi, 1998, Art.58 segg). Nel caso di un non ottenimento, è
necessario fare una distinzione tra “rifugiati ammessi provvisoriamente” e “persone
ammesse provvisoriamente”: nel primo caso si tratta d’individui che adempiono la qualità di
essere rifugiato ma alle quali non è stato concesso l’asilo o i cui motivo d’asilo sono sorti solo
dopo la fuga (Gafner-Tamò, 2020, slide 4) e a cui è riconosciuto un permesso F. Anche alle
“persone ammesse provvisoriamente” spetta il permesso F, conseguenza di una domanda
d’asilo respinta ma in cui vi è o l’impossibilità tecnica o il rispetto delle convenzioni
internazionali da parte delle autorità per procedere a un’esecuzione di allontanamento o di
espulsione (LStrl, 2005, Art.83 segg).

8.2 Termini di ricorso e decisioni di allontanamento
Il nuovo assetto inerente la ristrutturazione delle procedure dell’asilo prevede una ripartizione
mediante un algoritmo tra le sei macroregioni, con l’obiettivo che la distribuzione avvenga in
maniera uniforme (Di Nisio, 2021, slide 9).
Le tempistiche concernenti i termini di ricorso dipendono sostanzialmente dalla tipologia di
procedura adottata: qualora fosse una “celere”, al richiedente e al suo legale sono dati sette
giorni lavorativi (prolungati in questo particolare momento storico a trenta, causa Covid-19).
Per una procedura ampliata si può arrivare fino a trenta giorni mentre sia per le decisioni di
non entrata nel merito che contro le decisioni negative concernenti richiedenti provenienti da
nazioni ritenute sicure, il massimo è di cinque giorni lavorativi, confermato malgrado la
complessa situazione pandemica (Di Nisio, 2021, slide 21).
Qualora il richiedente l’asilo non fosse conseguente all’ordine di lasciare il suolo elvetico e si
rivelasse essere poco collaborativo, il Cantone a cui è stato attribuito ha tra le sue facoltà
l’incarcerazione amministrativa, per un periodo differibile fino a un massimo di diciotto mesi
(Cautela, 2021, slide 25). Questa specifica esecuzione d’allontanamento è valida anche per i
casi “Dublino”, nell’attesa che lo Stato europeo competente si attivi nella riammissione. In
collaborazione con la SEM, l’autorità cantonale può propendere per un rinvio coatto: questo
è però possibile solo con la collaborazione della nazione d’origine della persona ed è
normalmente effettuato attraverso dei voli di linea (Cautela, 2021, slide 25).

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9. La promozione dell’integrazione
La Confederazione promuove oggi l’integrazione della persona straniera attraverso il
sostegno a due programmi distinti: il Programma d’Integrazione Cantonale (PIC) strutturato
ai sensi della Legge federale sugli stranieri e integrazione (LStrI) e l’Agenda Integrazione
Svizzera (AIS), a sostegno di persone ammesse provvisoriamente e rifugiati (Repubblica e
Cantone Ticino, s.d.-b).
In un’accezione più classica, la tendenza all’integrazione era la (quasi) pretesa da parte del
cittadino autoctono che l’immigrato riuscisse ad adottare e conformarsi quanto prima a quelle
che sono le tradizioni e le abitudini della società d’accoglienza (Bruno & Solcà, 2015, p.5),
separandosi quanto prima dai propri usi e costumi. Con il passare degli anni vi è stata
un’evoluzione nella sua definizione e malgrado negli studi più recenti non sia evidente
imbattersi in una spiegazione univoca di cosa significhi “integrazione”, uno dei tratti
caratterizzanti è la perdita dell’idea che si tratti di un processo unilaterale quanto piuttosto di
un’interazione reciproca. Infatti, la presenza di tali concetti la portano ad essere intesa come
l’influenza “tra persone e gruppi sociali eterogenei, nel coinvolgimento di tutte le componenti
della società” (Bruno & Solcà, 2015, p.5).
Il modello integrativo che mira a favorire la convivenza tra cittadino residente e straniero è
introdotto in Svizzera a partire dagli anni Novanta, con il Consiglio federale che si decide nel
promuovere politiche sino a quel momento lasciate alla decisione di singoli Cantoni e comuni
(Bruno & Solcà, 2015, p.6). L’integrazione diviene così un obiettivo sia sociale che politico, in
cui vige la necessità di riservare investimenti finanziari attuando una strategia comune: per la
prima volta in tutta la Svizzera, nel 2014, la Confederazione avvia in ciascun Cantone il
Programma d’Integrazione Cantonale (PIC) che, con una cadenza di quattro anni, si pone di
perseguire obiettivi in otto settori specifici nell’ambito dell’integrazione di persone straniere:
l’informazione e la consulenza ai nuovi arrivati, la lingua e la formazione, il sostegno alla
prima infanzia, l’interpretariato interculturale, il mercato del lavoro, l’integrazione sociale e la
protezione contro la discriminazione (Bruno & Solcà, 2015, p.6). Il bilancio del primo PIC
(2014-2017) è stato soddisfacente e con l’ulteriore sviluppo della politica integrativa per il
quadriennio 2018-2021, l’obiettivo è di riuscire a consolidare le varie misure e di coinvolgere
sempre più la popolazione locale così come il numero di partner presenti sul territorio (SIS,
2021).
Il PIC non è però il solo strumento integrativo che a livello cantonale e nazionale ricopre un
ruolo primario nell’ambito delle politiche migratore. Vi è, infatti, anche l’Agenda Integrazione
Svizzera (AIS) che oltre a essere misura di supporto al PIC, ha lo scopo di aiutare i rifugiati e
le persone ammesse provvisoriamente a integrarsi più facilmente nel mondo del lavoro e
nella società, nel tentativo di ridurre la loro dipendenza dall’aiuto sociale (SEM, 2021). Il
senso dell’intervento con programmi di tale tipologia consiste in un intervento che si possa
contraddistinguere per la sua celerità, così da essere di supporto da subito alle persone che
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