Il ruolo dell'idrogeno nel futuro energetico del pianeta.

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Il ruolo dell'idrogeno nel futuro energetico del pianeta.
Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta.

                                                Marco Zoppi
                                   Consiglio Nazionale delle Ricerche
                                   Istituto Sistemi Complessi, Firenze

1-Introduzione.

     La popolazione attuale della terra supera abbondantemente i sei miliardi di persone. Di queste,
solo piccole minoranze, concentrate principalmente in Nord America, Europa e Giappone,
utilizzano quasi il 60% delle risorse energetiche, mentre il resto della popolazione mondiale, la
stragrande maggioranza, si divide il resto.

    Basta leggere il libro di Geremy Riefkin, Economia dell’Idrogeno, per rendersi conto di quanto
il mondo occidentale dipenda dal petrolio. Questo serve non solo per i trasporti (benzina e gasolio
per l’autotrazione e la navigazione, kerosene per gli aerei) ma anche per produrre elettricità e
concimi (è incredibile quanto petrolio sia necessario per produrre una tonnellata di grano). Senza
considerare il fatto che dipendiamo dal petrolio per le plastiche, i tessuti, e l’oggettistica di tutti i
giorni (piatti, stoviglie e bicchieri).

    Pare che la nostra civiltà (sempre che ci sia concesso definirla tale) sia convinta che il petrolio
durerà per sempre, che le scorte si rigenerino da sole, e che tutta la popolazione mondiale possa
raggiungere il livello di benessere caratteristico dei paesi occidentali.

   Purtroppo non è così!

    Non è sbagliato pensare che tutta la popolazione mondiale abbia il sacrosanto diritto di
migliorare le proprie condizioni di vita, ma è profondamente erronea la visione che tutti possano
raggiungere il nostro tenore di vita senza che il pianeta imploda. Il problema è di una semplicità
enorme: viviamo su un pianeta grande, ma limitato. La torta è quella che è, se aumenta il numero
degli aventi diritto, la razione pro-capite diventa sempre più piccola.

    Non voglio entrare nella polemica delle riserve di petrolio, quante sono e quanto dureranno, se
30 anni, 50 anni, o addirittura 10. Il fatto è che prima o poi si esauriranno. Quindi il problema non è
se sia possibile o meno trovare un sostituto del petrolio (ovviamente, ni quest’ottica, il carbone ed il
gas naturale possono servire solo per allungare l’agonia, ma non riusciranno a guarire il paziente)
ma quanto tempo l’uomo ha disposizione per trovare questo sostituto e per costruire un nuovo
modello energetico mondiale.

    Si parla molto, spesso a sproposito, di Idrogeno. Bene! Sarà opportuno mettere subito in chiaro
che l’idrogeno non potrà mai sostituire il petrolio, per il semplice motivo che l’energia spesa per
produrlo è maggiore di quella ottenibile dalla sua combustione. Però l’idrogeno ha qualche
caratteristica interessante, che vale la pena considerare. La prima è che il prodotto di combustione
dell’idrogeno è acqua che notoriamente, se pura, non inquina l’ambiente. La seconda è che per
produrre idrogeno occorre acqua, che in generale è disponibile nelle aree del pianeta abitate, ovvero
dove serve. La terza è che l’ossidazione dell’idrogeno non avviene soltanto bruciandolo (ovvero
combinandolo con l’ossigeno dell’aria) ma può essere ottenuta in condizioni controllate, per
esempio in celle a combustibile, dove la resa, in termini di energia elettrica, è certamente migliore
di quella termica ottenuta dalla combustione. A questo punto serve solo un po’ di immaginazione e

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tanta tecnologia. Ci sono zone del pianeta dove di energia ce n’è in abbondanza (basti pensare al
calore generato dal sole in un’area desertica), utilizzare questa energia per produrre idrogeno,
trasportare l’idrogeno dove serve, produrre energia dall’idrogeno, e rilasciare acqua nell’atmosfera.
Le nubi e la pioggia provvederanno a ridistribuirla.

     Detto così sembra molto semplice. Ma la realtà è diversa. Come ho appena detto, oltre
all’immaginazione serve anche tanta tecnologia, che però attualmente non abbiamo. Tante cose
sono ancora poco note, e tante idee devono essere ancora sviluppate. E per costruire la tecnologia ci
vuole la scienza. Ma la scienza, il sapere, si produce solo con la ricerca. E per fare ricerca, non solo
servono investimenti (volgarmente chiamati soldi), ma anche ricercatori. E per fare un ricercatore,
bravo, ci vuole tempo e magari un ricercatore anziano, ma non troppo, che gli insegni il mestiere
prima di andare in pensione.

    Quindi, la domanda vera non è se abbiamo i soldi per sviluppare un modello energetico
alternativo, a giudicare da quanti ne vengono sprecati, di quelli ce ne sono in abbondanza, ma
piuttosto se avremo il tempo sviluppare le basi scientifiche e tecnologiche per un cambiamento di
indirizzo della politica energetica mondiale prima che si spenga a lampadina.

2-La produzione di idrogeno

    E’ molto probabile che dai nostri ricordi del liceo torni alla memoria l’esperimento di elettrolisi
dell’acqua. Il processo, dal punto di vista didattico è molto semplice. Basta prendere dell’acqua,
aggiungere un elettrolita in soluzione (ovvero un acido, o una base, oppure, più semplicemente, del
sale da cucina) versare la soluzione nella cella elettrolitica (tipo il voltametro di Hoffmann che è
mostrato in Fig. 1) e connettere i due elettrodi ad una sorgente di corrente continua (p. es. una
batteria a 4.5 V).
                                             Non appena la corrente elettrica comincia a scorrere, si
                                             noteranno delle bollicine che si sviluppano ai due
                                             elettrodi e salgono alla superficie del liquido.
                                             All’elettrodo positivo (Anodo) si sviluppa l’ossigeno,
                                             mentre a quello negativo (Catodo) si sviluppa
                                             l’idrogeno. Il volume di idrogeno gassoso è doppio di
                                             quello dell’ossigeno, dal momento che, nella
                                             decomposizione dell’acqua, per ogni atomo di ossigeno
                                             si liberano due atomi di idrogeno e che le molecole dei
                                             due gas sono delle semplici biatomiche. In formula:

                                                                         2 H 2O → 2 H 2 + O2

                                                 Il costo energetico di questa reazione elettrochimica è di
                                                 286 kJ per mole di acqua. Ovviamente, la reazione
                                                 inversa, ovvero l’ossidazione dell’idrogeno, restituisce
    Fig. 1: Il Voltametro di Hoffmann            la stessa quantità di energia (i soliti 286 kJ/mole) che
                                                 però, in generale, sono restituiti sotto forma di calore.
Infatti, la reazione di ossidazione è abbastanza violenta e, in certe condizioni, esplosiva.
    Se ci fosse soltanto il Primo Principio della Termodinamica, tutto questo si ridurrebbe ad un
giochetto innocente in cui non si guadagna e non si perde. Purtroppo, però, c’è anche il Secondo
Principio, secondo il quale il calore è un forma di energia di qualità inferiore e che per riottenere
l’energia elettrica, da cui eravamo partiti, occorre un’energia termica maggiore, generalmente

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almeno doppia. Comunque, di questo riparleremo in seguito quando discuteremo dell’utilizzo
dell’idrogeno.
    Oggi, la produzione mondiale di idrogeno si avvicina ai 50 milioni di tonnellate all’anno, dei
quali circa il 90% viene prodotto a partire da combustibili fossili tramite il processo di steam
reforming. Attualmente, l’idrogeno viene utilizzato nell’industria petrolchimica, per ottenere
idrocarburi più leggeri a partire dagli olii pesanti e nell’industria dei fertilizzanti, per produrre
ammoniaca e da questa concimi azotati. Nell’industria alimentare, l’idrogeno è utilizzato per
ottenere grassi idrogenati, che sono alla base di molti tipi di margarina.
    Il processo di produzione di idrogeno da reforming di idrocarburi può essere esemplificato con
quello che utilizza come base il metano. Una miscela di metano e vapore acqueo viene portata ad
alta temperatura, in presenza di un catalizzatore, e produce la reazione:

                                          CH 4 + H 2O → 3H 2 + CO

a questa segue una seconda reazione (detta di shift) che tende ad eliminare il monossido di
carbonio:
                                        CO + H2O → H 2 + CO2

Questo è un processo abbastanza efficiente, perché da ogni molecola di metano si ottengono ben 4
molecole di idrogeno, e industrialmente conveniente perché il calore necessario viene fornito dalla
combustione di parte del metano (circa il 45%). Purtroppo, però, soffre di un difetto fondamentale
in quanto necessita, come materia prima, di idrocarburi. Pertanto, questa tecnologia non potrà
costituire una soluzione accettabile, sulla scala dei tempi lunghi, mentre, sul breve periodo, può
rappresentare un processo importante nell’evoluzione verso un’economia dell’idrogeno.
    Un secondo processo di produzione d’idrogeno è quello che utilizza la scissione termica
dell’acqua. Infatti, portando una molecola d’acqua ad elevata temperatura (circa 2600° C), la
reazione di scissione in idrogeno ed ossigeno avviene spontaneamente. Esistono progetti di ricerca
per la costruzione di prototipi che utilizzano dei concentratori solari (una versione moderna degli
“specchi ustori” di Archimede) in grado di produrre, su piccoli volumi controllati, temperature così
elevate da rompere la molecola di acqua. In questo caso, però, la tecnologia è limitata dal fatto che,
ad elevata temperatura, l’acqua attacca qualunque metallo e quindi la vita media dei materiali è
molto ridotta.

                            Fig. 2: Schema di un impianto per la gassificazione del carbone

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Sempre riguardo alla scissione dell’acqua ad alta temperatura, i nostri antenati avevano già
scoperto questo processo e lo utilizzavano, fino dall’inizio del XIX secolo, per la produzione del
cosiddetto gas di città, inviando del vapore d’acqua su un letto di carbone incandescente.
Naturalmente, in questo caso, la reazione chimica principale è leggermente più complessa e
coinvolge il carbonio. Infatti, la reazione di scissione della molecola d’acqua, in presenza di
carbonio, avviene a temperatura molto più bassa (circa 1000° C) e si scrive:

                                             C + H2O → H 2 + CO

Ne consegue che il gas di città conteneva un’elevata percentuale di monossido di carbonio. Questo
può essere rimosso, per esempio attraverso la reazione di “shift” sopra descritta, ma resta il fatto che
il processo produce anidride carbonica, che finirebbe comunque in atmosfera se non venissero
attivati sistemi di “sequestro della CO2 ”. La Fig. 2 mostra uno schema di un moderno impianto di
gassificazione a base di carbone.
                                                           Esiste una quarta maniera di produrre idrogeno
                                                      che si basa sulla decomposizione elettrolitica
                                                      dell’acqua, alimentata direttamente dall’energia
                                                      solare (vedi figura schematica a fianco, Fig. 3). In
                                                      questo caso, il processo elettrolitico sopra descritto
                                                      viene alimentato dalla corrente elettrica prodotta da
                                                      un pannello solare fotovoltaico. Rimane comunque il
                                                      fatto che, in base al Secondo Principio della
                                                      Termodinamica, solo una frazione dell’energia
                                                      solare viene trasformata in energia elettrica. Però
                                                      stavolta si tratta di energia che non ha un costo
                                                      economico e che sarebbe comunque dispersa
                                                      nell’ambiente.
                                                           A conclusione di questo capitolo, non si può non
                                                      menzionare un metodo di produzione dell’idrogeno
                                                      di origine biologica. Nella stessa maniera come,
                                                      attraverso la fotosintesi clorofilliana, le foglie delle
                                                      piante possono sintetizzare gli idrati di carbonio
                                                      utilizzando acqua e l’anidride carbonica dell’aria,
       Fig. 3: Schema di un ciclo ideale              così certi microrganismi sono in grado di produrre
               dell’idrogeno.                         idrogeno come sottoprodotto del loro sistema
                                                      metabolico.
Infatti, in presenza di luce solare, certi tipi di microbi, come talune alghe verdi o cianobatteri,
possono convertire l’acqua in idrogeno. L’attività di ricerca, in questo campo, sta facendo progressi
molto interessanti mirando a selezionare i microrganismi più efficienti.
     Infine, vale la pena ricordare che, nello sforzo di copiare la natura, sono attive ricerche miranti
alla produzione di sistemi foto-elettrochimici che diano gli stessi risultati partendo da
semiconduttori alimentati dalla luce solare. Anche in questo caso, però, il fattore limitante è dovuto
all’attacco dell’acqua sui materiali inorganici (in genere i componenti metallici).

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3-L’immagazzinamento ed il trasporto dell’idrogeno

3a. Proprietà dell’idrogeno

    L’idrogeno rappresenta la frazione maggiore di materia nell’universo (75% in massa), seguito
dall’elio (23%) e da tutte le altre specie atomiche che contribuiscono al restante 2%. Se si considera
l’abbondanza riferita alla scala atomica, la specie idrogeno appare ancora più popolata (92.7%)
seguita dall’elio (7.2%) mentre tutti gli altri atomi contribuiscono, tutti assieme, al restante 0.1 %
(Fig. 4a). A livello della crosta terrestre, l’idrogeno appare sensibilmente meno abbondante, ma
sempre in proporzione notevole sul totale. Infatti, la distribuzione atomica della materia sulla
superficie terrestre evidenzia al primo posto l’ossigeno (54.8%) seguito dal silicio (16.1%),
dall’idrogeno (15.4%) e dall’alluminio (5.1%). Tutti gli altri elementi (calcio 2.1%, magnesio 2.0%,
ferro 1.9%, sodio 1.7%, ecc.) contribuiscono al resto (Fig. 4b).

Fig. 4a: Composizione atomica dell’universo.                    Fig. 4b: Composizione atomica della superficie
                                                                          terrestre.

    L’elemento idrogeno è caratterizzato dalla struttura atomica più semplice. Esso è composto da
un solo protone ed un solo elettrone (Fig. 5a). Questa struttura, però, è instabile. Quindi, l’idrogeno
tende naturalmente legarsi chimicamente con altri elementi per formare composti più complessi. La
molecola di idrogeno, chimicamente stabile, è composta da due atomi. Essa rappresenta l’esempio
più semplice di molecola. I due protoni si trovano in posizione centrale, distanti tra loro 75 pm (=
75 10-12 m), mentre la nuvola elettronica si estende per circa 300 pm dal centro di massa della
molecola (Fig. 5b).

Fig. 5a: Rappresentazione schematica dell’atomo di              Fig. 5b: Rappresentazione schematica della molecola di
          idrogeno, composto da un solo protone (H+)                      idrogeno, composta da due protoni e due
          ed un solo elettrone (e -).                                     elettroni.

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Data la sua semplicità, e la sua importanza, l’idrogeno è il sistema più studiato: allo stato
atomico per la sua importanza in cosmologia; allo stato molecolare per la sua importanza in
astrofisica, come componente fondamentale dell’atmosfera dei pianeti esterni del sistema solare.
Per la fisica, lo studio dell’idrogeno è stato foriero di importanti scoperte che sono alla base della
meccanica quantistica. In seguito, l’utilizzo dell’idrogeno liquido come propellente per i razzi
impiegati nelle missioni spaziali ha dato nuovo impulso allo studio delle proprietà dell’idrogeno
molecolare in fase densa (gas, liquido e solido). In campo chimico, non possiamo non ricordare che
gli idrocarburi più semplici sono composti da catene in cui l’elemento costituente è formato dal
gruppo (-CH2 -). Per la biologia, l’idrogeno rappresenta un elemento fondamentale, sia in quanto
costituente dell’acqua, che rappresenta il mezzo ove avviene la totalità delle reazioni biochimiche,
sia in quanto componente principale delle bio-molecole organiche. Infine, ma certamente non meno
importante, è da notare la rilevanza dell’idrogeno nella scienza dei materiali sia come fattore
negativo (infragilimento di alcuni materiali metallici a causa delle infiltrazioni di idrogeno) che
come fattore positivo (immagazzinamento dell’idrogeno a densità elevate e basse pressioni).
     Ma torniamo al punto che ci interessa, l’importanza dell’idrogeno nel contesto dei problemi
energetici. Come accennato poc’anzi, l’idrogeno non si trova puro in natura e quindi non si può
assolutamente considerare l’idrogeno una fonte energetica. Allo stato naturale, infatti, l’idrogeno si
trova legato chimicamente con altre sostanze ed occorre spendere energia per ridurlo allo stato puro.
Una volta ottenuto l’idrogeno, è possibile conservarlo, trasportarlo, utilizzarlo per produrre energia
elettrica, o calore, nel luogo e nel tempo dove questa è necessaria. Da questo punto di vista, quindi,
l’idrogeno appare molto simile all’energia elettrica, che viene prodotta in un luogo e utilizzata in un
altro talvolta distante migliaia di chilometri. Però, a differenza dell’energia elettrica, che deve essere
prodotta nello stesso tempo in cui viene utilizzata, e che necessita di sistemi di controllo sofisticati
per bilanciare la produzione rispetto alla richiesta istantanea (i recenti black-out nazionali ci hanno
mostrato quanto questi sistemi di controllo siano importanti) l’idrogeno può essere immagazzinato e
conservato, praticamente senza perdite, per un tempo indefinito. L’idrogeno, quindi, rappresenta un
vettore energetico ideale.
     L’idrogeno molecolare, in condizioni normali di pressione e temperatura (NPT: T=0°C, p=1 bar)
è un gas incolore e inodore. Essendo il gas più leggero esistente, l’idrogeno tende a migrare verso
l’alta atmosfera (ovvero a galleggiare sull’aria). Come tutti i gas, può essere solidificato se
sottoposto a pressione. Per ottenere l’idrogeno solido a temperatura ambiente occorre comprimerlo
ad una pressione di 55 kbar. Viceversa, per ottenere l’idrogeno liquido, non basta comprimere, ma
occorre anche raffreddare. La temperatura critica è definita come quella al di sopra della quale il gas
non può essere liquefatto tramite una semplice compressione. La temperatura critica dell’idrogeno
si trova a T= 33.19 K (-240°C). Come nel caso dell’acqua e del ghiaccio, esiste un punto in cui le
tre fasi: solido, liquido e vapore coesistono. Questo punto viene definito punto triplo. Per l’acqua
questo avviene a T=0°C (equivalente a T=273.16 K). Per l’idrogeno, il punto triplo si trova alla
temperatura T=13.96 K (corrispondenti a T=-259.24°C). Nella Tabella I, qui sotto, sono riportati i
punti fissi termodinamici dell’idrogeno molecolare puro, dove n rappresenta la densità in numero di
molecole per nm3 (1nm = 10-9 m).

          Tcp (K)          Pcp(bar)         ncp(nm-3 )         Ttp (K)          Ptp (bar)            ntp (nm-3 )
           33.19            13.15             9.00              13.96            0.072                 23.06
     Tabella I: Punti fissi termodinamici dell’idrogeno molecolare, H2 . T è la temperatura assoluta in gradi
                Kelvin, P è la pressione in bar, n è la densità numerica in molecole/nm3 . L’indice cp indica il
                punto critico, l’indice tp indica il punto triplo. La densità al punto triplo rappresenta quella
                della fase liquida.

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3b. Idrogeno in fase gassosa

    Come descritto nel capitolo precedente, l’idrogeno in condizioni normali di temperatura e
pressione (NPT) è un gas abbastanza rarefatto. Questo implica che il suo contenimento può essere
ottenuto soltanto in volumi chiusi ed a tenuta stagna. Attualmente, l’idrogeno gassoso è conservato
e trasportato in bombole alla pressione di 200 bar. Una bombola standard di acciaio, del peso di 55
Kg, ha una capacità di circa 50 litri e pertanto, in approssimazione di gas ideale, conterrebbe
l’equivalente di 10 m3 (NPT) di idrogeno. Il peso netto dell’idrogeno corrispondente è di 0.731 Kg,
equivalente a 446 grammomolecole. Questa quantità di idrogeno implica un contenuto energetico di
35 kWh, valutato dalla reazione di ossidazione:

                                       H2 + ½O2 = H2 O + 286 kJ/mole.

Per confronto, un serbatoio di benzina da 30 litri, com’era quello della gloriosa Fiat 500 di un
tempo, con un peso lordo di circa 30 Kg, ha un contenuto energetico di 160 kWh. Questo semplice
paragone è sufficiente a far capire che il problema di un immagazzinamento efficiente dell’idrogeno
esiste ed è serio.
     Esistono oggi in commercio contenitori ad alta pressione, capaci di operare a 350 bar, mentre
stanno comparendo sul mercato contenitori per pressioni intorno a 700 bar. Occorre però
puntualizzare che questi contenitori non possono essere fatti semplicemente d’acciaio. Infatti,
calcoli strutturali portano a concludere che un contenitore di acciaio da 50 litri, capace di sostenere
una pressione di 700 bar, peserebbe circa 140 Kg. Inoltre, per quanto concerne il contenuto in
idrogeno, occorre tener presente che l’approssimazione di gas ideale vale soltanto a pressioni
relativamente basse. In realtà, già a 200 bar, il contenuto vero di una bombola standard da 50 litri
risulta di 362 grammomolecole (invece delle 446 del gas ideale). Lo stesso volume, a 700 bar,
contiene 980 grammomolecole. Il passaggio da 200 bar a 700 bar implica quindi un incremento nel
quantitativo di idrogeno di un fattore 2.7, che si confronta con un rapporto in peso delle bombole di
un fattore 2.5. In altre parole, utilizzando bombole d’acciaio, non si guadagnerebbe quasi niente! E’
quindi importante puntualizzare che le nuove bombole attualmente in commercio, o allo studio,
sono basate su materiali compositi (un corpo-bombola in alluminio, rivestito di polimeri rinforzati
da fibre di carbonio, o materiali similari) di elevata resistenza e peso contenuto. Soltanto in questa
maniera è possibile migliorare il rapporto di massa per l’immagazzinamento dell’idrogeno in fase
gassosa.
     Un ultima osservazione, importante dal punto di vista del bilancio energetico, concerne l’energia
necessaria alla compressione. Dal momento che la compressione di qualunque gas implica un
lavoro meccanico, ne consegue che è necessaria una spesa in termini energetici. Questa spesa
energetica dovrà essere computata nel calcolo dell’efficienza complessiva del processo. Per
esempio, in approssimazione di gas ideale, la compressione di 362 grammomolecole di idrogeno da
1 bar a 200 bar comporterebbe un costo energetico di 3 kWh, mentre quella di 980
grammomolecole a 700 bar implicherebbe 10 kWh. Dal momento che l’idrogeno, come abbiamo
osservato sopra, non è un gas ideale, questi numeri devono essere considerati dei limiti inferiori
della spesa energetica necessaria per la compressione.

3c. Idrogeno in fase liquida

   Per ottenere idrogeno in fase liquida è necessario stabilizzare la temperatura ad un livello
almeno inferiore a quella del punto critico. Questo implica che la pressione del vapore in equilibrio
con il liquido è necessariamente inferiore alla pressione critica (vedi Tab. I). L’idrogeno liquido, in
equilibrio con la pressione ambiente (p = 1 bar) ha una temperatura di 20.3 K (-252.9ºC). A queste
temperature così basse, dei tre possibili canali di trasporto del calore: convezione, conduzione ed

                  M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 7 di 14
irraggiamento, il terzo risulta il più efficiente. Dal momento che le perdite per irraggiamento
termico sono proporzionali alla quarta potenza della differenza in temperatura tra l’idrogeno e
l’ambiente esterno, appare chiaro che la conservazione dell’idrogeno in fase liquida comporta
problemi non indifferenti di isolamento termico. Inoltre, tenendo presente che alla temperatura
critica (T=33.19 K) tutto il liquido si converte rapidamente in gas, occorre controllare con molta
cura che la temperatura non salga troppo se si vogliono evitare spiacevoli fenomeni che possono
facilmente portare all’esplosione del contenitore. In pratica, questo controllo viene ottenuto dotando
il contenitore di una valvola di sfogo che impedisce alla pressione di superare un limite predefinito.
Se da un lato questo permette l’uso in sicurezza di un contenitore per idrogeno liquido, dall’altro
implica una perdita continua di gas (per evaporazione) che si traduce in un costo energetico
inevitabile.
     Fatta questa necessaria precisazione, consideriamo adesso un serbatoio della capacità di 100 litri
contenente idrogeno liquido. Questo corrisponde ad un peso netto di circa 7 Kg ed un quantitativo
di 3510 grammomolecole di idrogeno che sono in grado di fornire energia per 280 kWh. Per
confronto, un serbatoio di benzina da 50 litri implica un peso netto di 36 Kg ed un contenuto
energetico di 270 kWh. Si deve comunque considerare che il processo di liquefazione dell’idrogeno
è costoso, in termini energetici, e che una frazione non trascurabile del contenuto energetico
(stimata attorno al 30%) deve essere spesa per produrre idrogeno liquido a partire dal gas.
     La Tabella II, riassume quanto esposto fin’ora, evidenziando la capacità di immagazzinamento
in peso (penultima colonna), ed il contenuto energetico (ultima colonna) per le varie tecniche che
utilizzano l’idrogeno gassoso o liquido.

                                       T        p         V         N    Peso H2 Tara Capacità               E
                                      (K)     (bar)     (litri)   (mole)   (Kg)  (Kg) (% peso)             (kWh)
 Gas in bombola di acciaio            298      200       50       362.5   0.731   55    1.3                 28.9
 Gas in bombola di materiale
 composito (base alluminio)           298      200       50       362.5     0.731       22           3.2      28.9

 Gas in bombola di acciaio            298      700       10       196       0.395       28           1.4      15.6
 Gas in bombola di materiale
 composito (base alluminio)           298      700       10       196       0.395       15           2.6      15.6

 Idrogeno liquido                    20.3       1        50       1755       3.54       50           6.6      140

   Tabella II: Stima delle capacità di immagazzinamento (in peso) e del contenuto energetico (in kWh)
               dell’idrogeno in fase gassosa e liquida. Le prime due righe forniscono dati per il gas
               compresso a temperatura ambiente ed alla pressione standard di 200 bar (bombole industriali
               di acciaio oppure composite, a base di alluminio). Le seconde due righe forniscono la stessa
               informazione per il gas ad alta pressione (700 bar). La quinta riga fornisce una stima per
               l’idrogeno liquido a bassa temperatura (T=20.3 K).

3d. Idrogeno nei materiali nanoporosi

    La grafite è composta da piani di carbonio, disposti in un reticolo esagonale, nel quale i legami
covalenti del carbonio sono saturati. I diversi piani sono quindi tenuti assieme dalle deboli forze di
Van der Waals e la grafite risulta infatti molto facilmente sfaldabile. La capacità dell’idrogeno di
aderire alla superficie dei piani di grafite è nota da tempo e questa caratteristica è alla base di un
brevetto, registrato negli USA nel 1997, che prevede la possibilità di immagazzinare idrogeno in
materiali planari nanostrutturati.

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Recentemente sono state scoperte nuove strutture, a base di carbonio, che sono topologicamente
equivalenti ad un arrotolamento di un singolo foglio di grafite (vedi Fig. 6a). Queste strutture,
chiamate nanotubi, sembrano possedere interessanti caratteristiche per l’immagazzinamento
dell’idrogeno (Fig. 6b). I nanotubi di carbonio sono caratterizzati da un diametro variabile,
tipicamente, tra 1 e 2 nm (10-9 m) e lunghezze di qualche µm (10-6 m). Essi tendono a raggrupparsi
parallelamente, disposti a mazzi che sono composti da alcune decine elementi. Anche in questo
caso, come in quello della grafite, i nanotubi sono tenuti assieme dalle deboli forze di Van der
Waals.
     Il fenomeno “nanotubi” è letteralmente esploso, recentemente, quando alcuni ricercatori hanno
riportato valori tra il 5% ed il 10%, in peso, della capacità di immagazzinamento dell’idrogeno da
parte dei nanotubi di carbonio. Questi valori appaiono notevoli se si considera che il Department of
Energy degli USA ha fissato al 6.5% la capacità minima ammissibile perché un materiale possa
essere considerato un valido candidato per l’immagazzinamento dell’idrogeno in serbatoi per
l’autotrazione (cf. Tabella II).

Fig. 6a: Rappresentazione schematica di un foglio di              Fig. 6b: Rappresentazione schematica di possibili
grafite. Gli atomi di carbonio si trovano ai vertici degli        nanotubi di carbonio ottenuti dal ripiegamento
esagoni.                                                          topologico di un foglio di grafite.

     Sebbene questi risultati non siano stati confermati da altri ricercatori, e sia oggi appurato che la
capacità di immagazzinamento dell’idrogeno nei nanotubi di carbonio sia sensibilmente inferiore
alle stime iniziali, la curiosità di capire come l’idrogeno possa essere assorbito da questi materiali
ed in particolare, in quali posizioni e attraverso quali meccanismi esso si leghi al carbonio, ha
innescato importanti filoni di ricerca scientifica nei quali anche il nostro gruppo di ricerca del CNR-
ISC fiorentino è coinvolto. A tale scopo, abbiamo programmato una serie di esperimenti, che
utilizzando tecniche termodinamiche, misure di spettroscopia ottica e misure di diffrazione
neutronica, mirano a determinare le posizioni relative microscopiche delle molecole di idrogeno
rispetto al reticolo formato dai nanotubi di carbonio.
     Esistono però altri materiali che appaiono altrettanto, se non più, promettenti e che sono noti
come reticoli metallorganici (o MOF: Metal Organic Frameworks) che negli ultimi anni hanno
conosciuto uno sviluppo notevole. In pratica, si tratta di strutture organiche complesse, coordinate
da un metallo, che sviluppano un reticolo tridimensionale caratterizzato dalla presenza di un elevato
volume interno composto da cavità di dimensioni nanometriche (vedi Fig. 7).

                       M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 9 di 14
Fig. 7: Rappresentazione schematica della struttura di un MOF a base di rame sintetizzato dall’Università di
            Nottingham (UK). Sulla sinistra, la formula chimica di struttura. Sulla destra l’immagine
            tridimensionale del composto, dove si notano le cavità dove si concentra l’idrogeno.

    La capacità di immagazzinamento dell’idrogeno, da parte dei MOF, risulta almeno equivalente,
se non superiore, a quella dei nanotubi di carbonio. Questo fatto ha innescato una vivace attività di
ricerca su questi composti.

3e. Idruri metallici

     L’immagazzinamento dell’idrogeno nei materiali nanoporosi avviene utilizzando il fenomeno
dell’adsorbimento fisico delle molecole di gas sulla superficie del substrato. Esiste però un’altra
possibilità di immagazzinare idrogeno, questa volta in forma atomica, con legami chimici più o
meno stabili. Infatti, esistono metalli, per esempio il palladio, che sono in grado di assorbire
idrogeno come una spugna. Il fenomeno può essere sommariamente descritto facendo riferimento
alla Fig. 8. Nella figura di sinistra viene schematizzato il processo di assorbimento dell’idrogeno.
Le molecole di idrogeno, a contatto con la superficie metallica, si dissociano (a spese dell’energia
interna del reticolo). Gli atomi di idrogeno, quindi, migrano nel reticolo cristallino andandosi a
posizionare nei siti interstiziali, caratterizzati da un livello energetico favorevole (e quindi
restituendo energia al sistema metallo+idrogeno). La reazione è globalmente esotermica. Nella
figura di destra, sono riportate le isoterme del sistema Pd+H e si osserva come, a temperatura
ambiente, una pressione di poche decine di mbar sia sufficiente a formare l’idruro di palladio
Pd H0.6.

Fig. 8a: Rappresentazione schematica del processo di             Fig. 8b: Isoterme che rappresentano l’assorbimento
assorbimento dell’idrogeno da parte di un metallo.               dell’idrogeno da parte del palladio. In ascisse è
                                                                 riportata la frazione atomica (H/Pd).

                     M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 10 di 14
Nel caso del palladio, la situazione appare molto favorevole. Ma questo non è l’unico caso.
Infatti il titanio forma l’idruro Ti H1.97 mentre l’idruro di vanadio ha una formula VH2 . Tutto questo
è ben noto da tempo, ma altrettanto ben noto è il fatto che la capacità di immagazzinamento in peso
degli idruri metallici non appare favorevole per usi pratici, a causa dell’elevato peso atomico del
metallo coinvolto. Infatti le relative capacità di immagazzinamento in peso sono rispettivamente di
0.72% (Pd), 3.98% (Ti), e 3.81% (V) cioè ben al di sotto del limite (6.5%) fissato dal DOE.
    Sebbene penalizzati dal fattore peso, gli idruri metallici interstiziali sono caratterizzati da una
notevole facilità di scambiare idrogeno. Tale caratteristica, però, viene perduta quando si passano ad
analizzare gli idruri dei metalli più leggeri. D’altra parte, in questi casi, esistono esempi interessanti:
si passa da una capacità di immagazzinamento in peso del 12.7% dell’idruro di litio, al 4.2 %
dell’idruro di sodio, al 7.6% dell’idruro di magnesio ed al 4.8% dell’idruro di calcio. Purtroppo,
come già accennato, a queste elevate capacità corrispondono difficoltà altrettanto elevate nei
processi di idrogenazione (uptake) e di deidrogenazione (release). Per esempio, per ottenere
idrogeno ad 1 bar dall’idruro di magnesio occorre scaldare il composto a 287ºC. Per non parlare
della difficoltà, in termini energetici, di sintetizzare di nuovo l’idruro partendo dai componenti (Mg
e H2 ). Nel caso dell’idruro di litio, la temperatura corrispondente sale a 894ºC.
    La situazione apparirebbe critica se non fosse stato scoperto che gli idruri metallici complessi
hanno un comportamento meno ostile di quelli binari. Per esempio, un composto a base di lantanio,
nichel e alluminio è capace di assorbire idrogeno, formando l’idruro complesso LaNi4.7Al0.3H6 che è
caratterizzato dalla presenza di un atomo di idrogeno per ogni atomo di metallo e da una capacità di
assorbire e desorbire idrogeno molto più facilmente del palladio. In questo caso, la capacità di
immagazzinamento in peso risulta ancora poco efficiente (1.4%). D’altra parte, esistono altri tipi di
idruri metallici complessi con caratteristiche migliori. Si tratta di idruri nei quali la base metallica è
formata da alluminio (alanati) o dal boro (boroidruri). In questi casi, la capacità teorica di
immagazzinamento risulta molto buona, anche se i problemi da risolvere non mancano. La
situazione è descritta nella Tabella III, qui di seguito.

             idruro         C.T.              Trt          Rilascio parziale                Trp
                          (% peso)           (ºC)                (%)                       (ºC)
          LiAlH4            10.6             150                  6.4                      100
          NaAlH4             7.5             250                  4.3                      180
          LiBH4             18.3             330                 0.46                       75
          NaBH4             10.7             400                 0.69                      240

         Tabella III: Alanati e boroidruri. Nella seconda colonna è riportata le capacità teorica massima
                  (in peso), mentre nella terza viene data la temperatura necessaria per il rilascio totale
                  dell’idrogeno contenuto. Nella quarta colonna sono indicate le frazioni parziali di
                  idrogeno che vengono rilasciate, alle corrispondenti temperature riportate in colonna 5.

     Si nota immediatamente che, in tutti i casi riportati, la capacità di immagazzinamento risulta
migliore del limite fissato dal DOE a che tutte queste risultano addirittura migliori di quella
dell’idrogeno liquido (6.6%). Inoltre, si osserva che l’alanato di litio, oltre a mostrare una capacità
di immagazzinamento particolarmente interessante, è caratterizzato da una temperatura di rilascio
totale relativamente bassa (150ºC). D’altra parte, si osserva anche che questo composto rilascia oltre
metà del suo contenuto in idrogeno ad una temperatura sensibilmente inferiore (100ºC). Se ne
deduce quindi che esistono composti intermedi e che l’idrogeno forma legami di diversa forza.
Interessante è anche il caso del boroidruro di litio che inizia a rilasciare idrogeno a 75ºC seppur in
quantità nettamente inferiore al totale.
     La peculiarità più saliente della Tabella III è rappresentata dalla elevata variabilità dei parametri
su composti molto simili. Questo suggerisce che un opportuno drogaggio dei materiali potrebbe
migliorare drasticamente le loro caratteristiche. A questo scopo sono stati avviati programmi di

                   M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 11 di 14
ricerca che mirano a definire in maniera quantitativa le caratteristiche di questi materiali, anche e
soprattutto a livello microscopico, con lo scopo finale di selezionare i migliori drogaggi che
possano dar luogo a composti più funzionali per un efficace immagazzinamento dell’idrogeno. In
questo caso, le tecniche spettroscopiche (p. es. ottiche e infrarosse) hanno un ruolo insostituibile.
Ma un ruolo ancora più rilevante viene svolto dalle tecniche di spettroscopia neutronica, grazie
all’elevata sensibilità dei neutroni nei confronti della dinamica dei protoni (H+).

4-Utilizzo dell’idrogeno per produrre energia

     Appare chiaro, da quanto detto in precedenza, che la reazione chimica utilizzata per la
produzione di energia è quella di ossidazione dell’idrogeno che abbiamo già introdotto nel Cap. 3a.
Questa reazione di ossidazione, se fatta avvenire in maniera spontanea, magari mischiando i gas nei
rapporti opportuni (proporzione stechiometrica) e innescando la reazione con una scintilla elettrica,
è esplosiva. Questa viene attualmente utilizzata nei prototipi di motore a scoppio operanti ad
idrogeno e di cui si sente parlare ogni tanto nei media. Quasi tutte le grandi marche
automobilistiche hanno prodotto un’auto a idrogeno che funziona su questo principio. D’altra parte,
nonostante tutta la buona volontà e la migliore tecnologia, non si può aggirare il Secondo Principio
della Termodinamica e quindi l’efficienza di produzione di lavoro meccanico è sempre e comunque
molto inferiore al 100%.
     Il fatto è che, se si produce calore, una buona fetta di questa energia termica viene dispersa
nell’ambiente e non è più utilizzabile. Sia che si tratti di motori a scoppio che di turbine. Diverso è
il panorama che si presenta nel caso che la reazione di ossidazione avvenga, in maniera controllata,
all’interno di una cella a combustibile. In questo caso, gli effetti termici sono molto più contenuti e
l’efficienza di conversione cresce a valori molto più prossimi al valore teorico, che è 1. Resta
comunque il fatto che, sempre a causa del Secondo Principio della Termodinamica, l’efficienza non
potrà mai essere uguale a 1.
     Ma come funziona una cella a combustibile? Lo schema di principio è rappresentato in Fig. 9.

                                                                L’idrogeno (il combustibile) entra nella cella
                                                                dal lato dell’anodo. Questo contiene un
                                                                catalizzatore che scinde ciascuna molecola di
                                                                idrogeno in 2 protoni (i due elettroni in
                                                                eccesso migrano nel circuito elettrico):

                                                                                 2 H 2 → 4H + + 4e −

                                                                I protoni, carichi positivamente e dotati di
                                                                un’elevata mobilità, passano nell’elettrolita e
                                                                migrano al catodo, anch’esso contente un
                                                                catalizzatore, dove in presenza di molecole di
                                                                ossigeno (il comburente) avviene la reazione
                                                                chimica:

                                                                             O2 + 4 H + + 4e − → 2 H 2O

                                                                Gli elettroni che entrano in gioco in questa
Fig. 9: Rappresentazione schematica di una cella a              reazione catodica sono i soliti che erano stati
        combustibile operante ad idrogeno.
                                                                prodotti, all’anodo, durante di scissione di due
                                                                molecole di idrogeno. Quindi, il ciclo si

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chiude inducendo una corrente elettrica nel circuito esterno, e producendo un pò di calore
nell’elettrolita. Maggiore la quantità di calore prodotta, minore l’efficienza del processo. E
comunque, che si generi calore è inevitabile, sia a causa dell’effetto ohmico nel circuito elettrico
esterno che per la dissipazione termica indotta dal movimento dei protoni nell’elettrolita.
     Pertanto, in una cella a combustibile si può produrre energia elettrica direttamente, senza passare
attraverso la fase di conversione di calore in lavoro meccanico, e quindi con un’efficienza in
generale maggiore. Naturalmente, sia le tensioni che le correnti in gioco sono ridotte e quindi, per
applicazioni di potenza occorre raggruppare molte celle a combustibile (costruendo un cosiddetto
stack). Il problema ingegneristico più importante, in questa fase, è rappresentato dalla dissipazione
del calore prodotto nelle singole celle. Infatti, se la temperatura sale troppo, le membrane
polimeriche che sono parte integrante dell’elettrolita si deteriorano e la cella smette di funzionare.
     Per quanto riguarda questo tipo di celle a combustibile, la ricerca mira alla produzione di
membrane polimeriche sempre migliori, più permeabili alla diffusione dei protoni e resistenti a
temperature più alte. Un altro aspetto non indifferente, legato al miglioramento delle celle a
combustibile, è costituito dalla ricerca sui catalizzatori. Infatti, questi sono tradizionalmente
costituiti da nanoparticelle di metalli nobili (tipicamente platino e rutenio) che, a parte il costo,
rappresentano un fattore limitante per una produzione di massa di carattere globale. Vale la pena
ricordare che, proprio a Firenze, presso il CNR-ICCOM, è stato messo a punto un catalizzatore che
non contiene platino, pur presentando delle caratteristiche di efficacia di tutto rispetto.

5-Prospettive

    Il problema dell’immagazzinamento rappresenta un punto cruciale per un efficace utilizzo
dell’idrogeno come vettore energetico. Ad oggi, in Italia, la capacità di immagazzinamento standard
di idrogeno è situata ai livelli, bassi, (1.3% in peso) che si ottiene dall’immagazzinamento del gas in
bombole d’acciaio a 200 bar. Ricordiamo che il limite inferiore, fissato dal DOE per un possibile
uso dell’idrogeno in autotrazione, è del 6.5 %. L’idrogeno liquido soddisfa a questo limite (come
ampiamente mostrato dalla casa automobilistica BMW) con una capacità del 6.6%. D'altra parte,
esistono oggi potenzialità ampiamente superiori, che implicano l’utilizzo di materiali innovativi, in
grado di superare abbondantemente questi valori in termini di sicurezza e di efficienza di
immagazzinamento. Per questi materiali, il problema è rappresentato dall’elevata temperatura
necessaria ad un efficace rilascio dell’idrogeno oltre che alle difficoltà, in termini energetici, di
reidrogenare efficacemente il materiale. In altre parole, occorre operare per rendere più efficiente la
cinetica di reazione dei processi di idrogenazione e de-idrogenazione del materiale assorbente.
    La ricerca scientifica può dare un contributo fondamentale in questo campo. La fisica della
materia e la scienza dei materiali, in generale, hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni, questo
anche grazie alle tecniche diagnostiche, sempre più sofisticate, di cui la scienza è riuscita a dotarsi.
Tra queste si ricordano le tecniche di spettroscopia e diffrazione neutronica, quelle che utilizzano i
raggi X (inclusa la radiazione di sincrotrone), le tecniche di spettroscopia ottica, la risonanza
magnetica nucleare, la microscopia elettronica.
    E’ un dato di fatto che la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi ha da tempo superato il suo
valore di picco. E’ pertanto logico attendersi che anche la produzione di petrolio subirà una simile
sorte in tempi non troppo distanti dal presente. D’altro canto, è impensabile immaginare una
crescita della produzione energetica su scala planetaria basata sui combustibili fossili. Né il pianeta,
né i suoi abitanti sono in grado di sostenere il ritmo di crescita dell’inquinamento ambientale che
appare quotidianamente ai nostri occhi. La soddisfazione del Protocollo di Kyoto, seppur vista con
favore dalla maggior parte dei paesi occidentali, tranne USA, Russia e Australia, non risulterà facile
se non riusciremo a cambiare registro. L’idrogeno rappresenta un’opportunità per cambiare tutto
questo. E’ solo questione di tempo (prima che i rubinetti del petrolio si esauriscano) e di risorse
messe a disposizione della ricerca scientifica.

                  M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 13 di 14
I mezzi scientifici per vincere la corsa contro il tempo ci sono. Per quanto concerne le risorse,
queste sono decisioni che non dipendono dagli scienziati ma dalla politica e dalla comunità dei
cittadini del mondo.

6-Ringraziamenti

    Desidero innanzitutto ringraziare il Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’interno del quale si è
sviluppata la mia carriera scientifica, per tutte le cose che ho imparato e per i pochi problemi che,
pur nell’ambito modesto delle mie capacità, ho contribuito a risolvere. Considero un grande
previlegio il poter svolgere un lavoro che è prima di tutto interessante per chi lo fa e poi si spera
possa divenire, in futuro, anche importante per chi lo paga, ovvero i contribuenti Italiani.
    Ringrazio i miei colleghi e collaboratori (Ubaldo Bafile, Milva Celli, Daniele Colognesi e
Lorenzo Ulivi) per la dedizione e la competenza con cui hanno contribuito alla crescita scientifica
del nostro gruppo di ricerca.
    Ringrazio anche i giovani che si sono uniti più di recente al gruppo (i precari della ricerca) senza
il lavoro dei quali tante attività non avrebbero potuto essere svolte o sviluppate (Laura Bartoli,
Alessandra Giannasi e Francesco Grazzi).
    Un ringraziamento anche agli studenti del dottorato europeo (Progetto HyTRAIN) che hanno
lavorato, o stanno lavorando, nel nostro gruppo (Marko Feldic e Irvin Telepeni).
    Last but not least, un grazie di cuore a tutte le Istituzioni che ci hanno dato fiducia, contribuendo
finanziariamente ai nostri progetti di ricerca:
        • Unione Europea FP6 (Progetto HyTRAIN)
        • Ente Cassa di Risparmio di Firenze (Progetto Firenze Hydrolab)
        • Regione Toscana (Progetto Elettro-Bio-Idrogeno)
        • Unione Europea FP7 (Progetto NanoHy)

    Un’ultima precisazione. Il firmatario è soltanto l’estensore di questo articolo. Le informazioni,
le conoscenze, le ricerche descritte sono il frutto di un lavoro di equipe a cui hanno contribuito,
ognuno per i propri meriti, non solo tutti i componenti del gruppo di ricerca, ma anche tutti gli
innumerevoli collaboratori sparsi in Italia, in Europa, e nel mondo, che hanno spezzato assieme a
me il pane della scienza. A tutti, troppi per essere elencati qui, va il mio sentito ringraziamento.

7-Per saperne di più

   International Association for Hydrogen Energy
   European Hydrogen Association
   Canadian Hydrogen Association
   German Hydrogen Association
   Energy.gov
   International Energy Agency
   International Partnership for the Hydrogen Economy

                  M.Z.: Il ruolo dell’idrogeno nel futuro energetico del pianeta. Pagina 14 di 14
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