Il romanzo dopo il 1945: Pasolini o Calvino? - Gino Tellini - Formazione ...
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SOMMARIO ● Perché un confronto? (3-8) ● Il neorealismo: l’impegno del narratore (9-21) ● Crisi della poetica neorealistica (22-27) ● Lo «sperimentalismo» di Pasolini e di Calvino (28-37) ● Pasolini o Calvino? (38-52) ● Chi scegliere? (53-58)
Perché un confronto?
PERCHÉ UN CONFRONTO? ● i confronti tra autori aiutano a capire ● confrontarsi significa entrare in rapporto con l’altro, con le idee dell’altro ● confrontarsi significa uscire da sé, allenarsi al dialogo, all’apertura verso l’altro
PERCHÉ UN CONFRONTO? ● in letteratura, come nella vita, esistono opinioni, idee da confrontare, ragioni personali, ragioni relative, non sempre assolute, non sempre perentorie… ● problemi complessi, questioni vitali, questioni decisive, si possono affrontare, considerare da più punti di vista…
PERCHÉ UN CONFRONTO? ● distinguere tra «torto» e «ragione» è sacrosanto, specie per questioni che comportano la possibilità di accertamenti razionali, documentari, oggettivi... (anche in letteratura: date, edizioni, rapporti biografici, aspetti linguistici, metrici, filologici.... ) ● ma in tante questioni distinguere tra «torto» e «ragione» non è facilmente consentito (specie nel campo del giudizio estetico, ma spesso anche nel campo dell’interpretazione ...)
PERCHÉ UN CONFRONTO? ● chi ha ragione, nel primo Ottocento, il romantico Manzoni o il classicista Leopardi, coevi e antitetici? ● nel secondo Ottocento, nell’Italia postunitaria, chi ha ragione, il classicista Carducci o l’anticlassicista Verga, coevi e antitetici? ● si possono fare altri esempi...
PERCHÉ UN CONFRONTO? ● gli autori non sono uguali: anzi, possono essere antitetici ● e ogni lettore ha il diritto di scegliere l’autore che preferisce, anzi è bene che scelga, che dichiari le sue preferenze, che dichiari se stesso ● però deve anche abituarsi a capire le ragioni dell’altro.
Il neorealismo: l’impegno del narratore
L‘età della speranza Nell’Italia della Liberazione, vinta ma liberata dalla dittatura, s’accende un impulso di speranza e di fervore ricostruttivo. «Sopraggiunse, repentino, il tempo meraviglioso della speranza. È stato il solo tempo della vita, per cui valeva la pena di vivere» (GIUSEPPE RAIMONDI, Prefazione, in Le domeniche d’estate, Milano, Mondadori, 1963, pp. 19-20). Giuseppe Raimondi (Bologna, 1898-1985)
L‘età della speranza «Di ottimismo e di fiducia allora erano piene le strade» (NATALIA GINZBURG, Fiore gentile, Pavese e Calvino, in «L’Unità», 17 aprile Natalia Ginzburg 1988). (1916-1991)
L‘età della speranza Non si dibatte già un problema di forma, ma di sostanza, di «elementare universalità dei contenuti» (Italo Calvino, Prefazione [retrospettiva, 1964] a Il sentiero dei nidi di ragno, 1947). La forma è messa da parte come cattiva eredità del Italo Calvino regime. (1923-1985)
L‘età della speranza «Tensione morale» è ora la parola-chiave che risuona nella celebre Prefazione (1964) di Calvino: come «fatto fisiologico, esistenziale, collettivo», come bisogno di «ricominciare da zero», d’«esprimere» se stessi e «il sapore aspro della vita» con una «carica esplosiva di libertà». Prima ed. 1947, Nuova ed. 1964
L‘età della speranza «Tensione morale» significa Una nuova cultura, che è il titolo scelto da Vittorini per l’editoriale d’apertura, il 29 settembre 1945, della rivista «Il Politecnico» (1945- 1947): «Non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini». La nota redazionale del secondo numero (6 ottobre 1945), dal titolo Il Politecnico, incalza: «fede nella ricerca dell’umana felicità su questa terra e nel progresso civile». Non si chiede poco. Il proponimento è civile, etico, ideologico, sociale. Elio Vittorini (1908-1966)
L‘età della speranza In polemica aperta (... il senno del poi) con la cultura ermetica, s’inaugura la stagione neorealistica dell’«impegno», dell’engagement (la parola d’ordine è di Sartre, in Qu’est-ce-que la littérature?, 1947): l’età Jean-Paul Sartre breve della speranza, (1905-1980) dell’entusiasmo ricostruttivo.
L‘età della speranza Appaiono a stampa i testi Antonio capitali di Antonio Gramsci Gramsci (Lettere dal carcere, 1947; Il (1891- 1937) materialismo storico e la filosofia di B. Croce, 1948; Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, 1949; Il Risorgimento, 1949; Letteratura e vita nazionale, 1950) e Il sangue d’Europa. 1939-1943 (1950), libro sorprendente del giovanissimo Giaime Pintor.
L‘età della speranza Appaiono ora le traduzioni di György Lukács (Saggi sul realismo, 1950; Il marxismo e la critica letteraria, 1953), di Arnold Hauser (Storia sociale dell’arte, 1955-1956), dei maestri della stilistica come Leo Spitzer (Critica stilistica e semantica storica, 1954) e Erich Auerbach (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, 1956), dei teorici della scuola di Francoforte, come Theodor Adorno (Minima moralia, 1954) e Walter Benjamin (Angelus Novus, 1959).
Neorealismo Cronologicamente circoscritto nell’arco di circa un decennio, dal 1943 ai primi anni Cinquanta, il Neorealismo, ovvero l’illusione d’avere la «realtà» a «portata di mano», comporta istanze di carattere ideologico, professioni di fede politica, resoconti d’esperienze vissute e di fatti accaduti, registrazioni d’eventi. «Il Politecnico», dir. Vittorini, Milano, 1945-1947
Neorealismo Il Neorealismo aspira a un’arte corale e collettiva, epica e popolare, ove la rilettura di Verga (ma spogliato del pessimismo) si unisce ai colori dell’America di Vittorini e Pavese. Di contro al preziosismo della «bella scrittura», e agli arabeschi eleganti della prosa d’arte, prevale un linguaggio orale, rapido e quotidiano, di secca resa «Società», dir. Ranuccio Bianchi comunicativa, con inserti Bandinelli, Firenze, 1945-1961 gergali e dialettali.
Neorealismo Sono due le strade maestre, entrambe all’insegna dell’eloquenza testimoniale: una strada è costituita dalle cronache di guerra, di lotta partigiana, di prigionia, nate dall’imperativo etico di non dimenticare (Beppe Fenoglio, il primo Calvino, Il sentiero e i racconti di Ultimo viene il corvo, 1949; Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947; Tiro al piccione di Giose Rimanelli, 1953 ...).
Neorealismo L’altra strada è il viaggio, come già in epoca postunitaria, alla riscoperta delle tante Italie emarginate, depresse, diseredate, mosaico di genti e di linguaggi (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 1945, Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, 1955, l’esordiente Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, 1956). Racconto picaresco, sincerità referenziale, pathos solidaristico, e insieme denuncia di violenze patite, inchiesta-reportage su una terra angustiata dall’arretratezza e dalla miseria.
Crisi della poetica neorealistica
ESAURIMENTO DELLA POETICA NEOREALISTICA Gli entusiasmi resistenziali s’irrigidiscono in strategia propagandistica, in schieramento di partito: «già stavo a pelo ritto, a unghie sfoderate contro l’incombere d’una nuova retorica» (Calvino, Prefazione, 1964).
Due rischi della poetica neorealistica Sono due i rischi sostanziali della poetica neorealistica: 1. esaurirsi nel mero attestato documentario e nel referto di costume; 2. non avere un’adeguata consapevolezza tecnico-linguistica, tanto da scadere nel tono celebrativo del melodramma sociale e del pedagogismo ideologico.
Crisi del neorealismo Il tramonto delle speranze neorealistiche, nella depressione degli anni Cinquanta, cade a ridosso del «miracolo economico» che trasforma nel decennio successivo abitudini, usi, costumi nazionali.
Benessere e nuovi squilibri Il precipitoso sviluppo produttivo del boom industriale (la Fiat 600 nel 1955, nell’aprile 1956 è prodotta la milionesima Vespa, poi frigoriferi, lavatrici, televisori...) allenta la morsa di miseria del dopoguerra, ma non fa in tempo a dare stabilità alla vita civile che subito porta con sé scompensi, insicurezze, squilibri (flussi migratori interni, frattura Nord-Sud, disuguaglianze sociali, rivoluzione antropologica, decollo dei consumi privati e arretratezza dei servizi pubblici...).
Benessere e nuovi squilibri Alienazione è la parola che sintetizza un diffuso malessere. Nuove attese deluse. Euforia di progresso e aria di cuccagna, ma insieme difesa del profitto e culto dell’individualismo; ricerca dell’utile personale e familiare, accompagnata da «fretta e ansia e rabbia», con la smania d’un «edonismo obbligatorio» (Calvino, La «belle époque» inaspettata, 1961).
Lo «sperimentalismo» di Pasolini e di Calvino
CRISI DEL NEOREALISMO Sperimentalismo (P.P. Pasolini, La libertà stilistica, in «Officina», 1957): sintesi tra Ermetismo (= ricerca formale divenuta una prigione) e Neorealismo (= impegno civile ma con linguaggio approssimativo e strumentale): → lo «sperimentalismo» intende, da un lato, rifiutare l’«evasività» ermetica, ma recuperandone la lezione espressiva, e dall’altro abbandonare lo schematico contenutismo neorealistico, ma recuperandone la passione ideologica.
CRISI DEL NEOREALISMO Neoavanguardia (I novissimi, 1961; Gruppo 1963, Palermo: Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta, Alberto Arbasino...): In polemica con gli scrittori di «Officina» e con la loro prospettiva d’una nuova relazione tra cultura e politica, i neoavanguardisti hanno un obiettivo di ascendenza futurista: il rifiuto radicale del passato e insieme il rifiuto d’ogni responsabilità di tipo sociale e politico, con conseguente irrisione del realismo postbellico.
CRISI DEL NEOREALISMO Di fronte alla nuova civiltà industriale, che ha spersonalizzato e ridotto a «merce» di consumo il prodotto artistico, per i «novissimi» ogni forma di «impegno» ideologico è illusoria. L’unica strada praticabile è a loro avviso, come per tutte le avanguardie, l’eversione distruttiva, la letteratura come asocialità, paradosso, provocazione, con il risultato, spesso, della illeggibilità.
I due romanzi romani di Pasolini Proprio sulla linea dello «sperimentalismo» sono orientati i romanzi Ragazzi di vita del 1955 (lo stesso anno in cui esce Metello di Vasco Pratolini), opera processata per «oscenità», e Una vita violenta del 1959: un quadro desolato delle borgate romane e della emarginazione urbana, disegnato, nei suoi aspetti di più viscerale e fisiologica vitalità, con un'imperterrita adesione sentimentale.
I due romanzi romani di Pasolini La novità risiede nell'uso d’uno strumento linguistico (sensibile all’esempio di Gadda) che sa ricorrere a originali contaminazioni di dialetto, di lingua letteraria e di forme gergali. Nell'impianto strutturale, la fusione tra la voce narrante e il parlato dei personaggi, con impiego d’una vivacissima espressività regionale, rinvia (attraverso l’esempio di Cesare Pavese con Paesi tuoi, Il grande Verga 1941) alla lezione del Verga «rusticano». (1840-1922)
Lo «sperimentalismo» di Calvino Pasolini teorizza lo «sperimentalismo». Calvino no. Ma, negli stessi anni, Calvino «sperimenta» a suo modo, battendo altre Calvino e Pasolini strade, ovvero, con propria originalità, difende il rigore espressivo e la passione civile.
Lo «sperimentalismo» di Calvino Dal Neorealismo «a carica fiabesca» (Elio Vittorini) di Il sentiero dei nidi di ragno (1947) Calvino passa a testi d’impegno civile e Italo Calvino contemporaneamente (1923-1985) d'invenzione fantastica
Lo «sperimentalismo» di Calvino Da un lato, propone l’analisi critica della nuova società speculativa e affaristica, dando voce a personaggi disillusi, che hanno visto cadere le speranze di riforma sociale, di democrazia, di solidarietà proprie del periodo resistenziale: indicativi in questo senso i racconti di L'entrata in guerra (1954), come i brevi romanzi La speculazione edilizia (1957, su «Botteghe La giornata d’uno Oscure», 1963 in vol.), La nuvola di scrutatore, smog (1958, su «Nuovi Argomenti») Torino, Einaudi, 1963 e La giornata d'uno scrutatore (1963).
Lo «sperimentalismo» di Calvino Dall'altro lato, sceglie il registro del settecentesco «racconto filosofico», tra allegoria morale e allusività satirica, con tre romanzi fantastici: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), poi ristampati sotto l'unico titolo I nostri antenati (1960). Di fronte alla disillusione del presente, il narratore proietta nel registro della pura fantasia la sua resistenza di intellettuale «illuminista», il suo sogno utopico di un'umanità integra e libera, in I nostri antenati, armonia con la natura. Torino, Einaudi, 1960
Pasolini o Calvino?
Due coetanei antitetici Pasolini Pasolini e Calvino sono coetanei (Pasolini (1922- nasce il 5 marzo 1922 e Calvino il 15 1975) ottobre 1923). Entrambi sentono la necessità di reagire alla poetica dell’Ermetismo, con un tipo nuovo di letteratura che affronti il rapporto con la realtà sociale dell’Italia uscita dal fascismo e dalla guerra. Entrambi esordiscono negli stessi anni, nel clima del Neorealismo. Calvino Sul piano personale, hanno intrattenuto (1923- rapporti cordiali (come mostrano anche 1985) le lettere private di entrambi), con attestati di reciproca stima. Eppure le loro posizioni sono divergenti e antitetiche.
Tra Bilancia e Pesci Sono divergenti, già a partire dal segno zodiacale. È stato Calvino, in un’intervista del 1980, a richiamare l’attenzione sull’equilibrio che gli viene dall’essere nato nel segno della Bilancia: «Comincerò dicendo che sono nato nel segno della Bilancia: perciò nel mio carattere equilibrio e squilibrio correggono a vicenda i loro eccessi». Quanto a Pasolini, nato nel segno dei guizzanti e imprendibili Pesci, emblema di contraddittorie emozioni, è chiaro che l’equilibrio non è la sua caratteristica fondamentale.
Voce pubblica e arte del silenzio Pasolini, specie negli ultimi anni d’attività, si è distinto per continui interventi giornalistici o televisivi, a sostegno della costante presenza della sua voce di intellettuale. Calvino, invece, riservato e taciturno, ha confidato in un’intervista del 1984: «Tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi e nessuno conosce più l’arte del silenzio, che è più difficile dell’arte del dire».
Effusione di Pasolini «Lo scandalo del contraddirmi» è un verso famoso di Pasolini, nel poemetto Le ceneri di Gramsci (1957) e rinvia ai contrastanti impulsi di «passione e ideologia» che muovono l’opera dello scrittore e del regista, sempre ricca di confessioni, di Pier Paolo Pasolini valutazioni personali, di (1922-1975) giudizi, di verdetti polemici.
Laconicità di Calvino «Sono laconico», ha confessato Calvino (lettera a Domenico Rea, Torino, 13 marzo 1954), «per indole, in cui si perpetua il retaggio dei miei padri liguri, schiatta quant’altre mai sdegnosa d’effusioni. E ancora, soprattutto, per convincimento morale, poiché lo credo [essere laconico] un buon metodo per comunicare e conoscere, migliore d’ogni Italo Calvino espansione incontrollata e (1923-1985) ingannevole […]: io vorrei che […] quanti parlano della propria faccia o dell’ ‘anima mia’ si rendessero conto di dire cose vane e sconvenienti».
Calvino a proposito di Le ceneri di Gramsci Calvino ha letto con ammirazione (in bozze) Le ceneri di Gramsci (1957) di Pasolini. Ne parla con entusiasmo in una lettera allo stesso Pasolini (Torino, 1° marzo 1956): «Bravura tecnica da sbalordire. Poi [poesia] tutta concatenata di pensiero come i Sepolcri. Così si scrivono le poesie!»; però nella medesima lettera a Pier Paolo, il giudizio complessivo, nella sostanza, è molto severo: «Ma il tema vero e proprio del componimento mi pare debole e non nuovo: il dissidio rivoluzione-passioni, rigore logico- vitalità è ormai ben povero dramma». Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1957
I dialetti Pasolini ama il dialetto e in dialetto ha scritto le prime poesie (Poesie a Casarsa, 1942). Per lui il dialetto è la lingua del ritorno all’originaria innocenza. Anche i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959) sono intrisi e impastati di forme dialettali romanesche. Calvino ha diffidenza verso i dialetti. Nel saggio Il midollo del leone (1955) afferma che «i dialetti sono sì pieni di sapore e vigore e Poesia dialettale del saggezza, ma anche d’offese Novecento, sopportate, di limitazioni imposte, a cura di Mario Dell’Arco e d’abitudini di cui non ci si sa scrollare». E delle quali, invece, è P.P. Pasolini, bene liberarsi. Parma, Guanda, 1952
Due grandi e memorabili antologie Pasolini, 1955 (Guanda) Canzoniere italiano (antologia della poesia popolare italiana: «questo libro lo ha scritto il popolo italiano») Calvino, 1956 (Einaudi) Fiabe italiane Pasolini sceglie la via del realismo popolare Calvino la via del fantastico fiabesco
Scrittura saggistica La scrittura saggistica di Pasolini spesso è di lettura ardua, perché le idee, per l’impeto delle argomentazioni, si accavallano le une sulle altre e anche perché talvolta Pasolini ricorre al gergo della critica letteraria accademica. Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2000
Scrittura saggistica Empirismo La scrittura saggistica di eretico, 1972 Calvino è sempre limpida e lineare, tanto che Italo in una lettera inviata a Pier Paolo, da Torino, il 1° marzo 1956, si arrabbia con lui a proposito della sua Una pietra scrittura non chiara: sopra, «Però, porcamiseria, 1980 perché scrivi così difficile?».
COINVOLGIMENTO EMOTIVO E CONTROLLO DELLA RAGIONE Pasolini è governato da «passione e ideologia», con coinvolgimento emotivo che anima le sue pagine d’intensa vibrazione umana, di generose autoconfessioni (Supplica a mia madre), di coraggiosa capacità d’autonalisi (Autoritratto, 1960: «Come andrà a finire non lo so»), di struggente simpatia umana (Marilyn), di aspre contraddizioni (Il PCI ai Passione e giovani!!). ideologia, 1960
COINVOLGIMENTO EMOTIVO E CONTROLLO DELLA RAGIONE Calvino scrive sempre sotto il controllo della ragione: non vuole il coinvolgimento autobiografico, anzi è polemico contro le effusioni dell’io e cerca sempre una prospettiva distaccata rispetto a ciò di cui scrive (Il barone rampante). Anche l’invenzione fantastica, segue per lui la logica razionale.
Rivoluzione antropologica Pasolini ha avvertito con tensione drammatica la «rivoluzione antropologica» degli anni Sessanta, quando l’Italia da paese agricolo diventa paese industrializzato, con un conseguente mutamento di sensibilità e di valori (L’articolo delle lucciole, 1975, in Scritti corsari, 1975: scomparsi i valori di «patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità »). Scritti Calvino ha parlato di una ben diversa «rivoluzione antropologica», corsari, auspicabile, legata alla liberazione 1975 dell’«ingombro» dell’io (Eugenio Montale, «Forse un mattino andando», 1976 : la rivoluzione antropologica dello specchietto retrovisore).
Autobiografismo e negazione dell’autobiografismo Pasolini: Autoritratto (1960), Supplica a mia madre (Poesia in forma di rosa, 1964) e tanti altri testi . Calvino: «Per molti scrittori la loro soggettività è autosufficiente. […] A me sembra invece che i fatti miei Italo Calvino, non possano interessare gli altri. […] Saggi 1945- La mia biografia, quel che mi passa 1985, a cura per la testa, non autorizza il mio di Mario Barenghi scrivere. […] Devo costruire oggetti 2 voll., 1995 che esistano per sé, cose come cristalli, che rispondano ad una razionalità impersonale» (Situazione 1978 [1978], in Saggi 1945-1985).
Chi scegliere?
Parere di un critico militante: Passione e «I due autori hanno messo in ideologia, circolazione due modelli letterari 1960 opposti, due idee di letteratura e di comportamento letterario. Calvino è piaciuto agli astuti e ai prudenti, ai laboriosi borghesi del nord, agli insegnanti gioviali che hanno paura di smuovere qualcosa di temibile negli alunni, agli studiosi di strutture formali e Una pietra di cruciverba, a chi vuole solo sopra, elegantemente sorridere, ai 1980 critici cortigiani in carriera presso la Einaudi». [continua]
continua cit.: «Pasolini appassiona chi vuole perdersi, chi ha l’istinto di accusare, chi si sente accusato, chi piange sulle vittime, chi non capisce che la storia è lavoro, chi fiuta dovunque possibili lager, chi vede in ogni burocrate Pier Paolo un nazista potenziale». Pasolini [continua] (1922-1975)
continua cit. : «Calvino morto a sessantadue anni nel settembre 1985, Pasolini morto a cinquantatre anni nel novembre 1975, sono ancora fra noi. Si può scegliere fra l’uno o l’altro. Per quanto mi riguarda, per passionale prudenza, me li tengo tutti e due come opposti maestri» (Alfonso Berardinelli, Calvino e Pasolini, opposti maestri, in «Il Foglio», 27 ottobre 2015, p. 21).
«Come è possibile amare Calvino e al tempo stesso il profetico, verboso, spericolato, viscerale Pasolini? So solo che personalmente non potrei fare a meno di nessuno dei due» (Filippo La Porta, Italo Calvino, in Disorganici. Maestri involontari del Novecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018, p. 171).
fine
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