Il romanzo dopo il 1945: Pasolini o Calvino? - Gino Tellini - Formazione ...

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Il romanzo dopo il 1945: Pasolini o Calvino? - Gino Tellini - Formazione ...
Il romanzo dopo il 1945:

       Pasolini
          o
       Calvino?
        Gino Tellini
Il romanzo dopo il 1945: Pasolini o Calvino? - Gino Tellini - Formazione ...
SOMMARIO

● Perché un confronto? (3-8)
● Il neorealismo: l’impegno del narratore (9-21)
● Crisi della poetica neorealistica (22-27)
● Lo «sperimentalismo» di Pasolini e di Calvino
   (28-37)
● Pasolini o Calvino? (38-52)
● Chi scegliere? (53-58)
Perché un
confronto?
PERCHÉ UN CONFRONTO?

● i confronti tra autori aiutano a capire
● confrontarsi significa entrare in rapporto con
l’altro, con le idee dell’altro
● confrontarsi significa uscire da sé, allenarsi al
dialogo, all’apertura verso l’altro
PERCHÉ UN CONFRONTO?

● in letteratura, come nella vita, esistono opinioni,
idee da confrontare, ragioni personali, ragioni
relative, non sempre assolute, non sempre
perentorie…
● problemi complessi, questioni vitali, questioni
decisive, si possono affrontare, considerare da più
punti di vista…
PERCHÉ UN CONFRONTO?

● distinguere tra «torto» e «ragione» è sacrosanto,
specie per questioni che comportano la possibilità
di accertamenti razionali, documentari, oggettivi...
(anche in letteratura: date, edizioni, rapporti
biografici, aspetti linguistici, metrici, filologici.... )

● ma in tante questioni distinguere tra «torto» e
«ragione» non è facilmente consentito (specie nel
campo del giudizio estetico, ma spesso anche nel
campo dell’interpretazione ...)
PERCHÉ UN CONFRONTO?

● chi ha ragione, nel primo Ottocento, il romantico
Manzoni o il classicista Leopardi, coevi e antitetici?

● nel secondo Ottocento, nell’Italia postunitaria, chi
ha ragione, il classicista Carducci o l’anticlassicista
Verga, coevi e antitetici?

● si possono fare altri esempi...
PERCHÉ UN CONFRONTO?

● gli autori non sono uguali: anzi, possono essere
antitetici

● e ogni lettore ha il diritto di scegliere l’autore che
preferisce, anzi è bene che scelga, che dichiari le
sue preferenze, che dichiari se stesso

● però deve anche abituarsi a capire
le ragioni dell’altro.
Il neorealismo:
 l’impegno del
    narratore
L‘età della speranza
Nell’Italia della Liberazione,
vinta ma liberata dalla
dittatura, s’accende un
impulso di speranza e di
fervore ricostruttivo.
«Sopraggiunse, repentino, il
tempo meraviglioso della
speranza. È stato il solo
tempo della vita, per cui
valeva la pena di vivere»
(GIUSEPPE RAIMONDI,
Prefazione, in Le domeniche
d’estate, Milano, Mondadori,
1963, pp. 19-20).
                                   Giuseppe Raimondi
                                 (Bologna, 1898-1985)
L‘età della speranza

«Di ottimismo e di
fiducia allora erano
piene le strade»
(NATALIA GINZBURG,
Fiore gentile,
Pavese e Calvino, in
«L’Unità», 17 aprile   Natalia Ginzburg
1988).                  (1916-1991)
L‘età della speranza

Non si dibatte già un
problema di forma, ma di
sostanza, di «elementare
universalità dei
contenuti» (Italo Calvino,
Prefazione [retrospettiva,
1964] a Il sentiero dei
nidi di ragno, 1947). La
forma è messa da parte
come cattiva eredità del      Italo Calvino
regime.
                             (1923-1985)
L‘età della speranza

«Tensione morale» è ora la
parola-chiave che risuona
nella celebre Prefazione
(1964) di Calvino: come
«fatto fisiologico,
esistenziale, collettivo»,
come bisogno di
«ricominciare da zero»,
d’«esprimere» se stessi e
«il sapore aspro della vita»
con una «carica esplosiva
di libertà».
                               Prima ed. 1947,
                               Nuova ed. 1964
L‘età della speranza
«Tensione morale» significa Una
nuova cultura, che è il titolo scelto
da Vittorini per l’editoriale
d’apertura, il 29 settembre 1945,
della rivista «Il Politecnico» (1945-
1947): «Non più una cultura che
consoli nelle sofferenze, ma una
cultura che protegga dalle
sofferenze, che le combatta e le
elimini».
La nota redazionale del secondo
numero (6 ottobre 1945), dal titolo Il
Politecnico, incalza: «fede nella
ricerca dell’umana felicità su questa
terra e nel progresso civile».
Non si chiede poco. Il proponimento
è civile, etico, ideologico, sociale.
                                          Elio Vittorini
                                         (1908-1966)
L‘età della speranza

In polemica aperta (... il
senno del poi) con la
cultura ermetica,
s’inaugura la stagione
neorealistica
dell’«impegno»,
dell’engagement (la
parola d’ordine è di
Sartre, in Qu’est-ce-que la
littérature?, 1947): l’età    Jean-Paul Sartre
breve della speranza,           (1905-1980)
dell’entusiasmo
ricostruttivo.
L‘età della speranza

Appaiono a stampa i testi        Antonio
capitali di Antonio Gramsci      Gramsci
(Lettere dal carcere, 1947; Il   (1891-
                                 1937)
materialismo storico e la
filosofia di B. Croce, 1948;
Gli intellettuali e
l’organizzazione della
cultura, 1949; Il
Risorgimento, 1949;
Letteratura e vita nazionale,
1950) e Il sangue d’Europa.
1939-1943 (1950), libro
sorprendente del
giovanissimo Giaime Pintor.
L‘età della speranza

Appaiono ora le traduzioni di
György Lukács (Saggi sul
realismo, 1950; Il marxismo e la
critica letteraria, 1953), di
Arnold Hauser (Storia sociale
dell’arte, 1955-1956), dei
maestri della stilistica come Leo
Spitzer (Critica stilistica e
semantica storica, 1954) e
Erich Auerbach (Mimesis. Il
realismo nella letteratura
occidentale, 1956), dei teorici
della scuola di Francoforte,
come Theodor Adorno (Minima
moralia, 1954) e Walter
Benjamin (Angelus Novus,
1959).
Neorealismo

Cronologicamente
circoscritto nell’arco di
circa un decennio, dal
1943 ai primi anni
Cinquanta, il Neorealismo,
ovvero l’illusione d’avere
la «realtà» a «portata di
mano», comporta istanze
di carattere ideologico,
professioni di fede
politica, resoconti
d’esperienze vissute e di
fatti accaduti, registrazioni
d’eventi.                       «Il Politecnico», dir. Vittorini,
                                       Milano, 1945-1947
Neorealismo

Il Neorealismo aspira a
un’arte corale e collettiva,
epica e popolare, ove la
rilettura di Verga (ma
spogliato del pessimismo) si
unisce ai colori dell’America
di Vittorini e Pavese.
Di contro al preziosismo
della «bella scrittura», e agli
arabeschi eleganti della
prosa d’arte, prevale un
linguaggio orale, rapido e
quotidiano, di secca resa         «Società», dir. Ranuccio Bianchi
comunicativa, con inserti         Bandinelli, Firenze, 1945-1961
gergali e dialettali.
Neorealismo

Sono due le strade maestre,
entrambe all’insegna
dell’eloquenza testimoniale:
una strada è costituita dalle
cronache di guerra, di lotta
partigiana, di prigionia, nate
dall’imperativo etico di non
dimenticare (Beppe
Fenoglio, il primo Calvino, Il
sentiero e i racconti di
Ultimo viene il corvo, 1949;
Primo Levi, Se questo è un
uomo, 1947; Tiro al
piccione di Giose Rimanelli,
1953 ...).
Neorealismo

L’altra strada è il viaggio, come già
in epoca postunitaria, alla
riscoperta delle tante Italie
emarginate, depresse, diseredate,
mosaico di genti e di linguaggi
(Carlo Levi, Cristo si è fermato a
Eboli, 1945, Rocco Scotellaro, L’uva
puttanella, 1955, l’esordiente
Sciascia, Le parrocchie di
Regalpetra, 1956).
Racconto picaresco, sincerità
referenziale, pathos solidaristico, e
insieme denuncia di violenze patite,
inchiesta-reportage su una terra
angustiata dall’arretratezza e dalla
miseria.
Crisi della poetica
   neorealistica
ESAURIMENTO
   DELLA POETICA
   NEOREALISTICA
Gli entusiasmi
resistenziali s’irrigidiscono
in strategia
propagandistica, in
schieramento di partito:
«già stavo a pelo ritto, a
unghie sfoderate contro
l’incombere d’una nuova
retorica» (Calvino,
Prefazione, 1964).
Due rischi della poetica neorealistica

Sono due i rischi sostanziali della poetica
neorealistica:
1. esaurirsi nel mero attestato documentario
e nel referto di costume;
2. non avere un’adeguata consapevolezza
tecnico-linguistica, tanto da scadere nel tono
celebrativo del melodramma sociale e del
pedagogismo ideologico.
Crisi del neorealismo

Il tramonto delle speranze
neorealistiche, nella
depressione degli anni
Cinquanta, cade a ridosso
del «miracolo economico»
che trasforma nel decennio
successivo abitudini, usi,
costumi nazionali.
Benessere e nuovi
         squilibri
Il precipitoso sviluppo produttivo del
boom industriale (la Fiat 600 nel
1955, nell’aprile 1956 è prodotta
la milionesima Vespa, poi frigoriferi,
lavatrici, televisori...) allenta la
morsa di miseria del dopoguerra,
ma non fa in tempo a dare stabilità
alla vita civile che subito porta con
sé scompensi, insicurezze, squilibri
(flussi migratori interni, frattura
Nord-Sud, disuguaglianze sociali,
rivoluzione antropologica, decollo
dei consumi privati e arretratezza
dei servizi pubblici...).
Benessere e nuovi squilibri

Alienazione è la parola che
sintetizza un diffuso
malessere. Nuove attese
deluse. Euforia di progresso
e aria di cuccagna, ma
insieme difesa del profitto e
culto dell’individualismo;
ricerca dell’utile personale e
familiare, accompagnata da
«fretta e ansia e rabbia», con
la smania d’un «edonismo
obbligatorio» (Calvino, La
«belle époque» inaspettata,
1961).
Lo «sperimentalismo»
    di Pasolini e di
        Calvino
CRISI DEL NEOREALISMO

Sperimentalismo (P.P. Pasolini, La libertà stilistica, in
«Officina», 1957): sintesi tra Ermetismo (= ricerca
formale divenuta una prigione) e Neorealismo (=
impegno civile ma con linguaggio approssimativo e
strumentale):

→ lo «sperimentalismo» intende, da un lato, rifiutare
l’«evasività» ermetica, ma recuperandone la lezione
espressiva, e dall’altro abbandonare lo schematico
contenutismo neorealistico, ma recuperandone la
passione ideologica.
CRISI DEL NEOREALISMO

Neoavanguardia (I novissimi, 1961; Gruppo 1963,
Palermo: Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti,
Nanni Balestrini, Antonio Porta, Alberto Arbasino...):

In polemica con gli scrittori di «Officina» e con la loro
prospettiva d’una nuova relazione tra cultura e
politica, i neoavanguardisti hanno un obiettivo di
ascendenza futurista: il rifiuto radicale del passato e
insieme il rifiuto d’ogni responsabilità di tipo sociale
e politico, con conseguente irrisione del realismo
postbellico.
CRISI DEL NEOREALISMO

Di fronte alla nuova civiltà industriale, che
ha spersonalizzato e ridotto a «merce» di
consumo il prodotto artistico, per i
«novissimi» ogni forma di «impegno»
ideologico è illusoria. L’unica strada
praticabile è a loro avviso, come per tutte
le avanguardie, l’eversione distruttiva, la
letteratura come asocialità, paradosso,
provocazione, con il risultato, spesso,
della illeggibilità.
I due romanzi romani
      di Pasolini
Proprio sulla linea dello
«sperimentalismo» sono
orientati i romanzi Ragazzi di
vita del 1955 (lo stesso anno
in cui esce Metello di Vasco
Pratolini), opera processata
per «oscenità», e Una vita
violenta del 1959: un quadro
desolato delle borgate romane
e della emarginazione urbana,
disegnato, nei suoi aspetti di
più viscerale e fisiologica
vitalità, con un'imperterrita
adesione sentimentale.
I due romanzi romani di
        Pasolini
La novità risiede nell'uso d’uno
strumento linguistico (sensibile
all’esempio di Gadda)
che sa ricorrere a originali
contaminazioni di dialetto, di
lingua letteraria e di forme gergali.
Nell'impianto strutturale, la fusione
tra la voce narrante e il parlato dei
personaggi, con impiego d’una
vivacissima espressività regionale,
rinvia (attraverso l’esempio di
Cesare Pavese con Paesi tuoi,           Il grande Verga
1941) alla lezione del Verga
«rusticano».                              (1840-1922)
Lo «sperimentalismo» di
           Calvino
Pasolini teorizza lo
«sperimentalismo».
Calvino no.

Ma, negli stessi anni,
Calvino «sperimenta» a suo
modo, battendo altre             Calvino e Pasolini
strade, ovvero, con propria
originalità, difende il rigore
espressivo e la passione
civile.
Lo «sperimentalismo» di
         Calvino

Dal Neorealismo «a carica
fiabesca» (Elio Vittorini)
di Il sentiero dei nidi di
ragno (1947)
Calvino passa a testi
d’impegno civile e            Italo Calvino
contemporaneamente           (1923-1985)
d'invenzione fantastica
Lo «sperimentalismo» di
            Calvino

Da un lato, propone l’analisi critica
della nuova società speculativa e
affaristica, dando voce a personaggi
disillusi, che hanno visto cadere le
speranze di riforma sociale, di
democrazia, di solidarietà proprie
del periodo resistenziale:
indicativi in questo senso i racconti
di L'entrata in guerra (1954), come i
brevi romanzi La speculazione
edilizia (1957, su «Botteghe              La giornata d’uno
Oscure», 1963 in vol.), La nuvola di         scrutatore,
smog (1958, su «Nuovi Argomenti»)       Torino, Einaudi, 1963
e La giornata d'uno scrutatore
(1963).
Lo «sperimentalismo» di Calvino

Dall'altro lato, sceglie il registro del
settecentesco «racconto filosofico»,
tra allegoria morale e allusività
satirica, con tre romanzi fantastici:
Il visconte dimezzato (1952), Il
barone rampante (1957) e Il
cavaliere inesistente (1959), poi
ristampati sotto l'unico titolo I nostri
antenati (1960).

Di fronte alla disillusione del
presente, il narratore proietta nel
registro della pura fantasia la sua
resistenza di intellettuale
«illuminista», il suo sogno utopico di
un'umanità integra e libera, in              I nostri antenati,
armonia con la natura.                     Torino, Einaudi, 1960
Pasolini
   o
Calvino?
Due coetanei antitetici
                                                       Pasolini
Pasolini e Calvino sono coetanei (Pasolini             (1922-
nasce il 5 marzo 1922 e Calvino il 15                  1975)
ottobre 1923).
Entrambi sentono la necessità di reagire
alla poetica dell’Ermetismo, con un tipo
nuovo di letteratura che affronti il
rapporto con la realtà sociale dell’Italia
uscita dal fascismo e dalla guerra.
Entrambi esordiscono negli stessi anni,
nel clima del Neorealismo.
                                             Calvino
Sul piano personale, hanno intrattenuto      (1923-
rapporti cordiali (come mostrano anche       1985)
le lettere private di entrambi),
con attestati di reciproca stima.
Eppure le loro posizioni sono divergenti e
antitetiche.
Tra Bilancia e Pesci
Sono divergenti, già a partire dal
segno zodiacale. È stato Calvino,
in un’intervista del 1980, a
richiamare l’attenzione
sull’equilibrio che gli viene
dall’essere nato nel segno della
Bilancia: «Comincerò dicendo che
sono nato nel segno della
Bilancia: perciò nel mio carattere
equilibrio e squilibrio correggono
a vicenda i loro eccessi».

Quanto a Pasolini, nato nel segno
dei guizzanti e imprendibili Pesci,
emblema di contraddittorie
emozioni, è chiaro che l’equilibrio
non è la sua caratteristica
fondamentale.
Voce pubblica e arte del
         silenzio

Pasolini, specie negli ultimi anni
d’attività, si è distinto per
continui interventi giornalistici o
televisivi, a sostegno della
costante presenza della sua
voce di intellettuale.
Calvino, invece, riservato e
taciturno, ha confidato in
un’intervista del 1984: «Tutti si
fanno in quattro per proclamare
opinioni o giudizi e nessuno
conosce più l’arte del silenzio,
che è più difficile dell’arte del
dire».
Effusione di Pasolini

«Lo scandalo del contraddirmi»
è un verso famoso di Pasolini,
nel poemetto Le ceneri di
Gramsci (1957) e rinvia ai
contrastanti impulsi di
«passione e ideologia» che
muovono l’opera dello
scrittore e del regista, sempre
ricca di confessioni, di          Pier Paolo Pasolini
valutazioni personali, di            (1922-1975)
giudizi, di verdetti polemici.
Laconicità di Calvino
«Sono laconico», ha confessato
Calvino (lettera a Domenico
Rea, Torino, 13 marzo 1954),
«per indole, in cui si perpetua il
retaggio dei miei padri liguri,
schiatta quant’altre mai
sdegnosa d’effusioni. E
ancora, soprattutto, per
convincimento morale, poiché
lo credo [essere laconico] un
buon metodo per comunicare
e conoscere, migliore d’ogni          Italo Calvino
espansione incontrollata e           (1923-1985)
ingannevole […]: io vorrei che
[…] quanti parlano della
propria faccia o dell’ ‘anima
mia’ si rendessero conto di
dire cose vane e sconvenienti».
Calvino a proposito di Le
      ceneri di Gramsci

Calvino ha letto con ammirazione (in
bozze) Le ceneri di Gramsci (1957) di
Pasolini. Ne parla con entusiasmo in
una lettera allo stesso Pasolini (Torino,
1° marzo 1956):
«Bravura tecnica da sbalordire. Poi
[poesia] tutta concatenata di pensiero
come i Sepolcri. Così si scrivono le
poesie!»;
però nella medesima lettera a Pier
Paolo, il giudizio complessivo, nella
sostanza, è molto severo: «Ma il tema
vero e proprio del componimento mi
pare debole e non nuovo: il dissidio
rivoluzione-passioni, rigore logico-
vitalità è ormai ben povero dramma».        Le ceneri di Gramsci,
                                            Milano, Garzanti, 1957
I dialetti
Pasolini ama il dialetto e in dialetto
ha scritto le prime poesie (Poesie a
Casarsa, 1942). Per lui il dialetto è
la lingua del ritorno all’originaria
innocenza. Anche i romanzi Ragazzi
di vita (1955) e Una vita violenta
(1959) sono intrisi e impastati di
forme dialettali romanesche.

Calvino ha diffidenza verso i dialetti.
Nel saggio Il midollo del leone
(1955) afferma che «i dialetti sono
sì pieni di sapore e vigore e                Poesia dialettale del
saggezza, ma anche d’offese                       Novecento,
sopportate, di limitazioni imposte,       a cura di Mario Dell’Arco e
d’abitudini di cui non ci si sa
scrollare». E delle quali, invece, è             P.P. Pasolini,
bene liberarsi.                             Parma, Guanda, 1952
Due grandi e memorabili
          antologie

Pasolini, 1955 (Guanda)
Canzoniere italiano (antologia
della poesia popolare italiana:
«questo libro lo ha scritto il
popolo italiano»)

Calvino, 1956 (Einaudi)
Fiabe italiane

Pasolini sceglie la via del
realismo popolare
Calvino la via del fantastico
fiabesco
Scrittura saggistica

La scrittura saggistica di
Pasolini spesso è di lettura
ardua, perché le idee, per
l’impeto delle
argomentazioni, si
accavallano le une sulle
altre e anche perché
talvolta Pasolini ricorre al
gergo della critica
letteraria accademica.          Lettere 1940-1985, a cura di L.
                               Baranelli, Milano, Mondadori, 2000
Scrittura saggistica
                             Empirismo
La scrittura saggistica di   eretico,
                             1972
Calvino è sempre limpida
e lineare, tanto che Italo
in una lettera inviata a
Pier Paolo, da Torino, il
1° marzo 1956, si
arrabbia con lui a
proposito della sua          Una pietra
scrittura non chiara:        sopra,
«Però, porcamiseria,         1980
perché scrivi così
difficile?».
COINVOLGIMENTO EMOTIVO E
    CONTROLLO DELLA RAGIONE

Pasolini è governato da «passione
e ideologia», con coinvolgimento
emotivo che anima le sue pagine
d’intensa vibrazione umana, di
generose autoconfessioni
(Supplica a mia madre), di
coraggiosa capacità d’autonalisi
(Autoritratto, 1960: «Come andrà
a finire non lo so»), di struggente
simpatia umana (Marilyn), di
aspre contraddizioni (Il PCI ai       Passione e
giovani!!).
                                      ideologia,
                                        1960
COINVOLGIMENTO EMOTIVO E
 CONTROLLO DELLA RAGIONE

Calvino scrive sempre sotto il
controllo della ragione: non
vuole il coinvolgimento
autobiografico, anzi è polemico
contro le effusioni dell’io e cerca
sempre una prospettiva
distaccata rispetto a ciò di cui
scrive (Il barone rampante).
Anche l’invenzione fantastica,
segue per lui la logica razionale.
Rivoluzione antropologica
Pasolini ha avvertito con tensione
drammatica la «rivoluzione
antropologica» degli anni Sessanta,
quando l’Italia da paese agricolo
diventa paese industrializzato, con
un conseguente mutamento di
sensibilità e di valori (L’articolo delle
lucciole, 1975, in Scritti corsari,
1975: scomparsi i valori di «patria,
famiglia, obbedienza, ordine,
risparmio, moralità »).
                                            Scritti
Calvino ha parlato di una ben diversa
«rivoluzione antropologica»,                corsari,
auspicabile, legata alla liberazione        1975
dell’«ingombro» dell’io (Eugenio
Montale, «Forse un mattino
andando», 1976 : la rivoluzione
antropologica dello specchietto
retrovisore).
Autobiografismo e negazione
       dell’autobiografismo

Pasolini: Autoritratto (1960),
Supplica a mia madre (Poesia in
forma di rosa, 1964) e tanti altri
testi .
Calvino: «Per molti scrittori la loro
soggettività è autosufficiente. […] A
me sembra invece che i fatti miei        Italo Calvino,
non possano interessare gli altri. […]   Saggi 1945-
La mia biografia, quel che mi passa      1985, a cura
per la testa, non autorizza il mio       di Mario
                                         Barenghi
scrivere. […] Devo costruire oggetti     2 voll., 1995
che esistano per sé, cose come
cristalli, che rispondano ad una
razionalità impersonale» (Situazione
1978 [1978], in Saggi 1945-1985).
Chi scegliere?
Parere di un critico
         militante:                      Passione
                                         e
«I due autori hanno messo in             ideologia,
circolazione due modelli letterari       1960
opposti, due idee di letteratura e
di comportamento letterario.
Calvino è piaciuto agli astuti e ai
prudenti, ai laboriosi borghesi
del nord, agli insegnanti gioviali
che hanno paura di smuovere
qualcosa di temibile negli alunni,
agli studiosi di strutture formali e     Una pietra
di cruciverba, a chi vuole solo          sopra,
elegantemente sorridere, ai              1980
critici cortigiani in carriera presso
la Einaudi».
                            [continua]
continua cit.:

«Pasolini appassiona chi
vuole perdersi, chi ha
l’istinto di accusare, chi si
sente accusato, chi
piange sulle vittime, chi
non capisce che la storia
è lavoro, chi fiuta
dovunque possibili lager,
chi vede in ogni burocrate
                                  Pier Paolo
un nazista potenziale».            Pasolini
                   [continua]   (1922-1975)
continua cit. :

«Calvino morto a sessantadue anni nel settembre 1985, Pasolini
morto a cinquantatre anni nel novembre 1975, sono ancora fra noi.
Si può scegliere fra l’uno o l’altro. Per quanto mi riguarda, per
passionale prudenza, me li tengo tutti e due come opposti maestri»
(Alfonso Berardinelli, Calvino e Pasolini, opposti maestri, in «Il
Foglio», 27 ottobre 2015, p. 21).
«Come è possibile amare Calvino e al tempo stesso il profetico,
verboso, spericolato, viscerale Pasolini? So solo che
personalmente non potrei fare a meno di nessuno dei due»
(Filippo La Porta, Italo Calvino, in Disorganici. Maestri involontari
del Novecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018, p.
171).
fine
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