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  I vincoli dello Stato nell’adozione delle politiche di
riduzione delle emissioni inquinanti nella prospettiva
 della violazione dei diritti umani: brevi considerazioni
       sulla sentenza di appello del caso “Urgenda”.

                                                   Giacomo Vivoli

            (Docente incaricato in Diritto dell’ambiente, Università degli Studi di Firenze)

Nel 2015 ha suscitato molto clamore1 la sentenza della District Court dell’Aia2 che, per la
prima volta, ha obbligato uno Stato a modificare i propri obiettivi di riduzione delle
emissioni di gas serra. In particolare nella decisione i giudici, non ritenendo sufficiente
1
  K.J.De Graaf, J.H. Jans, The Urgenda Decision: Netherlands Liable for Role in Causing Dangerous Global
Climate Change, Journal of Environmental Law, 2015, Vol. 27(3), pp.517-527; Jolene Lin, The First
Successful Climate Negligence Case: a comment on Urgenda Foundation v. the State of the Netherland
,Climate Law, Wntr, 2015, Vol.5(1), p.65-81; Patrizia Galvão Ferreira, Common but differentiates
responsabilities in the national courts: lessons from Urgenda v. Netherlands, Transnational Environmental
Law, 5:2 (2016), pp. 329-351; M.A. Loth, Too big to trial? Lessons from the Urgenda case, Uniform Law
Review, 2018, 23 (2), pp. 336-353.
Sulla opportunità di rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE in relazione all’art. 193 cfr. M.Peeters, Urgenda
Foundation and 886 individuals v. The State of the Netherland: the dilemma of more ambitiuos green house
gas reduction action by member states, Review of European Community & International Environmental Law,
2016, Vol 25 (1), pp. 123-129.
2
  Urgenda Foundation v. the State of Netherlands, Case n. C/09/456689 / HA ZA 13-1396 del 24.06.2015.
Versione in inglese https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:RBDHA:2015:7196

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l’impegno fissato tra il 14% e il 17%, imposero3 di diminuire le emissioni di gas serra di
almeno il 25% alla fine del 2020 rispetto ai dati del 19904.

Com’era facile immaginarsi lo Stato olandese ha ricorso in corte d’appello che, con la
recente sentenza del 9 ottobre 2018 5, ha confermato integralmente la decisione di primo
grado.

Prima di evidenziare il salto qualitativo compiuto dai giudici d’appello, è opportuno
focalizzare alcuni degli elementi essenziali della vicenda originaria in cui entrano in gioco
lo sviluppo sostenibile, la responsabilità e l’equità intergenerazionale nella prospettiva degli
scenari futuri collegabili ai cambiamenti climatici.

In primis la natura del plaintiff; il ricorrente è la fondazione “Urgenda”6, organizzazione
nata da uno spinoff del Dutch Research Institute for Transitions (Drift) presso l’Università
Erasmus di Rotterdam, che vede tra i propri scopi sociali quello di adottare piani e misure
per affrontare i cambiamenti climatici e che agiva in giudizio, oltre che in nome proprio e
per conto di 886 persone, anche in nome delle generazioni future.
Tra i tanti scogli da superare per le controversie fondate sui rischi derivanti dai cambiamenti
climatici c’è anche quello, preliminare, della legittimazione ad agire specie se la causa è
anche in nome delle generazioni future. La questione è tutt’altro che banale e scontata in
quanto, nell’agire anche in nome delle generazioni future, si tratta di dar voce a chi, per
definizione, ancora non c’è. In argomento, seguendo una prospettiva storica, non si può non
ricordare la sentenza Minors Oposa v. Factoran del 19937 in cui la Corte suprema delle
Filippine, ammettendo un ricorso da parte di alcuni minorenni «a nome proprio, a nome
della generazione presente e delle generazioni future», annullò le licenze di taglio della
foresta pluviale concesse dal Ministero dell’Agricoltura8.

Per quanto riguarda lo specifico caso olandese la legittimazione ad Urgenda viene concessa
in base all’art. 3:305a del Dutch Civil Code che riconosce tale possibilità a fondazioni o
associazioni con fini statutari che abbiano l’obiettivo di “protect specific interests” e che
intendano proteggere “similar interests of other persons”.

La presenza nell’ordinamento civile olandese della class action agevola pertanto il
riconoscimento dello standing; è evidente invece che negli ordinamenti, come il nostro, in
cui mancano disposizioni simili, la valutazione dell’interesse diretto e concreto nella

3
  Par 5.1 del ruling la Corte “orders the State to limit the joint volume of Dutch annual greenhouse gas
emissions, or have them limited, so that this volume will have reduced by at least 25% at the end of 2020
compared to the level of the year 1990, as claimed by Urgenda, in so far as acting on its own behalf”.
4
  Si ricorda che il 1990 è il riferimento preso a comparazione dal Protocollo di Kyoto in attuazione della
Convenzione sui cambiamenti climatici firmata a Rio de Janeiro nel 1992.
5
  The State of Netherlands v. Urgenda Foundation. Case n. 200.178.245/01 del 09.10.2018; Versione in
inglese https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:GHDHA:2018:2610
6
  Fusione dei termini “urgent” e “agenda”.
7
  Republic of the Philippines Supreme Court Manila G.R. No. 101083 July 30, 1993.
8
  Per un commento alla sentenza cfr. T.Scovazzi, Le azioni delle generazioni future, Riv. Giur. Ambiente,
2015, pp. 153 e ss.

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proposizione della domanda trova difficoltà maggiori in quanto l’assenza di una base
normativa rimette la questione alla sola elaborazione giurisprudenziale9.
Da tener presente che carenza di legittimazione ad agire in nome delle generazioni future e
principio di separazione dei poteri sono tra le argomentazioni che prevedibilmente ogni
Stato solleverà nel vedersi contestate le proprie decisioni di politica ambientale10. L’oggetto
principale del ricorso era poi, in concreto, la fissazione degli obiettivi di riduzione
dell’emissioni climalteranti.

Ammettere che la giurisprudenza possa assumere una decisione su tali argomenti richiede di
affrontare due aspetti delicati e strettamente interconnessi: quali siano i parametri da
utilizzare per valutare l’inadeguatezza di un obiettivo fissato dello Stato e come si possa
accertare, giudizialmente, la bontà o meno di una politica ambientale decisa dagli organi
rappresentativi democraticamente eletti senza che in ciò si possa ravvisare una violazione
del principio di separazione dei poteri.

Sul primo aspetto, il criterio utilizzato dai giudici per valutare gli impegni di riduzione delle
emissioni trova fondamento nei dati forniti dalla scienza, negli impegni giuridicamente
vincolanti assunti dallo stato sul piano internazionale e, last but non least, in una
controtendenza tra dati scientifici e inversione degli impegni presi dallo Stato (che vengono
ridotti rispetto a quelli del passato11 “without any scientific substantation”).

In particolare, in funzione dei rapporti AR4 e AR5 elaborati dall’IPCC12, la Corte ritiene
che l’obiettivo da perseguire per l’adozione delle politiche climatiche13 deve portare ad una
riduzione della temperatura di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali e che sia “strong
preference” lo scenario che prevede una concentrazione massima in atmosfera dei gas serra
pari a 450 ppm14.

Fatte queste premesse, una riduzione di solo il 17% 15 delle emissioni inquinanti non
permetterebbe il realizzarsi di tale scenario16; gli impegni dello Stato devono quindi essere
incrementati e portati ad almeno il 25% rispetto ai dati del 1990.

9
  Per quanto riguarda il ns ordinamento la legittimazione ad agire ex lege ad intervenire nei giudizi per danno
ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi è prevista
solo per le associazione ambientaliste riconosciute ex art. 13 L. 349/86; per quelle non riconosciute il
riconoscimento avviene invece solo su base giurisprudenziale in funzione di alcuni criteri di valutazione
quali perseguire in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, un adeguato grado di stabilità, un
sufficiente livello di rappresentatività e un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a
fruizione collettiva che si assume leso (cd vicinitas).
10
   Si precisa che il contributo non prende in considerazione le climate change litigation che vedono come
soggetto convenuto un ente privato (società, corporation, multinazionale).
11
   Nelle parole della Corte, par. 4.31: “Up to about 2010, the Netherlands assumed a reduction target of 30%
for 2020 compared to 1990, and after 2010 took on a reduction target that is derived from the EU reduction
target of 20% and which is expected to result in a total reduction of 14-17% in 2020”.
12
   Il Fourth Assessment Report (AR4) è stato elaborato dall’IPCC nel 2007 mentre il Fifth Assessment Report
(AR5) nel 2013. Il sesto rapporto è previsto per il 2022. Si tenga inoltre presente che la sentenza di primo
grado è precedente all’Accordo di Parigi che viene firmato nel dicembre del 2015.
13
   Par 4.14.
14
   E’ l’unità di misura della concentrazione di gas ad effetto serra in atmosfera.
15
   Par. 4.84 “[i]t is an established fact that with the current emission reduction policy of 20% at most in an EU
context (about 17% in the Netherlands) for the year 2020, the State does not meet the standard which

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Sul tema invece della responsabilità dello Stato nell’adozione di insufficienti politiche di
riduzione di gas serra sono emblematiche le parole dei giudici quando affermano: “The
question whether the State is in breach of its duty of care for taking insufficient measures to
prevent dangerous climate change, is a legal issue which has never before been answered in
Dutch proceedings and for which jurisprudence does not provide a ready-made
framework”17.

Nell’affrontare la delicata questione la Corte cerca un equilibrio nel distinguere tra
rideterminazione dell’obiettivo generale di riduzione (dal 17% ad almeno il 25%) e libertà
delle soluzioni che possono essere adottate per il suo raggiungimento.

Quindi il principio di separazione dei poteri sarebbe rispettato in quanto il sindacato dei
giudici entrerebbe “solo” nel quantum dell’obiettivo stabilito e troverebbe la sua
giustificazione sulla verificabile incoerenza (e una verificata controtendenza) tra impegni
presi e dati scientifici disponibili. Nelle parole della Corte, par. 4.101: “[i]n this, it is
relevant to note that the claim discussed here is not intended to order or prohibit the State
from taking certain legislative measures or adopting a certain policy. If the claim is
allowed, the State will retain full freedom, which is pre-eminently vested in it, to determine
how to comply with the order concerned”. Ricostruita la controversia in alcuni dei suoi
elementi essenziali come affrontati in primo grado, si tratta adesso di individuare il salto
qualitativo della sentenza di appello che non risiede tanto nelle conclusioni della decisione
in sé (in quanto conferma il giudizio di primo grado), bensì nelle diverse basi giuridiche di
cui si fonda. Difatti, mentre la sentenza di primo grado riconosce la violazione del duty of
care dello stato olandese avvalendosi di strumenti argomentativi di natura privatistica,
quella di appello – accogliendo ricorso incidentale di Urgenda – considera invece
l’inadeguatezza dell’obiettivo statale di riduzione dei gas serra come una violazione degli
artt. 2 e 8 della CEDU18. E’ notevole pertanto il salto qualitativo del giudizio d’appello che
opera sul piano della diversa natura dei valori in gioco: la decisione affonda le proprie

according to the latest scientific knowledge and in the international climate policy is required for Annex I
countries to meet the 2°C target”.
16
   Par 4.83:“[d]ue to the severity of the consequences of climate change and the great risk of hazardous
climate change occurring – without mitigating measures – the court concludes that the State has a duty of
care to take mitigation measures. The circumstance that the Dutch contribution to the present global
greenhouse gas emissions is currently small does not affect this. Now that at least the 450 scenario is
required to prevent hazardous climate change, the Netherlands must take reduction measures in support of
this scenario”
17
   Par. 4.53.
18
   La violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU era stato argomento già inserito nella proposizione del ricorso
principale ma i giudici l’avevano respinta non riconoscendogli lo status di “potential victime” ai sensi dell’art.
34 della Convenzione; cfr. par. 4.45 “[i]n assessing the question whether or not the State with its current
climate policy is breaching one of Urgenda’s personal rights, the court considers that Urgenda itself cannot
be designated as a direct or indirect victim, within the meaning of Article 34 ECHR, of a violation of Articles 2
and 8 ECHR. After all, unlike with a natural person, a legal person’s physical integrity cannot be violated nor
can a legal person’s privacy be interfered with (cf. ECtHR 12 May 2015, Identoba et al./Georgia, no.
73235/12). Even if Urgenda’s objectives , formulated in its by-laws, are explained in such a way as to also
include the protection of national and international society from a violation of Article 2 and 8 ECHR, this does
not give Urgenda the status of a potential victim within the sense of Article 34 ECHR (cf. ECtHR 29
September 2009, Van Melle et al./Netherlands, no. 19221/08). Therefore, Urgenda itself cannot directly rely
on Articles 2 and 8 ECHR”.

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radici non più sugli strumenti privatistici (interpretati comunque anche in primo grado in
funzione della CEDU e dell’interpretazione che ne dà la Corte 19 ) bensì nel terreno, più
ampio e fertile, dei diritti umani. La sentenza di appello conclude che lo Stato “is acting
unlawfully (because in contravention of the duty of care under Articles 2 and 8 ECHR) by
failing to pursue a more ambitious reduction as of end-2020, and that the State should
reduce emissions by at least 25% by end-2020”20. Non è nello scopo di queste brevi note
analizzare il filo argomentativo che porta alla connessione 21 tra insufficienza dell’azione
statale e violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU22 né approfondirne le sue criticità23, ma
piuttosto riflettere sul significato che tale decisione potrebbe avere nel futuro.

L’aspetto innovativo che sembra suscitare più interesse è proprio la considerazione
dell’inazione (o la non sufficiente azione) statale come violazione dei diritti umani che fa
assumere alla decisione della corte d’appello una maggior vocazione sovranazionale e si
inserisce all’interno di un contesto internazionale che vede sia crescere le controversie sui
cambiamenti climatici con intensità e diffusione geografica tale24 da non far apparire più la
sentenza Minors Oposa v. Factoran del 1993 come un caso isolato, sia interrogarsi, con più
consapevolezza, sulla relazione tra ambiente e diritti umani.

19
   Par 4.46: “[h]owever, both articles and their interpretation given by the ECtHR, particularly with respect to
environmental right issues, can serve as a source of interpretation when detailing and implementing open
private-law standards in the manner described above, such as the unwritten standard of care of Book 6,
Section 162 of the Dutch Civil Code”.
20
   Par. 76 sent appello.
21
   In particolare par. 34-43 sent. appello.
22
   L’art. 2 della CEDU è dedicato al “diritto alla vita” mentre l’art. 8 al “diritto al rispetto della vita privata e
familiare”; è noto che il testo della CEDU non contiene alcun riferimento esplicito alla tutela dell’ambiente;
tuttavia, la mancanza di riferimenti appositamente dedicati, non ha impedito alla Corte, a partire dagli anni
’80, a riconosciuto un diritto all’ambiente salubre; tra i casi che interessano l’Italia si ricorda quello Guerra e
altri c. Italia (n. 14967/1989) promossa da un gruppo di cittadine del comune di Manfredonia.
23
   Si accenna soltanto che il riconoscimento operato sul piano dei diritti umani, apprezzabile sul piano degli
sviluppi del dibattito ambientale, sembra risentire sul piano interpretativo di alcune forzature.
Difatti mentre il giudice di primo grado ha riconosciuto la legittimazione ad agire ad Urgenda in funzione del
diritto olandese, la corte di appello lo ha operato sulla base degli artt. 2 e 9 della CEDU quando però lo Corte
di Strasburgo ha assunto, almeno per il momento, una posizione di sostanziale chiusura nei confronti delle
class action.
Abbastanza chiaramente nella Ilhan v. Turkey, sentenza del 27 giugno 2000, par. 52-53 “[t]he system of
individual petition provided under Article 34 (former Article 25) of the Convention excludes applications by
way of actio popularis. Complaints must therefore be brought by or on behalf of persons who claim to be
victims of a violation of one or more of the provisions of the Convention. Such persons must be able to show
that they were “directly affected” by the measure complained of”.
Inoltre, nonostante nel tempo, dopo una prima posizione abbastanza rigida, la Corte di Strasburgo abbia
assunto una posizione sempre più di apertura nei confronti della tutela dell’ambiente, non si è ancora mai
espressa sui cambiamenti climatici.
Esprime perplessità sul ragionamento della Corte Olandese Leijten, Ingrid: The Dutch Climate Case
Judgment:          Human     Rights     Potential   and      Constitutional     Unease,       VerfBlog, 2018/10/19,
https://verfassungsblog.de/the.
24
   In base al rapporto “The status of climate change litigation. A global review” realizzato dall’UNEP –
l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente – e dal Sabin Centre for Climate Change Law della Columbia
University di New York, alla data di marzo 2017, erano quasi 900 le cause in corso in tutto il mondo
riconducibili ai cambiamenti climatici di cui ben 654 negli Stati Uniti; pp. 10-13.

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Su questo secondo aspetto è da evidenziare anche il recente parere consultivo25 espresso
dalla Inter-American Court of Human Rights dove, per rispondere ad una specifico
interrogativo proposto dalla Colombia, ritiene di dover affrontare preliminarmente26 le due
questioni sull’'interrelazione tra diritti umani e ambiente 27 e sui diritti umani colpiti dal
degrado ambientale, incluso il diritto ad un ambiente sano28. Dopo aver effettuato una vasta
ricognizione di giurisprudenza29 e di documenti di organizzazioni internazionali che hanno
affrontato l’argomento riconoscendo una connessione tra cambiamenti climatici e diritti
umani 30 , la Corte giunge ad affermare che il diritto all’ambiente salubre è un diritto
fondamentale, che anche le alterazioni connesse al cambiamento climatico possano
influenzare negativamente il godimento di tale diritto e che è compito di ogni Stato
assicurarsi che le proprie azioni e quelle poste in essere nel proprio territorio non ne
determinino una lesione.

Tornando al caso olandese, se già la sentenza di primo grado aveva stimolato la discussione
in dottrina e trovato un suo riconoscimento anche in una importante causa federale in corso
negli Stati Uniti 31 , quella di appello dovrebbe incoraggiare ulteriormente il dibattito
internazionale sulle molte sfaccettature ancora da chiarire e risolvere nelle controversie
legate ai cambiamenti climatici e, in particolare, sul nesso tra questi e la violazione dei
diritti umani la cui influenza e solidità dovrà essere verificata anche nella futura
giurisprudenza32.

25
  Il parere è del 7 febbraio 2018 ed è consultabile in https://elaw.org/IACHR_CO2317
26
    E la Corte precisa anche che “Esta Opinión constituye una de las primeras oportunidades de este
Tribunal para referirse, de manera extendida, sobre las obligaciones estatales que surgen de la necesidad
de protección del medio ambiente bajo la Convención Americana”. Cfr par. 46.
27
   “La interrelación entre los derechos humanos y el medio ambiente”; cfr. par. 47-55.
28
   “Derechos humanos afectados por la degradación del medio ambiente, incluyendo el derecho a un medio
ambiente sano”; cfr par. 55-70.
29
   Nel parere viene citata la giurisprudenza della CEDU riferibile agli art. 2 e 8 (cfr note 67-69 del parere)
nonché un caso e una comunicazione della Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli (cfr nota
70 del parere) .
30
    In particolare vengono citata la posizioni della Commissione interamericana dei diritti umani,
l’Organizzazione degli stati americani, “[l]a Comisión Interamericana ha resaltado que varios derechos de
rango fundamental requieren, como una precondición necesaria para su ejercicio, una calidad
medioambiental mínima, y se ven afectados en forma profunda por la degradación de los recursos
naturales. En el mismo sentido, la Asamblea General de la OEA ha reconocido la estrecha relación entre la
protección al medio ambiente y los derechos humanos . . . y destacado que el cambio climático produce
efectos adversos en el disfrute de los derechos humanos.”par. 49 (ns il corsivo).
31
   Difatti, nel proporre un rifiuto ad una motion di dimiss avanzata dal governo federale il giudice Coffin nel
suo “Findings e Recommendation” cita anche la sentenza Urgenda Infatti viene così riportato “[a]ssuming
plaintiffs are correct that the United States is responsible for about 25% of the global CO2 emissions, the
court cannot say, without the record being developed, that it is speculation to posit that a court order to
undertake regulation of greenhouse gas emissions to protect the public health will not effectively redress the
alleged resulting harm. The impact is an issue for the experts to present to the court after the case moves
beyond the pleading stage. And although this court has no authority outside of its jurisdiction, it is worth
noting that a Dutch court, on June 24, 2015, did order a reduction of greenhouse gas emissions nationwide
by at least 25% by 2020…..The effect may or may not be scientifically indiscernible, but that is an issue
better resolved at summary judgment or trial rather than on a motion to dismiss”.
32
   Olanda compresa in quanto il Governo ha dichiarato che presenterà ricorso alla Suprem Court of
Netherland; peraltro vale la pena ricordare come peculiarietà dell’ordinamento olandese che è privo di una
Corte Costituzionale; per approfondimenti cfr. G.Martinico, Studio sulle forme alternative di Judicial Review: il
caso dei Paesi Bassi e della Svizzera, Federalismi.it, n. 12/2017.

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Più in generale le climate change litigation richiamano l’attenzione sul fatto che il diritto
non possa più limitarsi a disciplinare l’attuale convivenza umana sul pianeta quando gli
scenari futuri descritti dalla scienza profilano rischi di sopravvivenza (o almeno di radicali e
diverse condizioni di esistenza33) imponendo quindi l’urgenza e l’imprescindibilità di far
confluire nella dimensione giuridica la presa in considerazione della dimensione
intertemporale degli effetti.

E’ evidente che i problemi di oggi “pesano” di più (e hanno meno difficoltà ad essere
ricompresi nell’agenda politica) mentre quelli di domani si tende a sottovalutarli (o non
considerarli). Questo lo facciamo anche tutti noi nella nostra vita quotidiana. Tuttavia, a
differenza di altri problemi legati al futuro e all’equità intergenerazionale (quali quelli legati
ad esempio alla sostenibilità del debito pubblico e della gestione previdenziale), in cui
soluzioni alternative si possono anche trovare “a pianeta esistente” (seppur quasi sempre a
discapito di “chi arriva dopo”), non abbiamo a disposizione invece un pianeta B.

Per di più la scienza getta una luce sempre più preoccupante sulla traiettoria di crescita della
temperatura e sulla irreversibilità degli effetti che ciò potrà determinare in quanto i rapporti
successivi descrivono una realtà del domani un po’ peggiore di quella ipotizzata in
precedenza. Difatti recentissimi ed autorevoli contributi scientifici pubblicati subito dopo la
sentenza di appello Urgenda - a livello mondiale lo “Special Report on Global Warming of
1,5˚ C (SR15)” elaborato dall’IPCC e pubblicato il 9 novembre 2018, nonché, in ambito
USA, il secondo volume del Fourth National Climate Assessment (NCA4) pubblicato il 23
novembre 2018 – rafforzano l’esigenza di adottare, in tempi rapidi, importanti azioni di
riduzione di emissioni dei gas serra se si vuole evitare effetti negativi e permanenti sul
nostro pianeta.

Adesso come non mai sembra doversi far riferimento alla metafora elaborata da Kenneth
Boulding34 quando già nel 1966 marcò l’esigenza di passare da una “economia da cowboy”
(o da Far west), in cui l’ambiente è fonte inesauribile di risorse e deposito illimitato di
rifiuti, ad un “economia da navicella spaziale”, in cui l’ambiente chiuso richiede
necessariamente un utilizzo attento di tutte le risorse anche per il futuro.

La sfida da affrontare per la protezione dell’ambiente, di cui i cambiamenti climatici
rappresentano forse il caso più evidente e attuale di responsabilità intergenerazionale, è
quella di individuare meccanismi di decisione, regole o strutture istituzionali appositamente
dedicate 35 allo scopo di provare ad uscire dal persistente paradosso per cui, nello stesso
momento storico, da un lato il futuro sarebbe già oggi (così sembra gridare la scienza) e
dall’altro il futuro sembra invece non arrivare mai, vittima sacrificale delle esigenze di
breve periodo che ci condannano a vivere perennemente “prigionieri del presente”36.

33
   Basti pensare al fenomeno delle cd “migrazioni climatiche” cioè a quelli spostamenti di massa dovuti alle
mutate condizioni di vivibilità di alcune zone della terra.
34
   K.Boulding, The economics of the coming spaceship Earth, 1966.
35
   Per la proposta di di istituire una Corte Internazionale per l’ambiente v. A.Postiglione, Giustizia e ambiente
globale, 2001, p. 27 e ss.
36
   L’espressione è di W.D.Nordhaus, The climate casino: risk, uncertainty and economics for a warming
world, 2013, p. 318 che nel 2018 ha ricevuto il premio nobel per l’economia assieme a P.M.Romer proprio
per i loro studi sui rapporti tra macroeconomia, tecnologia e cambiamenti climatici.

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Il caso Urgenda offre un piccolo segnale in tal senso ma lo scenario politico internazionale
sembra ancora non adeguatamente recettivo davanti ai rischi prospettati anche dai nuovi
rapporti scientifici viste le conclusioni, abbastanza timide, della recente conferenza delle
parti (COP 24) di Katowice37. Il futuro per adesso sembra sempre un po’ troppo lontano e ci
vorrà quindi ancora del tempo prima di poter definire con più concretezza politiche,
responsabilità e nuovi diritti.
Clima permettendo.

                        PUBBLICATO SU AMBIENTEDIRITTO.IT - 31 DICEMBRE 2018 – ANNO XVIII

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attuazione dell’Accordo di Parigi.

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