I valori dell'amicizia e della musica nel II Canto del Purgatorio

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I valori dell'amicizia e della musica nel II Canto del Purgatorio
I valori dell’amicizia e della musica nel II Canto del Purgatorio

Il secondo canto del Purgatorio di Dante Alighieri è ambientato sulla spiaggia, dove arrivano le
anime per iniziare la propria espiazione. Siamo all'alba del terzo giorno dall’inizio del viaggio
nell’oltretomba dantesco (il 10 aprile 1300, giorno di Pasqua; o secondo altri commentatori il 27
marzo 1300), descritta con molti particolari astronomici; il cielo da vermiglio diventa dorato,
quando ancora i due poeti si guardano intorno, alla ricerca del cammino migliore da intraprendere.
Improvvisamente notano l'avvicinarsi di un punto luminosissimo, che si muove a grande velocità,
finché non riconoscono una navicella, su cui a poppa stava un angelo di un bianco abbagliante.
vv. 37-45
                                   Poi, come più e verso noi venne
                                 l’uccel divino, più chiaro appariva:
                               per che l’occhio da presso nol sostenne,
                               ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
                                  con un vasello snelletto e leggero,
                                tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
                                Da poppa stava il celestial nocchiero,
                                  tal che faria beato pur descripto;
                                  e più di cento spirti entro sediero.

All'interno dell'imbarcazione si assiepano un centinaio di anime; tutte insieme cantano il salmo
centoquattordici del Salterio, "In exitu Isräel de Aegypto", con un forte significato figurale: è il
primo verso del Salmo cantato dagli Ebrei per celebrare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e
indica sul piano figurale l’anticipazione di ciò che avverrà nel Purgatorio: la liberazione dell’anima
dalla schiavitù dei peccati.
L’angelo nocchiero, con la sola forza delle ali eterne ed immacolate, fa avanzare l'imbarcazione,
nella quale sono trasportate dalla foce del Tevere fino all'isola del Purgatorio le anime destinate alla
redenzione. Come i due poeti, anche le anime che approdano sono spaesate e domandano della
strada da seguire. Virgilio risponde loro che essi pure sono pellegrini inesperti del luogo e che sono
giunti da un’altra via, quella infernale.
vv. 61-66
                                   E Virgilio rispuose: “Voi credete
                                  forse che siamo esperti d’esto loco;
                                 ma noi siam peregrin come voi siete.
                                Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
                                  per altra via, che fu sì aspra e forte,
                                  che lo salire omai ne parrà gioco”.

Quando le anime ravvisano in Dante la presenza di uomo ancora vivo, si sgomentano. Nondimeno,
per curiosità, si avvicinano, dimenticando lo scopo per cui sono giunte fin qui, cioè emendare i
propri peccati. Una delle anime abbraccia Dante, inducendolo a fare altrettanto. Il poeta abbraccia il
proprio petto, mancando le anime di consistenza corporea.

vv. 76-81

                                    Io vidi una di lor trarresi avante
                                per abbracciarmi, con sì grande affetto,
                                   che mosse me a far lo somigliante.
                                Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
                                  tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
                                   e tante mi tornai con esse al petto.

Dante riconosce lo spirito che lo ha avvicinato. Si tratta del musico fiorentino Casella. Di lui
possediamo scarsi riferimenti storici: era amico di Dante e probabilmente musicava testi dottrinali;
morì poco prima della fine del Duecento. Dante chiede spiegazioni sul perché Casella, pur essendo
morto da mesi, giungeva solo in quel momento alla spiaggia e apprende da lui che le anime
assegnate al Purgatorio si raccolgono alla foce del Tevere, avvalorando una leggenda nota nel
Medioevo, e che l’angelo nocchiero le preleva secondo la volontà divina; da quando, però, è iniziato
il Giubileo del 1300, egli prende nella sua barca senza alcuna difficoltà chiunque voglia entrare.

vv. 94-99

                               Ed elli a me: “Nessun m’è fatto oltraggio
                                 se quei che leva quando e cui li piace,
                                 più volte m’ha negato esto passaggio;
ché di giusto voler lo suo si face:
                                   veramente da tre mesi elli ha tolto
                                chi ha voluto intrar, con tutta pace…”.
Su preghiera dell’amico, che ricorda quanto fosse per lui rasserenante il suo canto, Casella intona
soavemente "Amor che ne la mente mi ragiona" , tanto che Dante avverte dentro di sé una intensa
dolcezza. Il testo appartiene allo stesso poeta fiorentino ed è tratto dal terzo libro del Convivio, in
cui l’autore fa l’elogio della donna gentile, che è la Filosofia.

vv. 112-117

                                 “Amor che ne la mente mi ragiona”,
                                   cominciò elli allor sì dolcemente,
                                che la dolcezza ancor dentro mi suona.
                                   Lo mio maestro e io e quella gente
                                  ch’ eran con lui parevan sì contenti,
                                come a nessun toccasse altro la mente.

A interrompere l'assembramento delle anime, che ascoltano intente, interviene Catone l’Uticense,
custode del secondo regno e venerando per esemplare rettitudine, che le rimprovera per questo
indugio e le sollecita a riprendere il cammino di espiazione.

vv. 118-123

                                     Noi eravam tutti fissi e attenti
                                 A le sue note; ed ecco il veglio onesto
                                  gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?
                                Qual negligenza, quale stare è questo?
                                Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
                               ch’esser non lascia a voi Dio manifesto”.

A guisa di colombe impaurite da un rumore improvviso, i pellegrini si allontanano lesti. Con questa
prima similitudine del Purgatorio si chiude il canto.

vv. 124-133

                               Come quando, cogliendo biado o loglio,
                                    li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,
                                se cosa appare ond’elli abbian paura,
                                   subitamente lasciano star l’esca,
                                 perch’ assaliti son da maggior cura;
                                  così vid’ io quella masnada fresca
                                lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
                                  com’ om che va, né sa dove riesca;
                                   né la nostra partita fu men tosta.

Commento

Probabilmente il senso di questo secondo canto è da ravvisare nell'arricchimento dell'animo e della
coscienza del poeta, che, pur amando la bellezza e il piacere dell'Arte (simboleggiati dal canto di
Casella, che musica una sua stessa canzone), scopre che la rettitudine, la salvezza e l'amore di Dio
sono più importanti. Si stabilisce una sorta di nuova gerarchia di valori. Tutto ciò che sulla Terra,
nella vita, è importante, nell’aldilà perde di significato. Avviarsi al processo della purgazione è
impresa difficile, perché fin dall’inizio si sente ancora il richiamo e il fascino dei piaceri umani. Il
paesaggio e il clima del Purgatorio divergono radicalmente dai corrispettivi dell'Inferno. Qui la
dolcezza, il tepore e la luce ciclica e modulata del giorno, con le sue albe e i suoi tramonti
costituiscono fenomeni sconosciuti alle desolate e impervie lande infernali.

La lettura del canto deve essere condotta su un piano drammaturgico. Le iniziali precisazioni
astronomiche, preoccupate di rendere la situazione della luce e dell'ora; il lento avvicinarsi
sull'orizzonte visivo del lume che prende via via forma fino ad assumere la limpida suggestione d'un
primo piano; la presenza, sin dalla prima apparizione dell'angelo nocchiero, di un rapporto tra
l'azione rappresentata e l'io del Poeta; le risonanze bibliche e la meditazione sulla condizione
pellegrinante del cristiano, introdotte dall'inizio del salmo "In exitu Israel de Aegypto" ;
l'intermezzo musicale che aduna un pubblico ed un coro attorno all'amico musico e cantore; il
sovrapporsi della meditazione sull'amicizia alla meditazione sul mistero della vita come continua
peregrinazione; l'intervento di Catone che disperde la cerchia animata dal canto per richiamare la
preminenza e sollecitudine del fine supremo sulla precarietà del terrestre; il rompersi finale del
pubblico e lo sciogliersi dell'azione, la cui resa visiva è affidata alla similitudine dei colombi: di
drammaturgia si può parlare se si pensa allo svolgimento ritmico di questi quadri che si muovono
con logica rapidità, rivelando la sapienza registica del Poeta.
Il canto secondo è intimamente legato al primo, ma è soprattutto nella sua dimensione liturgica che
costituisce il logico sviluppo dei due riti di purificazione officiati da Virgilio, attraverso i quali
Dante è entrato nella "società delle anime". L'insistenza con cui il Poeta ritorna sul candore dell'
“uccel divino” (l’angelo nocchiero) non può non ricordarci che il bianco è il colore che predomina
nella liturgia battesimale e in quella pasquale del giorno di Risurrezione, mentre il sacerdotale
segno di croce dell'angelo, consacra il primo momento corale di tutto il Purgatorio e il primo
incontro di Dante con l'umanità penitente. Casella e Catone sono i due temi fondamentali del canto
II del Purgatorio: quello dello stupefatto smarrimento, dell’incertezza un po’ lenta e l’altro della
indiscutibile e assoluta sicurezza, della certezza salda e infallibile. Rappresentano i due aspetti dello
stato d’animo di Dante pellegrino nel nuovo regno e ne costituiscono la risoluzione in immagine.
L'episodio di Casella, attraverso il motivo della solenne glorificazione dell'arte - nel rapimento della
musica come mediatrice di spiritualità - costituisce un brano di autobiografia dantesca, secondo il
Marti, nel quale il Poeta evoca nostalgicamente i miti culturali della lontana giovinezza, e lo sforzo
amoroso e tenace con cui volle realizzarli.        È questo un momento in cui chiara si avverte la
dialettica fra Dante poeta e Dante personaggio, fra l'io poetico "che deve superare le limitazioni
dell'individualità per conseguire un'universale esperienza" e l'io empirico che è l'"occhio individuale
necessario per percepire e fissare la materia d'esperienza"(Spitzer) : l'intervento di Catone
restituisce a Dante la consapevolezza di sé, poiché come uomo è in cammino verso la salvezza e
come poeta agli altri si offre maestro di vita. La condizione di pellegrini era stata subito dichiarata
dal Poeta: “ma noi siam peregrin come voi siete”. Se questa è la condizione umana, bisogna
conservarsi come gente che pensa al suo cammino, e non sostare, adagiandosi nella contemplazione
della realtà terrestre e nella meditazione dei valori umani.
Il messaggio di Dante è chiaro: i valori terreni, come l’amicizia e il canto, sono importanti quando
si è in vita; ancora più importante è, però, la continua ricerca della salvezza spirituale, da perseguire
come peregrini instancabili.

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