La repressione in Italia e l'evoluzione del movimento ultras

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La repressione in Italia e l'evoluzione del movimento ultras
La repressione in Italia
          e l'evoluzione del movimento ultras
             Nascita del movimento ultras italiano

Primi vagiti nelle aree metropolitane: 1967 Commandos Tigri, 1968 Fossa,
1969 Boys San a Milano, sempre nel 1969 gli UTC Sampdoria usano per la
prima volta la parola "ultras", ma la disputa è annosa (spesso stucchevole) e
nella stessa si inseriscono diverse formazioni di tifo più prossime come
organizzazione ai "Club" ma non prive di elementi di colore e/o in comune con
gli ultras, come i Fedelissimi Granata del 1951
Violenza, influenze e retaggi

La letteratura di riferimento spesso risale fino al 59 d.C. anno in cui, secondo
gli "Annales" di Tacito, si verificarono duri scontri a Pompei fra locali e
nocerini durante uno spettacolo di gladiatori.

È nota ed ampiamente dibattuta l'influenza dell'hooliganismo inglese sul
mondo ultras, ma più prossima (geograficamente e cronologicamente) è stata
la politica extra-parlamentare e i tanti movimenti di azione e pensiero ad essa
collegati.

Ma la mutuazione di queste forme di violenza nel tifo da stadio ha sempre
preoccupato relativamente l'opinione pubblica.
Com'era l’ordine pubblico in quegli anni?

Lo stadio era ritenuto incubatore e valvola di sfogo delle tensioni sociali:
"meglio negli stadi che in piazza a destabilizzare politicamente il paese".

Il "Reparto Celere" poi divenuto una sorta di "terzo blocco" negli scontri tra
ultras, per organizzazione e priorità si (pre)occupava poco di tifosi, preso
com'era dai tumulti di piazza.

Lo stadio restava prerogativa spesso di semplici agenti di paese, le forme di
intervento grossolane e la violenza non dissimilmente restava anarchica,
istintiva, spesso simbolica e auto-regolamentata.
Quale la risposta repressiva?

Luogo comune vuole l'ordine fosse ristabilito con paternali schiaffoni e calci in
culo. Il dato certo riguarda l'apparato legislativo che era ancora molto
elementare e generico, limitato a simbolici fogli di via dalle città in cui il tifoso
ospite di turno commetteva violenza. Oltre alle immancabili denunce o agli
arresti nei casi più gravi.

La violenza vide ben presto un'escalation da episodica e rituale a pianificata e
sistematica. Non tardarono ad arrivare i morti, anche in questo caso prima
frutto del caso e della disorganizzazione, poi sempre più tristemente per una
esasperazione del "codice ultras" o dell'ambigua frammistione con il "codice
della strada" e la risposta dello Stato non tardò ad arrivare.
Teorie del complotto e dati di fatto

In una lettura "complottista", il giro di vite avvenne in uno slancio securitario
in vista dei mondiali del '90 ma per onestà bisognerebbe contestualizzare le
morti in quel periodo di Fonghessi, De Falchi e il brutale ferimento di Dell'Oglio
tutte per "fuoco amico".

Lo spettro dell'antagonismo di piazza era stato esorcizzato, il riflusso dei
giovani dalla politica li aveva visti trasferirsi quasi in blocco verso le Curve e
ora questi spazi cominciavano a essere considerati non più valvole di sfogo ma
sacche di antagonismo al potere seppur di altro tipo. Bisognava correre ai
ripari, nacque la famosa legge 401 del 1989, quella che attraverso varie
metamorfosi, ha condizionato la vita dei tifosi fino ai giorni nostri.
Leggi, usi e costumi... "all'italiana"

Il quadro normativo fu dunque inasprito, ma più del daspo e delle prime
denunce, fu l'approccio sul campo a cambiare: il proverbiale bonario poliziotto
di paese lasciò spazio alla Digos, ufficio speciale presente in ogni questura.
Con il decreto del 2001, all'interno della Digos, furono istituite le "Squadre
tifoserie": gli ultras divennero la nuova ossessione dello Stato.

Se all'inizio il daspo era una punizione quasi simbolica, il clima di moderna
caccia alle streghe portò all'incostituzionale meccanismo della diffida sulla
base dei sospetti, spesso sulla base del nulla, come puro strumento di
rappresaglia e ben presto, dai fatti "delittuosi" si passò anche a punire azioni
anche solo potenzialmente pericolose se non addirittura banalmente
folkloristiche.
Italia '90 e Pay-tv, spartiacque fittizi e reali

Prima di Italia '90 i tempi non erano forse ancora maturi per passare al livello
repressivo successivo. Forse non c'era nemmeno la volontà di scontrarsi
frontalmente con un movimento che, sulla scia del Mundial '82, era al suo
massimo splendore quantitativo e qualitativo.

L'avvento delle Pay-tv però, arrivate dapprima in sordina e poi divenute sempre
più ingombranti e invadenti, impose un nuovo giro di vite verso il tifo
organizzato: la scaletta televisiva non doveva in alcun modo essere disturbata,
per cui ogni esuberanza andava fortemente stigmatizzata, con le parole e con i
fatti da chi ne aveva interesse diretto e dai servi con interessi indiretti.
Punto di non ritorno 2007: Raciti e Sandri

Processi per direttissima, flagranza differita, criminalizzazione anche solo del
semplice possesso di pirotecnica, ecc. il quadro normativo allo stadio è andato
man mano sempre più assumendo crismi di "leggi speciali" paradossalmente
proprio come il terrorismo politico.

Il punto di non ritorno è stato il 2007, iniziato con la morte di Raciti e concluso
con quella di Sandri. Se per equilibrio analitico si vuol evitare il "complotto" al
quale spesso i tifosi gridano, resta incontrovertibile che ogni nuovo decreto,
ogni nuova conversione in legge è sempre mossa d'urgenza, scritta con la
"pancia", in preda alle forti emozioni di questi momenti tragici e questo non
aiuta certo a vedere il fenomeno, o il problema se vogliamo, nella sua interezza
Tessera del tifoso, controllo psicotico delle masse

Il panico sociale di quel periodo storico legittimò l'introduzione della tessera
del tifoso. Di fatto una pretenziosa suddivisione in buoni e cattivi sulla base
del solo possesso di un pezzo di plastica. Una pretestuosa raccolta di dati
ibrida fra la schedatura di massa a fini polizieschi e la raccolta di dati
spudoratamente commerciale in favore di banche ed altri soggetti partner.

I gruppi organizzati rimasero completamente disorientati di fronte a questo
nuovo scenario, le reazioni furono disorganiche o al massimo puramente
ideologiche. Le nuove leggi volevano teoricamente colpire i violenti, ma di
fatto resero impossibile qualsiasi forma di aggregazione.
La morte di Ciro, elaborare il lutto e ripartire

Mentre la scena ultras sperimentava forme di rinnovamento, arrivò la morte di
Ciro Esposito a spezzargli di nuovo le gambe. Una morte che, come quella di
Spagnolo, ha richiesto agli ultras delle serie riflessioni per elaborare quel
lutto, metabolizzarlo e ripartire.

Fra istituzioni e tifosi le posizioni andavano sempre più cristallizzandosi: lo
stesso caso Esposito aveva però dimostrato che penalizzare il lato
aggregativo, anziché disincentivare la violenza, l'aveva resa l'unica forma
possibile di espressione, confronto tra tifosi e ribellione alle autorità,
considerato che tutte quelle contestazioni simboliche e quei confronti
folkloristici erano ugualmente criminalizzate.
Azione, reazione ed evoluzione

Con questa sindrome d'accerchiamento il movimento ultras s'è chiuso per auto-
difesa su se stesso. Se questo non cambia i rapporti verso l'esterno,
internamente ha rimesso al centro quello spirito e quella solidarietà di gruppo
che la tessera stessa e la repressione in senso lato avevano annichilito in
favore dell'individualismo.

Nel frattempo, evolute nuove strategie di superamento repressivo, gli ultras
pur essendo ancora lontanissimi dai fasti degli anni '80 e '90 hanno saputo
comunque rinnovarsi e ritrovare comunque il filo ideologico e qualitativo del
proprio percorso di militanza.
L'eliminazione della tessera e gli scenari futuri

Con la versione "Away" gli ultras hanno espugnato il tabù tessera del tifoso, è
così aumentata la partecipazione alle trasferte sia dei singoli tifosi che dei
gruppi organizzati. Questo ha posto il mondo istituzionale davanti alla (per
loro) dura realtà: la fidelizzazione è un'attitudine e ingigantire l'iter
burocratico-repressivo ha finito paradossalmente per radicalizzare ancora di
più gli ultras e allontanare i semplici tifosi con un progressivo svuotamento
degli stadi.

Questo ha costretto i vertici politico-sportivi a correre ai ripari, nella speranza
(ancora una volta) di portar tifosi "normali" allo stadio e di tenere sotto
controllo gli ultras: da qui la scelta, presunta, di eliminare la tessera.
Approcciarsi a questo futuro per vivere ancora ultras

Il futuro è ora, sotto diversi punti di vista: l'anno appena passato ha subito
dimostrato quanto contraddittoria sia questa eliminazione della tessera che,
nei fatti, s'è rivelata una sua "smaterializzazione" a cui hanno fatto seguito
diversi passi indietro, ma per fortuna anche qualche spiraglio di manovra per i
gruppi organizzati.

Esiste una sintesi perfetta o almeno possibile fra la coerenza ideologica e
l'approccio pragmatico alla realtà e ai suoi problemi? Le trasferte aperte, il
ritorno di megafoni, tamburi e striscioni in subordine ai voleri e ai capricci
superiori, sono spazi e prassi riconquistate o ipocrite, ipotetiche concessioni
democratiche di uno Stato che ha invece sempre meno libertà reali?
La repressione in Italia
e l'evoluzione del movimento
             ultras
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