I Media digitali: innovazioni e opportunità per i sordi - Progetto ...

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I Media digitali: innovazioni e opportunità per i sordi - Progetto ...
I Media digitali: innovazioni e opportunità per i sordi

Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione
Corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione
Cattedra di Industria Culturale e Media Studies

Candidato
Susanna Ricci Bitti
n° matricola 1570843

Relatore                                              Relatore aggiunto
Mario Morcellini                                      Virginia Volterra

A/A 2015/2016

	
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A chi ha combattuto per una migliore comunicazione e accessibilità per i sordi

	
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Indice

Introduzione ...................................................................................................................................... 7

       1. Evoluzione della comunicazione e dei media dal punto di vista dei sordi prima dell’avvento
          della TV
         1.1. Dagli albori della civiltà al Seicento ..................................................................................... 9
         1.2. Tra il Settecento e l’Ottocento ............................................................................................ 13
         1.3. La prima metà del Novecento ............................................................................................ 18

2. L’offerta mediale per i sordi tra televisione, radio e telefonia mobile
         2.1. L’arrivo della TV e il monopolio RAI .................................................................................. 27
         2.2. Il rapporto tra sordi e media al tempo di radio e TV private ............................................... 30
         2.3. Dagli anni Novanta al Duemila: percorsi di “convergenza” tra media e persone sorde .... 36

3. Innovazioni e opportunità dei media digitali
         3.1. I media digitali ................................................................................................................... 45
         3.2. Internet mobile .................................................................................................................. 51
         3.3. Social network .................................................................................................................. 53

Conclusioni ..................................................................................................................................... 59

Ringraziamenti ................................................................................................................................ 63

Bibliografia ...................................................................................................................................... 65

Sitografia ........................................................................................................................................ 70

Prodotti multimediali ....................................................................................................................... 72

	
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Introduzione

                                                      La comunicazione e l’informazione rappresentano fattori decisivi per la costituzione della società
                     e qualsiasi mutamento nei sistemi di comunicazione, nei codici comunicativi come nei mezzi, può
                                                                                                                                                                                                                                       1
                     comportare profondi cambiamenti nei comportamenti sociali, nella cultura come nell’economia.

                                Il concetto di comunicazione è molto ampio, ma qui s’intende limitare il campo alla
comunicazione di informazioni, idee e pensieri, con parole e immagini a partire da quella grande
“rivoluzione della comunicazione” rappresentata dall’invenzione della stampa a caratteri mobili fino
all’età dei social media.

                                Lo studio intende concentrarsi sull’evoluzione dei mezzi di comunicazione tenendo presente,
in particolare, il punto di vista delle persone sorde2, a partire dalla presa d’atto che la maggior
parte dei mezzi di comunicazione, specialmente quelli di massa, sono acustici e richiedono l’uso
dell’udito, proprio il canale sensoriale nel quale le persone sorde hanno un deficit più o meno
grave.
                                Di conseguenza spesso i sordi vengono emarginati dalla società a causa di queste barriere
comunicative.
                                Per capire meglio questa situazione è necessario partire molto da lontano, seguendo i
progressi dell’educazione dei sordi, delle innovazioni tecnologiche e gli effetti di tutto ciò nella vita
quotidiana delle persone sorde.
                                Prima di tutto, “la sordità è un oggetto di studio complesso, lontano da un semplice stereotipo
di definizione clinica del deficit. Lo studio della sordità e della cultura sorda richiede un approccio
multidisciplinare: linguistico, psicologico, pedagogico, ergonomico, antropologico e sociologico.” 3
                                È doveroso ricordare la differenza tra deficit e handicap: “Sono due facce della stessa realtà. Il
primo rimanda all’aspetto fisico, il secondo all’aspetto sociale”.4
                                Per handicap s’intende la condizione che mette un soggetto in una posizione disavvantaggiata
rispetto ad altri, in conseguenza di una menomazione o disabilità definita deficit, è il deficit che
limita il ruolo di quella persona. Nel nostro caso il deficit è l’udito, mentre l’handicap è l’insieme
delle difficoltà che la persona sorda incontra nell’interagire con la società. Quindi una persona con
un deficit grave, a causa di fattori individuali e sociali, può avere un handicap inferiore a quello di
altri con deficit più lievi. Per esempio, se tutti conoscessimo la lingua dei segni e/o se fossero

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
1
  Ciuffoletti Z. e Tabasso E. (2007), Breve storia sociale della comunicazione, Carocci editore, Roma, p. 11.
2
  Esistono diversi termini per riferirsi alle persone sorde, ci sono periodi e/o persone che utilizzano diversamente
sordomuto, sordo e muto, sordo, audioleso, non udente. In questa tesi utilizzerò i termini originali come riportati nelle
fonti.
3
  Bianchi L. (2004), “L’accessibilità web per gli utenti sordi”, in Scano R. (a cura di) (2004), Accessibilità: dalla teoria alla
realtà, IWA Italy, Roma, pp. 492-515.
4
  Mottez B. (1979), “I paradossi della politica dell’integrazione: la comunità dei sordi” in Montanini M., Fruggeri L. e
Facchini M. (a cura di) (1979), Dal gesto al gesto, Cappelli.
	
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presenti i sottotitoli in tutti i media l’handicap per i sordi sarebbe quasi nullo.5 Però la nostra società
è verbale e utilizza modi di comunicazione prevalentemente acustico-vocali, quindi chi non sente
ha difficoltà ad assumere ruoli di rilievo e si trova emarginato in qualsivoglia situazione sociale.

                                Ora le nuove tecnologie dell’immagine e gli apparati informatici rappresentano una sfida, ma
anche una straordinaria opportunità. La società di oggi è pervasa dalla comunicazione e dalla
potenza globale dei media digitali, che avvolgono lo spazio come una grande rete densa di nodi
comunicanti, tanti quanti sono gli abitanti della terra. In effetti, ora stiamo vivendo una fase di
cambiamento strutturale nell’universo della comunicazione e dell’informazione davanti alla quale è
necessario acquisire la consapevolezza delle diverse fasi e dei mutamenti intervenuti nello
sviluppo dei mezzi di comunicazione e della loro crescente influenza sulla società e sui consumi
culturali.
                                Dal punto di vista dei sordi, le nuove tecnologie sono in grado di realizzare questa possibilità
di abbattere le barriere comunicative, consentendo una maggiore indipendenza e una maggiore
facilità nel reperimento delle informazioni.
                                Con questa tesi avremo il modo di approfondire e accertare le nuove opportunità dei media
digitali.

                                Per capire meglio la relazione tra i mezzi di informazione e i sordi è necessario, prima,
ricorrere alla storia della loro educazione e i pregiudizi che si avevano e si hanno tuttora nei
confronti delle persone sorde.
                                La tesi si suddivide in due parti:
                                La prima parte presenta la storia dei mezzi di comunicazione e le loro implicazioni, in
particolare per le persone sorde, da un punto di vista sociale, culturale e relazionale, con alcuni
spunti di approfondimento su argomenti come la sordità, la lingua dei segni, l’educazione dei sordi,
la comunità Sorda, in modo da descrivere meglio le realtà sociali.
                                La seconda parte approfondisce le condizioni attuali con i media digitali e il loro uso da parte
dei sordi. Focalizzando l’attenzione su Internet mobile e sui social network, e, anche attraverso
l’analisi di casi di studio, vengono evidenziati i livelli di innovazione e le opportunità per i sordi.
                                Infine, nelle considerazioni conclusive alla luce delle analisi svolte e anche in riferimento allo
scenario internazionale, vengono evidenziati punti di forza e carenze ancora da colmare per
permettere ai Sordi una migliore fruizione dei servizi d’informazione.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
5
        Bianchi L. (2004), op. cit.
	
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1. Evoluzione della comunicazione e dei media dal punto di vista dei sordi prima
                           dell’avvento della TV

1.1. Dagli albori della civiltà al Seicento

                                                                Che cosa accadesse nelle società primitive ai portatori di handicap, non si può sapere con
                                certezza. Si può ipotizzare che, nei diversi tipi di società, l’eventuale inserimento fosse in diretto
                                rapporto col tipo di svantaggio che la menomazione comportava. Si può pensare, ad esempio, che
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                                in una società di pescatori la sordità non fosse un grosso handicap.

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ruolo preminente sia nei riti religiosi che nelle attività con funzione sociale.7
Nel corso di molti secoli la discriminante fondamentale di una persona sorda è stata la capacità di
parlare.

                                L’evoluzione dei testi scritti, in origine visti come semplici basi per il discorso orale, acquisì col
tempo una sua autonomia, segnando la nascita del libro; poi sorsero le biblioteche, conservazione
del sapere e del patrimonio culturale. Un passaggio che la stampa esaltò in maniera imprevista per
le sue conseguenze culturali e sociali8: la scrittura fu una grande rivoluzione tecnologica nella
comunicazione e nello scambio di informazioni, portatrice di memoria permanente e a prescindere
dalla presenza fisica di un oratore.
                                Proprio grazie alla scrittura possiamo conoscere gli antenati e i fatti storici, quindi grazie ad
essa si possono avere alcune informazioni riguardanti i sordi.
                                I filosofi greci ci hanno lasciato diverse riflessioni sulla vita e le sue sfumature, tra queste
anche le prime osservazioni sui sordi: ad esempio, Platone (427-347 a.C.) che, nel Cratilo, dialogo
tra Ermogene e Socrate, racconta di come i “muti” usino le mani per parlare. La comunicazione
gestuale 9 dei sordi è dunque il modello di una forma naturale di espressione, fondata
sull’imitazione e sulla raffigurazione.10
                                Lo stesso Aristotele (384-322 a.C.) affermava che i sordi erano anche muti, proprio perché

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
6
  Radutzky E. (1995), “Cenni storici sull’educazione dei sordi in Italia dall’antichità alla fine del Settecento”, in Porcari Li
Destri G. e Volterra V. (a cura di) (1995), Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi in Italia, Gnocchi
Editore, Napoli, p. 3.
7
  Moores D. (1978), Educating the Deaf, Houghton Mifflin Company, Boston.
8
  Ciuffoletti Z. e Tabasso E. (2007), op. cit.
9
  All’epoca non c’era un chiaro termine per denominare la comunicazione usata dai sordi, veniva talvolta utilizzato il
termine mimica o linguaggio gestuale; quando sono iniziate le ricerche viene definita Lingua Italiana dei Segni (LIS) e
successivamente Lingua dei segni Italiana. Anche qui utilizzerò i termini originali come riportati nelle fonti. Per ulteriori
approfondimenti sulla LIS si rinvia a: Volterra V. (a cura di) (1987), La lingua italiana dei segni: la comunicazione visivo-
gestuale dei sordi, Il Mulino, Bologna (rist. La lingua dei segni italiana, Il Mulino, Bologna, 2004).
10
   Russo Cardona T. (2004), La mappa poggiata sull’isola. Iconicità e metafora nelle lingue dei segni e nelle lingue
vocali, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, Rende.
	
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non hanno mai avuto la possibilità di ascoltare le parole e non riescono, quindi, a riprodurle. I sordi
non mancano della capacità di produrre suoni, ma mancano di “voce articolata”, ovvero di quella
capacità di riprodurre fini distinzioni sonore in relazione ai significati, che è tipica del linguaggio
umano.11 Il mutismo dei sordi non deriva dunque dai problemi agli organi articolatori, ma del
mancato esercizio dell’ascolto.
                                L’idea del legame tra udito e “voce articolata” andrà perduta nei secoli successivi, quando
prevarrà l’enunciazione dell’assoluta impossibilità per i sordi di produrre suoni linguistici e quindi
anche di esprimere i propri pensieri,12 come un ritardo mentale. Perciò si riteneva che era inutile
perdere tempo per istruire chi non era in grado di parlare. Nacque così il primo di una serie di
pregiudizi nei confronti dei sordi.13
                                I sordi erano considerati incapaci di intendere e di volere, di conseguenza non era concesso
loro nessun diritto.
                                In età greco-romana la nascita dei bambini deformi o con disabilità evidenti poteva mettere in
rischio la sopravvivenza della famiglia perché sarebbero state bocche da sfamare che, proprio per
la loro condizione, non sarebbero stati in grado di lavorare. Quindi tanti venivano abbandonati o
soppressi. La sordità, invece, non veniva scoperta alla nascita ma solo in seguito, quando il
bambino non parlava e non reagiva agli stimoli sonori. La maggior parte di loro, quindi, riusciva a
sopravvivere anche se in uno stato di abbandono.
                                Una sorte più fortunata era riservata ai nobili, tra i quali troviamo, come riportato in un passo di
Plinio, il nome di Quinto Pedio, nipote sordo dell’omonimo console romano, al quale fu concessa la
grazia e la possibilità di coltivare il suo talento artistico nella pittura.14
                                Più tardi, durante l’impero di Giustiniano (527-565 d.C.), nel corpo legislativo fu imposta
l’istituzione di restrizioni legali per i sordi; tuttavia, nel tentativo di operare distinzioni, fu la prima
volta che furono riconosciuti diversi tipi di sordità, e fatta anche una distinzione tra sordità e
mutismo.15
                                Le persone sorde che fossero almeno in grado di scrivere in modo sufficiente a condurre la
propria vita quotidiana potevano ottenere pieni diritti dal punto di vista legale, senza
l’intermediazione dei curatori. Si poteva ben immaginare come tra i sordi, che non ricevevano
alcuna istruzione, gli unici in grado di scrivere fossero i sordi post-linguistici (coloro che erano
diventati sordi dopo l’acquisizione del linguaggio), mentre tutti i sordi pre-linguistici venivano privati
di diritti e doveri dal punto di vista legale, come quello di fare testamento, di stipulare contratti, di
rendere testimonianza, ed erano assegnati a tutori che avevano un totale controllo sulla loro vita.16

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
11
   Lo Piparo F. (1988), Aristotele: the material conditions of linguistic expresiveness, in “Versus”, 50, p. 99.
12
   Russo Cardona T. e Volterra V. (2007), Le lingue dei segni. Storia e semiotica, Carocci, Roma.
13
   Zinna S., (2010), Dar voce alla cultura sorda. Il Teatro come Strumento di Comunicazione e Partecipazione Culturale,
Aletti Editore, Villalba di Guidonia (RM).
14
   Zinna S., (2010), op. cit
15
   Bender R. (1960), op. cit.
16
   Radutzky E. (1995), op. cit.
	
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Anche le Sacre Scritture consideravano i sordi come esseri incompleti, deboli e bisognosi
della grazia di Dio: l’incapacità di articolare i suoni non era attribuita al legame sordità-mutismo
bensì a un nodo della lingua che Gesù Cristo toccando scioglieva.17
                                Nel Medioevo i sordi continuarono a non godere di nessun diritto e venivano considerati alla
stregua di molte altre figure ai limiti del mondo sociale, come gli ammalati cronici, i mendicanti, ma
anche ai limiti di quello della fede, come i saltimbanchi e i guitti che praticano la pantomima.
Diversi trattati scolastici, tra cui il De institutione novitiorum di Ugo di San Vittore (1096-1141),
condannarono questo tipo di comunicazione come una forma di espressione legata alle passioni
animalesche più basse e incontrollate.18
                                In campo medico si cercava di capire che legame ci fosse tra sordità e mutismo. Si
sostenevano varie ipotesi come per esempio: l’idea che vi fosse un nervo che collegava le
orecchie con la lingua, o la presenza di un frenulo causa del mutismo, o ancora si pensava che la
bocca fosse connessa con le trombe di Eustachio, per questo motivo si urlava nella bocca del
sordo per farlo sentire.19
                                Dal Rinascimento iniziò un periodo di studio degli antichi testi, conservati in originale nei
monasteri, che portò all’abbandono delle ristrette convinzioni politiche e religiose derivanti dalle
loro non corrette interpretazioni.20
                                Molti sordi entrarono a lavorare nelle botteghe di pittori e scultori famosi che li ricercavano per
la loro rinomata abilità visiva e manuale. Alcuni avviarono anche una personale carriera artistica di
successo, come Bernardino di Betto detto il Pinturicchio.
                                Già fin dagli albori della civiltà, la pittura è stata una delle rarissime occasioni espressive nelle
quali i sordi hanno potuto competere alla pari con gli udenti. Per sopperire alla mancanza
dell’udito, i sordi sviluppano naturalmente un acuto spirito di osservazione per tutto ciò che li
circonda. Inoltre, hanno anche un altro vantaggio: il silenzio. La sordità, infatti, può anche essere
un’opportunità che favorisce l’isolamento e la concentrazione nell’arte senza i fastidi e le
distrazioni dovuti ai rumori esterni.
                                Dei pittori sordi scrisse anche il grande artista e scienziato Leonardo da Vinci nel suo Trattato
della pittura. In esso affermò che la vista è più importante dell’udito. Le numerose citazioni dei
sordi nel Trattato della Pittura di Leonardo non possono che essere state dedotte da sue
osservazioni dirette: infatti Leonardo fu ospite per qualche tempo in casa della famiglia dell’artista
miniatore sordo Cristoforo De Predis a Milano.21
                                Con l’avvento dell’Umanesimo e del concetto di uomo nuovo in cerca di riscatto e dignità
attraverso la cultura, anche il campo dell’educazione dei sordi subì un effetto benefico, con la

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
17
   Zinna S., (2010), op. cit.
18
   Russo Cardona T. e Volterra V. (2007), op. cit.
19
   Radutzky E. (1995), op. cit.
20
   Procacci G. (1977), Storia degli Italiani, vol. I (11° ed.), Editori Laterza, Bari.
21
   Rossetti R. (2007), “I colori, musica dei sordi”, in Folchi A. e Rossetti R. (a cura di) (2007), Il colore del silenzio.
Dizionario biografico internazionale degli artisti sordi, Mondadori Electa, Milano, p. 10.
	
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convinzione che è possibile educare i sordi alla parola.
                                Fu Bartolo della Marca d’Ancona, avvocato e scrittore del XIV secolo, il primo scrittore a
sostenere la possibilità di istruire i sordi con il linguaggio articolato e con i segni, e nei suoi scritti
troviamo la deduzione che ciò avrebbe dovuto sollecitare conseguenze di rilievo dal punto di vista
legale.22
                                L’invenzione di Gütenberg della stampa tipografica consentì una rapida diffusione di copie
degli originali degli antichi testi, e degli studi e delle ricerche su di essi compiuti, allargando la base
di un sapere fino ad allora depositato nelle mani di pochi privilegiati; l’attenzione venne rivolta
all’educazione dei giovani, considerati artefici del futuro, sortendo effetti positivi anche per
l’educazione dei bambini sordi. 23
                                Tra le figure guida nel campo educativo del periodo umanista troviamo: Rodolfo Agricola
(1443-1485), nel suo libro De inventione dialectica, disse di aver visto una persona sorda dalla
nascita, e di conseguenza anche muta, che aveva imparato a comprendere tutto ciò che veniva
scritto da altri e che esprimeva tutto ciò che pensava per iscritto, come se avesse l’uso della
parola; Girolamo Cardano (1501-1576) affermò, per primo, esplicitamente che i sordi potessero e
dovessero ricevere un’istruzione, sostenendo che il senso dell’udito e la vocalizzazione della
parola non erano indispensabili per la comprensione delle idee.24
                                Da queste prime osservazioni, nel Cinquecento, e ancora di più nel secolo successivo, si
diffusero diversi metodi per l’educazione dei sordi che ricorsero al mezzo scritto per avviare alla
comunicazione.
                                Si impegnarono in questa direzione scienziati e religiosi, come il frate Padre Ponce de León
(1520-1584), monaco benedettino ed erborista in Spagna che, sviluppando un sistema basato
sull’uso di un alfabeto manuale, riuscì ad educare alla parola e alla scrittura i figli dei nobili di
Castiglia.25
                                Il fatto che fu proprio un monaco benedettino a prendersi cura di ragazzi sordi non stupisce
molto, poiché in molti conventi vigeva la regola del silenzio e quindi i monaci erano abituati a
utilizzare un codice gestuale.
                                Nel 1670 il gesuita italiano Lana Terzi, filosofo e matematico, scrisse quello che forse fu il
primo libro in Italia specifico sull’istruzione dei sordi, il Prodromo all’arte maestra in cui fu fatta
notare soprattutto la lettura labiale. Il Terzi non fu, come molti hanno voluto intendere, un
educatore dei sordi in Italia.26

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
22
   Radutzky E. (1993), Dizionario bilingue elementare della lingua italiana dei segni, Ed. Kappa, Roma.
23
   Per approfondire il tema delle conseguenze sociali e culturali della stampa si rinvia anche a Eisenstein E. (1986), La
rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento, Il Mulino, Bologna, trad. it. di The printing Press as an
Agent of Change: Communication and Cultural Transformations in Early Modern Europe, Cambridge University Press,
New York 1979.
24
   Radutzky E. (1995), op. cit.
25
   Presneau J.-R. (1998), Signes et institution des sourds, XIII – XIX siècle, Champ Vallon, Seyssel.
26
   Bagutti G. (1828), Sullo stato fisico, intellettuale e morale, sull’istruzione e i diritti legali dei sordi e muti, Società Tipog.
Dei Classici Italiani, Milano.
	
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In principio, l’educazione dei sordi era indirizzata solo ai figli delle famiglie nobili che dovevano
essere in grado, in futuro, di conservare i propri privilegi, con anche l’obiettivo di aggirare quelle
leggi che ancora privavano i sordi della piena capacità giuridica.27
                                In Europa, diversi educatori acquisirono sempre più fama nell’ambito dell’educazione dei
sordi. Johan Conrad Amman (1669-1730), medico di origini svizzere, attivo in Olanda e autore
dell’opera Surdus loquens, spinse i suoi allievi a trasferire le sensazioni legate alla dimensione
tattile e visiva al dominio della percezione dei suoni per riattivare il rapporto tra udito e
articolazione vocale sfruttando il residuo uditivo, presente in molti bambini sordi.

1.2 Tra il Settecento e l’Ottocento

                                Nel Settecento molti educatori si ispirarono ad Amman e al suo metodo di educazione alla
parola, come il tedesco Samuel Heinicke e il religioso spagnolo di origini portoghesi Jacob
Rodrigues Pereira. Questi educatori però erano molto gelosi delle loro metodologie, cercarono di
avere allievi di famiglie abbienti in grado di pagare rette sostanziose e puntarono all’educazione al
linguaggio parlato con tecniche d’insegnamento spesso individuali.
                                     L’istruzione venne allargata agli altri ceti grazie all’abate Charles-Michel de l’Épée (1712-
1789), che successivamente arrivò a fondare la prima scuola organizzata e strutturata per sordi
aperta a tutti e gratuita (1791).28
                                Durante l’insegnamento de l’Épée utilizzava dei gesti per comunicare con i suoi alunni sordi.
Chiamò questi gesti segni metodici. Questo metodo divenne un esempio per molti educatori e
filosofi di ogni parte del mondo, che potevano recarsi dall’abate per impararlo gratuitamente. Tra
questi anche l’italiano Tommaso Silvestri, inviato dall’avvocato Pasquale Di Pietro nel 1783.
                                Al ritorno in Italia, Tommaso Silvestri cominciò ad insegnare ad un piccolo gruppo di ragazzi
sordi nella abitazione dell’Avvocato Di Pietro. Nel corso del secolo successivo dopo la morte
dell’abate Silvestri gli alunni aumentarono e la scuola si espanse cambiando diverse sedi. Troverà
la sua collocazione finale nel 1789 come Istituto dei Sordomuti di Roma.29
                                Tra la fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento nei vari stati della penisola vennero
fondati altri istituti: Istituto Governativo di rieducazione per i sordomuti di Napoli (1788), Istituto
Nazionale Sordomuti di Genova (1802), Regio Istituto dei Sordomuti di Milano (1805), Istituto
"Tommaso Pendola" per Sordomuti di Siena (1828) e molti altri.30

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
27
   Russo Cardona T. e Volterra V. (2007), op. cit.
28
   Volterra V. (2016), “L’educazione dei sordi e il ruolo della lingua dei segni”, in Marziale B. e Volterra V. (a cura di)
(2016), Lingua dei segni, società, diritti, Carocci editore, Roma, pp.19-51.
29
   Cfr. Maragna e S. Vasta, R. (2015). Il manuale dell'abate Silvestri: le origini dell'educazione dei sordi in Italia.
Bordeaux, Roma.
30
   Collu I. e Zatini F. (2004) “L’Abate Tommaso Silvestri e l’educazione dei sordi”, in Maragna S. (a cura di) (2004),
L’Istituto Statale dei Sordi di Roma. Storia di una trasformazione, Ed. Kappa, Roma, pp. 61-76.
	
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L’informazione specifica sull’educazione dei sordi e la rete di tale informazione era nelle mani
degli Ordini Religiosi preposti a tal educazione. Nel periodo che va dal 1821 al 1860, i contatti e le
informazioni furono mantenuti dai più attivi, preparati e autorevoli sacerdoti delle istituzioni sia
perché godevano, rispetto ai laici, di una maggiore mobilità fra Stato e Stato, sia perché nei vari
stati italiani le succursali dei vari Ordini erano diffuse nel territorio nazionale e queste (o al limite i
Vescovi) erano preziosi punti di riferimento per scambi di valutazioni ed informazioni specifiche.
                                L’azione dei laici si limitò quasi sempre a benefiche e munifiche iniziative a favore dei Sordi
con la fondazione di istituzioni private riconosciute poi dal governo e dai Vescovi o come nel caso
di Ferrara e Bologna direttamente dallo Stato Pontificio.
                                Gli allievi sordomuti, all’interno degli istituti scolastici, crearono un proprio mondo di
interrelazioni basate su una comunicazione visivo-gestuale e si aprirono alle reciproche
esperienze sviluppando una cultura nel gruppo convittuale. 31 Tra questi vi erano alunni
particolarmente brillanti che divennero a loro volta educatori, scrissero libri e furono i primi ad
autodefinirsi sordi come Jean Massieu (1772-1846) e Laurent Clerc (1785-1869) in Francia, Paolo
Basso (1806-1879), Giacomo Carbonieri (1814-1879) e Giuseppe Minoja (1812-1871) in Italia.
Carbonieri, in particolare, scrisse nel 1858 un interessante pamphlet contro le teorie pubblicate da
un medico suo contemporaneo, rivendicando l’utilità e l’importanza della lingua dei segni. Mentre
Minoja fondò inoltre un istituto per i suoi simili. Leggendo i loro saggi si ha l’impressione che
all’epoca vi fosse una chiara consapevolezza dell’importanza della mimica o lingua dei segni (così
esplicitamente chiamata) per l’educazione dei sordi e soprattutto per insegnare loro la lingua
scritta.32
                                In quegli anni coesisteva anche un altro metodo “tedesco” esclusivamente oralista. Iniziò così
un’accesa polemica tra i sostenitori dei due diversi metodi (che permane ancora fino ad oggi):
entrambi si pongono come obiettivo prioritario insegnare a leggere e scrivere, ma quello che
distingue le due “fazioni” è l’uso dei segni. In seguito, il metodo oralista influenzò i vari istituti
prima favorevoli al metodo francese, a partire da Balestra, direttore della scuola per sordi di Como,
poi Tarra di Milano, Pendola di Siena.
                                Con la nascita del nuovo Stato italiano non cambiò molto il sistema di educazione dei sordi: il
primo testo sull’istruzione pubblica in Italia, la legge Casati nel 1859, così come le leggi
successive, non prestò particolare attenzione a questi temi. Le istituzioni esistenti, anche se
diverse tra loro per organizzazione e didattica, restavano in vita nel nuovo ordinamento come
istituti privati, altri erano assunti in gestione pubblica dallo Stato come “istituti regi” o “istituti
governativi”.33

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
31
   Zatini F. (1997), “Storia e cultura della comunità sorda in Italia. 1874–1922”, in Zuccalà A. (a cura di) (1997), Cultura
del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi, Casa Editrice Maltemi, Roma, pp. 82-88.
32
   Folchi A. e Mereghetti E. (1995), “Tre educatori sordi italiani”, in Porcari Li Destri G. e Volterra V. (a cura di) (1995),
Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi in Italia, Gnocchi Editore, Napoli, pp.61-75.
33
   Amatucci L. (1995), “La scuola italiana e l’istruzione dei sordi” in Porcari Li Destri G. e Volterra V. (a cura di) (1995),
Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi in Italia, Gnocchi Editore, Napoli, pp. 211-256.
	
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I direttori degli istituti, favorevoli al metodo oralista, Tarra, Balestra e Pendola, fondarono la
prima rivista L’Educazione del Sordomuto, nel 1872. Gli argomenti riguardavano l’educazione e i
metodi di insegnamento dei bambini sordi, anche confrontati con quelli stranieri. La maggior parte
degli articoli erano scritti da direttori, maestri, medici, sempre udenti.34
                                Intanto i sordi, terminato il percorso scolastico, tornavano a casa e quindi all’isolamento tra gli
udenti. La mancanza di comunicazione con il mondo degli udenti fu la causa del loro isolamento
come potrebbe accadere a degli udenti in un paese straniero con costumi e tradizioni proprie. I
sordi dopo il periodo di istruzione, comunicavano facilmente con i segni ma poco oralmente.
                                A causa di questo isolamento, i sordi desideravano continuare a ritrovarsi tra di loro in modo
da poter comunicare, esprimersi, essere ascoltati e compresi.
                                Così circolò più diffusamente una forma di comunicazione spontanea in segni che non
includeva i segni metodici e le cui caratteristiche grammaticali e sintattiche erano più fedeli alla
grammatica e alle strutture di una vera e propria lingua dei segni come oggi la conosciamo.
Potremmo definire tutto questo come lo sviluppo di una comunità, quella dei sordi.
                                Gli educatori del resto erano consapevoli dei problemi che i sordi incontravano una volta usciti
dagli istituti. Infatti, nonostante molti di loro lavorassero, le loro occupazioni si riducevano a lavori
di tipo artigianale per maschi - sarto, calzolaio, falegname, ecc. - e di tipo donnesco per femmine.
Anche se molti di loro avevano raggiunto un buon livello di istruzione, erano in ogni caso esclusi
da altri tipi di impieghi e avevano rare possibilità di fare carriera in campo lavorativo. Solo pochi
riuscirono ad aprire le loro botteghe artigianali.
                                Per far fronte a questi problemi, a Milano, i sordomuti Felice Carbonera e Carlo Triarca, che
lavoravano nei loro istituti di appartenenza come maestri, ebbero l’idea di convincere i sordi a
superare le ingiustizie che lo stato perpetrava contro di loro negando il diritto al lavoro,
all’istruzione, abbandonandoli senza un sussidio minimo, permettendo che anche i sordi più colti
continuassero a sottostare al tutore. E fu così che, con l’appoggio degli educatori, Giulio Tarra del
Pio Istituto Sordomuti Poveri di Campagna ed Eliseo Ghislandi del Regio Istituto Statale di Milano,
i sordi fondarono, nel 1874, una società di mutuo soccorso. Tuttavia la legge proibiva al sordo di
amministrare una società rendendo così ancora indispensabile la partecipazione attiva degli
udenti. Grazie a questa società, i sordi adulti, appena usciti dai due istituti milanesi, poterono
incontrarsi periodicamente, andando a costituire così il nucleo centrale di un gruppo sociale che
comunicava in lingua dei segni.35

                                In America intanto nel 1876 fu brevettata l’invenzione del telefono da Alexander Graham Bell,
in realtà inventato dall’italiano Antonio Meucci. La sua ricerca nel campo della telefonia era
indirizzata proprio a trovare un apparecchio che gli permettesse di comunicare con la moglie e la
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
34
   Facchini G.M. (1995), “Commenti al Congresso di Milano del 1880” in Porcari Li Destri G. e Volterra V. (a cura di)
(1995), Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi in Italia, Gnocchi Editore, Napoli, pp. 27-43.
35
   Zatini F. (1997), op. cit.
	
                                                                                                                                                                                                                                 15
madre, entrambe sorde.36 Egli era un accanito attivista del metodo oralista, in conflitto con Thomas
Hopkins Gallaudet, fondatore della prima scuola americana pubblica per i sordi.
                                I sordi profondi, ovviamente, non poterono usare questo nuovo mezzo di comunicazione
totalmente acustico.

                                Nel 1880 ci fu un momento decisivo che segnerà profondamente non solo l’educazione e
l’istruzione ma l’intera vita dei sordi: il Congresso di Milano.
Si tratta del Congresso Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti, tenuto a
Milano e organizzato da un gruppo di educatori per la maggior parte italiani e francesi. Durante
questo congresso fu approvata una risoluzione che esaltava l’oralismo e che bandiva la lingua dei
segni, annullando in un sol colpo tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i segni
nell’istruzione dei bambini sordi. Gli Atti del Congresso dimostrano che, tra gli udenti, solo gli
americani si dichiararono contro la scelta rigidamente oralista. I pochi sordi presenti erano a favore
dei segni, ma la loro mozione non venne neppur portata a votazione. Per questo i rappresentanti
del Congresso erano stati selezionati in maniera tale da assicurare la vittoria del metodo orale,
quindi fu stabilito l’ostracismo ai segni a favore dell’uso della sola parola.
                                     Lo scopo del convegno era chiaramente evocato nel motto “Il gesto uccide la parola”. È
abbastanza evidente che in quell’epoca a diversi livelli il potere politico, il potere scientifico e il
potere religioso imposero la convinzione che, “una vera lingua”, poteva essere solo quella vocale
usata dagli udenti.
                                In effetti, nel nuovo Regno il Governo puntava all’unificazione anche linguistica dell’Italia, la
cui popolazione era in gran parte analfabeta, sotto la spinta delle teorie pedagogiche dell’epoca,
che contrapponevano il segno, identificato con la concretezza e la materialità, alla parola, intesa
come astrattezza e razionalità e in quanto tale superiore.37
                                Questa decisione può essere interpretata come una ‘grande frattura ideale’ fra il mondo dei
sordi ed il mondo degli udenti. I sordi accusavano di avere scelto per loro una lingua e
un’educazione che non condividevano senza averli mai consultati. Dopo il Congresso
scomparvero anche le testimonianze dirette dei sordi, rimanevano solo quelle degli educatori
udenti. I segni vennero proibiti nelle aule scolastiche, ma continuarono a essere utilizzati di
nascosto nei convitti, nei dormitori e paradossalmente, a volte, si utilizzavano quando era
necessario dare delle comunicazioni importanti, per essere sicuri che il messaggio fosse
compreso, o durante le funzioni religiose.38

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
36
   http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1692&biografia=Alexander+Graham+Bell (consultato in settembre 2016).
37
   Facchini G.M., Fruggeri L. e Montanini Manfredi M. (1979), “Il bambino sordo fra gesto e parola”, in Montanini
Manfredi M., Fruggeri L. e Facchini G.M. (a cura di) (1979), Dal gesto al gesto, Cappelli, Bologna, pp. 17-42.
38
   Zinna S., (2010), op. cit.
	
                                                                                                                                                                                                                                 16
Questa separazione portò a una perdita di consapevolezza dei sordi stessi sul fatto che i
‘gesti’ costituissero una lingua paragonabile a quella verbale, permettendo così la supremazia
dello status quo oralista e degli educatori udenti sui sordi.39
                                È necessario attendere quasi un secolo perché venga riacceso l’interesse verso la lingua dei
segni, questa volta non considerata solo come puro strumento per fini educativi, ma studiata dal
punto di vista linguistico, dunque come forma di comunicazione in se stessa.
                                Nonostante il Congresso, i sordi italiani non accettarono la sentenza: continuarono a
comunicare in segni e non smisero di rivendicare i loro diritti, come l’estensione ai sordi del diritto
all’istruzione da parte dello Stato.

                                Riguardo all’alfabetizzazione dei sordi, in un’inchiesta del governo del 1887 erano 15.300 i
sordi censiti, di cui 2.300 ospitati negli istituti. In alcuni comuni italiani non risultavano esservi sordi
“istruiti” e in alcune regioni le percentuali restavano comunque molto basse.40

                                La nascita della prima società di mutuo soccorso fra sordomuti ha rappresentato il primo
passo verso la costruzione organica di una cultura dei sordi. In questo senso la società si occupò
di incoraggiare e diffondere le attività e gli incontri dei sordi e soprattutto di spingere gli altri istituti
a seguire il loro esempio.
                                Ben presto, alla fine del XIX secolo, furono fondate diverse società di mutuo soccorso: a
Torino (1880), a Genova (1884), a Siena (1890) e in molte altre città.41

                                Un esempio della rivendicazione dei diritti dei sordi è costituito dal fascicolo stampato nel 1888
a cura di una persona sorda, Francesco Micheloni42 (presidente della Società di mutuo soccorso
fra i sordomuti costituitasi a Roma anni prima), che affronta diversi argomenti: la denuncia di una
serie di maltrattamenti perpetrati da un certo dottor Eduardo Giampietro nel Reale Albergo dei
Poveri di Napoli, un censimento dei sordi, la necessità di estendere l’istruzione dei sordomuti, la
loro situazione di fronte alla legge e riprende alcune opinioni sul metodo da praticarsi
nell’insegnamento di Ferdinand Berthier, insegnante sordo dell’Istituto di Parigi, che aveva
sostenuto che “l’esclusione della mimica è un’assurdità, una barbarie, un delitto di lesa umanità”43.
Queste pagine di Micheloni sono di una straordinaria “modernità” e ci mostrano come almeno nei
primi anni dopo il Congresso di Milano le persone sorde cercassero di difendere le loro opinioni e
di opporsi anche ad alcuni soprusi che evidentemente erano denunciati dagli alunni sordi. 44

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
39
   Bianchi L. (2004), op. cit.
40
   Corazza S. (1995), “Storia della Lingua dei segni nell’educazione dei sordi italiani”, in Porcari Li Destri G. e Volterra V.
(a cura di) (1995), Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi in Italia, Gnocchi Editore, Napoli, pp. 77-
102.
41
   Zatini F. (1997), op. cit.
42
   Micheloni F. (a cura di) (1888), Un po’ di tutto intorno ai sordo-muti, Tipografia Agostiniana, Roma, p. 39.
43
   Ivi, p. 40.
44
   Volterra V. (2016), op. cit, pp. 26-27.
	
                                                                                                                                                                                                                                 17
Queste società di mutuo soccorso promossero una serie di incontri per sordi, una mutua
assistenza di soccorso: sussidi agli indigenti e ai disoccupati, assistenza economica ai disabili,
incoraggiamento economico alle nascite e ai matrimoni, assistenza ai familiari dei defunti.
                                Quando si raggiunse un numero di almeno venti associazioni, i sordomuti iniziarono a riunirsi
periodicamente dando luogo a una serie di manifestazioni culturali (assemblee, feste da ballo,
ecc.) nelle quali comunicavano in lingua dei segni. Questo diede loro la possibilità di conoscersi, di
parlare dei propri problemi e spesso anche di sposarsi formando una famiglia. I sordomuti più
istruiti furono i protagonisti della politica associativa proponendo le loro idee e i loro disegni per il
migliore avvenire del sordomuto. Tutto ciò alimentò l’idea secondo la quale i sordi
rappresentassero ormai un vero e proprio popolo dotato di una cultura propria, ma diverso da un
popolo normale perché presente nello stesso tempo in due diversi mondi. Questo primo nucleo
della comunità sorda è però sempre rimasto in ritardo rispetto all’innalzamento del livello culturale
della società udente, per l’assenza di un’informazione capace di far sentire il sordo soggetto attivo
della società civile ed incrementare il suo interesse per la società.
                                Le società di mutuo soccorso riuscirono solo in parte a surrogare l’assenza dello Stato
nell’assistenza ai sordi. Dunque, si capì che per sensibilizzare l’opinione pubblica occorreva
un’organizzazione unita capace di rivendicare con più forza i sacrosanti diritti dei sordi.
                                Il primo tentativo di pubblicare un giornale fu fatto nel 1896 dal sordo Ferdinando Castagnotti
di Oneglia-Imperia, che pubblicò e diresse per sei mesi La Voce del Sordomuto.
                                Nello stesso periodo, a Roma, fu pubblicata da Francesco Micheloni la testata L’Avvenire dei
Sordomuti, che però uscì in soli due numeri, novembre e dicembre 1896.
Queste due prime iniziative editoriali fallirono per mancanza di mezzi e, soprattutto, per la difficoltà
di diffondere il giornale tra i sordi dell’epoca, che erano in molti casi analfabeti. 45

1.3 La prima metà del Novecento

                                L’Ottocento è caratterizzato da due importanti innovazioni basate sull’immagine: nel 1839,
infatti, fu inventata da Nicéphore Niepce la fotografia, che poi si diffuse in maniera esponenziale,
mentre alla fine del secolo, con la nascita del cinema, iniziano a svilupparsi le tecniche di
proiezioni delle immagini.
                                Prima del cinema, Georges Demeny (Francia, 1850-1917) aveva provato a sperimentare il
suo fonoscopio presso l’Institution National des Sourds-muets nel 1891. Si trattava, in pratica, di
realizzare dei “ritratti viventi” o “fotografie parlanti”.46 Con l’aiuto del professor Marichelle, i giovani

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
45
              Zatini F. (1997), op. cit.
46
              http://precinemahistory.net/1890.htm (consultato in maggio 2016).
	
                                                                                                                                                                                                                                 18
sordi dell’istituto decifravano così il movimento delle labbra e si esercitavano a ripetere le parole
pronunciate, secondo i principi della scuola oralista che il Congresso di Milano aveva rigidamente
sancito.47
                                Ebbene, il fonoscopio con le cronofotografie non è nato da interessi d’intrattenimento ma
scientifici.

                                                                                                                                                                                                                                                48
                                                                                                                                                                                                                                   Fonoscopio

La nascita ufficiale del cinema risale al 1895, quando i fratelli Lumière proiettarono, al Grand Café
des Capucines di Parigi, dieci film di circa un minuto l’uno, con l’intento di dare allo spettatore la
sensazione del vero.
                                Alle sue origini, il cinema era pura arte visiva, anche se quando si proiettavano i film nel
cinematografo o in teatri adattati a tale scopo i proprietari dei locali, a volte ingaggiavano dei
musicisti per accompagnare la proiezione con la musica. Inoltre, quando venivano proiettati i film,
in quanto muti, dietro lo schermo spesso si posizionava un uomo che spiegava il film o si
inventava i dialoghi.
                                I primi film muti si diffusero in Francia a partire dal 1896, ed è in questo periodo che il cinema
ha goduto di una grandissima espansione nel mondo.
                                In quell’epoca i sordi non avevano problemi nel comprendere i film muti perché erano
puramente visivi e comprensibili tramite le azioni degli attori, a parte alcuni accompagnamenti
musicali. Quindi non erano svantaggiati rispetto alle persone udenti.
                                Negli Stati Uniti, il regista George Veditz, il primo sordo a realizzare documentari in lingua dei
segni, comprese l’importanza del visual moving, un modo di fare film adatti ai sordi in virtù
dell’utilizzo della lingua dei segni. Il suo progetto, intrapreso dalla National Association of the Deaf

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
47
      Vichi    L.  (2003),    C’era    una    volta   un    paese    lontano... Cinema,     sordità e    identità, in
http://www.accaparlante.it/articolo/cera-una-volta-un-paese-lontano…cinema-sordità-e-identità (consultato in maggio
2016).
48
   http://precinemahistory.net/1890.htm (consultato in giugno 2016).
	
                                                                                                                                                                                                                                   19
(NAD) nel 1913, intitolato The Preservation of the Sign Language (Preservare la lingua dei segni),
si pose come obiettivo quello di difendere la lingua dei segni dall’imposizione dell’oralismo iniziata
con il Congresso di Milano. La NAD ottenne un finanziamento di cinquemila dollari da donatori
sordi americani, per produrre documentari filmati in lingua dei segni. Queste pellicole, da 16 mm,
sono state girate tra il 1913 e il 1920 e rappresentano le più vecchie testimonianze filmate sulla
lingua dei segni nel mondo. 49
                                Negli anni Venti, con l’affermazione del cinema muto, si aprirono ai sordi, grazie alle loro
innate capacità espressive, nuove prospettive di lavoro anche accanto ai registi di fama mondiale.
                                Un tipico esempio è certamente quello di Granville Redmond, eccellente pittore paesaggista,
che raccolse la stima di Charlie Chaplin, innanzitutto come pittore e poi come attore. Granville è,
infatti, apparso a fianco del grande Charlot in film come Luci della Ribalta e Il Monello. Tra i due
nacque una profonda amicizia, grazie alla quale il famoso regista, aiutato dal pittore sordo, imparò
non solo a sviluppare le proprie capacità espressive, ma anche le regole di base per una
comunicazione attraverso la lingua dei segni. 50
                                La presenza di molti attori sordi, registi, o semplici comparse nel mondo cinematografico
stimolò così la formazione di associazioni di sordi che si occupano di cinema. La prima
associazione di Registi Sordi (Deaf Filmmakers) nacque in Finlandia nel 1922. Si formarono così
le prime troupe in Finlandia e altre zone d’Europa, che realizzarono numerosi cortometraggi.51

                                Negli stessi anni Venti si diffuse anche l’uso della radio che portò a una rapida diffusione per
ascoltare le notizie e la musica. Con questo nuovo mezzo si potevano apprendere le informazioni
solo tramite l’udito quindi i sordi furono totalmente esclusi, in attesa che qualcuno, familiare o
amico, le ripetesse o riassumesse per loro.
                                In effetti, dalle testimonianze raccolte dai convittori dell’Istituto dei Sordi di Roma, una signora
ricorda che “una suora spesso ci raccontava quello che diceva la radio o la storia di San
Francesco: parlava e segnava insieme”.52

                                Tra il 1927 e il 1930, il sonoro arrivò nel cinema e questo portò un radicale cambiamento nel
concetto stesso di cinema.
                                Se per gli udenti il passaggio dal film muto al film sonoro ha rappresentato un’evoluzione del
cinema che ha fortemente influito sull’apprezzamento dei film e sulla forza del messaggio filmico,
per i sordi il tramonto del cinema muto ha decretato il licenziamento di molti attori che, in quanto

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
49
   Le Rose D. (2009), “Il cinema dei sordi”, in C. Bagnara, S. Fontana, E. Tomasuolo, A. Zuccalà (a cura di) (2009), I
segni raccontano. La lingua dei segni italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, FrancoAngeli, Milano, pp. 263-
269.
50
   S. Zinna, (2010), op. cit.
51
   Le Rose D. (2009), op. cit.
52
   Pinna P., Rampelli L., Rossini P. e Volterra V. (1995), Testimonianze scritte e non scritte di un Istituto per i sordi di
Roma, in G. Porcari Li Destri e V. Volterra (a cura di) (1995), Passato e presente. Uno sguardo sull’educazione dei Sordi
in Italia, Gnocchi Editore, Napoli, p. 138.
	
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sordi, non erano più ritenuti idonei e ha probabilmente limitato il coinvolgimento del pubblico sordo
rispetto a produzioni che puntavano maggiormente sul parlato.53
                                Nonostante ciò, altre organizzazioni di registi sordi continuarono a occuparsi della produzione
di cortometraggi.
                                Tuttavia, fino alla fine del 1930, l’arrivo dei film sonori in Italia fu soggetto a restrizioni, sia dal
punto di vista tecnico, per colpa delle sale non attrezzate, sia da quello politico, a causa dei
provvedimenti del regime che non vedeva di buon occhio le pellicole straniere. Dopo il 1930, lo
Stato permise di proiettare dette pellicole ma con la sovrapposizione dei dialoghi italiani o con
l’immissione di sfondi neri e didascalie come quelle dei film muti. Nel frattempo, per non perdere la
distribuzione in Italia, le case di produzione hollywoodiane provarono ad esercitare una nuova
pratica, quella del doppiaggio, con gli attori italo-americani.
                                L’immediato successo del film doppiato forse fu dovuto anche al fatto che una parte della
popolazione italiana era all’epoca analfabeta e non poteva quindi seguire i film sottotitolati.
                                Nel 1932, però, un regio decreto-legge disponeva che qualora un film straniero fosse stato
doppiato all’esterno dal Regno d’Italia questo non poteva essere proiettato nelle sale italiane.
Nell’estate dello stesso anno aprì a Roma il primo stabilimento di doppiaggio italiano.
                                Da allora, in Italia, la pratica di doppiare i film fu praticamente adottata da tutta l’industria
cinematografica, anche perché favorita dal Piano Marshall, che poneva le basi per una
“colonizzazione culturale” dei paesi usciti sconfitti dal conflitto mondiale anche attraverso lo
stanziamento per l’Italia di 800 milioni di dollari per l’acquisto di film americani, e una quota
destinata al doppiaggio degli stessi film.54
                                Conseguentemente, l’Italia è una delle nazioni che più utilizza il doppiaggio, e vanta grandi
artisti in questo settore.
                                Ciò ha svantaggiato i sordi italiani, a differenza di altri paesi in cui è rimasta l’abitudine di
seguire i film stranieri in lingua originale con la traduzione nei sottotitoli.

                                Invece nell’ambito della stampa, a Roma fu fondato Il Giornale del Sordomuto per nome e per
conto della Società Romana di Mutuo Soccorso, di cui Cesare Silvestri fu il direttore e il fondatore,
che pubblicò poche copie durante gli anni 1919 e 1921. Quel giornale, oltre a dare informazioni,
come affermava Cesare Silvestri a proposito delle primi rivendicazioni, intendeva rafforzare le
vecchie organizzazioni, fare opera di propaganda tra gli udenti delle necessità delle persone
sorde, con l’obiettivo che fossero accordati tutti i diritti al pari degli altri cittadini.55

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
53
   Le Rose D. (2009), op. cit.
54
   Giraldi M., Lancia E. e Melelli F. (2010), Il doppiaggio nel cinema italiano, Bulzoni, Roma.
55
   Zatini F. (2004a), “Giornalismo della Comunità Sorda”, in Zatini F. (a cura di) (2004), La storia dell’Ente Nazionale
Sordomuti. Il lungo cammino della Comunità Sorda Italiana, ENS, Roma, pp. 523-537.
	
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